“Il
Vangelo è annunciato ai poveri”
Parte un
nuovo itinerario sinodale proposto da “Il Vangelo che abbiamo ricevuto : Uno spazio
libero di comunione, confronto e ricerca sinodale".
In questi
giorni è stata pubblicata la “Lettera di annuncio” del 6° incontro nazionale il
cui tema sarà:
“Il
Vangelo è annunciato ai poveri : con Francesco nelle periferie dell'esistenza”
Napoli,
1-2 marzo 2014
Casa "S. Ignazio" - Villa Cangiani
(Viale S. Ignazio di Loyola, 51)
“Il Vangelo che abbiamo ricevuto : Uno spazio libero di comunione, confronto e ricerca sinodale” trova le sue origini nell’eco suscitata dalla supplica rivolta ai vescovi italiani il
13 febbraio 2007, per iniziativa del prof. Giuseppe Alberigo e sottoscritta da
numerose figure del cattolicesimo conciliare affinché nel vivace dibattito
allora in corso nel Paese, venisse evitato, in un annunciato intervento della
Presidenza della Conferenza episcopale, che fosse imposto ai parlamentari
cattolici di rifiutare, come atto dovuto di disciplina ecclesiale, il progetto
di legge (allora in discussione) sui "diritti delle convivenze".
Nella supplica promossa da Alberigo, si evidenziava come con un atto di tale
natura l'Italia sarebbe ricaduta nella deprecata condizione di conflitto tra lo
status di credente e quello di cittadino, già registrata dopo l'unificazione
del paese con il "non expedit"
formulato della Santa Sede e superata definitivamente solo varî decennî più
tardi con gli accordi concordatarî. In particolare si supplicavano i Pastori di
evitare una tale sciagura, che avrebbe portato
la Chiesa e il Paese fuori dalla storia.
Si evidenziava altresì che si poteva legittimamente ritenere che il
progetto di legge allora in discussione non fosse ottimale, ma si teneva a
sottolineare come fosse indispensabile anche distinguere tra ciò che per i
credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve
essere regolato dallo Stato laico per tutti i cittadini.
Si concludeva con un invito alla Conferenza episcopale a
contraddistinguere con un equilibrio le proprie prese di posizione e ai
parlamentari cattolici a restare fedeli al loro obbligo costituzionale di
legislatori per tutti.
Il gruppo dei firmatarî della supplica, in quell’occasione, tenne molto ad
auspicare che venisse rotto un clima di silenzio, di passività, talora di paura
che aveva segnato una lunga fase della storia della chiesa italiana e si
potesse così riaprire una concreta esperienza di dialogo tra gli ambienti del
laicato conciliare e la Conferenza episcopale.
È nel clima descritto, che prendeva le
mosse l’esperienza de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”, partendo da alcune convinzioni
comuni e da alcune proposte che negli anni successivi si è cercato
di far circolare confrontandosi liberamente con idee, suggestioni e analisi
liberamente proposte da quanti, gruppi e singoli, hanno ritenuto, in questi
anni, di condividere questo cammino.
Fra le convinzioni condivise
c’era quella che la chiesa in Italia stesse correndo il rischio di veder
ridotto il suo ministero di servizio del Vangelo a un "cattolicismo"
ideologico, povero sia sul piano culturale che spirituale, talmente attaccato a
un’idea dei "valori" ricavati dalla morale razionale e dal diritto
naturale, da rendere superflua o secondaria la fede e ciò che l’alimenta.
Comune era anche la convinzione che l’insistenza per rivendicare alla Chiesa
una forza politica e ideologica e operare per costruire concretamente tale
forza incontrasse consenso fra molti cattolici, persuasi che ciò fosse necessario
o inevitabile o parte dell’obbedienza. Al tempo stesso molti leggevano i
segnali di una sofferenza per questo stato di cose sia nel clero che nel resto
del popolo di Dio – sofferenza che talora arrivava all’amarezza, al disgusto,
all’imbarazzo per la subalternità della vita cristiana alla deriva culturale
del paese e la percezione di una rottamazione dello stesso Concilio Vaticano 2°:
ed era da tutti condivisa la volontà di reagire a questo stato di cose non
omologandosi alla logica della polemica politica, del discredito arrogante,
della passività, ma con uno stile sobrio, evangelico, costruttivo.
