Ritengo di non fare
un’affermazione nuova sostenendo che nel nostro paese ci troviamo alle prese
con un grande problema di “cultura” democratica. Quando parlo di “cultura” non
mi riferisco a un dato intellettuale e di conoscenza ma alla nostra concreta e
quotidiana pratica di vita. E il problema non si esaurisce nel, pur gravissimo,
“affaire Berlusconi”, anche se questo
ne è forse la più grave e patologica manifestazione.
In questi giorni gran
parte della scena politica è “occupata”, non dal dibattito, ma dalla rissa intorno
alla legittimità o meno di un eventuale provvedimento di decadenza del mandato
parlamentare del Sig. Berlusconi. Questo è uno scenario che, in un contesto
democratico, non dovrebbe essere oggetto della benché minima discussione.
Eppure, occupa quotidianamente, ampio spazio della comunicazione pubblica.
Sono convinto che
“democrazia” comporti l’eguale coinvolgimento di tutti i cittadini
nell’attenzione alla “cosa pubblica” e, sono altrettanto convinto, che sta ai
cittadini costruire quegli spazî necessarî di consenso per scegliere
responsabilmente e legittimamente le linee di tendenza di fondo della politica
nazionale.
Per fare ciò sono, a
mio avviso, necessarie tre cose di base:
1. una chiara e
consapevole distinzione tra le tre sfere, quella della persona, quella della
parte politica e quella delle responsabilità istituzionali nella conduzione
della “cosa pubblica”;
2. la consapevolezza
che in una società aperta e complessa, quale quella occidentale dei nostri giorni,
è quantomeno utopico pensare di raccogliere intorno a un programma politico
articolato e definito un consenso di ampiezza tale da poter conseguire, in una
competizione elettorale, la maggioranza;
3. la centralità
rappresentata nel dibattito politico da una comunicazione fondata
sull’autenticità dei contenuti.
Cercherò di esporre
brevemente il mio personale pensiero su questi tre punti, premettendo, per
dovuta chiarezza e rispetto nei confronti di quanti vorranno onorarmi della
propria attenzione, che il mio orientamento politico è di sinistra democratica
e pluralista e che sono un elettore e un sostenitore del Partito democratico,
rispetto al quale non ho condiviso la scelta di dar vita al governo delle
“larghe intese”, anche se sono convinto che un partito è una realtà plurale, al
cui interno sono presenti con ragione più identità e che non necessariamente le
scelte generali debbano sempre e comunque coincidere con quelle da me
sostenute.
Ma veniamo ai tre
punti in questione:
Una cultura della
distinzione. A prima
vista può sembrare una questione formalistica, ma mi permetto di sottolineare
con forza che non è così. Le scelte personali, gli itinerarî di vita, gli
interessi legittimi delle singole persone sono un àmbito al quale va
riconosciuto il massimo rispetto sul terreno della comunicazione pubblica e
anche la più piena tutela sul piano istituzionale e legale. Ma è altrettanto
doveroso, per ciascuno di noi, non invadere con le nostre aspirazioni personali
il dibattito politico e il lavoro degli organi deputati alla cura della “cosa
pubblica”. Allora, ma qui naturalmente dovrei sfiorare l’ovvietà, risulta
quantomeno incomprensibile che un personaggio politico, per proprie vicende
personali di natura giudiziaria, scelga di difendersi non in tribunale ma in Parlamento,
giungendo a minacciare la caduta del governo se non gli viene garantita una
sorta d’immunità dal rispetto della legge, che finirebbe così de facto e de iure, per essere “non
uguale per tutti”. Eppure il programma di governo liberamente sottoscritto e
condiviso dalle parti contraenti non fa alcun riferimento alla questione (è
sufficiente una lettura del programma per rendersene conto). Sorprende che si
faccia polemica su un tema, per altro estraneo alla vita politica, che non è
compreso nei programmi di governo.
Ma qui viene in gioco il
problema della cultura della distinzione, quella cultura che si esprime nel profondo
rispetto che le singole persone devono nutrire per la propria parte politica e,
a maggior ragione, per le istituzioni pubbliche. È questo un problema che
riguarda trasversalmente, sia pur in forma differenziata, tutte le forze
politiche. Assistiamo infatti a una doppia invadenza: quella delle singole
personalità nei confronti sia della propria parte politica sia delle
istituzioni, e un’altra condotta dagli schieramenti contro la cosa pubblica.
