Nella discussione parlamentare sulla proposta di una nuova legge
elettorale, svoltasi negli ultimi giorni di aprile, è purtroppo andata delusa un'autentica
opportunità di segnare un vero momento di cambiamento in positivo della qualità
del dibattito e del confronto politico nell'interesse del bene comune del
paese. La scelta operata dal governo di porre la fiducia sulle prime operazioni
di voto ha, di fatto, posto un incomprensibile stop alla possibilità di un
approfondimento a 360 gradi su un tema di grande rilevanza per la civile convivenza
democratica nel nostro paese.
Nei giorni scorsi ho già, in più occasioni, manifestato sul
profilo Facebook la mia opinione in proposito. Sono poi davvero grato
all'amico, Giulio Orazio Bravi, per le graditissime osservazioni critiche, in
quanto sono convinto che la diversità e la pluralità delle posizioni sono il
sale e la ricchezza della democrazia. In alternativa si produce solo un sterile
e statico appiattimento conformistico tipico di società ferme nella propria
crescita e maturazione civile e culturale. L'essenziale è il riconoscimento
della legittimità della diversità delle posizioni, e l'abbandono della
convinzione di possedere l'esclusiva della verità e del ricorso alla pratica
della rissa e degli insulti (elementi che, purtroppo, contrassegnano i
comportamenti di alcune forze politiche presenti in parlamento). I problemi del
paese (compreso quello di fare una migliore legge elettorale) richiedono il
concorso responsabile di tutti. Gli insulti, le risse, la convinzione di essere
gli esclusivi possessori della verità e le pretesa di far da soli finiscono per
danneggiare il paese e la qualità della convivenza civile.
La decisione di porre la fiducia adottata dal governo Renzi, a
mio avviso, rappresenta un grave errore, perché una legge elettorale riguarda
le regole del gioco, le modalità concrete con cui il paese sceglie i proprî
rappresentanti e determina la composizione delle assemblee elettive. Si tratta
di una materia che attiene ai fondamenti della vita democratica, in quanto
determina nei particolari le modalità attraverso cui si costruisce la
rappresentanza democratica e il meccanismo della decisionalità. Siamo quindi a
un livello preliminare e più di fondo delle materie concrete di governo. Le
materie di governo, i contenuti concreti di un programma di governo hanno
necessità di confrontarsi con la composizione delle assemblee elettive e, trovare in la necessaria convergenza per la concreta
realizzazione degli obiettivi sociali, economici, culturali che la compagine
governativa si propone. Ma quando si pone mano alla costruzione di una nuova
legge elettorale, si deve andare oltre il proprio programma di governo e costruire
nelle aule parlamentari un confronto aperto a 360 gradi per costruire una
proposta ampiamente condivisa, perché le regole del gioco, le regole di base
del confronto democratico, non possono essere definite solo da chi è, al
momento, il primo in classifica. La conseguenza più immediata è quella di
esporsi, non senza un fondamento di realtà, all’accusa di costruire delle
regole finalizzate al proprio esclusivo vantaggio.
Riconosco che il presidente Renzi, nella fase iniziale del
proprio impegno sul terreno della costruzione di una nuova proposta di legge
elettorale, ha ricercato spazî di convergenza e di comune elaborazione di un
testo condiviso. Naturalmente in quest’azione ha dovuto fare i conti anche con
i margini di disponibilità alla collaborazione offerti dalle altre forze
politiche presenti in Parlamento. Nel concreto ciò ha portato all’individuazione
di un terreno comune di lavoro con Forza Italia, mentre le altre forze di
opposizione si sono sin dall’inizio rifiutate di partecipare a un tavolo comune
di lavoro sulla legge elettorale. Questo scenario, a mio avviso, è
riconducibile a una pluralità di ragioni, dove hanno giocato un notevole sia la
scelta di comodo di alcune forze politiche di puntare sul degrado del confronto
politico e poi potersi facilmente avvantaggiare in caso di elezioni anticipate,
sia l’immediato indirizzare delle proposte in gioco verso un’accentuazione del
carattere maggioritario e preordinato del meccanismo elettorale, sia l’essersi
in qualche modo accontentati forse troppo rapidamente di andare a una proposta
di legge condivisa solo dalla maggioranza di governo e da Forza Italia, sia,
infine, dal non aver ricercato con la dovuta determinazione l’interruzione dell’alleanza
con il movimento “Sinistra ecologia e libertà”, assieme al quale il Partito
democratico si era presentato al giudizio dell’elettorato.
Sin quando il movimento di Forza Italia ha condiviso il sostegno
alla proposta denominata come “Italicum”, in una qualche forma paradossale veniva
tuttavia garantito il suo carattere di andare oltre gli schieramenti di
maggioranza e opposizione, In una qualche misura si poteva affermare, con un
certo fondamento, che la proposta non rispondeva agli interessi del solo
schieramento di governo.
Quando, poi, nella successiva stagione politica dedicata all’elezione
del nuovo Presidente della Repubblica, il presidente Renzi è riuscito ha
costruire la convergenza necessaria per addivenire all’elezione al Quirinale di
Sergio Mattarella, si è consumato lo strappo con Forza Italia, che, non avendo
condiviso il metodo di scelta del nuovo presidente, ha scelto di non continuare
a sostenere l’Italicum, pur non avendo rilevanti obiezioni di merito sul suo
contenuto.
