sabato 2 maggio 2015

Un'opportunità di reale cambiamento non raccolta, ma non è finita: è ancora possibile “cambiare verso”!



Nella discussione parlamentare sulla proposta di una nuova legge elettorale, svoltasi negli ultimi giorni di aprile, è purtroppo andata delusa un'autentica opportunità di segnare un vero momento di cambiamento in positivo della qualità del dibattito e del confronto politico nell'interesse del bene comune del paese. La scelta operata dal governo di porre la fiducia sulle prime operazioni di voto ha, di fatto, posto un incomprensibile stop alla possibilità di un approfondimento a 360 gradi su un tema di grande rilevanza per la civile convivenza democratica nel nostro paese.
Nei giorni scorsi ho già, in più occasioni, manifestato sul profilo Facebook la mia opinione in proposito. Sono poi davvero grato all'amico, Giulio Orazio Bravi, per le graditissime osservazioni critiche, in quanto sono convinto che la diversità e la pluralità delle posizioni sono il sale e la ricchezza della democrazia. In alternativa si produce solo un sterile e statico appiattimento conformistico tipico di società ferme nella propria crescita e maturazione civile e culturale. L'essenziale è il riconoscimento della legittimità della diversità delle posizioni, e l'abbandono della convinzione di possedere l'esclusiva della verità e del ricorso alla pratica della rissa e degli insulti (elementi che, purtroppo, contrassegnano i comportamenti di alcune forze politiche presenti in parlamento). I problemi del paese (compreso quello di fare una migliore legge elettorale) richiedono il concorso responsabile di tutti. Gli insulti, le risse, la convinzione di essere gli esclusivi possessori della verità e le pretesa di far da soli finiscono per danneggiare il paese e la qualità della convivenza civile.
La decisione di porre la fiducia adottata dal governo Renzi, a mio avviso, rappresenta un grave errore, perché una legge elettorale riguarda le regole del gioco, le modalità concrete con cui il paese sceglie i proprî rappresentanti e determina la composizione delle assemblee elettive. Si tratta di una materia che attiene ai fondamenti della vita democratica, in quanto determina nei particolari le modalità attraverso cui si costruisce la rappresentanza democratica e il meccanismo della decisionalità. Siamo quindi a un livello preliminare e più di fondo delle materie concrete di governo. Le materie di governo, i contenuti concreti di un programma di governo hanno necessità di confrontarsi con la composizione  delle assemblee elettive e,  trovare in la necessaria convergenza per la concreta realizzazione degli obiettivi sociali, economici, culturali che la compagine governativa si propone. Ma quando si pone mano alla costruzione di una nuova legge elettorale, si deve andare oltre il proprio programma di governo e costruire nelle aule parlamentari un confronto aperto a 360 gradi per costruire una proposta ampiamente condivisa, perché le regole del gioco, le regole di base del confronto democratico, non possono essere definite solo da chi è, al momento, il primo in classifica. La conseguenza più immediata è quella di esporsi, non senza un fondamento di realtà, all’accusa di costruire delle regole finalizzate al proprio esclusivo vantaggio.
Riconosco che il presidente Renzi, nella fase iniziale del proprio impegno sul terreno della costruzione di una nuova proposta di legge elettorale, ha ricercato spazî di convergenza e di comune elaborazione di un testo condiviso. Naturalmente in quest’azione ha dovuto fare i conti anche con i margini di disponibilità alla collaborazione offerti dalle altre forze politiche presenti in Parlamento. Nel concreto ciò ha portato all’individuazione di un terreno comune di lavoro con Forza Italia, mentre le altre forze di opposizione si sono sin dall’inizio rifiutate di partecipare a un tavolo comune di lavoro sulla legge elettorale. Questo scenario, a mio avviso, è riconducibile a una pluralità di ragioni, dove hanno giocato un notevole sia la scelta di comodo di alcune forze politiche di puntare sul degrado del confronto politico e poi potersi facilmente avvantaggiare in caso di elezioni anticipate, sia l’immediato indirizzare delle proposte in gioco verso un’accentuazione del carattere maggioritario e preordinato del meccanismo elettorale, sia l’essersi in qualche modo accontentati forse troppo rapidamente di andare a una proposta di legge condivisa solo dalla maggioranza di governo e da Forza Italia, sia, infine, dal non aver ricercato con la dovuta determinazione l’interruzione dell’alleanza con il movimento “Sinistra ecologia e libertà”, assieme al quale il Partito democratico si era presentato al giudizio dell’elettorato.
Sin quando il movimento di Forza Italia ha condiviso il sostegno alla proposta denominata come “Italicum”, in una qualche forma paradossale veniva tuttavia garantito il suo carattere di andare oltre gli schieramenti di maggioranza e opposizione, In una qualche misura si poteva affermare, con un certo fondamento, che la proposta non rispondeva agli interessi del solo schieramento di governo.
Quando, poi, nella successiva stagione politica dedicata all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il presidente Renzi è riuscito ha costruire la convergenza necessaria per addivenire all’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella, si è consumato lo strappo con Forza Italia, che, non avendo condiviso il metodo di scelta del nuovo presidente, ha scelto di non continuare a sostenere l’Italicum, pur non avendo rilevanti obiezioni di merito sul suo contenuto.
