giovedì 2 giugno 2016

Ma non sarebbe l’ora di abolire la sfilata militare dei Fori Imperiali?



Ma non sarebbe l’ora di abolire la sfilata militare dei Fori Imperiali?
2 giugno 2016 - Festa della Repubblica


L’art. 11 della nostra Costituzione repubblicana proclama con solennità che «l'Italia ripudia la guerra». È questo uno dei più alti principî ispiratori del nostro ordinamento, che individua nella pace, cioè nell’opposto della “guerra”, uno dei valori primarî cui ispirare sia il ruolo del paese nelle relazioni internazionali, sia la quotidiana vita politica.
Eppure, ogni anno, in occasione della festa nazionale del 2 giugno, ha luogo una solenne parata militare in cui sfilano reparti militari, che ostentano con orgoglio le proprie uniformi, il loro addestramento e gli armamenti in dotazione. L’evento si presenta poi come l’occasione per dar la stura a una retorica e compiaciuta ostentazione delle potenzialità offensive e difensive di tali armamenti, il tutto con grande e comprensibile gradimento da parte di quei centri di potere, che quegli armamenti producono e distribuiscono alle nostre e ad altre forze armate.
So benissimo che la parata militare, in se stessa, non è un atto di guerra. Ma il suo svolgimento, sia pur declinato in un formale e dichiarato spirito non aggressivo, è di fatto un’esaltazione di una cultura e di una visione militaresca della vita. La cultura militare, lo si voglia o meno, si configura come un ordinamento della vita e del pensiero delle persone coinvolte in una logica ispirata alla guerra. Una logica, questa, impegnata a ricercare sempre il modo più efficace e meno rischioso per uccidere il nemico e non subirne conseguenze. E questo viene declinato in tutti gli aspetti dal reclutamento degli addetti, alle modalità di addestramento, all’organizzazione dei reparti, e persino nelle modalità organizzative delle contraddittorie iniziative militari di pace (sic!).
Tutto questo pone in grande rilievo la contraddittorietà di una dichiarata ispirazione pacifica dell’azione politica di un paese, con la pratica e la valorizzazione ricorrente di cultura militaresca, che, lo si voglia o no, è fondata sulla contrapposizione al “nemico” e sulla volontà di sopraffarlo. E questa cultura militare trova anche conferma in aspetti comuni della vita sociale. Come lavoratore pendolare, per esempio, mi avviene spesso di viaggiare assieme a piccoli gruppi di giovani militari, di entrambi i sessi, che si recano in caserma (o fanno ritorno da essa). Ebbene, ad ascoltare i loro discorsi, noto tra loro con preoccupazione un’alta diffusione di atteggiamenti rambistici, ispirati alla valorizzazione della prestanza fisica, della furbizia scaltra, della capacità di usare le armi meglio degli altri, in sintesi una vera ’e propria esaltazione “del più forte”. Queste, se ci riflettiamo bene, sono tutte spinte in direzione di una visione non pacifica della vita politica, sociale e di relazione, una prospettiva, a dir poco, irrazionale in un’epoca in cui tutti sperimentiamo l’essenzialità di mettere in campo un’autentica integrazione planetaria del genere umano.
Come paese, pertanto, se vogliamo davvero “ripudiare la guerra” dovremmo seriamente pensare a una modalità alternativa per festeggiare l’anniversario della nascita della nostra Repubblica, rinunciando all’ostentazione di uniformi e armi e facendo spazio alla memoria riconoscente di quanti (non solo nelle forze armate) hanno servito con eroismo e sacrificio il paese e l’umanità.
Penso che sarebbe davvero bello ogni 2 giugno poterci incontrare tutti, mettendo in disparte le armi:
- per celebrare il grande contributo dato dai nostri padri nei campi della cultura, dell’arte, della poesia, della letteratura, della spiritualità, della scienza, della promozione dell’umanità;
- per riflettere con passione sul come in concreto promuovere e praticare nella vita politica, nazionale e internazionale, una cultura di pace, fondata sulla libera circolazione delle persone e delle idee, sull’accoglienza degli altri, sull’abbattimento dei muri e degli arsenali e sulla costruzione dei ponti e dei granai.
Questa scelta sarebbe un primo passo significativo per affermare sul teatro internazionale la dimensione pacifica dell’azione politica del nostro paese.

Vico Equense, giovedì 2 giugno 2016
Sergio Sbragia