Fra le proposte emerse quella
di incoraggiare e favorire la nascita e il coordinamento di gruppi di studio
che, a partire da precisi luoghi di studio, affrontassero con rigore teologico
e storico i grandi nodi che venivano in discussione e soggiacenti a polemiche
spesso talmente infuocate da rendere invisibili i terreni su cui esse divampano:
il rapporto fra morale e leggi; la questione di democrazia insita nella
discussione sulla laicità; i fondamenti teologici della libertà della
coscienza; le dimensioni del diritto naturale e la sua funzione dal medioevo in
qua; l’orizzonte di cattolicità in cui si collocano le vicende italiane.
Proprio per rilegittimare il dialogo e anche la divergenza fra le componenti
ecclesiali, per sperimentare terreni che legittimino l’espressione di una
opinione pubblica nella chiesa nel senso più tradizionale del termine, si ritenne
dar vita a luoghi, spazî e iniziative in grado di offrire riflessioni non
estemporanee o sentimentali o polemiche, ma capaci di indicare i nodi di una
partecipazione delle fedeli e dei fedeli alla vita della chiesa, mettendo in
comune, a partire dalle chiese locali, con gli altri e con i pastori le istanze
d’una vita cristiana sempre più autentica, più nutrita, più salda nella fede
(Cf. Alberto Melloni, Appunti di lavoro
sulla vita della chiesa cattolica in Italia, in http://statusecclesiae.net/it/chi-siamo/ , [ultimo accesso : 21 settembre 2013].
Nel corso degli anni è stata realizzata una
serie di incontri nazionali in cui è stato sperimento uno stile di lavoro di
carattere sinodale ed è stata realizzata un’esperienza comune di profondo amore
per la Chiesa.
1.
“Il Vangelo che abbiamo ricevuto”.
Il 1° incontro fu realizzato a Firenze il
16 maggio 2009 (Auditorium del Convento di Santa Maria Novella) con il titolo
“Il Vangelo che abbiamo ricevuto”, nella Lettera d’invito si leggeva: «Il
motivo ultimo che ci spinge a questo invito è la convinzione che il Concilio
Vaticano 2° sia stato e sia ancora una grande grazia, la grazia maggiore donata
alla chiesa del nostro tempo, perché essa riscopra la forza del Vangelo nel
tempo. Ma con molti, che nella Chiesa oggi stentano ad avere voce, avvertiamo
la sofferenza di non vedere al centro della comune attenzione proprio il
Vangelo del Regno annunciato da Gesù ai poveri, ai peccatori, a quanti
giacciono sotto il dominio del male, mentre cresce a dismisura la predicazione
della Legge. E invece noi vogliamo non una Chiesa della condanna, ma una Chiesa
che manifesta la misericordia del Padre, che vive nella libertà dello Spirito,
che sa soffrire e gioire con ogni donna e con ogni uomo che le è dato di
incontrare. Il nostro non è pertanto un invito alla creazione di un movimento o
alla contestazione o chissà a che altro, come una chiesa alternativa, ma la
volontà che la libertà dei figli di Dio, il confronto “sine ira”, la comunione
e lo scambio non si spengano. Per questo invitiamo quanti condividono questa
sofferenza, ma al tempo stesso la speranza del Regno e la volontà di una chiesa
umile e vicina agli uomini, ad un incontro, per confermarci a vicenda nella
fede».
2.
“Il Vangelo ci libera, e non la Legge”.
