Sono un elettore del Partito democratico sin dalla sua fondazione e
ho tutta l’intenzione di continuare a sostenerlo anche nel futuro. Per
chiarezza faccio presente che alle ultime primarie non ho espresso la mia
preferenza a favore di Matteo Renzi. All’epoca non votai per Renzi per varî
motivi, tra i quali, in posizione non secondaria, un problema legato alla
democraticità del suo comportamento rispetto al suo precedente impegno di
Sindaco della città di Firenze. In quei giorni Renzi era ancora Sindaco di
quella città e la sua eventuale elezione a segretario avrebbe comportato l’interruzione,
prima della naturale scadenza, del mandato solennemente riposto sulla sua
persona dai cittadini della città toscana. Nel nostro ordinamento l’incarico di
Sindaco è forse quello più direttamente e sostanzialmente focalizzato sulla
persona indicata dagli elettori per tale compito, una scelta che spesso può
comportare anche un doppio appuntamento con le urne (primo turno e ballottaggio).
Si tratta di un incarico nel quale un’intera città affida il proprio futuro
sociale e politico a una persona sulla quale ripone la propria fiducia. Non
prendere sul serio un tale incarico, non dedicare a esso tutto il proprio
impegno e tutte le proprie energie, e, soprattutto, non esitare a lasciarlo di
fronte a un’opportunità più allettante, mi apparve un atteggiamento sostanzialmente
contraddittorio con l’esigenza di un comportamento autenticamente “democratico”
da richiedere a quanti si vogliano candidare a ricoprire la funzione di
segretario del partito. In quei giorni verificavo, inoltre, come da mesi e mesi
Matteo Renzi, mettesse in secondo piano il proprio impegno di Sindaco,
suddividendo il proprio impegno e le proprie energie tra i compiti di primo
cittadino e le esigenze di costruzione della rete di relazioni utili per la
propria investitura a segretario del partito: era infatti visibile più spesso alle
kermesse della Leopolda che a Palazzo Vecchio. Quest’ostentato disinteresse per
le sorti di una città che aveva riversato la propria fiducia sulla sua persona,
contribuì, in consonanza con altre valutazioni, a orientare diversamente il mio
voto in occasione delle primarie.
L’esito del voto mostrò un diverso orientamento della maggioranza
dei sostenitori del nostro partito. Naturalmente la consapevolezza della
pluralità della nostra esperienza politica e la certezza che la nuova segreteria
non fosse venuta meno alla sfida di far sintesi delle diverse e variegate anime
del PD, e non avrebbe perso l’occasione per proporre una nuova, innovativa e
coinvolgente immagine del partito, capace di porsi al servizio del paese.
Il tempo passato, invece, ha confermato la validità della scelta
allora da me operata nel segreto delle urne delle primarie. Solo pochi mesi
dopo l’abbandono di Firenze, ecco una seconda vicenda dai lineamenti
sostanzialmente analoghi. Al neosegretario Renzi si prospetta la possibilità di
assumere l’incarico di nuovo Presidente del Consiglio e il nostro segretario
non ci pensa su due volte. Sceglie di accentrare sulla propria persona l’uno e
l’altro incarico, dimenticando che il concentrare su una sola persona due incarichi,
uno di partito e l’altro istituzionale, è un’operazione di dubbia, molto
dubbia, democraticità. Non è solo un problema di carico materiale di compiti,
che pur sussiste, non essendo nessuno dei due incarichi a part-time, ma un problema di distinzione delle funzioni. E in
democrazia la distinzione delle funzioni e l’autonomia del loro esercizio è un
valore fondamentale da salvaguardare. Entrano in gioco due funzioni essenziali
per la vita democratica che non possono essere confuse: da un lato c’è la
legittima rappresentanza di una parte politica e, dall’altro, la rappresentanza
del paese. Le due cose, al di là di illegittime e facili semplificazioni (anzi
banalizzazioni), non sono sovrapponibili. Per rendersene conto è sufficiente
pensare a quando Matteo Renzi fa una dichiarazione pubblica riportata dai
media, dalla stampa o dalle reti social.
