Mentre formulo queste riflessioni è in corso nell’aula del Senato il confronto tra le forze politiche per dare o negare la fiducia al governo. Non conosco quindi l’esito della seduta. Ma sono spinto a prendere posizione da notizie di stampa che parlano dell’attivazione da parte dei leaders del centro-destra di una sorta di «consiglio di guerra permanente» per poter porre pienamente a punto tutte le capacità e le iniziative della propria coalizione al fine di scongiurare a Palazzo Madama il riconoscimento della fiducia al governo Conte.
Naturalmente non è mio intendimento porre in discussione la legittimità per le forze politiche di manifestare nel modo più aperto e libero la propria posizione su tutti i temi e su tutte le azioni che riguardano il governo del paese.
Sono però decisamente contrario a che nel dibattito politico di un paese democratico si faccia ricorso, anche in termini solo metaforici, a un linguaggio che usa simboli di guerra e di violenza. La contrapposizione politica può essere rappresentata efficacemente anche senza richiamare la “guerra”.
Oggi nel mondo in tanti paesi sono in corso conflitti bellici, con i conseguenti carichi di lutti e di rovine. Il solo rispetto per tanta sofferenza dovrebbe indurre a far sì che il confronto democratico sia condotto in forma serrata, ma mettendo al bando anche sul solo piano del linguaggio ogni riferimento alla cultura della guerra e della violenza, tenendo sempre alta la considerazione del valore civile che, per il bene del paese e dei cittadini, è rivestito dalla qualità del dibattito politico.
Tra pochi giorni celebreremo la “giornata della memoria”, il ricordo dei tragici frutti dell’ultimi conflitto mondiale e dell’odio razziale dovrebbe spronare noi tutti a mettere definitivamente in soffitta anche la sola idea di “guerra”.
So benissimo che non era nelle intenzioni di chi ha coniato l’espressione «consiglio di guerra permanente» il dar vita a operazioni militari o violente, e che l’espressione si colloca su un piano di carattere puramente metaforico, ma sarebbe, a mio avviso, del tutto opportuno, porre al bando della comunicazione politica ogni riferimento alla guerra e alla violenza, nonché rifuggire dal genere dell’insulto e dai toni della prepotenza e del bullismo mediatico. Sono i contenuti a definire la distinzione tra le proposte politiche in campo, non l’aggressività mediatica. La concorrenza è auspicabile che venga indirizzata verso il meglio e non verso il peggio.
D'altronde solo qualche settimana fa abbiamo avuto modo di vedere come in America, il ricorso ai toni aggressivi e violenti da parte del presidente Trump, abbia avuto degli esiti (di certo non voluti) di estrema gravità per il sistema democratico statunitense. La cosa è certamente andata ben oltre le intenzioni del presidente Trump, ma nell’attuale epoca di comunicazione globale è necessario essere molto prudenti e attenti a non cedere a derive (anche non volute) di incitamento alla violenza.
La lingua italiana ha una grande ricchezza (quest’anno ricordiamo il grande contributo di Dante) e ci offre un’infinità di modi per esprimere con forza, con chiarezza e con determinazione le nostre idee e le nostre proposte. Evitiamo d’imbarbarire il confronto politico con il linguaggio della violenza e della prepotenza. È una questione di civiltà politica.
Vico Equense, martedì 19 gennaio 2021
Sergio Sbragia