Il 2° incontro ebbe luogo sempre a
Firenze il 6 febbraio 2010 (Parrocchia di Santo Stefano in Pane) con il titolo
“Il Vangelo ci libera, e non la Legge”. Questo secondo incontro nacque dalla
consapevolezza di come, nella mentalità prevalente, il Vangelo rischiasse di
essere ridotto a codice di comportamento morale, mentre esso è soprattutto l’annuncio
dell’amore del Padre, quale si è manifestato e reso disponibile a tutti nella
persona di Gesù morto e risorto. Nella Lettera d’invito si teneva a porre in evidenza
come «a chi accoglie nella fede questo Vangelo è stato comunicato il dono dello
Spirito e della vita riconciliata. La voce di Paolo (Rm. 11,32) ci ha
annunziato che Dio ha rinchiuso tutti nel peccato (e pertanto ci riconosciamo
come comunità di peccatori) ma a tutti ha usato misericordia (e pertanto
sappiamo di essere comunità di riconciliati). La stessa voce ci dice che chi si
affidasse alle strade della Legge resterebbe nell’impotenza della carne (Rm.
8,1-8). D’altra parte il vangelo del Regno predicato da Gesù ci fa chiedere di
essere liberati dal male e dunque ci rende attenti a quest’ombra di morte che
ci sovrasta. La riduzione del Vangelo a codice di etica porta a svilire e
coprire questa verità paradossale della condizione dei credenti. Invece, solo
restando dentro tutta l’ampiezza e la profondità del vangelo, è possibile
parlare a noi stessi, ai nostri fratelli e alle nostre sorelle dentro e fuori
della chiesa visibile, per sperimentare assieme a tutti la potenza liberante
del Vangelo» (Cf. Lettera d’invito).
3.
“Pregare e fare ciò che è giusto fra gli uomini”.
Il 3° incontro, il primo al quale ho partecipato
personalmente, si svolse a Napoli il 17-19 settembre 2010 (Centro di Spiritualità Sant’Ignazio del Padri Gesuiti
- Villa Cangiani) per riflettere assieme sulle parole di Dietrich Bonhoeffer: “Pregare e fare ciò che è giusto
fra gli uomini”. Lo scopo di questo terzo appuntamento fu quello di condividere
la sofferenza, ma al tempo stesso anche la speranza del Regno e la volontà di
una Chiesa umile e vicina agli uomini, per confermarci a vicenda nella fede e
condividere un’esperienza di libertà da
figlî di Dio, costruendo le condizioni per un confronto sine ira, affinché
la comunione e lo scambio non abbiano a spegnersi.
Due erano allora gli elementi considerati come prioritarî
in quel momento della vita della Chiesa in Italia.
Il primo era la doverosa costatazione che la Chiesa
che vuole vivere del primato del Vangelo, fedele al Concilio, esiste e si
esprime in forme innumerevoli: in tanti gruppi, in tante parrocchie, spesso
anche se non sempre attorno a un prete che assolve al suo compito primario che
è quello di riconoscere i carismi dello Spirito per farli vivere nella
comunione del corpo di Cristo, secondo lo statuto del popolo di Dio pellegrinante
nella storia. Lo spirito vitale di questa Chiesa non si lascia spegnere. Non è
una Chiesa di “puri”, senza peccato. Non è una Chiesa a parte dalla grande
Chiesa “una sancta catholica”, ma dentro di essa, grata a essa come alla
propria madre, sofferente per essa e assieme a essa, partecipe della sua
santità e del suo peccato. Di questo si esprimeva la consapevolezza d dover essere
grati ogni giorno al Signore.
Il secondo elemento era rappresentato dalla
constatazione di come questa Chiesa non avesse in realtà voce. E come ciò si
esprimesse in un disagio sensibile, per quanto coperto dal silenzio o sommerso
dalle voci dominanti, che presentava una sua ragione di fondo: il regime di
separatezza vigente nella Chiesa, che determina di fatto una sua separazione
dal mondo, a cui pure è inviata, e la divide al suo interno tra chierici e
laici, che pure sono accomunati da una medesima vocazione battesimale.
In questa situazione la proposta formulata a Napoli fu
qualcosa di molto umile e forte al tempo stesso: la creazione di uno spazio di
comunione dove nessuno fosse escluso, dove non ci fossero censure, e dove
ognuno potesse alimentare la propria speranza ed essere sostenuto nella fede, e
dove i conflitti non venissero messi a tacere ma vissuti con la magnanimità di
coloro che sanno che l’amore del Padre abbraccia e “sostiene” tutti, perché
Egli sia adorato nei loro cuori.