È fuor di dubbio che
il dovuto rispetto alla cosa pubblica imponga, da parte di chicchessia, che nel
momento in cui una singola personalità dovesse percepire di essere d’imbarazzo
per le sorti del Paese e, in subordine, per la propria parte politica sarebbe
una scelta saggia e doverosa quella di lasciare il campo, favorendo
l’individuazione di soluzioni alternative. La capacità e la lungimiranza di saper
far un passo indietro per il bene del paese alla fine tradurrebbe in un
vantaggio sul piano del prestigio personale e politico per la persona stessa.
Sono convinto che un
leader o un segretario politico debbano essere al servizio del proprio partito
e non configurarsi come il “padrone” del proprio schieramento politico. Lo
stesso vale per i singoli partiti: sono essi a dover servire le istituzioni e
il Paese e non il contrario.
Allora, a mio parere,
sono del tutto fuori luogo degli usi che negli ultimi anni si sono diffusi nei
comportamenti delle forze politiche. Faccio solo alcuni esempî. Nelle scorse
settimane, per esempio, ha riscosso molta attenzione dai mass media un vertice
del Pdl che si è svolto nella dimora privata del Sig. Berlusconi. Ritengo che
sia una buona pratica (e non un fatto meramente formale) che le attività di un
partito si svolgano in sedi proprie e non a casa del leader. Una parte politica
è una cosa diversa che va oltre la persona del proprio leader. È doveroso
nutrire un profondo rispetto per le attività di partito ed è bene che queste, a
loro volta, non invadano la sfera privata e personale del leader stesso. In
questa logica trovo, per altro, lesiva di questo principio anche la moda di
personalizzare i simboli elettorali, penso ai varî rifermenti a singoli leader
politici che abbiamo incontrato tra i simboli in lizza all’ultima tornata
elettorale (Monti, Ingroia, Vendola, ecc.).
Quanto all’invadenza delle
parti politiche sulla cosa pubblica, questa si manifesta addirittura nella stesse
scelte che vengono operate nel denominare i singoli movimenti politici. Si
sceglie con la massima disinvoltura d’inserire nel nome della propria parte
politica riferimenti al “popolo”, alla “libertà”, all’“Italia”, alla
“democrazia”, alla “responsabilità civica”, dimenticando che questi sono valori
condivisi e patrimonio comune di tutti. Appropriarsene, mediante l’inserimento
nella propria denominazione, è, per un verso, una mancanza di rispetto verso i
cittadini, ma anche il segno di una sostanziale incapacità di meglio definire
la piattaforma ideale intorno a cui la parte politica si è venuta aggregando.
Testimonianza di una tale difficoltà è, per altro, anche l’uso di denominazioni
fantasia, quali quelle, per esempio, che evocano una mera allusione alle
“stelle”, e che esulano nel modo più assoluto dal dare indicazioni intorno alle
ragioni ideali che hanno presieduto alla loro aggregazione. Sarebbe auspicabile
che le denominazioni dei partiti esprimessero la sintesi delle ragioni ideali
che presiedono alla loro aggregazione e che segnano la differenza e la peculiarità
dei loro connotati ideali. Sono, legittimamente, partes, e, dunque, non possono essere tutto.
E che dire, poi, degli
incarichi di governo a part-time? Oggi, in effetti, abbiamo un ministro degli interni
a part-time. Il Sig. Angelino Alfano è contemporaneamente leader di partito e
responsabile del dicastero forse più delicato. L’Italia, a mio avviso, ha
diritto a un titolare del Viminale a tempo pieno e lo stesso Pdl ha diritto a
un segretario politico, che non debba barcamenarsi anche con i mille impegni
del dicastero presieduto. La recente vicenda delle relazioni con il Kazakistan
e della connessa e gravissima offesa ai diritti umani insegna molte cose in
proposito. Come direbbe il caro e compianto Michele Lubrano, una domanda mi
sorge spontanea: “ma nel Pdl mancano personalità con il carisma e le capacità
necessarie per guidare il partito?”.
Probabilmente un più
sentito senso del limite nel comprendere quello che è sacra sfera personale,
quello che è legittima pratica delle singole parti politiche e quello che
invece è peculiare del ruolo istituzionale della cosa pubblica, sarebbe già una
conquista ai fini di un più corretto e concreto confronto politico. E la cosa,
ci tengo a ribadirlo, non riguarda solo il Pdl, ma un po’ tutte le forze
politiche, anche lo stesso Pd (che pur incontra il mio personale sostegno).
