domenica 10 aprile 2016

Caro Matteo, e se tu finalmente decidessi di diventare “democratico”?



Caro Matteo,
sono un sostenitore e un elettore del Partito Democratico. Come già ti ho detto in mie precedenti lettere aperte, alle ultime primarie non ho votato per te e non ho successivamente condiviso la tua scelta di sommare sulla tua persona l’incarico di Segretario del Partito e quello di Presidente del Consiglio dei ministri, secondo una logica di deriva personalistica tipico di un vecchio modo di far politica, più consono a partiti a conduzione monarchica, che a un partito “plurale” qual è invece il Partito Democratico.
Domenica prossima andremo votare per il cosiddetto referendum delle “trivelle”, ma, sorprese delle sorprese, scopro che l’indicazione data per l’occasione dal Partito Democratico è quella di disertare le urne.
Devo dire che non condivido quest’indicazione e ti preannuncio che domenica prossima mi recherò regolarmente alle urne a esprimere la mia posizione in merito al quesito referendario proposto.
Personalmente, da quando ho conseguito la maggiore età, ho partecipato a tutti i referendum che si sono svolti, anche a quelli per i quali, in ragione delle miei opinioni, sarebbe stato strumentalmente più utile restare a casa.
L’istituto referendario è un altissimo momento di esercizio della sovranità popolare e l’esercizio del voto è un “dovere civico” sancito solennemente dalla Costituzione (art. 48). Un esercizio del dovere civico del voto per il quale la Costituzione non prevede alcuna eccezione né esplicita né implicita. Soprattutto non può in alcun modo essere intesa quale eccezione implicita il disposto previsto all’art. 75 in merito alle condizioni di validità formale dei referendum di natura abrogativa. L’articolo infatti prevede solo una norma precauzionale sulla rappresentatività del pronunciamento referendario, ma tale norma non può in alcun modo essere intesa come una dispensa dal dovere del voto, o peggio, come una formale legittimazione a comportamenti promozionali della pratica della diserzione delle urne, perché si configurerebbe un gravissimo conflitto con altri principî costituzionali di altissima rilevanza, quali quelli del doveroso rispetto “della sovranità popolare” e del dovere della “solidarietà politica” (artt. 1 e 2). E a pensarci bene l’idea di fornire un riconoscimento costituzionale all’astensione doveva certamente essere molto lontana dai pensieri dei padri costituenti, che dopo elettorale imposto dal ventennio fascista, puntavano invece senza riserve sull’affermazione del diritto/dovere del voto.
Quando ci troviamo dinanzi a una scadenza referendaria in realtà siamo chiamati a confrontarci con un quesito proposto da un gruppo di cittadini (almeno 500 mila), che ci invitano a esprimerci in merito a una loro proposta di abrogazione di una norma legislativa vigente. Nessuno di noi è costretto a essere necessariamente d’accordo con loro, ma tutti dovremmo sentire il dovere di esprimere con libertà la nostra posizione nelle urne, contribuendo tutti a che venga assunta una decisione rappresentativa della sovranità popolare. È un dovere di rispetto dovuto a quanti hanno presentato il quesito referendario, ce lo impongono considerazioni elementari di solidarietà civica e di sollecitudine per il bene comune, che ci chiamano a una partecipazione responsabile ai momenti della decisionalità politica.
Per sua natura il referendum è una scelta tra due opzioni: una favorevole all’abrogazione della norma in questione, l’altra favorevole al suo mantenimento. Proprio per questa sua natura, l’istituto referendario non sopporta l’introduzione strumentale di una terza opzione, che ne snatura di fatto la funzione e ne altera pesantemente l’autenticità decisionale. Il tutto col rischio concreto di permettere l’affermazione di un’opzione in realtà minoritaria nel corpo elettorale.
Purtroppo da alcuni decennî una prassi deleteria di cattiva politica si ripropone puntualmente a ogni appuntamento referendario. A seconda dei casi le forze politiche diventano a rotazione sostenitrici di un astensionismo strumentale. Di volta in volta lo schieramento che nel confronto sostiene la posizione non abrogazionista, soggiace alla tentazione di percorrere una facile scorciatoia, facendosi promotore di una campagna astensionista per aggiungere alla propria area di consenso anche il peso numerico dell’astensionismo fisiologico. Di qui lo spettacolo un po’ sgradevole di polemiche insulse tra quanti sostengono la legittimità dell’astensionismo e quanti invece la contestano, semmai dimenticando tutti che nella precedente tornata referendaria potrebbero essersi trovati a parti invertite a sostenere le posizioni che oggi contestano ai proprî avversarî.
Sarebbe invece molto più utile e costruttivo confrontarsi nel merito concreto della questione in discussione, sviscerare fino in fondo le ragioni a favore dell’abrogazione e quelle invece che consigliano la conferma della norma vigente e andare “tutti” alle urne in un clima di rispetto e tolleranza, ma anche di dedizione al bene comune del paese. L’astensionismo programmato invece sa tanto di “partita truccata”. Sinceramente preferisco perdere giocando lealmente, piuttosto che vincere ricorrendo ai “trucchi”. Una tale vittoria, a mio parere è la peggiore delle sconfitte.
Devo dire che tradizionalmente il Partito democratico di solito ha evitato di assumere posizioni di promozione dell’astensionismo. Questa volta invece sembra essere stato contagiato dal virus della politica strumentale, dimenticando la centralità della democraticità comportamentale all’interno del patrimonio culturale e valoriale del partito. Il Partito democratico, a mio parere, non può piegarsi a scelte di natura meramente strumentali quando sono in gioco valori fondamentali della vita democratica. Salvaguardare l’autenticità delle consultazioni popolari previste dalla Costituzione come luoghi di esercizio della sovranità, vale molto di più dell’esito di un singolo referendum.
Questa posizione astensionista e rinunciataria indebolisce inoltre anche temi e battaglie positive che il governo sta conducendo, quali: l’impegno responsabile, equilibrato e responsabile di contrasto al terrorismo; oppure il richiamo a ritrovare le radici autentiche delle istituzioni europee; o, ancora, l’atteggiamento di apertura all’accoglienza nei confronti dei flussi di migranti in fuga dalla guerra, dall’ingiustizia e dalla fame; o, anche, la determinazione con cui si sta tentando di ricercare la verità intorno al doloroso caso di Giulio Regeni; o, infine, il significativo sforzo di valorizzare il patrimonio e le risorse culturali del paese.
Inoltre l’astensionismo, a ogni appuntamento elettorale, si segnala come uno dei più gravi sintomi dello scollamento che nel nostro paese pian piano si sta determinando tra i cittadini e le istituzioni democratiche. Assumere una posizione strumentale di sua promozione presenta senza dubbio connotati di vera irresponsabilità.
Mi auguro, caro Matteo, che tu voglia riconsiderare la posizione astensionista assunta e che in questi ultimi giorni ti rivolga con forza agli elettori per invitarli a votare e a esprimere liberamente la propria posizione sul quesito referendario e, soprattutto, presentandoti domenica mattina al seggio elettorale.
Il Partito democratico, proprio in quanto “democratico”, non può disertare le urne. Avere il coraggio d’invertire una rotta che conduce in un vicolo cieco può essere un atto di grande coraggio, quel coraggio che distingue una uno statista da un qualsiasi politicante.
Nel segnalarti la mia personale disponibilità al confronto in ogni momento sui temi esposti, e confermando nel loro merito il mio dissenso con le tue posizioni, voglio comunque formularti i miei più sinceri auguri per il tuo impegno a servizio del paese.
Vico Equense, domenica 10 aprile 2016
Sergio Sbragia