Fu inoltre affermato con forza che l’universalità del
messaggio cristiano originariamente non si pone come l’universalità di una
dottrina, ma di un evento. I cristiani credono che la morte e la resurrezione,
costituiscano Gesù Cristo come la pietra angolare della storia umana, il
giudice dei vivi e dei morti. La predicazione primitiva esprime questa pretesa
universale nella forma della narrazione: “Voi sapete quello che è avvenuto in tutta
la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da
Giovanni; vale a dire, la storia di Gesù di Nàzareth; come Dio lo ha unto di
Spirito Santo e di potenza; e com'egli è andato dappertutto facendo del bene e
guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con
lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nel paese dei
Giudei e in Gerusalemme; essi lo uccisero, appendendolo a un legno. Ma Dio lo
ha risuscitato il terzo giorno e volle che egli si manifestasse non a tutto il
popolo, ma ai testimoni prescelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e
bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha comandato di
annunziare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio costituito
giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque
crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome» (At, 10,37-43).
(Cf. Lettera d’invito “Verso Napoli”).
4.
“«Ma voi non così» (Luca 22,25)”.
Il 4° incontro è stato realizzato a Roma
il 17-18 settembre 2011 (Domus Pacis) sul tema: «Ma voi non così» (Luca 22,25).
Questo incontro, segnando un’evoluzione
nel metodo di approfondimento prescelto, fu dedicato a una riflessione
comunitaria sull’eucaristia. Questa scelta a prima vista sembrare una sorta di
ripiegamento sulla propria esperienza. Poteva in effetti sembrare
“stravagante”, che dei credenti, pur sentendosi inestricabilmente compagni di
viaggio delle donne e degli uomini del nostro tempo, pur avendo amici tra non
credenti o diversamente credenti - e dunque partecipi con loro delle fatiche e
delle gioie, dei drammi e delle attese che segnano questa nostra stagione - assumessero
come tema del loro convenire quello dell’eucaristia.
Qualcuno dall’esterno avrebbe di certo potuto
giudicarlo un tema privato, che soffre una sorta di soffocamento nei confini
della chiesa, un restringersi dentro celebrazioni di una liturgia che vede oggi
un convenire di pochi. Non c’è altro, altro di più urgente, all’interno della
chiesa e della società, su cui confrontarci? Non sono altri i nodi da
esplorare, civili, politici, ecclesiali? Non corriamo forse il pericolo di
essere fuori dalla storia?
La domanda era senz’altro inquietante.
Se non altro perché svelava drammaticamente, impietosamente, quale immagine di
rito, al pronunciarsi della parola “eucaristia”, allora e purtroppo ancora oggi,
si accenda in non poche donne e uomini del nostro tempo. Ci si chiedeva che
cosa avesse portato a questa deriva che sembrava suggerire l’immagine della
privatezza, dell’esclusività, della non contiguità, della ininfluenza del rito
sulla vita.
La
Cena del Signore: un’immagine tradita? Chi varca – ci chiedevamo
- la porta di una delle nostre tante chiese intravede con sorpresa in quella celebrazione
un Vangelo, una buona notizia? Un evento che fa sperare? Per il tempo dentro le
chiese e per il tempo fuori le chiese? Intravede, come da una piccola fessura,
un umile anticipo del convenire universale, cui diamo il nome di “Regno di
Dio”, nel quale siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe, donne e
uomini venuti dall’Oriente e dall’Occidente? O intravede un pallido convenire
che non esce dalla consueta “normalità” di ogni rito?
Nei giorni del nostro convenire a Roma
ci siamo chiesti se la Cena del Signore segna ancora una differenza, quella che
le aveva impressa il Signore, quella che si affaccia dal titolo del nostro
convenire: “Ma voi non così”. Quasi un dirottamento di modi di pensare,
di modi di vedere, di modi di agire, di modi di stare al mondo.
