sono stato un convinto elettore
del Partito Democratico sin dalla sua nascita. Pur non essendo formalmente
iscritto, ho partecipato a quasi tutti gli appuntamenti delle primarie (ne ho
saltato solo uno per ragioni di salute). Alle primarie che ti hanno scelto come
segretario del partito, non ho votato per te, perché non condividevo la tua
scelta di correre per l’incarico di segretario, mentre eri ancora in piena
carica Sindaco della città di Firenze. Sono infatti convinto essere preciso
“dovere democratico” il portare sino al loro naturale termine gli incarichi
istituzionali ricevuti dagli elettori evitando di abbandonarli, prima del
dovuto, per un incarico subentrato successivamente e ritenuto più interessante.
Già da questo si vede chi è “democratico” e chi non lo è.
Ho avuto modo di leggere la tua Enews n. 460 del 21 febbraio u. s. Ti
dico subito che non ne condivido né il tono né il contenuto.
Mi sorprende in particolare la
tua dichiarata difficoltà a comprendere i motivi del dibattito interno al partito,
la meraviglia dell’attenzione che la stampa e la comunicazione sociale stanno
dedicando a esso, e la convinzione che i cittadini normali non percepiscano le
ragioni e i contenuti di questo confronto.
Sinceramente ritengo, che, per
un leader politico, pensare che i cittadini non abbiano la capacità di valutare
con obiettività i contenuti di un confronto politico sia espressione di una
difficoltà a percepire in termini reali le aspirazioni, le preoccupazioni, i problemi,
i drammi, ma anche i sogni dei proprî concittadini. Questa difficoltà è stata
chiaramente rappresentata dall’esito dell’ultimo Referendum costituzionale,
dove gli elettori, in gran parte “democratici”, hanno negato il proprio
consenso a una riduzione della sovranità popolare, grazie alla sottrazione
dalle loro mani di ben due schede elettorali.
La sottovalutazione della
capacità dei cittadini di leggere la realtà del paese, è un pericoloso senso
superiorità della classe politica, che la allontana ancor più dalla
cittadinanza.
La realtà concreta invece è data
dalla sensazione diffusissima tra migliaia di elettori del Pd di non sentirsi
per nulla rappresentati dalla linea politica di cui in questi anni ti sei fatto
portatore alla guida del partito e del paese. E una sensazione reale, non
fondata su artificiali attività sondaggistiche preconfezionate né sull’andare
su e giù per il paese da una kermesse
all’altra a incontrare gruppi selezionati dalla voglia di star vicino al
potere, quanto dallo stare giorno per giorno, ventiquattro ore su ventiquattro,
tra la gente comune, quelli che lavorano, che il lavoro nemmeno lo hanno, che
studiano, che si danno da fare per la propria famiglia, che s’impegnano nella
solidarietà sociale, che pur avendo problemi, e finanche drammi, nonostante
tutto credono nella democrazia e nella politica come servizio al paese, come
azione comunitaria a favore dei più deboli, e non come ricerca del potere
personale o di piccolo gruppo. Non si appropriano di un partito, ma si pongono
al servizio di un’idea e del paese.
È certamente condivisibile la
tua affermazione, che riporto testualmente: «Penso che sia legittimo e doveroso
in un partito democratico, di nome e di fatto, che chi ha idee diverse possa
presentarle in un confronto interno, civile e pacato. Vinca il migliore e poi
chi vince ha il diritto di essere aiutato anche dagli altri: si chiama
democrazia interna». Quello della democrazia interna è certamente un principio
condivisibile. Ma a tal proposito dovresti per primo interrogarti se in questi
anni non sei stato proprio tu il primo a non rispettare tale principio.
Faccio solo qualche esempio.
In primo luogo la scelta,
decisamente “non democratica” e tipica dei partiti-azienda da te giustamente
deprecati, di concentrare sulla tua persona gli incarichi di Segretario
nazionale del Partito e di Presidente del Consiglio dei ministri, impedendo la
necessaria e doverosa distinzione tra le funzioni istituzionali e quelle di una
specifica parte politica. La distinzione delle funzioni e dei poteri è una
delle anime della democrazia. Il misconoscimento della doverosità di
distinguere le funzioni e i poteri crea effetti deleterî di potere
personalistico e oligarchico, di per sé estranei al patrimonio culturale e
valoriale del Partito democratico. È invece un comportamento promosso,
praticato e contrabbandato come innovativo e performante, dalla pratica
politica dei partiti-azienda, così come si sono storicamente presentati nel
nostro paese, con l’esperienza di Berlusconi e di Forza Italia. Penso che sia
buona e doverosa regola per un segretario democratico, allorché venga chiamato
a ricoprire l’incarico di capo del governo o di ministro di lasciare la
segreteria del partito. Ma tu non lo hai fatto. Bell’esempio di democrazia
interna!