In tali dichiarazioni Renzi esprime la posizione del partito o quella del
governo? Le posizioni del partito coincidono sempre con quelle del governo? E
questo conflitto di funzioni sussisterebbe anche nel caso di un governo
monocolore, perché un conto è la singola parte politica e, altro rilievo,
riveste rappresentare il “tutto” del paese.
Come elettore delle primarie mi sono sentito tradito dal segretario
del partito che avendo ricevuto la fiducia da migliaia e migliaia di
sostenitori del partito, non esita a scegliere di dedicare meno impegno e meno
energie all’incarico di segretario, per poter svolgere in contemporanea anche
quello di capo del Governo. Un “già visto” solo qualche mese prima.
Devo purtroppo ammettere che negli ultimi due anni mi sono sentito
ben poco rappresentato dalla segreteria Renzi e dalla nuova classe dirigente
del partito. E qui è giusto precisare che le ragioni delle mie rimostranze non
sono relative ai contenuti di linea politica, poiché è naturale che in una
realtà politica di natura plurale ci siano sensibilità diverse e anche
concorrenti. Ciò che, invece, mi ferisce profondamente è il deficit di “democraticità”
che si manifesta nel comportamento quotidiano del segretario Renzi e del gruppo
dirigente nel suo complesso.
In un primo tempo ho pensato che questa sensazione fosse soltanto
mia, una mia difficoltà di comprensione della “novità” renziana. E allora ho
cercato di parlarne il più possibile con altri cittadini, affezionati elettori
del PD. Ho interpellato tante persone e molto, molto spesso, ho verificato una
sostanziale insoddisfazione del comportamento degli attuali organi dirigenti
del partito. Voglio precisare che non mi sono rivolto a elettori di altri
partiti, dai quali sarebbe stato naturale registrare delle valutazioni del
genere. Parlo di persone che in parte conosco, e in parte si sono presentate
come “democratici” per nulla intenzionati a cambiare “bandiera”, ma tutti concordi
nel considerare quantomeno “indigesta” la segreteria renziana. Solo in rari
casi mi è capitato di verificare un sostanziale accordo con i comportamenti di
Renzi e del suo gruppo dirigente. Il mio, naturalmente, non è un sondaggio nel
senso tecnico del termine, ma una semplice e libera raccolta di opinioni operata
nell’ottica di una ricerca sincera del bene comune e del contributo che in tale
ricerca il nostro partito può dare al paese.
Il Partito democratico, a differenza di altre formazioni di nuovo e
di vecchio conio presenti nell’arena politica nazionale, è una realtà plurale
sin dalla sua nascita, frutto della libera convergenza di diverse, radicate e
onorate tradizioni culturali e politiche del nostro paese. La diversità e la
pluralità sono dunque connotati fondanti e distintivi della nostra esperienza
politica, dove naturalmente convergono e operano culture e sensibilità diverse,
un connotato che, se opportunamente declinato, pone il nostro partito nelle
condizioni per raccogliere in positivo le sfide poste dalla realtà della
globalizzazione e per offrire ai problemi a questa connessi un contributo di
idee e di azione rispettoso dei diritti e della dignità delle persone. Questo,
tuttavìa, è possibile se non ci sono cedimenti a logiche di natura
personalistica o monarchica diffuse su altre sponde.
Quindi attenzione alle posizioni diverse dalle proprie, sforzo
concreto a far sintesi politica tra le posizioni maggiormente rappresentate e
quelle meno, sono la sfida che una politica autentica, e degna di questo nome,
non esita a raccogliere e a far propria misurando su questo la propria capacità
d’innovazione della scena politica del paese.
E, invece, ho avuto la ventura di fare la triste constatazione di
una ripetuta comunicazione pubblica testardamente improntata alla gratuita autoglorificazione
e alla sprezzante e offensiva svalutazione preconcetta delle posizioni non
coincidenti con le proprie. Non solo! Alle posizioni di rifiuto del confronto
dialogico e costruttivo, si è associata la pervicace pratica di una linea della
“ruspa” e della “rottamazione”, che ha puntato a far “piazza pulita” del
pensiero libero e non servile, dando un esempio clamoroso di “cultura dello
scarto”, che alla fine non ha prodotto altro se non l’isolamento politico e
culturale del nostro partito.
