domenica 26 febbraio 2017

Caro Matteo, addìo


sono stato un convinto elettore del Partito Democratico sin dalla sua nascita. Pur non essendo formalmente iscritto, ho partecipato a quasi tutti gli appuntamenti delle primarie (ne ho saltato solo uno per ragioni di salute). Alle primarie che ti hanno scelto come segretario del partito, non ho votato per te, perché non condividevo la tua scelta di correre per l’incarico di segretario, mentre eri ancora in piena carica Sindaco della città di Firenze. Sono infatti convinto essere preciso “dovere democratico” il portare sino al loro naturale termine gli incarichi istituzionali ricevuti dagli elettori evitando di abbandonarli, prima del dovuto, per un incarico subentrato successivamente e ritenuto più interessante. Già da questo si vede chi è “democratico” e chi non lo è.
Ho avuto modo di leggere la tua Enews n. 460 del 21 febbraio u. s. Ti dico subito che non ne condivido né il tono né il contenuto.

Mi sorprende in particolare la tua dichiarata difficoltà a comprendere i motivi del dibattito interno al partito, la meraviglia dell’attenzione che la stampa e la comunicazione sociale stanno dedicando a esso, e la convinzione che i cittadini normali non percepiscano le ragioni e i contenuti di questo confronto.

Sinceramente ritengo, che, per un leader politico, pensare che i cittadini non abbiano la capacità di valutare con obiettività i contenuti di un confronto politico sia espressione di una difficoltà a percepire in termini reali le aspirazioni, le preoccupazioni, i problemi, i drammi, ma anche i sogni dei proprî concittadini. Questa difficoltà è stata chiaramente rappresentata dall’esito dell’ultimo Referendum costituzionale, dove gli elettori, in gran parte “democratici”, hanno negato il proprio consenso a una riduzione della sovranità popolare, grazie alla sottrazione dalle loro mani di ben due schede elettorali.

La sottovalutazione della capacità dei cittadini di leggere la realtà del paese, è un pericoloso senso superiorità della classe politica, che la allontana ancor più dalla cittadinanza.

La realtà concreta invece è data dalla sensazione diffusissima tra migliaia di elettori del Pd di non sentirsi per nulla rappresentati dalla linea politica di cui in questi anni ti sei fatto portatore alla guida del partito e del paese. E una sensazione reale, non fondata su artificiali attività sondaggistiche preconfezionate né sull’andare su e giù per il paese da una kermesse all’altra a incontrare gruppi selezionati dalla voglia di star vicino al potere, quanto dallo stare giorno per giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, tra la gente comune, quelli che lavorano, che il lavoro nemmeno lo hanno, che studiano, che si danno da fare per la propria famiglia, che s’impegnano nella solidarietà sociale, che pur avendo problemi, e finanche drammi, nonostante tutto credono nella democrazia e nella politica come servizio al paese, come azione comunitaria a favore dei più deboli, e non come ricerca del potere personale o di piccolo gruppo. Non si appropriano di un partito, ma si pongono al servizio di un’idea e del paese.

È certamente condivisibile la tua affermazione, che riporto testualmente: «Penso che sia legittimo e doveroso in un partito democratico, di nome e di fatto, che chi ha idee diverse possa presentarle in un confronto interno, civile e pacato. Vinca il migliore e poi chi vince ha il diritto di essere aiutato anche dagli altri: si chiama democrazia interna». Quello della democrazia interna è certamente un principio condivisibile. Ma a tal proposito dovresti per primo interrogarti se in questi anni non sei stato proprio tu il primo a non rispettare tale principio.

Faccio solo qualche esempio.

In primo luogo la scelta, decisamente “non democratica” e tipica dei partiti-azienda da te giustamente deprecati, di concentrare sulla tua persona gli incarichi di Segretario nazionale del Partito e di Presidente del Consiglio dei ministri, impedendo la necessaria e doverosa distinzione tra le funzioni istituzionali e quelle di una specifica parte politica. La distinzione delle funzioni e dei poteri è una delle anime della democrazia. Il misconoscimento della doverosità di distinguere le funzioni e i poteri crea effetti deleterî di potere personalistico e oligarchico, di per sé estranei al patrimonio culturale e valoriale del Partito democratico. È invece un comportamento promosso, praticato e contrabbandato come innovativo e performante, dalla pratica politica dei partiti-azienda, così come si sono storicamente presentati nel nostro paese, con l’esperienza di Berlusconi e di Forza Italia. Penso che sia buona e doverosa regola per un segretario democratico, allorché venga chiamato a ricoprire l’incarico di capo del governo o di ministro di lasciare la segreteria del partito. Ma tu non lo hai fatto. Bell’esempio di democrazia interna!

