giovedì 7 dicembre 2017

Battesimo, eucarestìa, ministero



Battesimo, eucarestìa, ministero.

 Propongo il famoso documento del 1982
 della Commissione "Fede e Costituzione" del
Consiglio ecumenico delle Chiese,
corredato dai passi della Scrittura citati
nello stesso documento. Il confronto diretto
 Documento-Bibbia aiuta senz'altro ad 
approfondire i temi affrontati.

La Commissione «Fede e costituzione» del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), nella sessione svoltasi a Lima dal 3 al 15 gennaio 1982, approvò un documento dedicato al Battesimo, all’eucarestìa e al ministero. Questo documento si pone nel momento conclusivo di circa mezzo secolo di riflessione ecumenica. Da quel momento venne aperta una fase cosiddetta di «ricezione», con l’invito a tutte le chiese a dare, entro il 1984, il loro parere di accordo o meno sul documento pubblicato.
Tra i 120 teologi che parteciparono ai lavori della Commissione nella redazione del documento vi fu anche una rappresentanza cattolica. Il documento riveste una notevole importanza per il raggiungimento di un consenso su numerosi problemi e una generale convergenza di opinioni anche su punti che tradizionalmente sono stati punti di disputa tra le chiese. La finalità esplicita proposta dal documento è quella di delineare il quadro di una sola fede apostolica e di una sola comunità eucaristica. È naturalmente, quello di questo documento, un contributo elaborato in àmbito teologico. La formalizzazione dei livelli di consenso compete naturalmente alle chiese.
La prefazione del testo contiene una presentazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), e opera un’introduzione storica e un inquadramento generale del documento.


Prefazione


Il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), secondo la definizione che ne propone il propri atto costitutivo, è «una comunità fraterna di chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture e perciò si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito santo» (Costituzione).
Il Consiglio ecumenico non è tuttavìa un’autorità universale che definisce e controlla ciò che i cristiani dovrebbero credere e fare. Nel 1982, alla pubblicazione del documento, aveva raggiunto i tre decennî di attività, ed era giunto a raccoglier una comunità di circa trecento chiese, rappresentanti una ricca varietà di contesti culturali e tradizioni, celebranti il culto in molte lingue diverse e operanti in sistemi politici di ogni tipo. Nonostante queste differenze tutte le chiese aderenti sono impegnate in una stretta collaborazione fatta di testimonianza cristiana e di servizio. Allo stesso tempo esse sono impegnate insieme per conseguire la mèta dell’unità visibile della chiesa.
La Commissione “Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico assicura un sostegno teologico agli sforzi delle Chiese verso l’unità. La Commissione infatti è stata incaricata dalle Chiese membri del Consiglio di ricordar loro continuamente l’obbligo assunto di lavorare in vista della manifestazione in forma più visibile del dono accordato da Dio dell’unità della Chiesa. Così, il fine esplicito della Commissione è di "proclamare l’unicità della Chiesa di Gesù Cristo e di chiamare le Chiese a tendere alla meta dell’unità visibile in un’unica fede e in un’unica comunità eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo, affinché il mondo creda" (Regolamento).
Se le Chiese divise intendono davvero giungere all’unità visibile che esse cercano, uno dei presupposti essenziali è che sul battesimo, l’eucarestìa e il ministero esse siano in un fondamentale accordo. È dunque naturale che la Commissione "Fede e Costituzione" abbia lavorato assiduamente per superare la divisione dottrinale su questi tre temi. Durante gli ultimi cinquant’anni, la maggior parte delle sue conferenze ha avuto al centro delle discussioni l’uno o l’altro di questi argomenti.
I tre testi sono il frutto di un processo di ricerche di cinquant’anni i cui inizi risalgono alla prima Conferenza di "Fede e Costituzione", a Losanna nel 1927. Il materiale è stato discusso e rivisto dalla Commissione "Fede e Costituzione", ad Accra (1974), a Bangalore (1978) e a Lima (1982). Nei periodi tra le assemblee della Commissione plenaria, la Commissione permanente e il suo Comitato di lavoro su Battesimo, Eucarestìa e Ministero hanno proseguito il lavoro di redazione sotto la presidenza di fr. Max Thurian della comunità di Taizé.
Questi testi ecumenici riflettono la continua consultazione e collaborazione dei membri della Commissione (nominati dalle Chiese) tra loro e con le Chiese stesse. La quinta Assemblea del Consiglio Ecumenico (Nairobi 1975) ha autorizzato l’invio alle Chiese di un primo testo provvisorio perché lo studiassero (Quaderno Faith and Order, n. 73). ~ molto significativo che più di cento Chiese, praticamente di tutte le regioni e di tutte le tradizioni, abbiano inviato commenti dettagliati. Questi sono stati analizzati con cura in occasione di una consultazione a Crêt-Bérard, nel 1977 (Quaderno Faith and Order, n. 84).
Contemporaneamente, certi problemi particolarmente difficili vennero anch’essi analizzati in occasione di speciali consultazioni ecumeniche tenute sui seguenti temi: "Battesimo dei fanciulli e dei credenti", a Louisville nel 1978 (Quaderno Faith and Order, n. 97); "Episcopé ed episcopato", a Ginevra nel 1979 (Quaderno Faith and Order, n. 102). Il testo provvisorio è stato rivisto anche dai rappresentanti delle Chiese ortodosse a Chambesy nel 1979. Infine la Commissione "Fede e Costituzione" è stata nuovamente autorizzata dal Comitato centrale del Consiglio ecumenico a Dresda (1981) a trasmettere alle Chiese il testo rivisto per l’ultima volta (testo di Lima del 1982), domandando la loro risposta ufficiale come tappa di importanza vitale nel processo ecumenico di ricezione.
Questo lavoro non è stato compiuto soltanto da "Fede e Costituzione". I tre temi del battesimo, dell’eucarestìa e del ministero sono stati oggetto di ricerca in molti dialoghi ecumenici. I due principali tipi di conversazione tra le Chiese, il tipo bilaterale e quello multilaterale, si sono dimostrati complementari e reciprocamente benèfici. I tre rapporti della consultazione sulle conversazioni bilaterali lo mostrano chiaramente: "Concezioni dell’unità" (1978), "Consensus o testi di accordo" (1979), "Autorità e recezione" (1980), (Quaderno Faith and Order, n. 107). Di conseguenza, la Commissione "Fede e Costituzione", nella sua ricerca multilaterale concernente i tre temi, ha cercato di lavorare il più possibile sulla base dei risultati particolari raggiunti nelle conversazioni bilaterali. Difatti, uno dei compiti della Commissione è di valutare i risultati di tutti questi sforzi particolari a vantaggio del movimento ecumenico nel suo insieme.
Ugualmente importante per lo sviluppo di questo testo è stata la testimonianza di Chiese locali che sono già passate attraverso il processo di unione superando le divisioni confessionali. È importante riconoscere che la ricerca dell’unione delle Chiese a livello locale e la ricerca di un consenso universale sono intimamente legate.
Forse però su questi testi, più ancora che gli studi ufficiali, hanno influito i cambiamenti in atto nelle Chiese stesse. Viviamo in un momento cruciale della storia dell’umanità. Mentre progrediscono verso l’unità, le Chiese si domandano in che rapporto stiano la loro comprensione e la loro pratica del battesimo, della eucarestìa e del ministero con la loro missione nel quadro del rinnovamento della comunità umana e per esso, dal momento che esse cercano di promuovere la giustizia, la pace e la riconciliazione. Perciò il nostro testo non può venir dissociato dalla missione redentrice e liberatrice di Cristo attraverso le Chiese nel mondo moderno.
Come risultato degli studi biblici e patristici, insieme al rinnovamento liturgico e alla necessità di una testimonianza comune, si è effettivamente costituita una fraterna comunione ecumenica che sovente trascende le frontiere confessionali, e nella quale le vecchie differenze sono ora viste in una luce nuova. Così, benché il linguaggio sia ancora in larga misura classico nello sforzo di riconciliazione delle controversie storiche, questo testo ha una forza trainante sovente prodotta dalla sua contestualità e modernità. Questo fatto stimolerà certamente molte riformulazioni del testo nei vari linguaggi del nostro tempo.
A quali risultati ci hanno condotto questi sforzi? Come dimostra il testo di Lima, abbiamo già raggiunto un considerevole grado di accordo. Certamente non siamo ancora giunti ad un “consenso” (consentire), inteso qui come quella esperienza di vita e articolazione della fede che è necessaria per realizzare e conservare l’unità visibile della Chiesa. Un tale consenso è radicato nella comunione edificata su Cristo e sulla testimonianza degli apostoli. Come dono dello. Spirito, prima di poter essere articolato in parole mediante gli sforzi coordinati di tutti, esso si realizza come esperienza comune. Un consenso completo può solo essere proclamato dopo che le Chiese sono giunte al punto di poter vivere e agire insieme nell’unità.
Lungo il cammino verso la meta dell’unità visibile, le Chiese dovranno passare attraverso varie tappe. Esse sono state nuovamente benedette ascoltandosi a vicenda e tornando insieme alle sorgenti originarie, vale a dire "alla Tradizione dell’Evangelo attestato nella Scrittura, trasmesso nella Chiesa e da essa, mediante la potenza dello Spirito Santo" (Conferenza mondiale di "Fede e Costituzione", 1963).
Abbandonando le ostilità del passato, le Chiese hanno incominciato a scoprire molte convergenze promettenti nelle loro convinzioni e prospettive condivise. Queste convergenze danno la certezza che nonostante molte diversità nell’espressione teologica le Chiese hanno molto in comune nella loro comprensione della fede. Il testo che ne risulta tende a divenire parte di una immagine riflessa, fedele e sufficiente, della comune Tradizione cristiana su elementi essenziali della comunione cristiana. Nel processo di una crescita comune nella fiducia reciproca, le Chiese devono sviluppare queste convergenze dottrinali tappa dopo tappa, fino a quando saranno infine capaci di dichiarare insieme che esse vivono in comunione le une con le altre, in continuità con gli apostoli e con gli insegnamenti della Chiesa universale.
Il presente testo di Lima rappresenta la significativa convergenza teologica che "Fede e Costituzione" ha individuato e formulato. Coloro che sanno quanto le Chiese si sono differenziate nella dottrina e nella pratica del battesimo, dell’eucarestìa e del ministero, saranno in grado di valutare l’importanza di un accordo così ampio come quello qui registrato. Praticamente tutte le Tradizioni confessionali sono rappresentate nella Commissione. Che teologi di tradizioni così marcatamente differenti siano stati capaci di parlare in modo così armonico sul battesimo, l’eucarestìa e il ministero, è un fatto senza precedenti nel movimento ecumenico moderno. È specialmente degno di nota il fatto che la Commissione comprende anche tra i suoi membri a pieno diritto teologi della Chiesa cattolica romana e di altre Chiese che non fanno parte del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Nel corso di una valutazione critica, l’intenzione primaria di questo testo ecumenico deve essere tenuta ben presente. Il lettore non deve aspettarsi di trovare una trattazione teologica completa del battesimo, dell’eucarestìa e del ministero. Ciò non sarebbe né opportuno, né desiderabile. Il testo concordato si concentra intenzionalmente sugli aspetti del tema che sono direttamente o indirettamente in rapporto con i problemi del riconoscimento reciproco che conduce all’unità. Il testo principale evidenzia i punti più importanti di convergenza teologica; i commenti aggiunti indicano le differenze storiche che sono state superate, oppure individuano punti controversi che esigono ancora ricerca e riconciliazione.
Alla luce di tutti questi sviluppi, la Commissione "Fede e Costituzione" presenta ora alle Chiese questo testo di Lima (1982). Lo facciamo con profonda convinzione, poiché siamo divenuti sempre più consapevoli della nostra unità nel Corpo di Cristo. Abbiamo trovato motivo per rallegrarci riscoprendo le ricchezze della nostra comune eredità nell’Evangelo. Crediamo che lo Spirito
Santo ci ha condotti fino a questo momento - un kairos del movimento ecumenico - nel quale Chiese deplorevolmente divise sono state rese capaci di giungere ad accordi teologici sostanziali. Crediamo che molti progressi significativi sono possibili se nelle nostre Chiese avremo sufficiente coraggio e immaginazione per accogliere il dono dell’unità che Dio ci accorda.
Come prova concreta del loro impegno ecumenico, le Chiese sono invitate a rendere possibile il massimo coinvolgimento del popolo di Dio, a tutti i livelli della vita ecclesiastica, nel processo spirituale di ricezione di questo testo.
Alcuni suggerimenti particolari riguardanti il suo impiego nel culto, nella testimonianza e nella riflessione delle Chiese sono offerti in appendice.
La Commissione “Fede e Costituzione" invita ora rispettosamente tutte le Chiese a preparare una risposta ufficiale a questo testo, al più alto livello possibile di autorità, sia esso un Consiglio, un Sinodo, una Conferenza, un’Assemblea o qualunque altro organismo. Per favorire il processo di ricezione, la Commissione vorrebbe conoscere con la massima precisione possibile:
-          fino a che punto la vostra Chiesa può riconoscere in questo testo la fede della Chiesa attraverso i secoli;
-          quali conseguenze la vostra Chiesa può trarre da questo testo per le sue relazioni e dialoghi con altre Chiese, particolarmente con le Chiese che riconoscono anch’esse questo testo come una espressione della fede apostolica;
-          quali indicazioni la vostra Chiesa può ricevere da questo testo per il suo culto e per la sua vita e testimonianza nel campo dell’istruzione (cristiana), dell’etica e della spiritualità;
-          quali suggerimenti la vostra Chiesa può dare per il proseguimento del lavoro di "Fede e Costituzione" per quel che riguarda il rapporto tra il materiale di questo testo su battesimo, eucarestìa e ministero e il suo progetto di ricerca a lungo termine su "Verso un’espressione comune della fede apostolica oggi".
La nostra intenzione è di mettere a confronto tutte le risposte ufficiali che riceveremo, di pubblicare i risultati e di analizzarne le implicazioni ecumeniche per le Chiese, in occasione di una futura Conferenza Mondiale di "Fede e Costituzione".
Tutte le risposte a queste domande dovranno essere inviate entro il 31 dicembre 1984 al Segretariato di "Fede e ‘Costituzione", Consiglio Ecumenico delle Chiese, 150 route de Ferney, 1211 Ginevra 20, Svizzera.

William H. Lazareth, Direttore del Segretariato “Fede e Costituzione”
Nikos Nissiotis, Presidente della Commissione “Fede e Costituzione”




Battesimo


I. L’istituzione del Battesimo


1. Il battesimo cristiano è radicato nel ministero di Gesù di Nàzareth, nella sua morte e nella sua risurrezione. Esso è incorporazione in Cristo, Signore crocifisso e risorto; è ingresso nella Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo. Il battesimo è un dono di Dio ed è conferito nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. San Matteo riferisce che il Signore risorto, inviando i suoi discepoli nel mondo, ordinò loro di battezzare (Mt. 28,18-20).

Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt. 28,18-20).

La pratica universale del battesimo da parte della Chiesa apostolica, fin dai primissimi giorni, è attestata dalle lettere del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli e dagli scritti dei Padri. Le Chiese oggi continuano a praticare il battesimo come rito di impegno nei confronti del Signore che riversa la sua grazia sul suo popolo.


