Caro Matteo,
sono un sostenitore e un elettore del
Partito Democratico. Come già ti ho detto in mie precedenti lettere aperte, alle
ultime primarie non ho votato per te e non ho successivamente condiviso la tua
scelta di sommare sulla tua persona l’incarico di Segretario del Partito e
quello di Presidente del Consiglio dei ministri, secondo una logica di deriva
personalistica tipico di un vecchio modo di far politica, più consono a partiti
a conduzione monarchica, che a un partito “plurale” qual è invece il Partito
Democratico.
Domenica prossima andremo votare per il
cosiddetto referendum delle “trivelle”, ma, sorprese delle sorprese, scopro che
l’indicazione data per l’occasione dal Partito Democratico è quella di
disertare le urne.
Devo
dire che non condivido quest’indicazione e ti preannuncio che domenica prossima
mi recherò regolarmente alle urne a esprimere la mia posizione in merito al
quesito referendario proposto.
Personalmente,
da quando ho conseguito la maggiore età, ho partecipato a tutti i referendum
che si sono svolti, anche a quelli per i quali, in ragione delle miei opinioni,
sarebbe stato strumentalmente più utile restare a casa.
L’istituto
referendario è un altissimo momento di esercizio della sovranità popolare e
l’esercizio del voto è un “dovere civico” sancito solennemente dalla
Costituzione (art. 48). Un esercizio del dovere civico del voto per il quale la
Costituzione non prevede alcuna eccezione né esplicita né implicita.
Soprattutto non può in alcun modo essere intesa quale eccezione implicita il
disposto previsto all’art. 75 in merito alle condizioni di validità formale dei
referendum di natura abrogativa. L’articolo infatti prevede solo una norma
precauzionale sulla rappresentatività del pronunciamento referendario, ma tale
norma non può in alcun modo essere intesa come una dispensa dal dovere del
voto, o peggio, come una formale legittimazione a comportamenti promozionali
della pratica della diserzione delle urne, perché si configurerebbe un
gravissimo conflitto con altri principî costituzionali di altissima rilevanza, quali
quelli del doveroso rispetto “della sovranità popolare” e del dovere della
“solidarietà politica” (artt. 1 e 2). E a pensarci bene l’idea di fornire un
riconoscimento costituzionale all’astensione doveva certamente essere molto
lontana dai pensieri dei padri costituenti, che dopo elettorale imposto dal
ventennio fascista, puntavano invece senza riserve sull’affermazione del
diritto/dovere del voto.
Quando
ci troviamo dinanzi a una scadenza referendaria in realtà siamo chiamati a
confrontarci con un quesito proposto da un gruppo di cittadini (almeno 500
mila), che ci invitano a esprimerci in merito a una loro proposta di
abrogazione di una norma legislativa vigente. Nessuno di noi è costretto a
essere necessariamente d’accordo con loro, ma tutti dovremmo sentire il dovere
di esprimere con libertà la nostra posizione nelle urne, contribuendo tutti a
che venga assunta una decisione rappresentativa della sovranità popolare. È un
dovere di rispetto dovuto a quanti hanno presentato il quesito referendario, ce
lo impongono considerazioni elementari di solidarietà civica e di sollecitudine
per il bene comune, che ci chiamano a una partecipazione responsabile ai
momenti della decisionalità politica.
Per
sua natura il referendum è una scelta tra due opzioni: una favorevole
all’abrogazione della norma in questione, l’altra favorevole al suo
mantenimento. Proprio per questa sua natura, l’istituto referendario non
sopporta l’introduzione strumentale di una terza opzione, che ne snatura di
fatto la funzione e ne altera pesantemente l’autenticità decisionale. Il tutto
col rischio concreto di permettere l’affermazione di un’opzione in realtà
minoritaria nel corpo elettorale.
Purtroppo
da alcuni decennî una prassi deleteria di cattiva politica si ripropone
puntualmente a ogni appuntamento referendario. A seconda dei casi le forze
politiche diventano a rotazione sostenitrici di un astensionismo strumentale.