Ci chiedevamo ancora se nelle
celebrazioni fosse percepito il dirottamento? Non fa parte l’eucaristia del “Vangelo
che abbiamo ricevuto”? Il Vangelo, quello che accende e riscalda i cuori non è solo parola. Gesù ci ha lasciato come
vangelo, notizia buona, anche i suoi gesti. Anzi i gesti, forse ancor prima
delle parole, raccontavano che il regno di Dio era accaduto, che era già in
mezzo a noi. I suoi banchetti erano vangelo. In modo specialissimo vangelo fu
la sua ultima cena. Quella notte nella sala al piano superiore sembrò deporre
in quel pane che spezzava e in quel calice del vino che faceva passare tra i
discepoli tutto quello che lui era, tutto quello che aveva sognato, tutto
quello che aveva insegnato: ultimo gesto, riassunto di tutta una vita, testamento
per i nostri giorni, per tutti i giorni.
Riconoscere
il segno. Si trattava dunque di
acconsentire al segno che arde come brace nel desiderio di Gesù di volerci a
cena, di darci il suo pane e il calice del vino. Ebbene non finisce di
sorprenderci il fatto che già quella cena, al piano superiore, nella sala
addobbata, l’ultima cena di Gesù, abbia vissuto una sconsacrazione. Cena sconsacrata
dai pensieri e dai discorsi dei discepoli. Pensieri e discorsi in
controtendenza spudorata e sconcertante al gesto che alludeva al pane, l’umile
pane delle nostre case, un pane che non accetta esposizioni in vetrina: la sua
esposizione, quella vera è sulla tavola. Per tutti. L’unica esposizione che
sopporta il pane. L’unica che ha sopportato Gesù. Qualcuno voleva dargliene
un’altra, ma allora lui si eclissava. Lui è altro. E ci chiede di essere altro:
“Ma voi non così”.
La
regola del pane. Ai discepoli quella sera
ricordò la regola del pane, che è alternativa radicale ai criteri mondani. Se
il rito non racconta più il segno, se il rito viene defraudato, i credenti
giocoforza ritornano alle loro case, alla loro vita, alla storia con la volontà
di dominio, di potenza, di prestigio. Come se a loro la storia di quel pane, la
storia di Gesù di Nàzareth non avesse parlato: un rito orfano, cieco di quella
storia, da cui si esce per ritornare alle case, alla città, alle opere e ai
giorni, senza dirottamenti, bensì con i vecchi criteri di sempre, quelli
obsoleti, quelli di una pallida “normalità” mondana. La normalità mondana dei
discepoli che fanno discorsi su chi è più grande fra loro.
Succedeva allora, succede anche oggi, in
noi e nella Chiesa, quando la celebrazione rimane confinata a livelli di
superficie e non diventa seme che, accolto nella maturità delle coscienze,
genera la passione di relazioni vere, nuove e intense. E quando succede questo,
è l’eclisse dell’eucaristia, l’eclissi di Dio, di Gesù. Si assiste allora a una
Chiesa che cerca posti sulle piazze, che mangia con quelli che contano, che
contratta appoggî mondani, interessata più al suo bene che non al bene di
tutti, il bene soprattutto di coloro che non hanno nessuno che li difenda.
Quando questo succede è doveroso concludere che il rito è vuoto, cieco, anche
se solenne, anche se colmo di profumo di incensi e di colore di vesti. Anzi la
solennità in tal caso suona esposizione di sé, quell’esposizione da cui il vero
pane e Gesù si sono sempre ritratti.
Il
gesto del servo: un sogno? Nella relazione d’apertura venne ricordato
in modo suggestivo come la “Didascalia degli apostoli” (3° secolo)
prescrivesse al cap. 12 che, ad accogliere nell’assemblea i poveri, uomini o
donne che fossero, doveva essere il vescovo stesso e non i diaconi e che doveva
essere ancora il vescovo a procurare loro un posto e che, se questo non si
fosse trovato, doveva cedere il suo e sedere a terra ai loro piedi. ”È questo
un sogno?”- si chiedeva la relazione - “O sono piuttosto un tradimento
dell’eucaristia quelle celebrazioni che ripropongono, nella disposizione dei
partecipanti e nello stile della partecipazione, le gerarchie mondane, ma anche
soltanto l’educato stare ognuno per conto suo?”.