II. Il significato del Battesimo


2. Il battesimo è il segno della vita nuova per mezzo di Gesù Cristo. Esso unisce il battezzato con Cristo e col suo popolo. Le Scritture del Nuovo Testamento e la liturgia della Chiesa sviluppano il significato del battesimo, utilizzando varie immagini, che esprimono le ricchezze di Cristo e i doni della sua salvezza.
Queste immagini sono talvolta collegate con gli usi simbolici dell’acqua nell’Antico Testamento. Il battesimo è partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo (Rm. 6,3-5; Col. 2,12); purificazione dal peccato (1Cor. 6,11); nuova nascita (Gv. 3,5); illuminazione mediante Cristo (Ef. 5,14); rivestirsi di Cristo (Gal. 3,27); rinnovamento per opera dello Spirito (Tt. 3,5); esperienza di salvezza dalle acque del diluvio (1Pt. 3,20-21); esodo dalla schiavitù (1Cor. 10,1-2) e liberazione in vista di una nuova umanità in cui le barriere della divisione di sesso, razza e posizione sociale sono superate (Gal. 3,27-28; 1Cor. 12,13). Numerose sono le immagini, ma unica la realtà.

O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione (Rm. 6,3-5).

Con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti (Col 2,12).

E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1Cor. 6,11).

Rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv. 3,5).

Per questo è detto: / "Svégliati, tu che dormi, / risorgi dai morti / e Cristo ti illuminerà" (Ef. 5,14).

Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,27-28).

Egli ci ha salvati, / non per opere giuste da noi compiute, / ma per la sua misericordia, /
con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo (Tt. 3,5).

Che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo (1Pt. 3,20-21).

Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare (1Cor. 10,1-2).

Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito (1Cor 12,13).


a) Partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo


3. Il battesimo significa partecipazione alla vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Gesù è sceso nel Giordano ed è stato battezzato in solidarietà con i peccatori, per compiere ogni giustizia (Mt. 3,15). Questo battesimo ha condotto ‘Gesù sul cammino del Servo sofferente, manifestato nella sua passione, morte e risurrezione (Mc. 10,38-40.45). Tramite il battesimo, i cristiani sono immersi nella morte liberatrice di Cristo, in cui i loro peccati vengono sepolti, il "vecchio Adamo" viene crocifisso con Cristo e il potere del peccato viene infranto. Così i battezzati non sono più schiavi del peccato, ma liberi.

Ma Gesù gli rispose: "Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia". Allora egli lo lasciò fare (Mt. 3,15).

Gesù disse loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". […] Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc. 10,38-40.45).

Pienamente associati alla morte di Cristo, essi sono sepolti con lui e risuscitano qui e ora a una vita nuova nella potenza della risurrezione di Gesù Cristo, confidando di essere un giorno uniti a lui anche in una risurrezione simile alla sua (Rm. 6,3-11; Col. 2,13; 3,1; Ef. 2,5-6).

O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l'uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù (Rm. 6,3-11).

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe (Col. 2,13).

Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio (Col. 3,1).

Da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù (Ef. 2,5-6).


b) Conversione, perdono, purificazione.


4. Il battesimo, che rende i cristiani partecipi del mistero della morte e risurrezione di Cristo, implica confessione di peccato e conversione del cuore. Già il battesimo dato da Giovanni era un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Mc. 1,4). Il Nuovo Testamento sottolinea le implicazioni etiche del battesimo, rappresentandolo come un’abluzione che lava il corpo con acqua pura, una purificazione del cuore da ogni peccato e un atto di giustificazione (Eb. 10,22; 1Pt. 3,21; At. 22,16; 1Cor. 6,11). Così i battezzati vengono perdonati, purificati e santificati da Cristo; essi ricevono un nuovo orientamento etico sotto la guida dello Spirito Santo; questo fa parte della loro esperienza battesimale.

Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Mc. 1,4).

Accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura (Eb. 10,22).

Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo (1Pt. 3,21).

E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome" (At. 22,16).

E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1Cor. 6,11).


c) Dono dello Spirito


5. Lo Spirito Santo è all’opera nella vita delle persone, prima, durante e dopo il loro battesimo. È lo stessa Spirito che ha rivelato Gesù come il Figlio (Mc. 1,10-11) e che alla Pentecoste ha dato ai discepoli potenza e unità (At. 2). Dio riversa sopra i singoli credenti l’unzione e la promessa dello Spirito Santo, li segna col suo sigillo e mette nei loro cuori la caparra della loro eredità di figli e figlie di Dio. Lo Spirito Santo nutre la vita di fede nei loro cuori, sino alla liberazione finale, quando essi entreranno nel pieno possesso della loro eredità, a lode della gloria di Dio (2Cor. 1,21-22; Ef. 1,13-14).

E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento" (Mc. 1,10-11).

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio". Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di vino dolce".
Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: "Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino; accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele:
Avverrà : negli ultimi giorni - dice Dio -
su tutti effonderò il mio Spirito;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno ,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno sogni .
E anche sui miei servi e sulle mie serve
in quei giorni effonderò il mio Spirito
ed essi profeteranno.
Farò prodigi lassù nel cielo
e segni quaggiù sulla terra,
sangue, fuoco e nuvole di fumo.
Il sole si muterà in tenebra
e la luna in sangue,
prima che giunga il giorno del Signore ,
giorno grande e glorioso.
E avverrà :
chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato .
Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,
e anche la mia carne riposerà nella speranza,
perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi
né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto conoscere le vie della vita,
mi colmerai di gioia con la tua presenza .
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide infatti non salì al cielo; tuttavia egli dice:
Disse il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello dei tuoi piedi.
Sappia dunque con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso".
All'udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse loro: "Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro". Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: "Salvatevi da questa generazione perversa!". Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (At. 2).


È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori (2Cor. 1,21-22).

In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria (Ef. 1,13-14).

d) Incorporazione nel corpo di Cristo


6. Celebrato in obbedienza a Nostro Signore, il battesimo è un segno e un sigillo del nostro comune discepolato. Attraverso il loro battesimo, i cristiani sono posti in un rapporto di unione con Cristo, con ogni altro cristiano e con la Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Così il nostro comune battesimo, che ci unisce a Cristo nella fede, è un fondamentale legame di unità. Noi siamo un solo popolo e siamo chiamati a confessare e servire un solo Signore, in ogni luogo e in tutto il mondo. L’unione con Cristo, che condividiamo grazie al battesimo, ha delle implicazioni importanti per l’unità cristiana. "Vi è... un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti..." (Ef. 4,4-6). Quando nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, l’unità battesimale viene realizzata, allora può essere resa un’autentica testimonianza cristiana all’amore di Dio che guarisce e riconcilia. Perciò, il nostro unico battesimo in Cristo costituisce un appello alle Chiese perché superino le loro divisioni e manifestino visibilmente la loro comunione.

Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef. 4,4-6).

Commento                                         


L’incapacità delle Chiese di riconoscere a vicenda le loro diverse prassi battesimali come modi di partecipare all’unico battesimo, e il loro attuale stato di divisione malgrado il reciproco riconoscimento del battesimo, mettono drammaticamente in evidenza il fatto che la testimonianza della Chiesa è divisa. La disponibilità delle Chiese, in determinati luoghi e tempi, a permettere che le differenze di sesso, razza e condizione sociale dividano il corpo di Cristo, ha ulteriormente messo in questione l’autenticità dell’unità battesimale della comunità cristiana (Gal. 3,27-28), ed ha seriamente compromesso la sua testimonianza. Il bisogno di ritrovare l’unità battesimale è al centro del compito ecumenico, così come è fondamentale per attuare un’autentica fratellanza in seno alle comunità cristiane.


Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,27-28).


e) Segno del Regno


7. Il battesimo inaugura la realtà della vita nuova donata già in questo mondo. Rende partecipi della comunità dello Spirito Santo. È un segno del Regno di Dio e della vita del mondo futuro. Grazie ai doni della fede, della speranza e dell’amore, il battesimo possiede una dinamica ‘che investe la vita intera, si estende a tutte le nazioni e anticipa il giorno in cui ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.


III. Il battesimo e la fede


8. Il battesimo è allo stesso tempo un dono di Dio e la nostra risposta umana a quel dono. Esso tende ad una crescita verso la condizione di cristiani adulti, all’altezza della statura perfetta di Cristo (Ef. 4,13). Tutte le Chiese riconoscono la necessità della fede per ricevere la salvezza contenuta e manifestata nel battesimo. L’impegno personale è necessario per essere un membro responsabile del Corpo di Cristo.

Per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef. 4,12-13).

9. Il battesimo è in rapporto non solo con un’esperienza momentanea, ma con una crescita verso Cristo che dura tutta la vita. I battezzati sono chiamati ad essere un riflesso della gloria del Signore, in quanto Sono trasformati dalla potenza dello Spirito Santo nella Sua immagine, di gloria in gloria (2Cor. 3,18). La vita del cristiano è necessariamente un continuo combattimento, ma anche una continua esperienza di grazia. In questa relazione nuova, i battezzati vivono per Cristo, per la sua Chiesa e per il mondo che Egli ama, mentre attendono nella speranza la manifestazione della nuova creazione di Dio e il tempo in cui Dio sarà tutto in tutti (Rm. 8,18-24; 1Cor. 15,22-28.49-57).

E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (2Cor. 3,18).

Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? (Rm. 8,18-24).

Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
[…]
E come eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste. Vi dico questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità.
Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! (1Cor. 15,22-28.49-57).

10. Crescendo come cristiani nella vita di fede, i credenti battezzati attestano che l’umanità può essere rigenerata e liberata. Essi hanno, qui e ora, la comune responsabilità di rendere insieme testimonianza all’Evangelo di Cristo, liberatore di tutti gli esseri umani. Il contesto di questa comune testimonianza sono la Chiesa e il mondo. All’interno di una comunione di testimonianza e di servizio, i cristiani scoprono il pieno significato dell’unico battesimo come il dono di Dio a tutto il suo popolo. ‘Così pure riconoscono che il battesimo, in quanto battesimo nella morte di Cristo, ha delle implicazioni etiche, che non solo richiedono la santificazione personale, ma altresì spronano i cristiani a lottare perché si realizzi la volontà di Dio in tutti i settori della vita (Rm. 6,9ss; Gal. 3,26-28; 1Pt. 2,21-4,6).

Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù (Rm. 6,8-11).

Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,26-28).

A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio,
perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
insultato, non rispondeva con insulti,
maltrattato, non minacciava vendetta,
ma si affidava a colui
che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore,
ma ora siete stati ricondotti
al pastore e custode delle vostre anime.
Allo stesso modo voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti, perché, anche se alcuni non credono alla Parola, vengano riguadagnati dal comportamento delle mogli senza bisogno di discorsi, avendo davanti agli occhi la vostra condotta casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati, collane d'oro, sfoggio di vestiti - ma piuttosto, nel profondo del vostro cuore, un'anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. Così un tempo si ornavano le sante donne che speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di lei siete diventate figlie, se operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia.
Così pure voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della vita: così le vostre preghiere non troveranno ostacolo.
E infine siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione.
Chi infatti vuole amare la vita
e vedere giorni felici
trattenga la lingua dal male
e le labbra da parole d'inganno,
eviti il male e faccia il bene,
cerchi la pace e la segua,
perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti
e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere;
ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male.
E chi potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l'annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Avendo Cristo sofferto nel corpo, anche voi dunque armatevi degli stessi sentimenti. Chi ha sofferto nel corpo ha rotto con il peccato, per non vivere più il resto della sua vita nelle passioni umane, ma secondo la volontà di Dio. È finito il tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione, e vi oltraggiano. Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti. Infatti anche ai morti è stata annunciata la buona novella, affinché siano condannati, come tutti gli uomini, nel corpo, ma vivano secondo Dio nello Spirito (1Pt. 2,21-4,6).

IV. La prassi battesimale

a) Battesimo dei credenti e battesimo dei bambini

 11. Non si può escludere la possibilità che il battesimo dei bambini sia stato praticato anche nel periodo apostolico, ma il tipo di battesimo più chiaramente attestato nei documenti del Nuovo Testamento è quello che ha luogo in base a una confessione di fede personale.
Nel corso della storia, la prassi battesimale si è sviluppata secondo varie forme. Alcune Chiese battezzano bambini presentati da genitori o da tutori disposti a educarli nella fede cristiana, nella Chiesa e con essa. Altre Chiese praticano esclusivamente il battesimo di credenti capaci di fare una confessione di fede personale. Alcune di queste Chiese raccomandano che i bambini o i fanciulli vengano presentati e benedetti nel corso di una celebrazione che comprende abitualmente un rendimento di grazie per il dono del bambino e anche l’impegno della madre e del padre ad essere dei genitori cristiani.
Chiese battezzano dei credenti che, provenendo da altre religioni o dall’incredulità, accettano la fede cristiana e partecipano ad una istruzione catechistica.

12. Tanto il battesimo dei credenti quanto il battessimo dei bambini, hanno luogo nella Chiesa in quanto comunità di fede. Quando viene battezzata una persona in grado di rispondere delle sue azioni, una confessione di fede personale sarà parte integrante della celebrazione battesimale. Quando viene battezzato un bambino, la risposta personale verrà presentata più avanti, nel corso della vita. In entrambi i casi, il battezzato dovrà crescere nella comprensione della fede. Per quanti vengono battezzati in base alla loro propria confessione di fede, vi è sempre l’esigenza costante di una crescita continua della risposta personale nella fede.
Nel caso dei bambini, una confessione personale è richiesta più tardi; l’educazione cristiana tende a far scaturire questa confessione. Ogni battesimo affonda le sue radici nella fedeltà di Cristo fino alla morte e proclama questa fedeltà. Esso si situa nel quadro della vita e della fede della Chiesa, e attraverso la testimonianza di tutta la Chiesa mette in luce la fedeltà di Dio, fondamento di ogni vita nella fede. Ad ogni battesimo, l’intera comunità riafferma la sua fede in Dio e si impegna a fornire al battezzato un contesto di testimonianza e di servizio. Il battesimo, dunque, dovrebbe essere sempre celebrato e sviluppato nel quadro della comunità cristiana.

Commento

 Quando si utilizzano le espressioni "battesimo dei bambini" e "battesimo dei credenti", bisogna tener presente ‘che la vera distinzione è tra coloro che battezzano persone di qualunque età e coloro che battezzano solamente persone capaci di pronunciare esse stesse la confessione di fede. Tra il battesimo dei bambini e il battesimo dei credenti, la differenza risulta minore se si riconosce che nelle due forme di battesimo prende corpo l’iniziativa di Dio in Cristo e che esse esprimono una risposta di fede data in seno alla comunità credente.
La pratica del battesimo dei bambini sottolinea la fede comunitaria e la fede che il bambino condivide con i suoi genitori. Il bambino è nato in un mondo diviso e vi partecipa. Mediante il battesimo, la promessa e la chiamata dell’Evangelo sono poste sopra il bambino. La fede personale del battezzato e la sua partecipazione fedele alla vita della Chiesa sono essenziali affinché il battesimo porti tutti i suoi frutti.
La pratica del battesimo dei credenti sottolinea la confessione esplicita della persona che risponde alla grazia di Dio, dentro e attraverso la comunità di fede, e che chiede il battesimo. Ambedue le forme del battesimo esigono un atteggiamento egualmente responsabile in rapporto all’educazione cristiana. Una riscoperta del carattere permanente della formazione cristiana può facilitare la reciproca accettazione di differenti pratiche di iniziazione.
In alcune Chiese, che abbinano le tradizioni del battesimo dei bambini e del battesimo dei credenti, è stato possibile considerare come alternative equivalenti per l’entrata nella Chiesa, sia la forma secondo la quale il battesimo conferito nell’infanzia è seguito più tardi da una professione di fede, sia la forma secondo la quale il battesimo dei credenti fa seguito a una presentazione e ad una benedizione avvenute nell’infanzia. Questo esempio invita altre Chiese a decidere se esse pure non possano riconoscere delle alternative equivalenti nelle loro relazioni reciproche e nelle trattative di unione tra le Chiese.

