Grazie Cécile!
Se si ha l’opportunità di recarsi nel
reparto maternità di un nostro ospedale, può capitare di assistere a qualcosa,
a dir poco, di autenticamente bizzarro e singolare. È possibile, infatti, essere
testimonî dell’evento di due giovani mamme che diano alla luce due bei bimbi.
Due bambini nati nello stesso giorno e nello stesso luogo, due motivi di
felicità per i loro genitori, che strillano ugualmente la propria gioia di essere
nati. Eppure questi due bambini, oggi nel nostro paese, possono vivere una
paradossale e ingiustificata condizione di diversità e di discriminazione. Uno
viene riconosciuto come cittadino italiano, all’altro tale riconoscimento è
negato in nome della diversa nazionalità dei suoi genitori. In tal modo a questo
secondo bambino, che in nulla si differenzia dal precedente, si nega l’accesso
alla solenne tutela, in tema di uguaglianza, prevista dall’art. 2 della
Costituzione, in riferimento a distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Le norme vigenti che permettono una
tale assurdità, per altro palesemente in contrasto con lo spirito e la lettera
della Costituzione, sono un classico esempio di diritto personale barbarico. In
effetti non sarebbe l’evento (la nascita), né il luogo (il territorio italiano),
bensì i requisiti “personali” dei genitori, a determinare la condizione giuridica
del neonato. Il tutto in omaggio al “nobile” principio giuridico: “la legge non
è uguale per tutti”.
In realtà la negazione del diritto di
cittadinanza ai bambini, figlî d’immigrati, che nascono sul territorio
italiano, ricorda in qualche modo la vicenda dell’evoluzione delle istituzioni giuridiche
nell’Italia della tarda antichità e dell’alto medioevo.
L’antica Roma, veniva definita dai
sapienti come mater legum, per aver
dato vita al diritto romano, una cultura giuridica di altissimo valore, che ha
poi esercitato una profonda influenza su tutte le successive culture giuridiche
che si sono venute storicamente determinando. Quest’altissima e nobile scuola
giuridica, con le invasioni barbariche, si ritrovò affiancata alle consuetudini
germaniche e dovette fare i conti con un diritto del tutto diverso. L’unicità
del diritto romano, universalmente valido su tutto il territorio dell’impero,
ebbe fine. Nel tempo si venne ad affermare un sistema variegato di fonti
giuridiche, al cui interno il diritto romano si ritrovò declassato e affiancato
dai diritti germanici, costruiti intorno al principio della personalità del
diritto.
Una delle differenze di maggiore rilevanza
tra il diritto romano e quello germanico corre proprio intorno a quest’aspetto:
l’ordinamento giuridico romano era imperniato intorno al principio della
territorialità, gli ordinamenti consuetudinarî delle varie genti germaniche s’ispiravano
invece al principio della personalità del diritto.
Ma cosa distingue, in realtà, i due
concetti di “territorialità” e “personalità” del diritto. Quando le popolazioni
germaniche s’insediarono nei territorî dell’Impero romano d’occidente, dando
vita ai cosiddetti regni romano-barbarici, disciplinarono la convivenza con i
popoli che abitavano le regioni conquistate con norme ispirate al principio
della personalità del diritto. In tal modo, in uno stesso regno i sudditi
dovevano attenersi alle norme giuridiche e consuetudinarie della propria natio, determinando così la convivenza,
su uno stesso territorio, di più culture giuridiche.
Del tutto opposta la visione della
territorialità del diritto che concepisce un ordinamento giuridico che abbia un’applicazione
definita sul piano territoriale: tutti quelli che vivono in un determinato
regno sono soggetti a un unico diritto, cioè alla legge territoriale vigente in
quel regno.
La fobìa razzista che da alcuni
decennî, all’ombra dell’ipoteca berlusconiano-leghista, ha profondamente
connotato la recente produzione legislativa nel nostro paese, nell’illusione di
arginare il fenomeno dell’immigrazione con misure repressive e discriminatorie
e rifuggendo da ogni prospettiva d’integrazione e di multiculturalità, ha così
portato a rinnegare di fatto una delle conquiste fondamentali del nobile diritto
romano.
D’altronde la rivendicazione di una
sempre maggiore personalizzazione delle istituzioni giuridiche del paese è
oramai una delle connotazioni principali dell’iniziativa politica del nostro
centro-destra. In spregio anche ai più nobili valori ispiratori del liberalismo
europeo le forze politiche di centro-destra sembrano concentrate esclusivamente
sul modo di come garantire una legge “larga” per “uno” e una legge “stretta”
per “tutti gli altri” e di come assicurare l’esenzione fiscale ai più ricchi e
ai più potenti.
Oggi viviamo un momento particolare e
davvero delicato della vita del nostro paese e sperimentiamo, allo stesso
tempo, una sostanziale incapacità delle forze politiche ad assumere le proprie
responsabilità. Il partito PDL appare impegnato solo a salvaguardare il proprio
leader dalle possibili conseguenze delle vicende giudiziarie cui è interessato.
Una parte consistente e influente dei gruppi dirigenti del Partito democratico
(e lo dico da elettore e sostenitore di questa forza politica) si mostra più
interessata alle vicende interne a alla suddivisione dei relativi spazî d’influenza
che ai problemi del paese e alle aspirazioni ideali del proprio elettorato. Il
Movimento 5 stelle si è, a sua volta, dimostrato incapace di assumersi le
responsabilità di cui il mandato elettorale lo aveva investito, ritagliandosi
un più comodo, ma sostanzialmente ininfluente, spazio declamatorio dove la
politica finisce per cedere il passo allo spettacolo. La Lega, infine, appare
chiusa in una logica fatta esclusivamente di insulti e di volgarità e mostra
finanche l’incapacità d’interpretare, sia pur a suo modo, bisogni legittimi e problemi
reali di quelle regioni del paese che pretende di rappresentare.
In questo quadro sostanzialmente
sconfortante, un segno reale di speranza, un segnale concreto che il
cambiamento è possibile è, a mio avviso, dato dall’iniziativa del ministro Cécile
Kyenge per superare le norme che, nel nostro ordinamento, inibiscono il
riconoscimento del diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia da
genitori immigrati.
Un’iniziativa, condotta con
semplicità, grande correttezza istituzionale, competenza, rigorosità e tenacia,
che merita un sostegno convinto, ampio e operoso. All’interno della cosiddetta
agenda del “fare” dell’attuale governo, mi sembra al momento proprio questa la
principale voce positiva. Ma, al di là, dello schieramento favorevole o
contrario all’iniziativa del governo, credo che il tema su cui si dispiega l’impegno
del ministro Kyenge sia meritevole non solo del solidale coinvolgimento di
tutte le forze di sinistra, non importa se al governo o all’opposizione, ma
anche dell’apprezzamento più ampio delle comunità cristiane in nome del
principio “ogni uomo è mio fratello”.
È importante far sentire con
forza la nostra adesione al progetto d’integrazione portato avanti da Cécile
Kyenge. È un contributo che, oltre al grande valore in termini di affermazione della
dignità della persona umana, porta anche a riscoprire la grande ricchezza delle
nostre radici storiche e culturali (che con leggerezza tendiamo a dimenticare).
Vico Equense, domenica 11
agosto 2013
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