In secondo luogo, in occasione
di incontri pubblici, arringando i tuoi più diretti sostenitori hai avuto modo
di affermare testualmente: «ci siamo presi il partito» [questa tua affermazione
è stata ampiamente riportata dai mezzi di comunicazione di massa]. Io penso che
un partito non sia e non debba essere proprietà di un singolo o di un piccolo
gruppo, ma l’espressione di un progetto politico comune, rispetto al quale ci
si pone in una logica di servizio e mai di appropriazione. Questa è la logica
dei partiti-azienda, di cui parlavamo prima, da te deprecata a parole, ma
sostanzialmente perseguita nella pratica concreta. D’altronde anche la politica
dello scarto da te ampiamente propagandata come “rottamazione” delle opinioni
presenti nel partito, ma colpevoli di essere diverse dalle tue, è stata a sua
volta culturalmente consonante con la “politica della ruspa” auspicata nello
stesso periodo dal leader di altra forza politica
In terzo luogo, lo scorso anno
abbiamo celebrato il cosiddetto referendum delle trivelle. Mi sono a dir poco
vergognato della scelta di diserzione delle urne operata dal Pd. Io sono
convinto che le posizioni politiche abbiano nelle urne il luogo primario di
espressione, e nelle urne vanno espresse. Lo scorso 17 aprile tutti noi
cittadini siamo stati chiamati a esprimerci in merito alla proposta abrogazione
di una norma di legge. Tutti avevamo la possibilità di recarci al voto e dare
liberamente il nostro contributo alla scelta. La diserzione delle urne invece è
un’alterazione delle regole del gioco. Una delle parti cerca scorrettamente di
avvantaggiarsi, sommando al proprio peso consensuale anche la quota dell’astensionismo
fisiologico. E questa è una scorrettezza democratica, priva di precedenti nell’esperienza
politica del Pd. I “democratici”, quelli veri, vanno alle urne a dire la
propria, non le disertano.
In quarto luogo, caro Matteo,
hai ridotto la materia Costituzionale a un capitolo di programma di un pezzo
del governo. La Costituzione è di tutti e non di una temporanea maggioranza. Le
modifiche costituzionali devono essere espressione di un ampio consenso, che
deve largamente travalicare la distinzione di maggioranza e opposizione. È
vero, che da parte delle opposizioni, a fronte di un’inziale disponibilità e
seguìto un successivo abbandono dei tavoli di lavoro, ma è altrettanto vero che
il governo non ha lasciato l’iniziativa alle forze parlamentari, ha prodotto un
testo contraddittorio e poco attento ai temi del contrappeso, e soprattutto mirante
a limitare le possibilità di esercizio della sovranità popolare.
Questi, che ho sinteticamente
richiamato, sono i miei principali e personali punti di dissenso rispetto alla
politica da te portata avanti alla guida del Partito democratico. Ho più volte
segnalato alla tua attenzione le ragioni del tuo dissenso. Oggi credo che la
misura sia colma, pertanto per correttezza ti comunico che, con dolore, non
darò più il mio appoggio e il mio voto al Partito democratico. Seguirò con
attenzione e partecipazione la nuova esperienza del Movimento dei democratici e
dei progressisti, che in questi giorni sta muovendo i primi passi. Mi auguro tuttavia
che ci siano ancora spazî per una riconciliazione e una riscoperta del
patrimonio più autentico del Partito democratico. Un onesto e autentico
riconoscimento delle tue responsabilità sarebbe un gesto di altissimo valore
politico. Sei ancora in tempo farlo! Ti invito con forza a valutare l’opportunità
di compierlo. La testardaggine, che è cosa molto diversa dalla tenacia, è uno
dei limiti peggiori per un leader politico.
In ogni caso voglio augurarti il
meglio per la tua persona e per i tuoi affetti e formularti un carissimo saluto.
In coscienza
Sergio Sbragia
Vico Equense, domenica 26 febbraio 2017