13. Il battesimo è un atto irripetibile. Bisogna evitare qualsiasi pratica che possa venire interpretata come un "ri-battesimo".


Commento


Certe Chiese, che avevano insistito su una particolare forma di battesimo, o che avevano avuto seri problemi a proposito dell’autenticità dei sacramenti e dei ministeri di altre Chiese, hanno talvolta richiesto a chi veniva da altre tradizioni ecclesiali di essere battezzato prima di diventare membro in piena comunione. Dal momento che le Chiese sono giunte ad una più ampia comprensione ed accettazione reciproca, ed entrano in più strette relazioni di testimonianza e di servizio, esse vorranno astenersi da ogni pratica che possa mettere in dubbio l’integrità sacramentale delle altre Chiese o attenuare il carattere irripetibile del sacramento del battesimo.


b) Battesimo - Crismazione - Confermazione


14. Nell’opera di Dio per la salvezza, il mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo è inseparabilmente legato al dono pentecostale dello Spirito Santo. Così pure, la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo è inseparabilmente legata all’accoglienza dello Spirito. Nel suo senso pieno, il battesimo significa e attua l’una e l’altra cosa.
I cristiani hanno opinioni diverse per quanto concerne l’individuazione del segno del dono dello Spirito. Atti diversi sono stati associati al dono dello Spirito. Per alcuni, è il rito stesso dell’acqua. Per altri, è l’unzione con il crisma e/o l’imposizione delle mani, che molte Chiese chiamano confermazione. Per altri ancora, si tratta di tutti e tre i gesti, poiché essi considerano che lo Spirito agisce attraverso l’intero rito. Tutti sono d’accordo nel dire che il battesimo cristiano è in acqua e Spirito Santo.


Commento


a) In certe tradizioni, si precisa che, come il battesimo ci rende conformi al Cristo crocifisso, sepolto e risorto, così, con la crismazione, i cristiani ricevono il dono dello Spirito della Pentecoste da parte del Figlio che ha ricevuto l’unzione.
b) Se il battesimo, come incorporazione nel Corpo di Cristo, tende per sua stessa natura alla comunione eucaristica del corpo e del sangue di Cristo, ci si chiede come mai un rito ulteriore e separato possa interporsi tra il battesimo e l’ammissione alla comunione. Le Chiese che battezzano dei bambini, ma rifiutano loro la partecipazione all’eucarestìa prima di quel rito, dovrebbero domandarsi se hanno pienamente valutato e accettato le conseguenze del battesimo.
c) Il battesimo ha bisogno di essere incessantemente riaffermato. La forma più naturale di riaffermazione è la celebrazione dell’eucarestìa. Il rinnovo degli impegni battesimali può aver luogo anche in altre occasioni, come la celebrazione annuale del mistero pasquale oppure quando vengono battezzate altre persone.


c) Verso un riconoscimento reciproco del battesimo

 15. Sempre più le Chiese praticano tra loro il riconoscimento reciproco del battesimo come l’unico battesimo in Cristo, quando Gesù Cristo è stato confessato dal candidato come Signore, oppure quando, come nel caso di battesimo di un bambino, questa confessione è stata fatta dalla ‘Chiesa (genitori, tutori, padrini, madrine e comunità) ed affermata più tardi attraverso la fede e l’impegno personale. Il riconoscimento reciproco del battesimo è considerato un segno e un mezzo importante per esprimere l’unità battesimale donata in Cristo.
Ovunque è possibile, le Chiese dovrebbero esprimere in modo esplicito il riconoscimento reciproco dei loro battesimi.

16. Coloro che praticano il battesimo dei credenti e coloro che battezzano i bambini dovrebbero, per superare le loro divergenze, riconsiderare alcuni aspetti delle loro prassi. I primi potrebbero cercare di esprimere più visibilmente il fatto che i bambini sono posti sotto la protezione della grazia di Dio. I secondi devono guardarsi da una pratica battesimale pressoché indiscriminata e prendere più sul serio la loro responsabilità nell’educazione dei bambini battezzati in vista di un impegno adulto per Cristo.


d) La celebrazione del battesimo


17. Il battesimo viene celebrato con acqua, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

18. Nella celebrazione del battesimo, il valore simbolico dell’acqua dovrebbe essere preso sul serio e non minimizzato. L’atto dell’immersione può esprimere con evidenza visiva il fatto che, nel battesimo, il cristiano partecipa alla morte, sepoltura e risurrezione di Cristo.


Commento

In alcune tradizioni teologiche, l’uso dell’acqua, con tutte le sue associazioni positive con la vita e la benedizione, significa la continuità tra la vecchia e la nuova creazione, manifestando così il significato del battesimo non solamente per gli esseri umani, ma anche per tutto il cosmo. Nello stesso tempo, l’uso dell’acqua rappresenta una purificazione della creazione, un morire a tutto ciò che nel mondo è negativo e distruttivo: quelli che sono battezzati nel Corpo di Cristo sono resi partecipi d’un’esistenza rinnovata.


19. Come già accadeva nei primi secoli, il dono dello Spirito nel battesimo può essere significato in altri modi ancora: per esempio, con il segno dell’imposizione delle mani e con l’unzione o crismazione. Il segno della croce stesso richiama il dono promesso dello Spirito Santo, che è la caparra e il pegno di ciò che deve ancora venire, quando Dio avrà pienamente redento quelli che Egli si è acquistato (Ef. 1,13-14). Si può pensare che la riscoperta di questi segni molto espressivi possa arricchire la liturgia.

In lui anche voi,
dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza,
e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è caparra della nostra eredità,
in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria (Ef. 1,13-14).

20. In ogni liturgia completa del battesimo dovrebbero trovar posto almeno i seguenti elementi: la proclamazione dei passi biblici relativi al battesimo; un’invocazione dello Spirito Santo; una rinuncia al male; una professione di fede in Cristo e nella Santa Trinità; l’uso dell’acqua; una dichiarazione che le persone battezzate hanno acquisito una nuova identità come figli e figlie di Dio, e come membri della Chiesa chiamati ad essere testimoni del Vangelo. Alcune Chiese ritengono che l’iniziazione cristiana non è completa senza il suggello del dono dello Spirito Santo e la partecipazione del battezzato alla santa comunione.

21. Nel quadro del servizio battesimale, è bene spiegare il senso del battesimo secondo la Scrittura: partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, conversione, perdono e purificazione, dono dello Spirito, incorporazione nel Corpo di Cristo e segno del Regno.


Commento


Il dibattito recente dimostra che bisognerebbe prestare maggiore attenzione a possibili malintesi favoriti dal contesto socio culturale in cui il battesimo ha luogo.
a) In alcune parti del mondo, l’uso di dare un nome al battezzato nel corso della liturgia battesimale ha portato alla confusione tra battesimo e riti particolari che accompagnano l’attribuzione del nome. Questa confusione è particolarmente spiacevole se, in culture a predominanza non-cristiana, i battezzati devono ricevere dei nomi cristiani che non sono radicati nella loro tradizione culturale. Quando le Chiese preparano la loro normativa sul battesimo, dovrebbero essere attente a mantenere l’accento sul vero significato cristiano del battesimo, e ad evitare che i battezzati siano inutilmente estraniati dalla loro cultura locale a motivo dell’imposizione di nomi stranieri. Un nome ricevuto dalla propria cultura d’origine radica il battezzato in questa cultura e, nello stesso tempo, manifesta l’universalità del battesimo, incorporazione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, che si estende in tutte le nazioni della terra.
b) In parecchie Chiese moltitudiniste europee e nord-americane, il battesimo dei bambini viene sovente praticato in maniera apparentemente indiscriminata. Ciò contribuisce a rendere le Chiese che praticano il battesimo dei credenti riluttanti a riconoscere la validità del battesimo dei bambini; d’altra parte questo stesso fatto suscita una riflessione più critica sul significato del battesimo in seno a queste stesse Chiese moltitudiniste.
c) Alcune Chiese africane praticano il battesimo dello Spirito Santo senza acqua, con l’imposizione delle mani, pur riconoscendo il battesimo di altre Chiese. è necessario studiare questa pratica e la sua relazione con il battesimo di acqua.

22. Il battesimo è celebrato normalmente da un ministro ordinato, benché in alcune circostanze altri siano autorizzati a battezzare.

23. Poiché il battesimo è strettamente legato alla vita comunitaria e al culto della Chiesa, di norma dovrebbe essere amministrato durante un culto, in modo che ai membri della comunità possa essere ricordato il loro ‘stesso battesimo, ed essi possano dare il benvenuto nella loro comunione fraterna a coloro che vengono battezzati e che essi sono impegnati a formare nella fede cristiana.
Come era consuetudine nella Chiesa antica, le grandi feste di Pasqua, di Pentecoste e dell’Epifania sono le più indicate per la celebrazione del battesimo.




EUCARESTÌA


I. L’istituzione dell’Eucarestìa


1. La Chiesa riceve l’eucarestìa come un dono da parte del Signore. Scriveva san Paolo: "Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria (anamnesis) di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me" (1Cor. 11,23-25; cf. Mt. 26,26-29; Mc. 14,22-25; Lc. 22,14-24).

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me" (1Cor. 11,23-25).

Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio" (Mt. 26,26-29).

E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio" (Mc. 14,22-25).

Quando venne l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio". Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi". "Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell'uomo dal quale egli viene tradito!". Allora essi cominciarono a domandarsi l'un l'altro chi di loro avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande (Lc. 22,14-24).

I pasti che Gesù ha condiviso durante il suo ministero terreno e dei quali ci è stato conservato il racconto, proclamano e rendono operante la vicinanza del Regno, di cui la moltiplicazione dei pani è un segno. Nell’ultima Cena, la comunione del Regno è stata messa in relazione con la prospettiva della sofferenza di Gesù. Dopo la risurrezione, il Signore ha manifestato ai suoi discepoli la sua presenza spezzando il pane. L’eucarestìa si trova così in continuità con questi pasti di Gesù durante la sua vita terrena e dopo la sua risurrezione, sempre come segni del Regno. I cristiani vedono prefigurazioni dell’Eucarestìa nel memoriale pasquale della liberazione di Israele dal paese della schiavitù e nel banchetto del Patto sul Monte Sinai (Es. 24). L’eucarestìa è il nuovo convito pasquale della Chiesa, il banchetto della Nuova Alleanza che Cristo ha dato ai suoi discepoli come l’anamnesis [cioè il memoriale] della sua morte e della sua risurrezione, come l’anticipazione della Cena dell’Agnello (Ap. 19,9); Cristo ha così ordinato discepoli di ricordano e di incontrarlo in questo banchetto sacramentale, come popolo di Dio, pellegrinante fino al suo ritorno.

Il Signore disse a Mosè: "Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, solo Mosè si avvicinerà al Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui". Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: "Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!". Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto". Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!". Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d'Israele. Essi videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro, limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: "Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli". Mosè si mosse con Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: "Restate qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro". Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti (Es. 24).

Allora l'angelo mi disse: "Scrivi: Beati gli invitati al banchetto di nozze dell'Agnello!". Poi aggiunse: "Queste parole di Dio sono vere" (Ap. 19,9).


L’ultima cena celebrata da Gesù fu un pasto liturgico che utilizzava parole e gesti simbolici. Di conseguenza, l’eucarestìa è un pasto sacramentale che, per mezzo di segni visibili, ci comunica l’amore di Dio in Gesù Cristo, l’amore con il quale Gesù amò i suoi " sino alla fine " (Gv. 13,1). Esso ha ricevuto diversi nomi: per esempio cena del Signore, frazione del pane, santa cena, santa comunione, divina liturgia, messa. La sua celebrazione continua come l'atto centrale del culto della Chiesa.

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv. 13,1).



II. Il significato dell’Eucarestìa

2. L'eucarestìa è essenzialmente il sacramento del dono che Dio ci fa in Cristo per la forza dello Spirito. Ogni cristiano riceve questo dono di salvezza mediante la comunione al corpo e al sangue di Cristo. Nel banchetto eucaristico, nell'atto di mangiare il pane e bere il vino, Cristo accorda la comunione con Lui. Dio stesso agisce, dando vita al corpo di Cristo e rinnovandone ogni membro. Secondo la promessa di Cristo, ogni membro battezzato del corpo di Cristo riceve nell'eucarestìa l'assicurazione del perdono dei peccati (Mt. 26,28), e il pegno della vita eterna (Gv. 6,51-58). Benché l’eucarestìa sia essenzialmente un tutto unico, essa verrà qui considerata sotto i seguenti aspetti: azione di grazie al Padre, memoriale di Cristo, invocazione dello Spirito, comunione dei fedeli, banchetto del Regno.


Perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati (Mt. 26,28).

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Gesù disse loro: "In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno" (Gv. 6,51-58).


a) L’eucarestìa come azione di grazie al Padre

3. L’eucarestìa, che comprende sempre la parola e il sacramento, è una proclamazione e una celebrazione dell’opera di Dio. E la grande azione di grazie al Padre per tutto ciò che ha compiuto nella creazione, nella redenzione e nella santificazione, per tutto ciò che compie nella Chiesa e nel mondo nonostante i peccati degli esseri umani, per tutto ciò che compirà portando il suo Regno alla pienezza. Così l’eucarestìa è la benedizione (berakah) con cui la Chiesa esprime la sua riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici.

4. L’eucarestìa è il grande sacrificio di lode, con il quale la Chiesa parla a nome dell’intera creazione. Difatti in ogni eucarestìa è presente il mondo che Dio ha riconciliato a sé: nel pane e nel vino, nella persona dei fedeli e nelle preghiere che essi offrono per se stessi e per tutti gli esseri umani. Cristo unisce a sé i fedeli e associa le loro preghiere alla propria intercessione, di modo che i fedeli vengono trasfigurati e le loro preghiere accolte. Questo sacrificio di lode è possibile solo per mezzo di Cristo, con lui e in lui. Il pane e il vino, frutti della terra e del lavoro degli uomini, vengono presentati al Padre nella fede e nell’azione di grazie. L’eucarestìa significa così ciò che il mondo deve diventare: un’offerta e un inno di lode al Creatore, una comunione universale nel corpo di Cristo, un regno di giustizia, amore e pace nello Spirito Santo.

b) L’eucarestìa come anamnesi o memoriale di Cristo

5. L’eucarestìa è il memoriale di Cristo crocifisso e risorto, cioè il segno vivo ed efficace del suo sacrificio, compiuto una volta per tutte sulla croce e ancora operante in favore di tutta l’umanità. L’idea biblica del memoriale applicata all’eucarestìa rinvia a questa efficacia attuale dell’opera di Dio quando essa viene celebrata dal suo popolo in una liturgia.
6. Cristo stesso, con tutto ciò che ha compiuto per noi e per l’intera creazione nella sua incarnazione, nella sua condizione di servo, nel suo ministero, nel suo insegnamento, nella sua sofferenza, nel suo sacrificio, nella sua risurrezione, nella sua ascensione e nell’invio dello Spirito Santo, è presente in questa anamnesis [o memoriale], accordandoci la comunione con sé. L’eucarestìa è anche l’anticipazione del suo ritorno e del Regno finale.
7. Il memoriale, in cui Cristo agisce attraverso la gioiosa celebrazione della sua Chiesa, è dunque al tempo stesso rappresentazione e anticipazione. Esso non è solamente un richiamare alla memoria ciò che è passato e il suo significato. E la proclamazione efficace, tramite la Chiesa, dei potenti atti di Dio e delle sue promesse.
8. Il memoriale, rappresentazione e anticipazione, si esprime in preghiere di ringraziamento e intercessione. Ricordando con gratitudine i potenti atti di redenzione compiuti da Dio, la Chiesa lo supplica di concedere a ogni essere umano i benefici di quegli atti. Nella preghiera di ringraziamento e intercessione, la Chiesa è unita al Figlio, suo sommo Sacerdote e Intercessore (Rm. 8,34; Eb. 7,25). L’eucarestìa è il sacramento del sacrificio unico di Cristo, sempre vivente per intercedere in nostro favore. Essa è il memoriale di tutto ciò che Dio ha fatto per la salvezza del mondo. Quello che Dio ha voluto compiere nell’incarnazione, nella vita, morte, risurrezione e ascensione di Cristo, Egli non lo ripete. Questi avvenimenti sono unici e non possono essere né ripetuti né prolungati. Tuttavia, nel memoriale dell’eucarestìa, la Chiesa offre la sua intercessione, in comunione con Cristo nostro sommo Sacerdote.

Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! (Rm. 8,34).

Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore (Eb. 7,25).

Commento

È alla luce del significato dell’eucarestìa come intercessione che si possono comprendere i riferimenti all’eucarestìa come " sacrificio propiziatorio " fatti nell’ambito della teologia cattolica. Il senso è che c’è una sola espiazione, quella dell’unico sacrificio della croce, reso operante nell’eucarestìa e presentato al Padre nell’intercessione di Cristo e della Chiesa a favore di tutta l’umanità. Alla luce della concezione biblica del memoriale, tutte le Chiese potrebbero rivedere le vecchie controversie a proposito della nozione di " sacrificio " e approfondire la loro comprensione delle ragioni per le quali tradizioni diverse dalla loro hanno utilizzato oppure rigettato questo termine.



9. L’anamnesis di Cristo è il fondamento e la sorgente di ogni preghiera cristiana. Così, la nostra preghiera fa assegnamento sulla continua intercessione del Signore risorto e le è unita. Nell’eucarestìa Cristo ci rende capaci di vivere con lui, di soffrire con lui e di pregare tramite suo come peccatori giustificati, compiendo liberamente e gioiosamente la sua volontà.
10. In Cristo offriamo noi stessi in sacrificio vivente e santo nella nostra vita quotidiana (Rm. 12,1; 1Pt. 2,5): questo culto spirituale gradito a Dio è alimentato nell’eucarestìa, nella quale siamo santificati e riconciliati nell’amore per essere servitori della riconciliazione nel mondo.

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm. 12,1).

Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo (1Pt. 2,5).

11. Uniti al nostro Signore e in comunione con tutti i santi e i martiri, siamo rinnovati nell’alleanza suggellata dal sangue di Cristo.
12. Poiché l’anamnesis di Cristo è il contenuto vero e proprio della Parola predicata, così come lo è del pasto eucaristico, la prima dà forza al secondo, e viceversa. Una corretta celebrazione dell’eucarestìa comprende la proclamazione della Parola.
13. Le parole e i gesti di Cristo nell’istituzione dell’eucarestìa stanno al centro della celebrazione: il banchetto eucaristico è il sacramento del Corpo e del sangue di Cristo, il sacramento della sua presenza reale. Cristo realizza in molteplici modi la sua promessa di essere sempre con i suoi, sino alla fine del mondo. Ma il modo della presenza di Cristo nell’eucarestìa è unico. Sul pane e sul vino dell’eucarestìa Gesù ha detto: " Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue... ". Ciò che Cristo ha detto è vero, e questa verità si compie ogni volta che l’eucarestìa viene celebrata. La Chiesa confessa la presenza reale, vivente e attiva di Cristo nell’eucarestìa. Benché la presenza reale di Cristo nell’eucarestìa non dipenda dalla fede degli individui, tutti però concordano nel riconoscere che per discernere il corpo e il sangue di Cristo occorre la fede.


Commento


Molte Chiese credono che, per le parole stesse di Gesù e per la potenza dello Spirito Santo, il pane e il vino dell’eucarestìa diventano, in una maniera reale benché misteriosa, il corpo e il sangue del Cristo risorto, cioè del Cristo vivente, presente in tutta la sua pienezza. Sotto i segni del pane e del vino, la realtà più profonda è l’essere intero di Cristo, che viene a noi per nutrirci e trasformare tutto il nostro essere. Altre Chiese, pur affermando una presenza reale di Cristo nell’eucarestìa, non legano in modo così preciso questa presenza ai segni del pane e del vino. Le Chiese devono decidere se questa differenza può coesistere con la convergenza formulata nel testo.


c) L’eucarestìa come invocazione dello Spirito


14. Lo Spirito rende il Cristo crocifisso e risorto realmente presente per noi nel pasto eucaristico, realizzando la promessa contenuta nelle parole dell’istituzione. La presenza di Cristo è chiaramente il centro dell’eucarestìa, e perciò la promessa contenuta nelle parole dell’istituzione è fondamentale per la celebrazione. Tuttavia, il Padre è l’origine prima e il compimento finale dell’evento eucaristico. Il Figlio di Dio incarnato, mediante il quale e nel quale quell’evento si compie, ne è il centro vivente. Lo Spirito Santo è l’incommensurabile forza d’amore che lo rende possibile e continua a renderlo efficace. Il legame tra la celebrazione eucaristica e il mistero del Dio Trinitario rivela il ruolo dello Spirito Santo come quello di Colui che rende presente e viva la Parola storica di Gesù. Nella certezza di venire esaudita in forza della promessa di Cristo contenuta nelle parole dell’istituzione, la Chiesa domanda al Padre il dono dello Spirito Santo, affinché l’evento eucaristico possa essere una realtà: la presenza reale di Cristo crocifisso e risorto, che dona la sua vita per l’intera umanità.


Commento


Non si vuole spiritualizzare la presenza eucaristica di Cristo, ma affermare l’unione indissolubile tra il Figlio e lo Spirito. Questa unione manifesta che l’eucarestìa non è un atto magico e automatico, ma una preghiera rivolta al Padre, che accentua l’assoluta dipendenza della Chiesa da Lui. Le parole dell’istituzione, promessa di Cristo, e l’epiclesi, invocazione dello Spirito, sono tra loro in stretta relazione nella liturgia. L’epiclesi è diversamente situata in rapporto alle parole dell’istituzione, nelle diverse tradizioni liturgiche. Nelle liturgie primitive, l’intera "azione di preghiera" era concepita come portatrice della realtà promessa da Cristo. L’invocazione dello Spirito veniva fatta sia sulla comunità, sia sugli elementi del pane e del vino. Il ricupero di questa concezione può aiutarci a superare le nostre difficoltà riguardo ad un particolare momento di consacrazione.


15. E in virtù della parola vivente di Cristo e per la potenza dello Spirito, che il pane e il vino diventano i segni sacramentali del corpo e del sangue di Cristo. Essi rimangono tali in vista della comunione.


Commento


Nella storia della Chiesa ci sono stati diversi tentativi di comprendere il mistero della presenza reale e unica di Cristo nell’eucarestìa. Alcuni si accontentano semplicemente di affermare questa presenza, senza cercare di spiegarla. Altri considerano necessario affermare [che avviene] un cambiamento attuato dallo Spirito Santo e dalle parole di Cristo, in conseguenza del quale non ci sono più soltanto pane e vino ordinari, bensì il corpo e il sangue di Cristo. Altri ancora hanno elaborato una spiegazione della presenza reale che, senza pretendere di esaurire il significato del mistero, cerca di salvaguardarla da interpretazioni che le recano danno.

16. L’intera celebrazione dell’eucarestìa ha un carattere "epicletico", perché dipende dall’azione dello Spirito Santo. Questo aspetto dell’eucarestìa trova differenti espressioni nelle parole della liturgia.
17. La Chiesa, come comunità della Nuova Alleanza, invoca con fiducia lo Spirito per essere santificata e rinnovata, guidata in ogni giustizia, verità e unità, e resa capace di compiere la propria missione nel mondo.
18. Lo Spirito Santo dona, attraverso l’eucarestìa, un’anticipazione del Regno di Dio: la Chiesa riceve la vita della nuova creazione e la certezza del ritorno del Signore.


d) L’eucarestìa come comunione dei fedeli


19. La comunione eucaristica con Cristo presente, che alimenta la vita della Chiesa, è allo stesso tempo comunione nel corpo di Cristo che è la Chiesa. La condivisione dell’unico pane e del calice comune, in un dato luogo, manifesta e compie l’unità dei partecipanti con Cristo e con tutti i comunicanti, in ogni tempo e luogo. E nell’eucarestìa che la comunità del popolo di Dio è pienamente manifestata. Le celebrazioni eucaristiche hanno sempre a che fare con la Chiesa intera, e la Chiesa intera è implicata in ogni celebrazione eucaristica. Nella misura in cui una Chiesa pretende di essere una manifestazione della Chiesa universale, avrà cura di organizzare la propria vita in modo da prendere sul serio gli interessi e le preoccupazioni delle Chiese sorelle.


Commento


Sin dagli inizi, il battesimo è stato concepito come il sacramento mediante il quale i credenti sono incorporati al corpo di Cristo e ricevono il dono dello Spirito Santo. Nella misura in cui il diritto dei credenti battezzati e dei loro ministri a partecipare e presiedere alla celebrazione eucaristica in una Chiesa è messo in questione da coloro che presiedono e partecipano ad altre assemblee eucaristiche, la cattolicità dell’eucarestìa è meno evidente. In molte Chiese oggi si discute sull’ammissione di bambini battezzati come comunicanti alla Cena del Signore.

20. L’eucarestìa abbraccia tutti gli aspetti della vita. Essa è un atto rappresentativo di ringraziamento e di offerta in nome del mondo intero. La celebrazione eucaristica richiede la riconciliazione e la condivisione con tutti coloro che sono considerati fratelli e sorelle nell’unica famiglia di Dio; essa è una costante sfida a cercare, nell’ambito della vita sociale, economica e politica, relazioni consone [con la comunione eucaristica] (Mt. 5,23s; 1Cor. 10,16s; 1Cor. 11,20-22; Gal. 3,28). Tutte le forme di ingiustizia, razzismo, separazione e privazione di libertà sono radicalmente messe sotto accusa quando condividiamo il corpo e il sangue di Cristo. Attraverso l’eucarestìa, la grazia di Dio che tutto rinnova, penetra e reintegra la personalità umana e la sua dignità.
L’eucarestìa coinvolge il credente nell’avvenimento centrale della storia del mondo. Perciò, quali partecipanti all’eucarestìa ci mostriamo incoerenti se non partecipiamo attivamente a quest’opera continua di ricostruzione della situazione del mondo e della condizione umana. L’eucarestìa ci mostra che il nostro comportamento è incoerente rispetto alla presenza riconciliatrice di Dio nella storia umana: siamo posti sotto un giudizio costante, perché continuano ad esistere nella nostra società relazioni ingiuste di ogni tipo, molteplici divisioni dovute all’orgoglio umano, a interessi materiali e a politiche di potenza, e soprattutto l’ostinazione di opposizioni confessionali ingiustificabili all’interno del corpo di Cristo.

Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono (Mt. 5,23-24).

il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane (1Cor. 10,16-17).

Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! (1Cor. 11,20-22).

Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,28).

21. La solidarietà nella comunione eucaristica del Corpo di Cristo e la responsabilità dei cristiani gli uni verso gli altri e nei confronti del mondo, trovano un’espressione particolare nelle liturgie: nel perdono reciproco dei peccati, nel segno della pace, nell’intercessione per tutti, nel mangiare e bere insieme, nel portare gli elementi eucaristici ai malati e ai prigionieri o nel celebrare l’eucarestìa con loro. Tutte queste manifestazioni di amore fraterno nell’eucarestìa sono direttamente legate alla testimonianza specifica di Cristo come servo: i cristiani partecipano, essi pure, a questo servizio. In Cristo, Dio è entrato nella condizione umana; così la liturgia eucaristica è vicina alle situazioni concrete e particolari degli uomini e delle donne. Nella Chiesa primitiva, il ministero dei diaconi e delle diaconesse aveva una responsabilità particolare nel dare espressione a questo aspetto dell’eucarestìa. La collocazione di un tale ministero tra la mensa [eucaristica] e i bisognosi attesta in modo adeguato la presenza liberatrice di Cristo nel mondo.


e) L’eucarestìa come pasto del Regno


22. L’eucarestìa dischiude la visione del governo di Dio, promesso come rinnovamento finale della creazione: essa ne è un’anticipazione. Segni di questo rinnovamento sono presenti nel mondo, ovunque la grazia di Dio si manifesta e gli esseri umani lavorano per la giustizia, l’amore e la pace. L’eucarestìa è la festa nella quale la Chiesa rende grazie a Dio per questi segni, e nella gioia celebra e anticipa la venuta del Regno in Cristo (1Cor. 11,26; Mt. 26,29).

Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga (1Cor. 11,26).

Io vi dico che d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio" (Mt. 26,29).

23. Il mondo, cui è promesso il rinnovamento, è presente in tutta la celebrazione eucaristica. Il mondo è presente nell’azione di grazie al Padre, in cui la Chiesa parla a nome dell’intera creazione; il mondo è presente nel memoriale di Cristo, in cui la Chiesa, unita al suo Sommo Sacerdote e Intercessore, prega per il mondo; il mondo è presente nella preghiera per il dono dello Spirito Santo, in cui la Chiesa domanda la santificazione e l’avvento della nuova creazione.
24. Riconciliati nell’eucarestìa, i membri del corpo di Cristo sono chiamati ad essere servitori della riconciliazione in mezzo agli uomini e alle donne, e testimoni della gioia di cui è fonte la risurrezione. Come Gesù, durante il suo ministero terreno, andava incontro ai pubblicani e ai peccatori e mangiava con loro, così i cristiani sono chiamati, nell’eucarestìa, ad essere solidali con gli esclusi e a divenire segni dell’amore di Cristo, che è vissuto e si è sacrificato per tutti, e ora dona se stesso nell’eucarestìa.
25. La celebrazione stessa dell’eucarestìa è un esempio della partecipazione della Chiesa alla missione di Dio nel mondo. Questa partecipazione si concretizza ogni giorno nella proclamazione dell’Evangelo, nel servizio del prossimo e nella presenza fedele nel mondo.
26. Essendo interamente dono di Dio, l’eucarestìa immette in questo mondo una realtà nuova che trasforma i cristiani nell’immagine dì Cristo, e perciò li rende suoi efficaci testimoni. L’eucarestìa costituisce un prezioso nutrimento per i missionari, pane e vino per i pellegrini nel loro viaggio apostolico. La comunità eucaristica è nutrita e fortificata in modo da poter confessare in parole ed opere il Signore Gesù Cristo, che ha offerto la propria vita per la salvezza del mondo. Poiché diventa un solo popolo partecipando alla mensa dell’unico Signore, l’assemblea eucaristica deve necessariamente preoccuparsi di raccogliere anche coloro che oggi si trovano al di fuori dei suoi confini visibili, perché Cristo ha invitato al suo banchetto tutti coloro per i quali è morto. Il fatto che i cristiani non possano riunirsi in piena comunione intorno alla medesima mensa per mangiare il medesimo pane e bere al medesimo calice, indebolisce la loro testimonianza missionaria, sia a livello individuale, sia come comunità.