A questo punto della partita è purtroppo mancata la capacita e la lungimiranza politica di rimescolare le carte sul tavolo di lavoro della legge elettorale, una volta preso atto per l’ennesima volta dell’inaffidabilità politica di Forza Italia, per creare condizioni realistiche di convergenza con le forze e gli ambienti politici che avevano portato all’elezione di Mattarella, ponendo mano a un nuovo e più condiviso testo di legge elettorale.
L’errore, a mio parere, è stato quello di aver proseguito, con una dose incomprensibile di testardaggine (attenzione la testardaggine, in politica, è un difetto e non va confusa con la determinazione), a puntare su un testo sostanzialmente identico all’Italicum, concordato con Forza Italia, nonostante la defezione di quest’ultima, che si è ritagliata la comoda posizione di poter ottenere l’approvazione di un testo, sostanzialmente gradito, senza assumersi dinanzi agli elettori la responsabilità di approvarlo con il proprio voto. Proporre alle altre forze politiche un testo sostanzialmente coincidente con quello frutto dell’accordo con Forza Italia era, poi, a ben vedere un’ipotesi del tutto impraticabile sul piano politico. Si sono così persi mesi preziosi, nonostante da varî ambienti del Partito Democratico e da vaste rappresentanze del suo elettorato  venissero inviti a creare le condizioni di una convergenza politica e di contenuto con l’area che ha portato all’elezione di Mattarella, che, realisticamente appare lo schieramento che oggi può costituire la base di un autentico cambiamento, un cambiamento reale e non solo sbandierato mediaticamente.
Il pervicace orientamento di queste ultime settimane a pervenire all’approvazione in una materia di grande rilevanza istituzionale di un provvedimento raccogliticcio, da sbandierare mediaticamente come “grande risultato” nell’imminente campagna elettorale per le Regioni, è purtroppo il segno del sopravvento di una linea timorosa, incapace di trarre le conseguenze dalle pur positive intuizioni avute nella vicenda presidenziale. In questo una parte significativa del Partito democratico sta svolgendo un ruolo significativo di dedizione al paese e di grande senso di responsabilità, assumendo, nei confronti del premier-segretario,  una posizione di richiamo al più autentico patrimonio dei valori e della cultura politica del partito, affinché si giunga, prima che sia troppo tardi, a un ripensamento del testo e a un allargamento dell’area di consenso al suo intorno, e si eviti, soprattutto, di conseguire una sostanziale “vittoria di Pirro” con il ricorso all’imposizione su una materia impropria, non per forma ma per contenuto, della questione di fiducia. Una posizione di richiamo, assunta con grande senso di responsabilità, in forma saggiamente differenziata onde non compromettere la prospettiva dell’azione di governo, che sarebbe auspicabile tenere con attenzione distinta dalla questione dell’approvazione della legge elettorale.
Mi auguro che in questi ultimi giorni il presidente Renzi dia finalmente il segno di un analogo senso di responsabilità, richiamando le aule parlamentari a un confronto aperto e responsabile sul testo della legge elettorale rimuovendo vincoli e scelte precostituite, ma valorizzando ampiamente, pur nella loro diversità,  tutti i contributi positivi ed espressivi di culture e orientamenti indirizzati al conseguimento del bene comune. Un itinerario un po’ più lungo e impegnativo è con ogni buona ragione preferibile a una soluzione frettolosa e abborracciata, conseguita solo per mostrarsi come “i primi della classe”.
D’altronde parlare di legge elettorale vuol dire affrontare un tema di grandissima rilevanza e di notevole complessità, in quanto si tratta di individuare la migliore soluzione che individui il più alto compromesso tra due esigenze essenziali che, possono essere in reciproca contraddizione, in particolare se tale contraddizione è abilmente esasperata da lobbies di potere che utilizzano strumentalmente la potenziale condizione d’ingovernabilità e instabilità del paese. Le due esigenze irrinunciabili sono quelle di assicurare la legittima rappresentanza nelle aule parlamentari delle correnti politico-culturali presenti nel paese e di garantire l’agile esercizio delle funzioni di decisionalità per assicurare al paese stesso di far fronte alle proprie responsabilità, sia nei confronti dell’ordinato sviluppo della vita dei proprî cittadini, sia nel quadro delle relazioni internazionali. E questo in una condizione di un paese moderno, complesso, naturalmente differenziato e segmentato al proprio interno, dove le identità politiche e culturali sono numerose e ciascuna orgogliosa della propria originalità. E tuttavia questa realtà del paese ha la necessità ogni movimento politico sia in condizione di maturare accanto alla consapevolezza dell’originalità della singola e specifica proposta politica anche la valorizzazione del confronto produttivo con le altre forze politiche, che, pur nella diversità, in ogni caso rappresentano o possono rappresentare esigenze legittime presenti e diffuse nella società italiana.
Per affrontare un impegno di tale rilevanza è necessario una grande apertura di pensiero, una dedizione esclusiva al bene comune del paese, una capacità di impegnare la propria sapienza politica alla ricerca instancabile delle condizioni essenziali di consenso politico-istituzionale tra le principali e più responsabili forze politiche del paese, per scegliere di comune accordo la migliore articolazione delle regole del gioco.
È una sfida difficile, ma entusiasmante. Mi auguro che a Matteo Renzi non manchi la determinazione necessaria per raccoglierla nell’interesse del paese.

Sergio Sbragia
Vico Equense, sabato 2 maggio 2015