L’aspirazione, per esempio, di Matteo Renzi (che, per altro stimo) a sommare
nella propria persona la funzione di sindaco di una grande città e quella di
segretario del partito è segno anch’essa di un preoccupante deficit di rispetto per la città e per
il partito. La libera adozione nella quotidiana e concreta pratica politica di
un codice di comportamento rispettoso delle diverse sfere (personale, di parte
e pubblica) si tradurrebbe, senza dubbio, in un beneficio per l’Italia e
produrrebbe una sprovincializzazione e una crescita qualitativa del dibattito
politico.
La complessità
sociale. Il grande accrescimento
delle possibilità di un autonomo e personale accesso all’informazione e alla
conoscenza e alla conseguente opportunità di costruire personalizzati itinerarî
di elaborazione e di proposta ha reso le nostre società, anche quella italiana,
dei contesti culturalmente ricchi e variegati. Le identità culturali e
politiche si sono moltiplicate, si sono differenziate e si sono anche
contaminate. Appare pertanto, oggi, quanto mai irrealistico pensare che una
singola forza politica, espressione di una specifica cultura e identità
politica, possa conseguire grazie a un programma politico definito e articolato
(espressione della propria visione ideale della vita pubblica) i consensi
necessarî per poter governare il paese in forma monoprogrammatica. È la
complessità stessa delle società odierne a impedire una tale evenienza. Là dove
si dovesse verificare un successo elettorale, per cui una singola forza
politica vada oltre il 50%, a mio parere, la cosa stessa sarebbe un forte
indizio di una grave alterazione delle condizioni di agibilità democratica (e
occorrerebbe comprenderne le cause). Né valgono le scorciatoie delle leggi
elettorali che tentano artificiosamente cercano di esorcizzare la pluralità,
che in nome del moloch della governabilità
(per altro, mai conseguita), distribuiscono premi di maggioranza e determinano
una pericolosa dicotomia tra la composizione delle aule parlamentari e
l’articolazione culturale del paese, per cui alcune forze, pur significativamente
presenti nel paese, sono del tutto assenti dal Parlamento e altre, pur essendo
presenti in esso, vi risultano di gran lunga sotto rappresentate. Lo confesso,
io sono un convinto sostenitore del proporzionale. Ritengo che il Parlamento
debba, il più possibile, riprodurre fedelmente la ricchezza dell’articolazione
politica e culturale presente nel paese. E nel Parlamento le singole identità
hanno il dovere di fare “politica”, di rimboccarsi le maniche per cercare
intese “alte”, individuando, attraverso una quotidiana pratica del dialogo, i
denominatori comuni, rifuggendo dall’idea infantile di essere gli unici
titolari delle giuste ricette di cambiamento. Non significa “fare politica” lo
sbandierare striscioni in Parlamento (questo va bene ed è auspicabile avvenga
sempre nelle piazze), né trasformare l’aula di Montecitorio nella curva di uno
stadio, né gridare un giorno sì e l’altro pure “alle urne, alle urne!”. È
necessario essere consapevoli che i cittadini sono andati alle urne solo alcuni
mesi fa e si sono espressi, determinando l’attuale Parlamento. È un risultato
che non mi piace, conseguito, per altro, con una legge elettorale molto, molto
discutibile, ma è il risultato determinato dai cittadini, che abbiamo il dovere
di rispettare. Un risultato al quale, quanti siedono in Parlamento, hanno il
“dovere” di assicurare una sintesi di governo. È un dovere costituzionale ineludibile,
e la Costituzione si afferma e si difende con la pratica politica del dialogo e
dell’impegno, che è cosa molto diversa dal deresponsabilizzante e teatrale
sbandierare striscioni. Oggi, in Parlamento, è possibile un governo diverso da
quello delle “larghe intese”, basta volerlo sul serio impegnandosi in un
dialogo concreto, senza infantili fughe dall’impegno del rimboccarsi le
maniche, nella speranza di lucrare facili, quanto transeunti, vantaggî
elettoralistici, beninteso a scapito dei cittadini.