III. La celebrazione dell’eucarestìa


27. La liturgia eucaristica è essenzialmente un tutto unico, che storicamente è costituito dai seguenti elementi, che possono presentarsi in ordine differente e che sono d’importanza diseguale: canti di lode; atto di pentimento; dichiarazione di perdono; proclamazione della parola di Dio, in varie forme; confessione della fede (Credo); intercessione per tutta la Chiesa e per il mondo; preparazione del pane e del vino; azione di grazie al Padre per le meraviglie della creazione, della redenzione e della santificazione (derivata dalla tradizione ebraica della berakah); le parole dell’istituzione del sacramento da parte di Cristo, secondo la tradizione neotestamentaria; l’anamnesi o memoriale dei grandi atti di redenzione, passione, morte, risurrezione, ascensione e Pentecoste, che hanno fatto nascere la Chiesa; l’invocazione dello Spirito Santo sulla comunità e sugli elementi del pane e del vino (epikiesis, sia prima delle parole dell’istituzione, sia dopo il memoriale, oppure e l’uno e l’altro, o qualche altro riferimento allo Spirito Santo che esprima adeguatamente il carattere "epicletico" dell’eucarestìa); consacrazione dei fedeli a Dio; riferimento alla comunione dei santi; preghiera per la venuta del Signore e la manifestazione definitiva del suo Regno; l’amen di tutta la comunità; il Padre Nostro; segno di riconciliazione e di pace; frazione del pane; mangiare e bere in comunione col Cristo e con ogni membro della Chiesa; atto finale di lode; benedizione e invio in missione.
28. La migliore via verso l’unità nella celebrazione e comunione eucaristica consiste nel rinnovamento dell’eucarestìa stessa, nelle diverse Chiese, a livello di insegnamento e di liturgia. Le Chiese dovrebbero esaminare le proprie liturgie alla luce dell’accordo eucaristico al quale si stanno avvicinando. Il movimento di riforma liturgica ha avvicinato tra loro le Chiese nel modo di celebrare l’Eucarestìa. Tuttavia, una certa diversità liturgica compatibile con la nostra comune fede eucaristica è riconosciuta come fatto salutare e arricchente. L’affermazione di una fede eucaristica comune non implica uniformità né nella liturgia né nella prassi.

Commento


Dall’epoca del Nuovo Testamento, la Chiesa ha attribuito la massima importanza all’uso costante degli elementi del pane e del vino che Gesù ha utilizzato nell’ultima cena. In certe parti del mondo, dove il pane e il vino non sono comuni o non è facile procurarseli, oggi a volte si sostiene che il cibo e la bevanda locali servono meglio a radicare l’eucarestìa nella vita di tutti i giorni.
Si impone uno studio ulteriore per individuare quali aspetti della Cena del Signore sono immutabili in ragione dell’istituzione da parte di Gesù, e su quali aspetti invece le Chiese possono liberamente decidere.


29. Nella celebrazione dell’eucarestìa, è Cristo che raduna, ammaestra e nutre la Chiesa. E Cristo che invita al banchetto e lo presiede. Egli è il pastore che guida il popolo di Dio, il profeta che annuncia la Parola di Dio, il sacerdote che celebra il mistero di Dio. Nella maggior parte delle Chiese, questa presidenza è significata da un ministro ordinato. Colui che presiede la celebrazione eucaristica in nome di Cristo manifesta che il rito non è una creazione o una proprietà dell’assemblea; l’eucarestìa è ricevuta come un dono dal Cristo vivente nella sua Chiesa. Il ministro dell’eucarestìa è l’ambasciatore che rappresenta l’iniziativa di Dio ed esprime il legame della comunità locale con le altre comunità locali nella Chiesa universale.
30. La fede cristiana si approfondisce nella celebrazione della Cena del Signore. Pertanto l’eucarestìa dovrebbe essere celebrata di frequente. Molte differenze di teologia, di liturgia e di prassi sono legate alla diversa frequenza con cui è celebrata l’eucarestìa.
31. Poiché l’eucarestìa celebra la risurrezione di Cristo, è conveniente che essa abbia luogo almeno ogni domenica. Poiché essa è il nuovo convito sacramentale del popolo di Dio, ogni cristiano dovrebbe venire incoraggiato a ricevere di frequente la comunione.
32. Alcune Chiese insistono sul fatto che la presenza di Cristo negli elementi consacrati continua dopo la celebrazione; altre pongono l’accento principale sull’atto stesso della celebrazione e sulla consumazione degli elementi nella comunione. Il modo di trattare gli elementi richiede particolare attenzione. Per quanto riguarda la prassi di conservare gli elementi, ogni Chiesa dovrebbe rispettare le prassi e la pietà delle altre. Data la diversità di prassi tra le Chiese e tenendo contemporaneamente conto della situazione odierna nel processo di convergenza, è utile suggerire: che, da una parte, si ricordi, particolarmente nella catechesi e nella predicazione, che l’intenzione primaria della conservazione degli elementi è la loro distribuzione ai malati e agli assenti; e che, d’altra parte, si riconosca che il miglior modo di mostrare rispetto per gli elementi che sono serviti alla celebrazione eucaristica è la loro consumazione, senza escludere il loro uso per la comunione dei malati.
33. L’accresciuta comprensione reciproca espressa nel presente documento può permettere ad alcune Chiese di raggiungere un più alto livello di comunione eucaristica tra loro, rendendo così più vicino il giorno in cui il popolo di Cristo, finora diviso, sarà riunito visibilmente intorno alla mensa del Signore.




MINISTERO


I. La vocazione dell’intero popolo di Dio


1. In un mondo lacerato, Dio chiama tutta l’umanità a divenire suo popolo. A questo scopo Egli ha scelto Israele, e poi ha parlato in modo unico e decisivo in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Gesù ha fatto proprie la natura, la condizione e la causa di tutto il genere umano offrendo se stesso in sacrificio per tutti. La sua vita di servizio, la sua morte e risurrezione sono il fondamento di una nuova comunità che viene continuamente edificata dalla buona novella dell’Evangelo e dal dono dei sacramenti. Lo Spirito Santo unisce in un solo corpo coloro che seguono Gesù Cristo e li invia nel mondo come testimoni. Appartenere alla Chiesa significa vivere in comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo.
2. La vita della Chiesa è fondata sulla vittoria di Cristo, compiuta una volta per tutte sulle potenze del male e della morte. Cristo offre il perdono, invita al pentimento e libera dalla distruzione. Per mezzo di Cristo uomini e donne sono resi capaci di volgersi a Dio nella lode e al prossimo nel servizio. In Cristo essi trovano la sorgente di una vita nuova nella libertà, nel perdono reciproco e nell’amore. Per mezzo di Cristo i loro cuori e le loro menti sono orientate verso il compimento del Regno, nel quale la vittoria di Cristo diverrà manifesta e ogni cosa sarà fatta nuova. Il disegno di Dio è che in Gesù Cristo tutti possano aver parte a questa comunione.
3. La Chiesa vive della forza liberatrice e rigeneratrice dello Spirito Santo. Che lo Spirito Santo sia stato su Gesù è messo in evidenza nel suo battesimo, e dopo la sua risurrezione quello stesso Spirito è stato dato a coloro che credevano nel Signore risorto, per ricrearli come corpo di Cristo. Lo Spirito chiama uomini e donne alla fede, li santifica con molti doni, accorda la forza di testimoniare l’Evangelo e li rende capaci di servire nella speranza e nell’amore. Lo Spirito mantiene la Chiesa nella verità, e la guida malgrado la fragilità dei suoi membri.
4. La Chiesa è chiamata a proclamare e a prefigurare il Regno di Dio. Essa risponde alla sua vocazione annunciando l’Evangelo al mondo e vivendo davvero come il corpo di Cristo. In Gesù il Regno di Dio è venuto tra noi. Egli ha offerto la salvezza ai peccatori. Ha annunciato la buona novella ai poveri, ai prigionieri la liberazione, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi (Lc. 4,18). Cristo ha istituito una nuova via di accesso al Padre. Vivendo così in comunione con Dio, tutti i membri della Chiesa sono chiamati a confessare la propria fede e a rendere ragione della loro speranza. Essi devono identificarsi con le gioie e le sofferenze di tutti quando cercano di testimoniare [Cristo] con amore pieno di compassione. I membri del Corpo di Cristo devono lottare con gli oppressi, in vista della libertà e della dignità promesse con la venuta del Regno. Tale missione dev’essere compiuta in diversi contesti politici, sociali e culturali. Per attuare fedelmente questa missione, [i cristiani] cercheranno in ogni situazione forme significative di testimonianza e di servizio. Così facendo porteranno al mondo un’anticipazione della gioia e della gloria del Regno di Dio.

Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l'unzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libertà gli oppressi (Lc. 4,18).

5. Lo Spirito Santo accorda alla comunità doni diversi e complementari. Questi vengono dati per il bene comune di tutto il popolo e si manifestano in azioni di servizio all’interno della comunità e per il mondo. Possono essere doni di comunicazione dell’Evangelo in parole e opere, doni di guarigione, di preghiera, di insegnamento e apprendimento, di servizio, di guida e discepolato, di ispirazione e visione. Tutti i membri sono chiamati a scoprire, con l’aiuto della comunità, i doni che hanno ricevuto, e a utilizzarli per l’edificazione della Chiesa e per il servizio del mondo al quale la Chiesa è inviata.
6. Benché le Chiese siano d’accordo nella loro comprensione generale della vocazione del popolo di Dio, differiscono nella loro comprensione del modo in cui debba essere ordinata la vita della Chiesa. In particolare, vi sono differenze a proposito del posto e delle forme del ministero ordinato. Impegnandosi nello sforzo di superare queste differenze, è necessario che le Chiese prendano come punto di partenza la vocazione dell’intero popolo di Dio. Le Chiese devono cercare una risposta comune alla domanda seguente: come deve essere concepita e strutturata, secondo la volontà di Dio e sotto la guida dello Spirito Santo, la vita della Chiesa, affinché l’Evangelo possa diffondersi e la comunità possa essere edificata nell’amore?


II. La Chiesa e il ministero ordinato


7. Le differenze nella terminologia sono una delle questioni dibattute. Per evitare confusione nelle discussioni sul ministero ordinato nella Chiesa, è necessario precisare chiaramente in che senso i vari termini sono utilizzati nei paragrafi che seguono.
Il termine carisma indica i doni accordati dallo Spirito Santo a ogni membro del corpo di Cristo per l’edificazione della comunità e il compimento della sua vocazione.
Il termine ministero in senso lato indica il servizio che tutto il popolo di Dio è chiamato a svolgere, sia come persone singole, sia come comunità locale, sia come Chiesa universale; ministero o ministeri possono anche indicare le forme istituzionali particolari che questo servizio può assumere.
Il termine ministero ordinato indica le persone che hanno ricevuto un carisma e che la Chiesa incarica di un servizio tramite ordinazione, mediante l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani.
Molte Chiese adoperano il termine sacerdote per designare alcuni ministeri ordinati. Dato che tale uso non è universale, il presente documento affronterà [al riguardo] le questioni di rilievo al paragrafo 17.


a) Il ministero ordinato


8. Per compiere la sua missione, la Chiesa ha bisogno di persone che siano pubblicamente e in modo continuo responsabili di evidenziare la sua fondamentale dipendenza da ‘Gesù Cristo, e in questo modo forniscano, all’interno di una molteplicità di doni, un centro focale della sua unità. Il ministero di tali persone, che da tempo assai antico sono state ordinate, è costitutivo della vita e della testimonianza della Chiesa.
9. La Chiesa non è mai stata senza persone dotate di autorità e responsabilità specifiche. Gesù scelse e inviò i discepoli per essere testimoni del Regno (Mt. 10,1-8). I Dodici hanno ricevuto la promessa che si sarebbero " seduti su troni per giudicare le tribù di Israele " (Lc. 22,30). Un ruolo particolare è attribuito ai Dodici nelle comunità della prima generazione. Essi sono testimoni della vita e della risurrezione del Signore (At. 1,21-26), guidano la comunità nella preghiera, nell’insegnamento, nella frazione del pane, nella proclamazione e nel servizio (At. 2,42-47; 6,2-6; ecc.). L’esistenza stessa dei Dodici e di altri apostoli mostra che sin dagli inizi vi erano nella comunità dei ruoli differenziati.

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt. 10,1-8).

Perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d'Israele (Lc. 22,30).

Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione".
Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: "Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava". Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli (At. 1,21-26).

Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati (At. 2,42-47).

Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani (At. 6,2-6).


Commento


Nel Nuovo Testamento, il termine " apostolo " è adoperato in diversi sensi. È utilizzato per i Dodici, ma anche per una cerchia più ampia di discepoli. Viene applicato a Paolo e ad altri in quanto sono inviati a proclamare l’Evangelo da Cristo risorto. I ruoli degli apostoli ricoprono sia la fondazione sia la missione.

10. Gesù ha chiamato i Dodici ad essere rappresentanti dell’Israele rinnovato. In quel momento specifico essi rappresentano l’insieme del popolo di Dio ed esercitano contemporaneamente un ruolo speciale in mezzo a quella comunità. Dopo la risurrezione, sono tra le guide della comunità. Si può dire che gli apostoli prefigurano allo stesso tempo la Chiesa nel suo insieme e le persone cui sono affidate una autorità e una responsabilità specifiche nella Chiesa. Il ruolo degli apostoli come testimoni della risurrezione di Cristo è unico e irripetibile. Vi è dunque una differenza tra gli apostoli e i ministri ordinati, il cui ministero è fondato su quello degli apostoli.
11. Cristo, come ha scelto e inviato gli apostoli, così continua attraverso lo Spirito Santo a scegliere e a chiamare altre persone in vista del ministero ordinato. Come araldi e ambasciatori, i ministri ordinati sono rappresentanti di Gesù Cristo per la comunità e proclamano il suo messaggio di riconciliazione. Come guide e maestri, chiamano la comunità a sottomettersi all’autorità di Gesù Cristo, il maestro e profeta, nel quale hanno compimento la legge e i profeti. Come pastori, sotto Gesù Cristo, il supremo pastore, essi radunano e guidano il popolo di Dio disperso, nell’anticipazione del Regno che viene.

Commento


La realtà fondamentale di un ministero ordinato esisteva fin dall’inizio (vedi il paragrafo 8). Peraltro, le forme concrete di ordinazione e ministero ordinato hanno subito un’evoluzione nel corso di un complesso sviluppo storico (vedi il paragrafo 19). Le Chiese devono dunque evitare di attribuire le loro forme particolari di ministero ordinato direttamente alla volontà e all’istituzione di Gesù Cristo.

12. I membri della comunità credente, ordinati e laici, sono tutti strettamente legati fra loro. Da una parte, la comunità ha bisogno di ministeri ordinati. La loro presenza ricorda alla comunità l’iniziativa divina e la dipendenza della Chiesa da Gesù Cristo, che è la sorgente della sua missione e il fondamento della sua unità. Essi servono all’edificazione della comunità in Cristo e al potenziamento della sua testimonianza. In essi, la Chiesa cerca un esempio di santità e sollecitudine piena d’amore. D’altra parte, il ministero ordinato non esiste indipendentemente dalla comunità. I ministri ordinati possono realizzare la loro vocazione solo nella comunità e per essa. Essi non possono fare a meno del riconoscimento, del sostegno e dell’incoraggiamento della comunità.
13. La responsabilità principale del ministero ordinato è di radunare ed edificare il corpo di Cristo mediante la proclamazione e l’insegnamento della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti e la guida della vita della comunità nella sua liturgia, nella sua missione e nella sua diaconia.