In secondo luogo, in occasione di incontri pubblici, arringando i tuoi più diretti sostenitori hai avuto modo di affermare testualmente: «ci siamo presi il partito» [questa tua affermazione è stata ampiamente riportata dai mezzi di comunicazione di massa]. Io penso che un partito non sia e non debba essere proprietà di un singolo o di un piccolo gruppo, ma l’espressione di un progetto politico comune, rispetto al quale ci si pone in una logica di servizio e mai di appropriazione. Questa è la logica dei partiti-azienda, di cui parlavamo prima, da te deprecata a parole, ma sostanzialmente perseguita nella pratica concreta. D’altronde anche la politica dello scarto da te ampiamente propagandata come “rottamazione” delle opinioni presenti nel partito, ma colpevoli di essere diverse dalle tue, è stata a sua volta culturalmente consonante con la “politica della ruspa” auspicata nello stesso periodo dal leader di altra forza politica

In terzo luogo, lo scorso anno abbiamo celebrato il cosiddetto referendum delle trivelle. Mi sono a dir poco vergognato della scelta di diserzione delle urne operata dal Pd. Io sono convinto che le posizioni politiche abbiano nelle urne il luogo primario di espressione, e nelle urne vanno espresse. Lo scorso 17 aprile tutti noi cittadini siamo stati chiamati a esprimerci in merito alla proposta abrogazione di una norma di legge. Tutti avevamo la possibilità di recarci al voto e dare liberamente il nostro contributo alla scelta. La diserzione delle urne invece è un’alterazione delle regole del gioco. Una delle parti cerca scorrettamente di avvantaggiarsi, sommando al proprio peso consensuale anche la quota dell’astensionismo fisiologico. E questa è una scorrettezza democratica, priva di precedenti nell’esperienza politica del Pd. I “democratici”, quelli veri, vanno alle urne a dire la propria, non le disertano.

In quarto luogo, caro Matteo, hai ridotto la materia Costituzionale a un capitolo di programma di un pezzo del governo. La Costituzione è di tutti e non di una temporanea maggioranza. Le modifiche costituzionali devono essere espressione di un ampio consenso, che deve largamente travalicare la distinzione di maggioranza e opposizione. È vero, che da parte delle opposizioni, a fronte di un’inziale disponibilità e seguìto un successivo abbandono dei tavoli di lavoro, ma è altrettanto vero che il governo non ha lasciato l’iniziativa alle forze parlamentari, ha prodotto un testo contraddittorio e poco attento ai temi del contrappeso, e soprattutto mirante a limitare le possibilità di esercizio della sovranità popolare.

Questi, che ho sinteticamente richiamato, sono i miei principali e personali punti di dissenso rispetto alla politica da te portata avanti alla guida del Partito democratico. Ho più volte segnalato alla tua attenzione le ragioni del tuo dissenso. Oggi credo che la misura sia colma, pertanto per correttezza ti comunico che, con dolore, non darò più il mio appoggio e il mio voto al Partito democratico. Seguirò con attenzione e partecipazione la nuova esperienza del Movimento dei democratici e dei progressisti, che in questi giorni sta muovendo i primi passi. Mi auguro tuttavia che ci siano ancora spazî per una riconciliazione e una riscoperta del patrimonio più autentico del Partito democratico. Un onesto e autentico riconoscimento delle tue responsabilità sarebbe un gesto di altissimo valore politico. Sei ancora in tempo farlo! Ti invito con forza a valutare l’opportunità di compierlo. La testardaggine, che è cosa molto diversa dalla tenacia, è uno dei limiti peggiori per un leader politico.

In ogni caso voglio augurarti il meglio per la tua persona e per i tuoi affetti e formularti un carissimo saluto.

In coscienza

Sergio Sbragia

Vico Equense, domenica 26 febbraio 2017

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