Autenticità della
comunicazione e dei contenuti. Anche questo è un aspetto non secondario, anzi di primaria
importanza. La partecipazione alla vita politica da parte dei cittadini non può
prescindere da una correttezza comunicativa da parte delle forze politiche e di
quanti nella politica sono impegnati in primo piano. E invece assistiamo a uno
spettacolo, a dir la verità, un po’ penoso dove in forma addirittura
dilettantesca ci si diverte a manipolare e distorcere i fatti e a non rendere ragione
pubblica delle evoluzioni delle posizioni politiche.
E così abbiamo chi si
presenta come oggetto di persecuzioni e vessazioni, senza avere il minimo rispetto
per chi di persecuzioni e vessazioni è stato o è tutt’ora vittima per davvero. Senza
rendersi, per altro, conto che un tale status
di “perseguitato” potrebbe, addirittura, essere invidiato da molti per la non modica
quota di potere che un tal “perseguitato” detiene. Una persecuzione che agli occhî
di tanti potrebbe senza dubbio apparire un attraente privilegio.
Qualche altro, dalla
sera alla mattina, da personaggio di primo piano di una forza politica all’improvviso
cambia partito, al quale aderisce non quale semplice cittadino, ma assurge
contemporaneamente a un incarico di rilievo, scavalcando semmai molti che in
quel partito sono impegnati da anni. È certo legittimo cambiare idea, ma
sarebbe doveroso, per quanti hanno un ruolo pubblico, fornire ai cittadini le
ragioni di una tale scelta.
Ma non sono solo le
singole persone a sfuggire al dovere di autenticità nella comunicazione e nei
contenuti. In questi ultimi anni abbiamo assistito più volte all’assunzione di
posizioni politiche in contrasto con precedenti posizioni espresse e sostenute
dalla stessa forza politica. È il caso, per citare solo l’esempio più recente,
della vicenda relativa all’Imu. In pratica abbiamo assistito all’orchestrazione
di una potente iniziativa politica e mediatica contro tale imposta sugli immobili
(in sé anche discutibile), senza fare il benché minimo accenno al fatto (del
tutto verificabile) che la stessa imposta è stata introdotta nel nostro sistema
fiscale anche grazie all’iniziativa e al voto decisivo della stessa forza
politica. Anche qui vale quanto è evidenziato in precedenza: ritengo legittimo
che una forza politica rifletta sulle scelte fatte in precedenza e riconosca di
aver sbagliato, ma sarebbe giusto rendere pubbliche le ragioni e le valutazioni
che hanno presieduto a tali evoluzioni.
E ancora, mi sembra
giusto segnalare come risulti poi particolarmente sgradevole la vecchia e,
purtroppo, tutt’ora diffusa della pratica dei “franchi tiratori”. La vicenda
che alcuni mesi fa ha visto circa un centinaio di parlamentari del Pd
comportarsi, nel segreto dell’urna, in maniera opposta a quella dichiarata pubblicamente.
Come ho già detto prima, da sostenitore del Pd, sono convinto che il carattere
plurale del Partito sia una grande qualità, che lo distingue da altre
formazioni politiche a conduzione monarchica. Il pluralismo, la convivenza
nella stessa formazione di più identità impone una grande pratica del confronto
interno, ma richiede a tutti una grande trasparenza e chiarezza nelle
posizioni, che devono essere chiare e pubbliche. La meschinità di sotterfugî, giochetti
sotto banco e sgambetti dovrebbe essere qualcosa di totalmente estraneo alla
vita politica.
Le considerazioni, che
ho fin qui condotto, sono in realtà delle ovvietà. Purtroppo però i comportamenti
che ho descritto sono molto diffusi e rimuoverli dalla corrente pratica
politica non è e non sarà per niente facile. Ma sono anche convinto che, se in
ogni schieramento ci dovessero essere persone capaci di assumere, con dignità e
liberamente, un impegno serio sui tre punti sui quali ho espresso le mie
valutazioni, la vita politica del paese potrebbe sortire un indubbio influsso
benefico.
Le considerazioni, che ho fin qui condotto, sono in realtà delle ovvietà. Purtroppo però i comportamenti che ho descritto sono molto diffusi e rimuoverli dalla corrente pratica politica non è e non sarà per niente facile. Ma sono anche convinto che, se in ogni schieramento ci dovessero essere persone capaci di assumere, con dignità e liberamente, un impegno serio sui tre punti sui quali ho espresso le mie valutazioni, la vita politica del paese potrebbe sortire un indubbio influsso benefico.
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