Commento


Queste funzioni non sono esercitate in maniera esclusiva dal ministro ordinato. Poiché il ministero ordinato e la comunità sono inseparabilmente collegati, tutti i membri partecipano all’esercizio di queste funzioni. In effetti, ogni carisma serve a radunare ed edificare il corpo di Cristo. Ciascun membro del corpo può partecipare alla proclamazione e all’insegnamento della Parola di Dio, può contribuire alla vita sacramentale del corpo. Il ministero ordinato compie queste funzioni in modo rappresentativo, fornendo il centro focale per l’unità della vita e della testimonianza della comunità.

14. E soprattutto nella celebrazione eucaristica che il ministero ordinato è il centro focale visibile della comunione profonda che unisce Cristo e le membra del suo corpo, e che abbraccia tutta la realtà. Nella celebrazione dell’Eucarestìa, Cristo raduna, ammaestra e alimenta la Chiesa. E Cristo che invita al banchetto e lo presiede. Nella maggior parte delle Chiese, questa presidenza è significata e rappresentata da un ministro ordinato.



Commento


Il Nuovo Testamento dice molto poco sull’ordinamento dell’eucarestìa. Non vi sono indicazioni esplicite sulla presidenza dell’eucarestìa. Molto presto è chiaro che un ministro ordinato presiede la celebrazione. Se è vero che il ministero ordinato fornisce un centro focale di unità della vita e della testimonianza della Chiesa, è ragionevole che questo compito [della presidenza eucaristica] venga affidato a un ministro ordinato. Tale compito è intimamente collegato con quello di guidare la comunità, cioè di vegliare sulla sua vita (episkopé) e di rafforzare la sua vigilanza in rapporto alla verità del messaggio apostolico e alla venuta del Regno.


b) Ministero ordinato e autorità


15. L’autorità del ministro ordinato è radicata in Gesù Cristo, che l’ha ricevuta dal Padre (Mt. 28,18), e la conferisce nello Spirito Santo attraverso l’atto di ordinazione. Quest’atto ha luogo in una comunità che accorda un riconoscimento pubblico ad una persona particolare. Poiché Gesù è venuto come colui che serve (Mc. 10,45; Lc. 22,27), essere messi a parte [per il ministero ordinato] significa essere consacrati per il servizio. Poiché l’ordinazione è essenzialmente un essere messi a parte accompagnato dalla preghiera per il dono dello Spirito Santo, l’autorità del ministero ordinato non deve essere intesa come la proprietà della persona ordinata, ma come dono per la continua edificazione del corpo nel quale e per il quale il ministro è stato ordinato. L’autorità ha il carattere di responsabilità davanti a Dio ed è esercitata con la cooperazione dell’intera comunità.

Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (Mt. 28,18).

Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc. 10,45).

Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve (Lc. 22,27).

16. Di conseguenza i ministri ordinati non devono essere né degli autocrati né dei funzionari impersonali. Benché siano chiamati a esercitare con saggezza e con amore una funzione di guida2 sulla base della Parola di Dio, sono tuttavia legati ai fedeli in interdipendenza e reciprocità. Solo se ricercano la corrispondenza e il consenso della comunità, la loro autorità può essere salvaguardata dalle deviazioni dell’isolamento e del dominio. Essi manifestano ed esercitano l’autorità di Cristo nel modo in cui Cristo stesso ha rivelato al mondo l’autorità di Dio: impegnando la loro vita per la comunità. L’autorità di Cristo è unica. "Egli li ammaestrava come uno che ha autorità (exousia) e non come i loro scribi" (Mt. 7,29). Questa autorità è guidata dall’amore per "le pecore che non hanno pastore "(Mt. 9,36). E confermata dalla sua vita di servizio e, soprattutto, dalla sua morte e risurrezione. L’autorità nella Chiesa può essere autentica solo in quanto cerca di conformarsi a questo modello.

Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi (Mt. 7,28-29).

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore (Mt. 9,35-36).


Commento


Qui devono essere evitati due pericoli. Da una parte, l’autorità non può essere esercitata senza riguardi per la comunità. Gli apostoli erano attenti all’esperienza e al giudizio dei credenti. D’altra parte, l’autorità dei ministri ordinati non deve essere talmente ridotta da renderli dipendenti dall’opinione comune della comunità. La loro autorità riposa sulla loro responsabilità di esprimere la volontà di Dio nella comunità.


c) Ministero ordinato e sacerdozio


17. Gesù Cristo è l’unico sacerdote della Nuova Alleanza. Egli ha dato la sua vita in sacrificio per tutti. In modo derivato, la Chiesa nel suo insieme può essere descritta come un sacerdozio. Tutti i membri sono chiamati a offrire la propria vita "in sacrificio vivente" e a intercedere per la Chiesa e per la salvezza del mondo. I ministri ordinati partecipano, come tutti i cristiani, sia al sacerdozio di Cristo che al sacerdozio della Chiesa. Essi però possono in modo pertinente essere chiamati sacerdoti poiché compiono un servizio sacerdotale particolare in quanto fortificano ed edificano il sacerdozio regale e profetico dei fedeli mediante la Parola e i sacramenti, mediante le loro preghiere di intercessione e la loro guida pastorale della comunità.


Commento


Il Nuovo Testamento non utilizza mai i termini sacerdozio" o "sacerdote" (hiereus) per designare il ministero ordinato o il ministro ordinato. Nel Nuovo Testamento questi termini sono riservati, da una parte, all’unico sacerdozio di Gesù Cristo e, dall’altra, al sacerdozio regale e profetico di tutti i battezzati. Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio dei battezzati hanno, ciascuno nel modo che gli è proprio, la funzione di sacrificio e intercessione. Come Cristo ha offerto se stesso, i cristiani offrono la loro intera esistenza "in sacrificio vivente".
Come Cristo intercede presso il Padre, i cristiani intercedono per la Chiesa e per la salvezza del mondo. Tuttavia, le differenze tra questi due tipi di sacerdozio non possono sfuggire. Mentre Cristo ha offerto se stesso in un sacrificio unico, una volta per tutte, per la salvezza del mondo, i credenti devono ricevere continuamente come un dono di Dio ciò che Cristo ha fatto per essi. Nella Chiesa antica si è incominciato a usare i termini "sacerdozio", "sacerdote", per designare il ministero ordinato e il ministro in quanto presiede l’Eucarestìa.
Questi termini sottolineano il fatto che il ministero ordinato è in relazione con la realtà sacerdotale di Gesù Cristo e dell’intera comunità. Quando i termini sono utilizzati in riferimento al ministero ordinato, il loro significato è debitamente diverso sia dal sacerdozio sacrificale dell’Antico Testamento, sia dall’unico sacerdozio redentore di Cristo, sia infine dal sacerdozio corporativo del popolo di Dio. San Paolo poteva descrivere il suo ministero come "un servizio sacerdotale reso all’Evangelo di Dio, cosicché l’offerta [a Dio] delle nazioni sia gradita nello Spirito Santo" (Rm. 15,16).

Per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo (Rm. 15,16).


d) Il ministero di uomini e donne nella Chiesa


18. Dove Cristo è presente, le barriere umane sono infrante. La Chiesa è chiamata a trasmettere al mondo l’immagine di una umanità nuova. In Cristo non c’è né maschio né femmina. Uomini e donne devono scoprire insieme i loro specifici contributi al servizio di Cristo nella Chiesa. La -Chiesa deve scoprire sia il ministero che può essere esercitato dalle donne, sia il ministero che può essere esercitato dagli uomini. Una più profonda comprensione dell’ampiezza del ministero, nella quale si rifletta l’interdipendenza di uomini e donne, deve essere più largamente manifestata nella vita della Chiesa. Benché siano d’accordo su questa necessità, le Chiese traggono conclusioni differenti per quanto concerne l’ammissione delle donne al ministero ordinato. Un numero crescente di Chiese ha deciso che non vi sono ragioni bibliche o teologiche contro l’ordinazione delle donne, e di conseguenza molte di esse hanno cominciato a praticarla. Tuttavia molte Chiese ritengono che la tradizione della Chiesa in questa materia non deve essere cambiata.


Commento


Le Chiese che praticano l’ordinazione delle donne lo fanno a motivo della loro comprensione dell’Evangelo e del ministero. Essa si fonda, per loro, sulla convinzione teologica profondamente motivata che il ministero ordinato della Chiesa manca di pienezza quando è limitato a un sesso soltanto. Questa convinzione teologica è stata rafforzata dall’esperienza da loro fatta negli anni in cui esse hanno associato le donne ai loro ministeri ordinati. Hanno scoperto che i doni delle donne sono tanto ampi e vari quanto quelli degli uomini e che il loro ministero è pienamente benedetto dallo Spirito Santo, tanto quanto quello degli uomini. Nessuna Chiesa ha trovato ragioni per rivedere la propria decisione.
Le Chiese che non praticano l’ordinazione delle donne ritengono che il peso di diciannove secoli di tradizione contro tale ordinazione non deve essere messo da parte. Esse credono che una tradizione di questo genere non può essere liquidata come una mancanza di rispetto per il ruolo della donna nella Chiesa. Credono che esistono problemi teologici riguardanti la natura umana e la cristologia che stanno al cuore delle loro convinzioni e della loro comprensione del ruolo delle donne nella Chiesa.
La discussione di questi problemi pratici e teologici all’interno delle diverse Chiese e tradizioni cristiane dovrebbe essere completata da uno studio e da una riflessione comuni nell’ambito della comunione ecumenica di tutte le Chiese.


III. Le forme del ministero ordinato


a) Vescovi, presbiteri e diaconi


19. Il Nuovo Testamento non descrive una forma unica di ministero che dovrebbe servire da modello o norma permanente per ogni futuro ministero nella Chiesa. Nel Nuovo Testamento appare piuttosto una varietà di forme esistenti in luoghi e tempi differenti. Mentre lo Spirito Santo continuava a guidare la Chiesa nella vita, nel culto e nella missione, alcuni elementi di questa varietà iniziale furono ulteriormente sviluppati, e poi fissati in un modello più universale di ministero. Durante il secondo e il terzo secolo, un modello tripartito, con vescovo, presbitero e diacono, divenne stabile come forma del ministero ordinato in ogni parte della Chiesa. Nei secoli seguenti i ministeri del vescovo, del presbitero e del diacono conobbero nel loro esercizio pratico cambiamenti considerevoli. In certi periodi di crisi nella storia della Chiesa, le funzioni stabili del ministero furono distribuite, in certi luoghi e comunità, secondo strutture diverse dal modello tripartito [che era] predominante. A volte ci si è appellati al Nuovo Testamento per giustificare questi altri modelli. In altri casi, si è sostenuto che la ristrutturazione del ministero era di competenza della Chiesa, in quanto lo adattava a situazioni mutate.
20. E importante essere consapevoli dei mutamenti che il ministero tripartito ha subìto nella storia della Chiesa. Le più antiche menzioni del ministero tripartito lo riferiscono alla comunità eucaristica locale. Il vescovo era il capo della comunità. Era ordinato e insediato per proclamare la Parola e presiedere la celebrazione dell’eucarestìa. Era circondato da un collegio di presbiteri e da diaconi che lo assistevano nei suoi compiti. In questo contesto, il ministero del vescovo era un centro focale di unità all’interno dell’intera comunità.
21. Molto presto però le funzioni si modificarono. Sempre di più i vescovi incominciarono ad esercitare l’episkopé su parecchie comunità locali allo stesso tempo. Nella prima generazione, erano stati gli apostoli ad esercitare l’episkopé nella Chiesa nel senso ampio del termine. Più tardi viene riferito che Timoteo e Tito hanno compiuto una funzione di supervisione in una data regione. Più tardi ancora, questo compito apostolico è svolto dai vescovi in un modo nuovo. Essi costituiscono un centro focale di unità della vita e della testimonianza, nell’ambito di regioni che comprendono diverse comunità eucaristiche. Di conseguenza nuovi ruoli vengono assegnati a presbiteri e diaconi. I presbiteri diventano le guide di una comunità eucaristica locale, e i diaconi ricevono, quali assistenti dei vescovi, delle responsabilità su una regione più estesa.


Commento


La Chiesa delle origini ha conosciuto sia il ministero itinerante di missionari come Paolo, sia il ministero locale di direzione là dove l’Evangelo era stato accettato. Sembra che i modelli organizzativi a livello locale abbiano variato a seconda delle circostanze. Gli Atti degli Apostoli parlano per Gerusalemme dei Dodici e dei Sette, più tardi di Giacomo e degli anziani; per Antiochia di profeti e dottori (At. 6,1-6; 15,13-22; 13,1). Le lettere ai Corinzi parlano di apostoli, profeti e dottori (1Cor. 12,28); così la lettera ai Romani, che parla anche di diaconi o assistenti (Rm. 16,1). A Filippi i termini profani di episkopoi e diakonoi erano utilizzati insieme per designare i ministri cristiani (Fil 1,1). Molti di questi ministeri sono attribuiti sia alle donne che agli uomini. Mentre alcuni erano conferiti mediante l’imposizione delle mani, in altri casi non vi è indicazione di questa procedura. Questi ministeri, qualunque ne sia stato il nome, avevano come finalità di proclamare la Parola di Dio, di trasmettere e salvaguardare il contenuto originario dell’Evangelo, di nutrire e rafforzare la fede, la disciplina e il servizio delle comunità cristiane, di proteggere e stimolare l’unità al loro interno e tra di loro. Questi sono stati i compiti permanenti del ministero attraverso gli sviluppi e le crisi della storia cristiana.

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani (At. 6,1-6).

Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: "Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
Dopo queste cose ritornerò
e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta;
ne riedificherò le rovine e la rialzerò,
perché cerchino il Signore anche gli altri uomini
e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,
dice il Signore, che fa queste cose,
note da sempre.
Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe".
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli (At. 15,13-22).

C'erano nella Chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo (At. 13,1).

Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue (1Cor. 12,28).

Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre (Rm. 16,1).

Paolo e Timòteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi (Fil 1,1).