Allora, sempre nella relazione
d’introduzione ai lavori, si teneva a sottolineare quanto fosse vero che riconsacriamo il pane del
Signore ogni volta che ci lasciamo trascinare dal gesto, l’ultimo che il
Signore ci ha lasciato, come comando, in quella cena, il gesto del servo
che si china a lavare i piedi stanchi? E dunque ricondotti anche noi ai piedi
impolverati di fatiche delle donne e degli uomini con cui camminiamo, nel desiderio
di sollevarli dalle stanchezze e di rialzarli a dignità?
Un
pane per vite libere. Suggestivo, sempre nella
relazione, l’accenno al Concilio di Nicea che vietava in un suo canone
che almeno la domenica ci si inginocchiasse (canone 20). Sembrava di riudire
l’eco ripetuta del Vangelo là dove Gesù comandava di “alzarsi”. In piedi, quasi
a dire che l’Eucaristia è fonte di donne e uomini alzati e non abbassati, fonte
di vite libere, è un pane che ci dà la forza di sfuggire al rimpianto dei cibi
sì prelibati, ma in terra di schiavitù.
Restituire
all’eucaristia il fascino di “notizia
buona” per il nostro tempo. Nel
nostro convenire a Roma ci siamo allora chiesti se, oggi che la stragrande maggioranza
dei nostri compagni di viaggio più non frequenta le nostre celebrazioni, non dovessimo
sentire ancora più urgente il compito di
restituire a esse il fascino che loro appartiene di notizia buona, per il
nostro tempo e anche per chi di loro prima o poi si affacciasse? E ci siamo
altresì chiesti se non dovevamo altresì sentirci educati dai “segni dei tempi”
a sospettare che qualche scintilla dell’eucaristia possa abitare in liturgie
che chiameremmo laiche?
5.
“«Il regno di Dio è vicino»
(Marco 1,15)”.
Il 5° incontro si è svolto a Brescia il
27-28 settembre 2012 (Centro Paolo 6°) sul tema: «Il regno di
Dio è vicino» (Marco 1,15).
In quell’occasione ci siamo interrogati
in particolare su due punti:
- quale situazione di Chiesa stiamo
vivendo?
- abbiamo noi ancora qualcosa da dire?
Riguardo al “primo punto” si è
nuovamente constatata la mancanza di un riferimento su chi faccia sentire ai
cristiani, oggi, il Vangelo che abbiamo ricevuto. Da una Chiesa preoccupata
soprattutto di “ascoltare” (quella che programmaticamente era uscita dal
Concilio) siamo gradualmente passati a una Chiesa che solo “parla”.
Manca spesso la percezione di cosa sia l’annuncio della fede; non si riesce a
scorgere la forza del Vangelo come “racconto”. Sembra proprio che la
Chiesa abbia smarrito la sua capacità di “raccontare” e di “lodare”.
Se non ci si ‘ricentra’, invece, su questo, si rischia di non essere più in
grado di dire nulla ad alcuno. Per reazione al disagio, si assiste attualmente
al parcellizzarsi delle esperienze di prassi di fede: una somma di solitudini
(singoli o ‘gruppi di simili’), a loro volta generative di paure e chiusure da
cui sovente rifluisce un’aggressività di linguaggio.
C’è invece il dovere di far risuonare la
“lieta notizia” che abbiamo immeritatamente ricevuto, con la stupita
scoperta di un Regno che è già in essere e il cui annuncio non sembra ‘passare’
sufficientemente attraverso le istituzioni ecclesiastiche, senza con ciò
nutrire la pretesa di essere migliori di nessuno.
Quanto al secondo punto, siamo
consapevoli che, se da un lato il nostro incontrarci (Firenze 1, Firenze 2,
Napoli, Roma) era ‘urgente’ per cercare con umiltà di dare un segno evangelico
atto a riaccendere speranza, dall’altro si iniziava una semina il cui raccolto
era necessariamente a lungo termine. Tuttavia, la difficoltà dell’iniziativa
è forse il segnale primo della sua necessità, anche perché il
terreno negli anni si è ‘fatto duro’ proprio per la mancanza di proposte di
segno evangelico.
