Venti di guerra stanno di nuovo
imperversando con violenza sul Mediterraneo. I più recenti sviluppi della
tragica crisi siriana (a lungo colpevolmente ignorata dai mass media, ma anche
dalle cancellerie dei potenti del mondo), culminati con il più che probabile
uso di armi chimiche e, per di più, contro la popolazione civile, hanno
innescato la ricerca spasmodica di una soluzione “rapida” ed “efficace”. E sùbito
il complesso militare industriale occidentale fa circolare lo spot promozionale
del proprio prodotto capace di risolvere rapidamente la “grana Assad”: un
intervento militare per schiacciare il regime siriano e “aprire le porte alla
democrazia”. La guerra presentata come un prodotto “panacea per tutti i mali”.
Purtroppo di fronte ai problemi, anziché far appello alla ragione e alle
risorse più nobili dell’animo umano, si cerca sempre la soluzione “scorciatoia”,
quella che con la forza calpesta i problemi, anziché risolverli.
Eppure una sguardo alla storia,
sia quella recente e sia quella meno recente, dovrebbe renderci più che accorti
sull’effettiva utilità dello strumento “guerra” e farci percepire pienamente l’illusorietà
delle sue pretese “risolutorie”, tanto nel breve periodo dell’impatto mediatico-emozionale,
quanto sul tempo medio della politica, quanto ancora sui tempi lunghi della
storia.
Le dolorose esperienze dell’Iraq,
dell’Afghanistan, della Libia manifestano con tutta chiarezza come i problemi
che si pretendeva risolvere “manu militari” sono ancora tutti là sul campo,
semmai aggravati. E di progresso della democrazia in quei paesi, manco a
parlarne. Risulta poi sorprendente che dopo oltre mezzo secolo, non sia stata
ancora metabolizzata la tragedia dell’“avventura vietnamita” e ancora la società
civile statunitense non sia stata in grado di produrre i necessarî anticorpi
culturali all’ideologia della guerra come “farmaco antibiotico a largo spettro”.
E che dire poi dell’immancabile ritornello pubblicitario, tanto per far
digerire la pillola amara alla pubblica opinione, che sciorina la previsione “certa”
di un “intervento militare lampo”, che in quattro ‘e quattr’otto sgombrerà il
campo dal problema, per poi poter tornare con calma all’occupazione quotidiana ordinaria
di come “succhiare il sangue” ai poveri e ai lavoratori.
È sorprendente poi constatare anche
un altro strano fenomeno. Quando s’inizia a parlare di guerra, finiscono, come
per incanto, le preoccupazioni finanziarie. Le risorse che fino a un momento
prima non esistevano per il lavoro, le pensioni, la scuola, gli ospedali e la vita
civile in genere, miracolosamente si concretizzano e sono disponibili per
finanziare le sventure militari. Fondo monetario internazionale, Banca
mondiale, Banca centrale europea, Agenzie di rating, tutti concordemente
tacciono. Misteri dell’economia!
Eppoi, facciamo attenzione! Non
si deve parlare di “guerra”, ma di “intervento militare”. Si ha infatti un certo
pudore a chiamare le cose con il loro nome: “GUERRA”. Non è “guerra”, perché il
suo intento finale è stabilire la “pace”. Eppure è strano, si fa fatica a
crederlo: le bombe lanciate a fin di pace uccidono lo stesso! Gli strateghi
militari, a mio parere, hanno poi un diverso criterio di misurazione del tempo.
“Guerra lampo”, nella vulgata corrente significa “breve”, nel cifrario militare
deve avere con ogni probabilità un altro spessore semantico, sconosciuto ai
comuni mortali. Ricordo l’atteggiamento di quasi derisione riservato dai
vertici del Pentagono a mons. Pio Laghi, inviato da papa Giovanni Paolo 2°, nel
tentativo di scongiurare l’avventura irakena. L’autorevole prelato fu subissato
di rassicurazioni sul carattere rapido e poco invasivo delle operazioni, una
sorta di effetto bisturi, con poche, pochissime conseguenze collaterali (solo
il minimo inevitabile). L’effettivo e successivo decorso dei fatti è,
purtroppo, ben noto. D’altronde sappiamo anche che l’illusione della guerra
rapida (o lampo) non è nuova. Già Napoleone ne sperimentò rovinosamente l’ingannevolezza
nella Campagna di Russia. Nel 20° secolo, non va dimenticato che il principale
teorizzatore della “guerra lampo”, fu un certo signore che risponde al nome di
Adolf Hitler.
Che l’opzione militare sia, alla
prova dei fatti, del tutto inefficace è dimostrato oltre ogni modo anche dalla
dolorosissima vicenda israeliano-palestinese. Sul piano strettamente militare,
negli ultimi decennî, Israele ha liquidato la “grana” palestinese numerose
volte, eppure, puntualmente, dopo ogni vittoria militare, Israele si è trovata
di fronte la “Questione Palestinese” aggravata e ingigantita, con, in più, la
prospettiva di una sua soluzione politica più lontana sull’orizzonte. La guerra
non sostituisce la politica, né risolve i problemi. Sono figlio di un paese
che, nel Rinascimento, ha visto il confronto tra la “Pax Viscontea” delle armi
e la “Florentina libertas” contraddistinta dal gioco disordinato, e anche
rissoso, delle forze presenti nella società civile. Dall’osservazione di quelle
vicende, non facili anzi spesso tragiche e contraddittorie, ho maturato
tuttavia la convinzione profonda che nessuna illusoria scorciatoia può
esonerarci dalla fatica e dall’impegno di riallacciare, ad ogni nuovo sorgere
del sole, l’ordito delle relazioni con i nostri vicini. E il nostro pianeta
oggi, per gli effetti della globalizzazione, è a tutti gli effetti un minuscolo
condominio. Che ha, disperatamente, bisogno di Sapienza Politica, che è cosa
ben diversa dal piccolo cabotaggio della governabilità e dalla quotidiana
guardianìa dello “spread”.
Da bambino fui molto
impressionato dalla cosiddetta “crisi di Cuba”. All’epoca avevo poco meno di 10
anni e seguii la vicenda così come veniva presentata dalla tv, che allora era
un oggetto del tutto nuovo in casa mia. Eppure ricordo ancora il conduttore del
Telegiornale che, in un’edizione dedicata alla crisi, ebbe a esprimersi più o
meno con questa frase: “la flotta americana ha praticamente completato il
blocco dell’isola, le navi sovietiche si avvicinano, il messaggio di papa
Giovanni 23° riecheggia in tutto il mondo”. Allora, in qualche modo, la
politica seppe fare il suo mestiere. Saprà farlo anche oggi? Molto dipende
anche da quanto sapremo far riecheggiare vere parole e autentici gesti di pace.
Vico Equense, martedì 27 agosto
2013
Sergio Sbragia