22. Benché non vi sia un unico modello neotestamentario di ministero, benché lo Spirito abbia spesso condotto la Chiesa ad adattare i suoi ministeri ai bisogni di un contesto storico particolare, e benché altre forme del ministero ordinato siano state benedette con i doni dello Spirito Santo, ciò nondimeno il ministero tripartito di vescovo, presbitero e diacono può servire oggi come un’espressione dell’unità che cerchiamo, e anche come un mezzo per raggiungerla. Sul piano storico è vero che il ministero tripartito è diventato il modello generalmente accettato nella Chiesa dei primi secoli, e che esso è tuttora conservato da molte Chiese. Nell’adempimento della loro missione e del loro servizio, le Chiese hanno bisogno di persone che in diversi modi esprimano e svolgano i compiti del ministero ordinato nei suoi aspetti e nelle sue funzioni diaconale, presbiterale ed episcopale.
23. La Chiesa come corpo di Cristo e popolo escatologico di Dio viene costituita dallo Spirito Santo mediante una varietà di doni o ministeri. Tra questi doni, un ministero dì episkopé è necessario per esprimere e salvaguardare l’unità del corpo. Ogni Chiesa ha bisogno di questo ministero di unità in qualche forma, per essere la Chiesa di Dio, l’unico corpo dì Cristo, un segno dell’unità dì tutti nel Regno.
24. Il modello tripartito del ministero ha evidente bisogno di riforma. In alcune Chiese la dimensione collegiale della guida nella comunità eucaristica ha sofferto una certa menomazione. In altre, la funzione dei diaconi è stata ridotta a semplice ruolo di assistenza nella celebrazione della liturgia: i diaconi hanno smesso di svolgere qualsiasi funzione relativa alla testimonianza diaconale della Chiesa. In generale la relazione tra il presbiterato e il ministero episcopale è stata oggetto di discussioni attraverso i secoli, e il grado di partecipazione del presbitero al ministero episcopale è ancora per molti una questione insoluta di rande portata ecumenica. In alcuni casi, le Chiese che non hanno formalmente conservato il modello tripartito, di fatto hanno mantenuto alcuni aspetti della sua configurazione originaria.
25. Così, il modello tripartito tradizionale solleva problemi per tutte le Chiese. Le Chiese che mantengono il modello tripartito dovranno domandarsi in che modo potrebbero esserne pienamente sviluppate le potenzialità, per una più efficace testimonianza della Chiesa in questo mondo. A tale impegno dovrebbero partecipare anche le Chiese che non hanno il modello tripartito del ministero. Queste, inoltre, dovrebbero domandarsi se il modello tripartito, così come si è sviluppato, non esiga con forza di essere accettato da loro.


b) Princìpi direttivi per l’esercizio del ministero ordinato nella Chiesa


26. Tre considerazioni sono importanti a questo proposito. Il ministero ordinato dovrebbe essere esercitato in un modo personale, collegiale e comunitario. Personale in quanto la presenza di Cristo in mezzo al suo popolo può essere segnalata nel modo più efficace da una persona ordinata per proclamare l’Evangelo e per chiamare la comunità a servire il Signore nell’unità della vita e della testimonianza. Collegiale, perché c’è bisogno di un collegio di ministri ordinati che condivida il compito comune di far presenti le preoccupazioni della comunità. Infine, la stretta relazione tra il ministero ordinato e la comunità deve trovare la sua espressione in una dimensione comunitaria, nel senso che l’esercizio del ministero ordinato deve essere radicato nella vita della comunità ed esige l’effettiva partecipazione della comunità nella scoperta della volontà di Dio e della guida dello Spirito.


Commento


È necessario tenere uniti i tre aspetti. In diverse Chiese l’uno o l’altro è stato accentuato esageratamente a detrimento degli altri. In alcune Chiese, la dimensione personale del ministero ordinato tende a sminuire le dimensioni collegiale e comunitaria. In altre Chiese, la dimensione collegiale o comunitaria diventa così importante che il ministero ordinato perde la sua dimensione personale. Ogni Chiesa deve domandarsi in quale senso, nel suo interno, l’esercizio del ministero ordinato ha sofferto nel corso della storia. Una valutazione positiva di queste tre dimensioni è soggiacente a una raccomandazione fatta dalla prima Conferenza mondiale "Fede e Costituzione" a Losanna nel 1927 (Rapporto della Commissione V): " Tenendo in debito conto quanto segue: il posto che l’episcopato, il consiglio dei presbiteri [o degli anziani] e l’assemblea dei fedeli hanno avuto, rispettivamente, nella costituzione della Chiesa primitiva; il fatto che i sistemi di governo episcopale, presbiteriano e congregazionalista sono stati per secoli e sono oggi accettati ciascuno da vasti settori della cristianità; il fatto che ciascuno di questi tre sistemi (episcopale, presbiteriano e congregazionalista) è considerato da molti come essenziale per il buon ordine della Chiesa, di conseguenza noi riconosciamo che questi diversi elementi devono tutti trovare un posto adeguato nell’organizzazione della vita di una Chiesa riunificata, in modi e condizioni che esigono ulteriore studi".

27. Il ministero ordinato deve essere strutturato costituzionalmente o canonicamente, ed esercitato nella Chiesa in modo che ciascuna di queste tre dimensioni possa trovare espressione adeguata. A livello della comunità eucaristica locale è necessario un ministro ordinato che agisca all’interno di un corpo collegiale. Bisognerebbe mettere un forte accento sulla partecipazione attiva di tutti i membri alla vita e alle decisioni della comunità. Anche a livello regionale è necessario un ministro ordinato che eserciti un servizio di unità. La dimensione collegiale e quella comunitaria troveranno espressione in regolari incontri sinodali rappresentativi.


c) Funzioni dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi


28. Che cosa si può dire sulle funzioni e persino sui titoli di vescovi, presbiteri e diaconi? Per il riconoscimento reciproco dei ministeri ordinati non è necessaria una risposta uniforme a questa domanda. Comunque, per quanto concerne le funzioni, offriamo, a titolo di proposta, le considerazioni seguenti.
29. I vescovi predicano la Parola, presiedono la celebrazione dei sacramenti e amministrano la disciplina così da essere, in modo rappresentativo, ministri pastorali di sorveglianza, continuità ed unità nella Chiesa. Essi hanno il compito di sorveglianza pastorale della regione in cui sono chiamati. Sono al servizio dell’apostolicità e dell’unità dell’insegnamento, del culto e della vita sacramentale della Chiesa. Nella missione della Chiesa hanno una responsabilità di direzione. Essi mettono in collegamento la comunità cristiana della loro regione con la Chiesa in senso più ampio, e la Chiesa universale con la loro comunità. In comunione con i presbiteri, i diaconi e tutta la comunità, sono responsabili della trasmissione regolare dell’autorità ministeriale nella Chiesa.
30. I presbiteri servono in una comunità eucaristica locale come ministri pastorali della Parola e dei sacramenti. Sono predicatori e maestri della fede, esercitano la cura pastorale e portano la responsabilità della disciplina della comunità perché il mondo creda, e tutti i membri della Chiesa siano rinnovati, irrobustiti ed attrezzati per il ministero. I presbiteri hanno una particolare responsabilità nella preparazione dei fedeli alla vita cristiana e al ministero.
31. I diaconi rappresentano in seno alla Chiesa la sua vocazione di vivere al servizio del mondo. Lottando nel nome di Cristo con le innumerevoli necessità delle società e delle persone, i diaconi offrono l’esempio dell’interdipendenza tra il culto e il servizio nella vita della Chiesa. Esercitano una responsabilità nel culto della comunità, per esempio leggendo le Scritture, predicando e guidando i fedeli nella preghiera. Aiutano a istruire la comunità. Vi esercitano un ministero di amore. Svolgono certi compiti amministrativi e possono essere eletti a responsabilità di governo.


Commento

 

In molte Chiese vi è oggi una notevole incertezza circa la necessità, il senso, lo statuto e le funzioni dei diaconi. In che senso il diaconato può essere considerato come una parte del ministero ordinato? Cosa lo distingue dagli altri ministeri nella Chiesa (catechisti, musici, ecc.)? Perché i diaconi dovrebbero essere ordinati mentre questi altri ministri non ricevono ordinazione? Se sono ordinati, ricevono l’ordinazione nel senso pieno della parola oppure la loro ordinazione è solo la prima tappa verso l’ordinazione a presbiteri? Vi è oggi in molte Chiese una forte tendenza a ripristinare il diaconato come ministero ordinato con una sua propria dignità e concepito come funzione da esercitare per tutta la vita. Ora che le Chiese si stanno avvicinando, si potrebbero raggruppare nel diaconato [una serie di] ministeri che ora esistono in una varietà di forme e sono designati con nomi diversi. Le differenze nel disciplinare il ministero diaconale non dovrebbero essere considerate come un impedimento al reciproco riconoscimento dei ministeri ordinati.


d) Varietà dei carismi


32. La comunità che vive nella forza dello Spirito sarà caratterizzata da una varietà di carismi. Lo Spirito è il dispensatore di doni diversi che arricchiscono la vita della comunità. Per renderli più efficaci, la comunità riconoscerà pubblicamente alcuni di questi carismi. Mentre alcuni rispondono a bisogni permanenti nella vita della comunità, altri sono temporanei. Nelle comunità di ordini religiosi, uomini e donne compiono un servizio che ha un’importanza particolare nella vita della Chiesa. Il ministero ordinato, che è esso stesso un carisma, non deve diventare un ostacolo alla varietà di questi carismi. Al contrario, dovrà aiutare la comunità a scoprire i doni largiti ad essa dallo Spirito Santo e dovrà fornire ai membri del corpo ciò che occorre per servire in una varietà di forme.
33. Nella storia della Chiesa vi sono stati periodi in cui la verità dell’Evangelo poté essere preservata solo grazie a personalità profetiche e carismatiche. Spesso nuovi impulsi hanno potuto aprirsi un varco nella vita della Chiesa solo per vie insolite. Certe volte, le riforme hanno richiesto un ministero speciale. I ministri ordinati e tutta la comunità dovranno prestare attenzione alla sfida lanciata da tali ministeri speciali.

                         

IV. La successione nella Tradizione apostolica

 

a) La tradizione apostolica nella Chiesa


34. Nel credo la Chiesa confessa di essere apostolica. La Chiesa vive in continuità con gli apostoli e con la loro predicazione. Il medesimo Signore che mandò gli apostoli in missione continua ad essere presente nella Chiesa. Lo Spirito mantiene la Chiesa nella tradizione apostolica fino al compimento della storia nel Regno di Dio. Tradizione apostolica nella Chiesa significa continuità nelle caratteristiche permanenti della Chiesa degli apostoli: testimonianza alla fede apostolica, proclamazione e interpretazione sempre rinnovata dell’Evangelo, celebrazione del battesimo e dell’eucarestìa, trasmissione delle responsabilità ministeriali, comunione nella preghiera, nell’amore, nella gioia e nella sofferenza, servizio ai malati e ai bisognosi, unità tra le Chiese locali e condivisione dei beni che il Signore dona a ciascuna.


Commento


Gli apostoli, in quanto testimoni della vita e della risurrezione del Signore e inviati da lui, sono all’origine della trasmissione dell’Evangelo, della tradizione delle parole e dei gesti salvifici di Gesù Cristo che costituiscono la vita della Chiesa. Questa tradizione apostolica continua attraverso la storia e collega la Chiesa alle sue origini in Cristo e nel collegio degli apostoli. All’interno di questa tradizione apostolica vi è una successione apostolica del ministero, che è al servizio della continuità della Chiesa nella sua vita in Cristo e della sua fedeltà alle parole e ai gesti di Gesù trasmessi dagli apostoli. I ministri incaricati dagli apostoli, e in seguito gli episkopoi delle Chiese, sono stati i primi custodi di questa trasmissione della tradizione apostolica; essi sono stati i testimoni della successione apostolica del ministero che continuava attraverso i vescovi della Chiesa antica, in comunione collegiale con i presbiteri e i diaconi in seno alla comunità cristiana. Conviene dunque distinguere la tradizione apostolica di tutta la Chiesa dalla successione del ministero apostolico.


b) La successione del ministero apostolico


35. La prima manifestazione della successione apostolica si trova nella tradizione apostolica della Chiesa nel suo insieme. La successione è un’espressione della permanenza e perciò della continuità della missione propria di Cristo, cui la Chiesa partecipa. Nella Chiesa, il ministero ordinato ha un compito particolare di preservazione e attualizzazione della fede apostolica. La regolare trasmissione del ministero ordinato è pertanto un’espressione vigorosa della continuità della Chiesa attraverso la storia; sottolinea inoltre la vocazione del ministro ordinato come custode della fede. Là dove le Chiese danno poca importanza alla trasmissione regolare [del ministero ordinato], dovrebbero chiedersi se la loro concezione della continuità nella tradizione apostolica non debba essere modificata. D’altra parte, là dove il ministero ordinato non serve adeguatamente alla proclamazione della fede apostolica, le Chiese devono domandarsi se le loro strutture ministeriali non abbiano bisogno di una riforma.
36. In ragione delle particolari circostanze storiche della Chiesa in espansione nei primi secoli, la successione dei vescovi divenne uno dei modi, insieme con la trasmissione dell’Evangelo e la vita della comunità, in cui trovò espressione la tradizione apostolica della Chiesa. Tale successione fu compresa come servizio, simbolo e salvaguardia della continuità della fede e della comunione apostoliche.


Commento


Nella Chiesa antica, il legame tra l’episcopato e la comunità apostolica fu compreso in due modi. Clemente di Roma ricollegava la missione del vescovo all’invio di Cristo da parte del Padre e all’invio degli apostoli da parte di Cristo (Cor. 42-44). Ciò faceva del vescovo un successore degli apostoli che assicurava la permanenza della missione apostolica nella Chiesa. Clemente è soprattutto interessato ai mezzi con cui la continuità storica della presenza di Cristo è assicurata nella Chiesa grazie alla successione apostolica. Per Ignazio di Antiochia (Magn 6,1; 3,1-2; TraIl 3,1), è Cristo circondato dai Dodici che è presente in modo permanente nella Chiesa nella persona del vescovo circondato dai presbiteri. Ignazio vede nella comunità cristiana radunata attorno al vescovo, in mezzo ai presbiteri e ai diaconi, la manifestazione concreta nello Spirito della comunità apostolica. Così il segno della successione apostolica non solamente mette in evidenza la continuità storica; manifesta anche una effettiva realtà spirituale.

Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare che il regno di Dio stava per venire. Predicavano per le campagne e le città e costituivano le primizie del loro lavoro apostolico, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così, infatti, dice la Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede".
Che meraviglia se quelli che avevano fede in Cristo stabilirono come opera da parte di Dio i ministri predetti? Anche Mosè "fedele servitore in tutta la casa" segnò nei libri sacri tutto ciò che gli fu ordinato. Gli altri profeti lo seguirono rendendo testimonianza alle norme stabilite da lui. Quando sorse gelosia intorno al sacerdozio e le tribù si disputavano quale di esse si sarebbe ornata del nome glorioso, egli ordinò ai dodici capitribù di portargli delle verghe e che ciascuna fosse contrassegnata dal nome. Avendole prese, le legò, le sigillò con gli anelli dei capitribù e le pose nel tabernacolo della testimonianza sulla tavola di Dio. Chiuso il tabernacolo sigillò le chiavi come le verghe. E disse loro: "Fratelli, la tribù la cui verga germoglierà, Dio sceglie per esercitare il sacerdozio e servirlo". Venuto il mattino, convocò tutto Israele, seicentomila uomini. Mostrò i sigilli ai capitribù e aprì il tabernacolo della testimonianza e tirò fuori le verghe. E si trovò che la verga di Aronne non solo era germogliata, ma aveva anche il frutto. Che ve ne pare, o carissimi? Mosè non prevedeva che questo sarebbe accaduto? Lo sapeva davvero. Fece così perché non scoppiasse un tumulto in Israele e fosse glorificato il nome del vero e dell'unico Dio. A lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
I nostri apostoli conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente l'avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati. Quelli che furono stabiliti dagli Apostoli o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza, e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo dall'episcopato
quelli che hanno portato le offerte in maniera ineccepibile e santa. Beati i presbiteri che, percorrendo il loro cammino, hanno avuto una fine fruttuosa e perfetta! Essi non hanno temuto che qualcuno li avesse allontanati dal posto loro stabilito. Noi vediamo che avete rimosso alcuni, nonostante la loro ottima condotta, dal ministero esercitato senza reprensione e con onore (Clemente di Roma, Lettera ai Corinti, 42-44).

Poiché nelle persone nominate sopra ho visto e amato tutta la comunità. Vi prego di essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei presbiteri. Con la guida del vescovo al posto di Dio, e dei presbiteri al posto del collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato (Ignazio di Antiochia, Lettera ai Magnesii, 6,1).