Essere accettati nel cammino che andiamo
dipanando richiede tempo. Tentare di creare una rete per far ‘risuonare’
l’Evangelo serve anche ad ammaestrare, prima di tutto noi stessi, al fatto che
la Chiesa ha anche tanto da apprendere dal mondo.
Nel corso dei lavori di Brescia fu quindi
posta in evidenza l’urgenza di valorizzare la ‘forza di
riedificazione’, favorendo la conversazione “dalla base” per ritornare
così realmente a una ‘Chiesa di relazioni’, creando luoghi che dicano “accogliendo”,
che l’Eucarestia come “conversatio” è la forma della Chiesa. Creare,
quindi, àmbiti di ‘accoglienza reciproca’ tenendo aperto uno spazio per porci
degli interrogativi, piuttosto che tentare risposte.
6. “«Il Vangelo è annunciato ai poveri : con
Francesco nelle periferie dell'esistenza » (Mc. 1,15)”.
Quello proposto oggi è il 6° incontro
nazionale e sarà dedicato al tema: “Il Vangelo è annunciato ai poveri : con
Francesco nelle periferie dell'esistenza” e avrà luogo come detto a Napoli, il
1-2 marzo 2014 sempre presso la Casa "S. Ignazio" - Villa Cangiani.
In questi giorni, come dicevo, è stata
diffusa la “Lettera d’annuncio” dell’evento, nella quale si legge come l’elezione
del nuovo vescovo di Roma, che presiede alla carità fra le chiese, sia una
grande novità nella predicazione. Il fatto che papa Francesco abbia rimesso al
centro il Vangelo annunciato ai poveri, la chiesa che esce rischiando incidenti
per recarsi nelle periferie dell’esistenza, là dove si soffre, ha introdotto
una ventata d’aria fresca nella chiesa, dopo decenni di oscuramento.
Sono da aspettarsi indifferenza
infastidita, resistenze e opposizioni.
Si e pertanto scelto di riconvocare
quanti sono sensibili al primato del Vangelo annunciato ai poveri. È importante
che trovi maggiore forza l’invito che ci viene rivolto: “Una Chiesa povera
per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo
verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia
questa povertà, la povertà del Signore”.
Lo scopo dell’incontro è quello di
capire meglio, a partire da esperienze concrete, cosa sia la povertà del
Signore e la povertà della Chiesa. E lo vogliamo fare attraverso un cammino
sinodale, ascoltando cioè e dando credito alla voce di “tutti” i
cristiani. Per questo la struttura del nostro prossimo incontro sarà ridotta
all’essenziale: un’introduzione al mattino, tutto un pomeriggio dedicato
all’ascolto delle esperienze, una tavola rotonda e l’eucaristia finale
l’indomani mattina.
“Ma l’ascolto comincia da adesso”. Tutti sono quindi vivamente pregati di
intervenire.
Per la seconda volta l’incontro si
svolge nella nostra città, non facciamo mancare il contributo delle nostre
esperienze e delle nostre riflessioni, sia contribuendo con riflessioni e idee al
commino sinodale di preparazione (gli incontri de “Il Vangelo che abbiamo
ricevuto” non sono predisposti dall’alto, ma sono il frutto di un itinerario sinodale
che vede la partecipazione e la corresponsabilità di tutti), sia preparandoci a
partecipare materialmente ai lavori il 1° e il 2 marzo 2014. La Lettera di
annuncio e le modalità di partecipazione al cammino sinodale di preparazione
sono disponibili sul sito:
7. Adsumus, Domine Sancte Spiritus.
Mi sembra giusto concludere con la preghiera iniziale degli
incontri de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”.
Per la prima volta, questa preghiera (Adsumus,
Domine Sancte Spiritus) che apre tradizionalmente le assemblee sinodali
della chiesa latina (da ultimo è stata usata anche nella liturgia del Vaticano 2°),
appare in Spagna nell'ordo visigotico della fine del 7° secolo. Da parecchî
studiosi, ma senza prove decisive, come autore viene indicato Isidoro di
Siviglia. In ogni caso l'orazione corrisponde alla spiritualità di quel tempo.