Di volta in volta lo schieramento che nel confronto sostiene la posizione non
abrogazionista, soggiace alla tentazione di percorrere una facile scorciatoia, facendosi
promotore di una campagna astensionista per aggiungere alla propria area di
consenso anche il peso numerico dell’astensionismo fisiologico. Di qui lo
spettacolo un po’ sgradevole di polemiche insulse tra quanti sostengono la
legittimità dell’astensionismo e quanti invece la contestano, semmai dimenticando
tutti che nella precedente tornata referendaria potrebbero essersi trovati a
parti invertite a sostenere le posizioni che oggi contestano ai proprî
avversarî.
Sarebbe
invece molto più utile e costruttivo confrontarsi nel merito concreto della
questione in discussione, sviscerare fino in fondo le ragioni a favore dell’abrogazione
e quelle invece che consigliano la conferma della norma vigente e andare “tutti”
alle urne in un clima di rispetto e tolleranza, ma anche di dedizione al bene
comune del paese. L’astensionismo programmato invece sa tanto di “partita
truccata”. Sinceramente preferisco perdere giocando lealmente, piuttosto che
vincere ricorrendo ai “trucchi”. Una tale vittoria, a mio parere è la peggiore
delle sconfitte.
Devo
dire che tradizionalmente il Partito democratico di solito ha evitato di
assumere posizioni di promozione dell’astensionismo. Questa volta invece sembra
essere stato contagiato dal virus della politica strumentale, dimenticando la
centralità della democraticità comportamentale all’interno del patrimonio
culturale e valoriale del partito. Il Partito democratico, a mio parere, non
può piegarsi a scelte di natura meramente strumentali quando sono in gioco
valori fondamentali della vita democratica. Salvaguardare l’autenticità delle
consultazioni popolari previste dalla Costituzione come luoghi di esercizio
della sovranità, vale molto di più dell’esito di un singolo referendum.
Questa
posizione astensionista e rinunciataria indebolisce inoltre anche temi e
battaglie positive che il governo sta conducendo, quali: l’impegno
responsabile, equilibrato e responsabile di contrasto al terrorismo; oppure il
richiamo a ritrovare le radici autentiche delle istituzioni europee; o, ancora,
l’atteggiamento di apertura all’accoglienza nei confronti dei flussi di
migranti in fuga dalla guerra, dall’ingiustizia e dalla fame; o, anche, la
determinazione con cui si sta tentando di ricercare la verità intorno al
doloroso caso di Giulio Regeni; o, infine, il significativo sforzo di
valorizzare il patrimonio e le risorse culturali del paese.
Inoltre
l’astensionismo, a ogni appuntamento elettorale, si segnala come uno dei più
gravi sintomi dello scollamento che nel nostro paese pian piano si sta
determinando tra i cittadini e le istituzioni democratiche. Assumere una
posizione strumentale di sua promozione presenta senza dubbio connotati di vera
irresponsabilità.
Mi
auguro, caro Matteo, che tu voglia riconsiderare la posizione astensionista assunta
e che in questi ultimi giorni ti rivolga con forza agli elettori per invitarli
a votare e a esprimere liberamente la propria posizione sul quesito
referendario e, soprattutto, presentandoti domenica mattina al seggio
elettorale.
Il
Partito democratico, proprio in quanto “democratico”, non può disertare le
urne. Avere il coraggio d’invertire una rotta che conduce in un vicolo cieco può
essere un atto di grande coraggio, quel coraggio che distingue una uno statista
da un qualsiasi politicante.
Nel
segnalarti la mia personale disponibilità al confronto in ogni momento sui temi
esposti, e confermando nel loro merito il mio dissenso con le tue posizioni,
voglio comunque formularti i miei più sinceri auguri per il tuo impegno a
servizio del paese.
Vico Equense, domenica 10 aprile 2016
Sergio Sbragia