E, infine, il punto più basso e, a mio parere, anche vergognoso, è
stato toccato lo scorso 17 aprile, in occasione del referendum popolare sulle cosiddette
“trivelle”. La scelta di disertare le urne, di non esprimere nella cabina
elettorale la propria posizione, è stata un vero ’e proprio tradimento
politico-culturale dell’aggettivo “democratico”, contenuto nella denominazione
del nostro partito. La qualifica di “democratico” non è un’etichetta posticcia
e priva di significato, come le stelle che possono anche stare a guardare, o come
l’Italia che può essere incitata in tono sportivo o invocata come radice di
fratellanza, ma non impedisce di far causa comune con le istanze di divisione. “Democratico”
vuol dire avere come primo punto di riferimento il rispetto dei diritti e della
dignità di tutti e avere a cuore il bene comune del paese, a cui non si fa
mancare il proprio contributo, partecipando in pienezza ai momenti di
decisionalità. Una forza autenticamente “democratica” in tale occasione si
sarebbe mobilitata per recarsi in gran numero ai seggî elettorali per esprimere
la propria posizione in merito al quesito proposto. La scelta di disertare l’appuntamento,
invece, si è concretizzata in una pratica di alterare la realtà del confronto,
riducendolo a una sorta di partita truccata. Ma quel che è più grave è che
attraverso la diserzione organizzata delle urne si è vanificato un sacrosanto
principio costituzionale: quello della segretezza del voto. Infatti quando si
organizza la diserzione di massa dei seggî elettorali, i verbali degli
appuntamenti referendarî si trasformano di fatto in elenchi nominativi dei
sostenitori di una sola delle opzioni in gioco. La disponibilità di tali
documentazioni potrebbe senza dubbio essere ritenuta molto utile da possibili
aspiranti dittatori.
Una forza politica autenticamente “democratica” si terrebbe con
grande attenzione lontana da simili derive autoritarie, che fanno poi la gioia delle
forze di cultura non democratica (per loro diviene così facile sostenere che la
democrazia non è possibile perché anche i cosiddetti democratici, se messi alle
strette, alla fine, pur di prevalere, scelgono le vie sbrigative e le maniere
forti). La pratica “democratica” dovrebbe essere la prima preoccupazione della
classe dirigente del nostro partito. I cedimenti sul piano della democraticità
dei comportamenti dovrebbero indurci ad aprire un’ampia riflessione tra i
sostenitori e gli elettori del nostro partito, sulla legittimità di perseguire
gli obiettivi politici, assicurando al contempo la piena democraticità delle
azioni poste in essere: rispetto delle opinioni diverse, dialogo a 360 gradi,
capacità politica di far sintesi, rispetto delle minoranza, rispetto dei
principî fondamentali della Costituzione, rispetto dei diritti e della dignità
della persona umana.
Non solo! Ritengo che bisogna prestare la massima attenzione a
quanto avvertito dall’elettorato del nostro partito che in larga parte sceglie
in forma non legata alle personalità dirigenti, che quindi assicura una
sostanziale tenuta anche al loro variare. Ma questa sostanziale tenuta non ci
deve impedire di comprendere se quanti votano per il PD, si sentano poi
pienamente rappresentati dalla successiva azione politica dello stesso PD. È
questo un compito dal quale non ci si può sottrarre. Sarebbe un autentico
suicidio politico aspettare che l’elettorato volti le spalle in massa prima di
correre ai ripari.
Mi auguro che nel partito e con i cittadini si apra quindi un’ampia
discussione sull’esigenza che prima della definizione dei programmi politici e
prima di operare le conseguenti scelte, sia prioritario assicurare la piena e
rispettosa pratica “democratica”. Su questo aspetto la segreteria Renzi appare,
a mio parere, molto deficitaria, e debitrice di una cultura fondata sul “prendersi
il partito” e non sul porsi al servizio del partito e del paese.
Gli elettori che votano per il Partito democratico si aspettano
legittimamente che il partito “sia” democratico e non “disertore” delle urne.
Vico Equense, domenica 9 ottobre 2016
Sergio Sbragia
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