Lo stile è mozarabico. Mentre le preghiere romane sono brevi, stringenti e con
contenuto fortemente teologico, la liturgia mozarabica abbonda nelle richieste,
nell'espressione dei sentimenti e nel riferimento chiaro alla situazione
dell'orante. Ci si rivolge direttamente allo Spirito Santo, fatto questo
abbastanza raro nelle altre liturgie, se si eccettua quella armena, mentre è
abbastanza comune nella liturgia mozarabica soprattutto nel periodo di
Pentecoste.
La preghiera introduce alla duplice dimensione dell'evento sinodale: si
tratta di un evento penitenziale, in cui la Chiesa si riconosce peccatrice e
bisognosa di perdono e di conversione; ma si tratta di un evento che è dominato
dal dono dello Spirito che rende possibile la conversione e illumina i cuori.
La dimensione penitenziale viene quindi giustapposta a quella pneumatologica.
La sinodalità appare così non come celebrazione di fasto ecclesiastico,
espressione di potere sia pure gerarchico, ma adorazione da parte di uomini
peccatori del mistero della comunione, che è resa possibile solo grazie allo
Spirito.
La dimensione pneumatologica viene descritta nel suo dinamismo progressivo:
renditi presente, degnati di penetrare, insegnaci, mostra, opera. E' la
presenza dello Spirito, pura grazia effusa nei nostri cuori, che deve
illuminare la nostra mente per le decisioni
giuste, rendendo possibile la nostra stessa prassi. L'evento sinodale viene poi
richiamato alla sua purezza. In negativo si descrive quindi quello che potrebbe
essere di ostacolo alla purezza di questo evento: turbamento della giustizia,
ignoranza, parzialità, sentimenti di preferenza per la mansione ricoperta o per
una determinata persona. La parte finale della conclusione riporta il tutto al
mistero della comunione.
Siamo
qui, Signore Spirito Santo,
trattenuti dall'enormità del nostro peccato,
ma riuniti in maniera speciale nel tuo nome:
vieni, renditi tu presente a noi;
degnati di penetrare nei nostri cuori;
insegnaci cosa fare;
mostra dove incamminarci;
opera tu ciò che dobbiamo fare.
Sii tu solo l'ispiratore
e l'autore dei nostri giudizi,
tu che solo, con il Padre e il Figlio suo,
possiedi il nome glorioso:
tu che ami tanto l'equità,
non lasciare che turbiamo la giustizia;
il peccato non ci porti all'ignoranza;
l'umana simpatia non ci pieghi;
non ci corrompa
la preferenza per l'ufficio o le persone;
ma legaci a te efficacemente
con il dono della sola grazia tua,
perché siamo una sola cosa in te,
e in nulla ci discostiamo dalla verità;
e così raccolti nel tuo nome,
in tutto possiamo custodire
la giustizia moderata con la pietà,
perché adesso, in nessuna nostra decisione,
noi sentiamo diversamente da te,
e nel futuro possiamo conseguire
il premio eterno per il bene operato. Amen.
trattenuti dall'enormità del nostro peccato,
ma riuniti in maniera speciale nel tuo nome:
vieni, renditi tu presente a noi;
degnati di penetrare nei nostri cuori;
insegnaci cosa fare;
mostra dove incamminarci;
opera tu ciò che dobbiamo fare.
Sii tu solo l'ispiratore
e l'autore dei nostri giudizi,
tu che solo, con il Padre e il Figlio suo,
possiedi il nome glorioso:
tu che ami tanto l'equità,
non lasciare che turbiamo la giustizia;
il peccato non ci porti all'ignoranza;
l'umana simpatia non ci pieghi;
non ci corrompa
la preferenza per l'ufficio o le persone;
ma legaci a te efficacemente
con il dono della sola grazia tua,
perché siamo una sola cosa in te,
e in nulla ci discostiamo dalla verità;
e così raccolti nel tuo nome,
in tutto possiamo custodire
la giustizia moderata con la pietà,
perché adesso, in nessuna nostra decisione,
noi sentiamo diversamente da te,
e nel futuro possiamo conseguire
il premio eterno per il bene operato. Amen.