A questo punto della partita è purtroppo mancata la capacita e la
lungimiranza politica di rimescolare le carte sul tavolo di lavoro della legge
elettorale, una volta preso atto per l’ennesima volta dell’inaffidabilità
politica di Forza Italia, per creare condizioni realistiche di convergenza con
le forze e gli ambienti politici che avevano portato all’elezione di
Mattarella, ponendo mano a un nuovo e più condiviso testo di legge elettorale.
L’errore, a mio parere, è stato quello di aver proseguito, con
una dose incomprensibile di testardaggine (attenzione la testardaggine, in
politica, è un difetto e non va confusa con la determinazione), a puntare su un
testo sostanzialmente identico all’Italicum, concordato con Forza Italia,
nonostante la defezione di quest’ultima, che si è ritagliata la comoda
posizione di poter ottenere l’approvazione di un testo, sostanzialmente
gradito, senza assumersi dinanzi agli elettori la responsabilità di approvarlo
con il proprio voto. Proporre alle altre forze politiche un testo
sostanzialmente coincidente con quello frutto dell’accordo con Forza Italia
era, poi, a ben vedere un’ipotesi del tutto impraticabile sul piano politico.
Si sono così persi mesi preziosi, nonostante da varî ambienti del Partito
Democratico e da vaste rappresentanze del suo elettorato venissero inviti a creare le condizioni di una
convergenza politica e di contenuto con l’area che ha portato all’elezione di
Mattarella, che, realisticamente appare lo schieramento che oggi può costituire
la base di un autentico cambiamento, un cambiamento reale e non solo
sbandierato mediaticamente.
Il pervicace orientamento di queste ultime settimane a pervenire
all’approvazione in una materia di grande rilevanza istituzionale di un
provvedimento raccogliticcio, da sbandierare mediaticamente come “grande
risultato” nell’imminente campagna elettorale per le Regioni, è purtroppo il
segno del sopravvento di una linea timorosa, incapace di trarre le conseguenze
dalle pur positive intuizioni avute nella vicenda presidenziale. In questo una
parte significativa del Partito democratico sta svolgendo un ruolo
significativo di dedizione al paese e di grande senso di responsabilità,
assumendo, nei confronti del premier-segretario, una posizione di richiamo al più autentico
patrimonio dei valori e della cultura politica del partito, affinché si giunga,
prima che sia troppo tardi, a un ripensamento del testo e a un allargamento dell’area
di consenso al suo intorno, e si eviti, soprattutto, di conseguire una
sostanziale “vittoria di Pirro” con il ricorso all’imposizione su una materia
impropria, non per forma ma per contenuto, della questione di fiducia. Una
posizione di richiamo, assunta con grande senso di responsabilità, in forma
saggiamente differenziata onde non compromettere la prospettiva dell’azione di
governo, che sarebbe auspicabile tenere con attenzione distinta dalla questione
dell’approvazione della legge elettorale.
Mi auguro che in questi ultimi giorni il presidente Renzi dia finalmente
il segno di un analogo senso di responsabilità, richiamando le aule
parlamentari a un confronto aperto e responsabile sul testo della legge
elettorale rimuovendo vincoli e scelte precostituite, ma valorizzando
ampiamente, pur nella loro diversità, tutti
i contributi positivi ed espressivi di culture e orientamenti indirizzati al
conseguimento del bene comune. Un itinerario un po’ più lungo e impegnativo è con
ogni buona ragione preferibile a una soluzione frettolosa e abborracciata,
conseguita solo per mostrarsi come “i primi della classe”.
D’altronde parlare di legge elettorale vuol dire affrontare un
tema di grandissima rilevanza e di notevole complessità, in quanto si tratta di
individuare la migliore soluzione che individui il più alto compromesso tra due
esigenze essenziali che, possono essere in reciproca contraddizione, in
particolare se tale contraddizione è abilmente esasperata da lobbies di potere che utilizzano
strumentalmente la potenziale condizione d’ingovernabilità e instabilità del
paese. Le due esigenze irrinunciabili sono quelle di assicurare la legittima
rappresentanza nelle aule parlamentari delle correnti politico-culturali
presenti nel paese e di garantire l’agile esercizio delle funzioni di
decisionalità per assicurare al paese stesso di far fronte alle proprie responsabilità,
sia nei confronti dell’ordinato sviluppo della vita dei proprî cittadini, sia
nel quadro delle relazioni internazionali. E questo in una condizione di un
paese moderno, complesso, naturalmente differenziato e segmentato al proprio interno,
dove le identità politiche e culturali sono numerose e ciascuna orgogliosa
della propria originalità. E tuttavia questa realtà del paese ha la necessità ogni
movimento politico sia in condizione di maturare accanto alla consapevolezza dell’originalità
della singola e specifica proposta politica anche la valorizzazione del
confronto produttivo con le altre forze politiche, che, pur nella diversità, in
ogni caso rappresentano o possono rappresentare esigenze legittime presenti e
diffuse nella società italiana.
Per affrontare un impegno di tale rilevanza è necessario una
grande apertura di pensiero, una dedizione esclusiva al bene comune del paese,
una capacità di impegnare la propria sapienza politica alla ricerca
instancabile delle condizioni essenziali di consenso politico-istituzionale tra
le principali e più responsabili forze politiche del paese, per scegliere di
comune accordo la migliore articolazione delle regole del gioco.
È una sfida difficile, ma entusiasmante. Mi auguro che a Matteo Renzi
non manchi la determinazione necessaria per raccoglierla nell’interesse del
paese.
Sergio Sbragia
Vico Equense, sabato 2 maggio 2015