Conviene che voi non abusiate dell’età del vescovo, ma per la potenza di Dio Padre gli tributiate ogni riverenza. In realtà ho saputo che i vostri santi presbiteri non hanno abusato della giovinezza evidente di lui, ma saggi in Dio sono sottomessi a lui, non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo che è il vescovo di tutti.
Per il rispetto di chi ci ha voluto bisogna obbedire senza ipocrisia alcuna, poiché non si inganna il vescovo visibile, bensì si mentisce a quello invisibile. Non si parla della carne, ma di Dio che conosce le cose invisibili (Ignazio di Antiochia, Lettera ai Magnesii, 3,1-2).

Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è l'immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa (Ignazio di Antiochia, Lettera ai Trallesi, 3,1).


37. Le Chiese che hanno la successione mediante l’episcopato riconoscono sempre di più che è stata conservata una continuità nella fede apostolica, nel culto e nella missione, nelle Chiese che non hanno conservato la forma dell’episcopato storico. Questo riconoscimento è ulteriormente favorito dal fatto che realtà e funzione del ministero episcopale sono state mantenute in molte di queste Chiese, con o senza il titolo di " vescovo ". In esse, ad esempio, l’ordinazione è sempre compiuta da persone nelle quali la Chiesa riconosce l’autorità di trasmettere il mandato ministeriale.
38. Queste considerazioni non diminuiscono l’importanza del ministero episcopale. Al contrario, aiutano le Chiese che non hanno mantenuto l’episcopato a considerare positivamente la successione episcopale come un segno, anche se non una garanzia, della continuità e dell’unità della Chiesa. Oggi alcune Chiese, tra cui quelle impegnate in trattative di unione, esprimono una disponibilità ad accettare la successione episcopale come un segno della apostolicità della vita di tutta la Chiesa. Allo stesso tempo però esse non possono accettare nessuna ipotesi in base alla quale il ministero esercitato nella loro tradizione sarebbe invalido sino a quando non sia entrato in una linea [già] esistente di successione episcopale. La loro accettazione della successione episcopale favorirà nel modo migliore l’unità di tutta la Chiesa, se farà parte di un processo più ampio col quale le Chiese episcopali stesse ritrovano la loro unità perduta.


V. L'ordinazione


a) Il significato dell’ordinazione


39. La Chiesa ordina alcuni dei suoi membri al ministero nel nome di Cristo, attraverso l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani (1Tm. 4,14; 2Tm. 1,6); facendo ciò, essa cerca di continuare la missione degli apostoli e di restare fedele al loro insegnamento. L’atto di ordinazione compiuto da colore che sono incaricati di questo ministero attesta il vincolo della Chiesa con Gesù Cristo e la testimonianza apostolica, ricordando che in realtà colui che ordina e largisce il dono è il Signore risorto. Con le ordinazioni, la Chiesa, ispirata dallo Spirito, provvede alla fedele proclamazione dell’Evangelo e all’umile servizio nel nome di Cristo. L’imposizione delle mani è il segno del dono dello Spirito, rendendo visibile il fatto che il ministero è stato istituito nella rivelazione compiuta in Cristo, e ricordando alla Chiesa di guardare a lui come alla sorgente del proprio mandato missionario. Questa ordinazione tuttavia può configurarsi in modo differenziato, in relazione agli impegni specifici dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, secondo le indicazioni contenute nelle liturgie di ordinazione.

Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri (1Tm. 4,14).

Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani (2Tm. 1,6).



Commento


È chiaro che le Chiese hanno pratiche differenti di ordinazione e che sarebbe errato privilegiarne una come unica valida in senso esclusivo. D’altra parte, se le Chiese sono disposte a riconoscersi vicendevolmente nel segno della successione apostolica, come descritta sopra, dovrebbe conseguirne che l’antica tradizione secondo la quale è il vescovo che ordina, con la partecipazione della comunità, dovrebbe essa pure essere riconosciuta e osservata.


40. Propriamente parlando, dunque, l’ordinazione indica un’azione compiuta da Dio e dalla comunità, mediante la quale le persone ordinate sono fortificate dallo Spirito, in vista del compimento del loro incarico, e sono sostenute dal riconoscimento e dalle preghiere della comunità.

 


Commento


I termini originati del Nuovo Testamento per designare l’ordinazione tendono a essere semplici e descrittivi. Il fatto di una designazione viene registrato. L’imposizione delle mani viene descritta. Una preghiera di richiesta del dono viene pronunciata. Sulla base di questi dati, le diverse tradizioni hanno costruito differenti interpretazioni.
È evidente che vi è una differenza tra il retroterra culturale, [peraltro] non evocato, che sta dietro al verbo greco cheirotonein e quello dei termini latini ordo o ordinare. L’uso neotestamentario del primo termine è carico del significato fondamentalmente profano di "designazione" (At. 14,23; 2Cor. 8,19), che è a sua volta derivato dal senso originario di "stendere la mano", sia per designare una persona, sia per esprimere un voto. Alcuni studiosi vedono in cheirotonein un riferimento all’atto dì imposizione delle mani a partire dalla descrizione letterale di questa azione negli esempi apparentemente paralleli quali At. 6,6; 8,17; 13,3; 19,6; 1Tm. 4,14; 2Tm. 1,6. D’altra parte, ordo e ordinare sono termini derivati dalla legge romana e trasmettono l’idea dello statuto speciale di un gruppo, distinto dalla plebe; così, ad esempio, l’espressione ordo clarissimus designava il senato romano. Il punto di partenza di qualsiasi costruzione concettuale che utilizzi questi termini influenzerà profondamente ciò che, nel pensiero e nell’azione che ne derivano, viene considerato come acquisito.

Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto (At. 14,23).

Egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l'impulso del nostro cuore (2Cor. 8,19).

Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani (At. 6,6).

Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo (At. 8,17).

Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono (At. 13,3).

Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare (At. 19,5-6).

Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri (1Tm. 4,14).

Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani (2Tm. 1,6).


b) L’atto dell’ordinazione


41. Una lunga e antica tradizione cristiana situa l’ordinazione dentro il contesto del culto e particolarmente dell’eucarestìa. Questa collocazione della celebrazione dell’ordinazione fa sì che l’ordinazione stessa venga correttamente intesa come un atto di tutta la comunità, e non di un certo gruppo al suo interno, oppure della singola persona ordinata. L’atto di ordinazione mediante l’imposizione delle mani di coloro che ne sono incaricati è ad un tempo invocazione dello Spirito Santo (epiklesis), segno sacramentale, riconoscimento dei doni e impegno.
42. a) L’ordinazione è un’invocazione rivolta a Dio affinché il nuovo ministro riceva la potenza dello Spirito, nella nuova relazione che viene a stabilirsi tra questo ministro e la comunità cristiana locale e, sul piano dell’intenzione, la Chiesa universale. L’alterità dell’iniziativa divina, di cui il ministero ordinato è un segno, viene qui riconosciuta nello stesso atto dell’ordinazione. "Lo Spirito soffia dove vuole" (Gv. 3,3): l’invocazione dello Spirito implica che l’esaudimento della preghiera della Chiesa dipende in maniera assoluta da Dio. Ciò vuol dire che lo Spirito può mettere in movimento nuove energie e aprire nuove possibilità "infinitamente al di là di tutto ciò che noi domandiamo o pensiamo" (Ef. 3,20).

Gli rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio" (Gv. 3,3).

A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che opera in noi (Ef. 3,20).

43. b) L’ordinazione è un segno dell’esaudimento di questa preghiera da parte del Signore che accorda il dono del ministero ordinato. Benché l’esaudimento dell’epiclesi della Chiesa dipenda dalla libertà di Dio, tuttavia la Chiesa ordina nella fiducia che Dio, fedele alle sue promesse in Cristo, entra sacramentalmente nelle forme contingenti, storiche delle relazioni umane e le utilizza per i suoi fini. L’ordinazione è un segno compiuto credendo che la relazione spirituale che viene significata si fa presente con, mediante, e nelle parole dette, nei gesti compiuti e nelle forme utilizzate.
44. c) L’ordinazione è un riconoscimento da parte della Chiesa dei doni dello Spirito in colui che è ordinato, e un impegno da parte della Chiesa e della persona ordinata a [vivere] il nuovo rapporto [instauratosi tra loro]. Ricevendo attraverso l’atto dell’ordinazione il nuovo ministro, la comunità riconosce i doni di questo ministro e s’impegna alla responsabilità di essere aperta nei confronti di questi doni. Analogamente, coloro che hanno ricevuto l’ordinazione offrono i loro doni alla Chiesa e si impegnano a far fronte ai pesi e alle possibilità che un’autorità e una responsabilità nuove comportano. Allo stesso tempo, essi entrano in una relazione collegiale con gli altri ministri ordinati.


c) Le condizioni per l’ordinazione


45. I fedeli sono chiamati al ministero ordinato in modi diversi. C’è una consapevolezza personale di una chiamata del Signore a consacrarsi al ministero ordinato. Questa chiamata può essere riconosciuta nella preghiera e nella riflessione personale, ma anche attraverso suggerimenti, esempi, incoraggiamenti, orientamenti provenienti dalla famiglia, da amici, dalla comunità, dagli insegnanti e da altre autorità della Chiesa. Questa chiamata dev’essere autenticata dal riconoscimento da parte della Chiesa dei doni e delle grazie, naturali e spirituali, accordati a quella persona particolare, [e] necessari all’adempimento del ministero. Per il ministero ordinato, -Dio può servirsi sia di celibi sia di persone sposate.
46. Le persone ordinate possono essere ministri a tempo pieno nel senso che ricevono dalla Chiesa il loro salario. La Chiesa può ordinare anche persone che conservano altri impieghi od occupazioni.
47. I candidati al ministero ordinato hanno bisogno di un’adeguata preparazione studiando la Scrittura e la teologia, coltivando la preghiera e la spiritualità, e familiarizzandosi con le realtà sociali e umane del mondo contemporaneo. In certe situazioni, questa preparazione potrà prendere una forma diversa da quella di studi accademici prolungati. Il periodo di formazione sarà l’occasione per provare la vocazione del candidato, per stimolarla e confermarla, o per modificarne la comprensione.
48. Normalmente, l’impegno iniziale nel ministero ordinato dovrebbe essere senza riserve o limiti di tempo. Ma un congedo dal servizio non è incompatibile con l’ordinazione. La riassunzione di un ministero ordinato richiede l’accordo della Chiesa, ma non una nuova ordinazione. Nel riconoscimento del carisma del ministero concesso da Dio, l’ordinazione a uno qualunque dei vari ministeri ordinati non è mai ripetuta.
49. La disciplina concernente le condizioni per l’ordinazione in una determinata Chiesa non deve essere considerata come [una disciplina] da applicare universalmente, né essere utilizzata come motivo per non riconoscere i ministeri di altre Chiese.
50. Le Chiese che rifiutano di prendere in considerazione dei candidati al ministero ordinato a motivo di un handicap o perché appartengono, per esempio, a una razza o a un gruppo sociologico particolari, devono riesaminare la loro prassi. Questo ripensamento è particolarmente importante oggi, considerando le numerose esperienze di nuove forme di ministero attraverso le quali le Chiese si stanno accostando al mondo moderno.


VI. Verso il reciproco riconoscimento dei ministeri ordinati


51. Per progredire verso il reciproco riconoscimento dei ministeri, bisogna compiere sforzi particolari e meditati. Tutte le Chiese devono esaminare le forme del ministero ordinato e il grado della loro fedeltà alle intenzioni originarie. Le Chiese devono essere preparate a rinnovare la loro comprensione e la loro pratica del ministero ordinato.
52. Tra le questioni su cui bisogna lavorare mentre le Chiese avanzano verso il reciproco riconoscimento dei ministeri, quello della successione apostolica ha una particolare importanza. Le Chiese che sono coinvolte in conversazioni ecumeniche, possono riconoscere i loro rispettivi ministeri ordinati se sono rassicurate a vicenda circa la loro intenzione di trasmettere il ministero della Parola e dei Sacramenti in continuità con i tempi apostolici. L’atto di trasmissione dovrebbe essere compiuto in accordo con la tradizione apostolica, che include l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani.
53. Per giungere al riconoscimento reciproco dei ministeri, Chiese diverse dovranno compiere passi diversi. Per esempio:
a) Alle Chiese che hanno mantenuto la successione episcopale si chiede di riconoscere sia il contenuto apostolico del ministero ordinato esistente nelle Chiese che non hanno mantenuto tale successione, sia l’esistenza in queste Chiese di un ministero di episkopé sotto varie forme.
b) Le Chiese che non hanno successione episcopale e che vivono in fedele continuità con la fede e la missione apostoliche, hanno un ministero di Parola e Sacramenti, come è evidente considerando la fede, la prassi e la vita di queste Chiese. A queste Chiese si chiede di rendersi conto che la continuità con la Chiesa degli apostoli trova un’espressione profonda nella successione di imposizione delle mani da parte di vescovi e che, anche se esse possono non essere prive della continuità con la tradizione apostolica, tale segno rafforzerà e approfondirà quella continuità. Esse possono aver bisogno di ricuperare il segno della successione episcopale.
54. Alcune Chiese ordinano uomini e donne, altre ordinano soltanto uomini. Differenze su tale questione creano ostacoli al riconoscimento reciproco dei ministeri. Questi ostacoli però non devono essere considerati come un impedimento decisivo a compiere ulteriori sforzi verso il riconoscimento reciproco. L’apertura degli uni verso gli altri comporta la possibilità che lo Spirito parli a una Chiesa attraverso le cognizioni di un’altra. Pertanto, considerazioni ecumeniche dovrebbero incoraggiare - e non inibire - le Chiese ad affrontare questo problema.
55. Il riconoscimento reciproco delle Chiese e dei loro ministeri implica una decisione da parte delle autorità competenti, e un atto liturgico a partire dal quale l’unità sarà manifestata pubblicamente. Per questo atto pubblico sono state proposte molte forme: vicendevole imposizione delle mani, concelebrazione eucaristica, culto solenne senza rito particolare di riconoscimento, lettura di un testo di unione nel corso di una celebrazione. Nessuna forma liturgica è richiesta in modo assoluto, ma in tutti i casi sarebbe necessario proclamare pubblicamente l’avvenuta realizzazione del riconoscimento reciproco. Il luogo adeguato per compiere un atto di questo genere sarebbe certamente la celebrazione comune dell’eucarestìa.


APPENDICE


a) Il materiale


- Growing together in Baptism, Eucharist and Ministry, Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ginevra 1982. È una guida scritta da William H. Lazareth, per la discussione in gruppi di studio laici. E breve, costa poco, è scritta in uno stile vivace ed è rivolta principalmente al lettore medio.
- Ecumenical Perspectives on Baptism, Eucharist and Ministry, Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ginevra 1982. E un volume di saggi teologici, curato da Max Thurian, che fornisce agli studiosi in teologia e liturgia trattazioni più complete delle questioni tecniche sollevate [nel testo di Lima].
- Baptism and Eucharist: Ecumenical Convergence in Celebration, Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ginevra 1982. E un volume, curato da Max Tburian, che offre a preti e pastori materiale utile e modelli per il culto cristiano, adattabili in vario modo. Un’ampia varietà di riti riproducono il rinnovamento liturgico in atto nelle Chiese, comprese nuove liturgie ecumeniche del battesimo e dell’eucarestìa che contengono gli elementi raccomandati in questo testo concordato [a Lima].


b) L’uso di questo materiale


Questo materiale può essere utilizzato sia per il culto sia per lo studio. Così facendo si spera che ci sarà una ricerca comune delle Chiese ad approfondire il loro culto e la loro spiritualità, a insegnare la loro dottrina, ad alimentare la loro testimonianza e a impegnarsi in iniziative per la giustizia e il servizio, mentre avanzano verso l’unità cristiana.

1. Uso in contesti ecumenici:
In trattative di unione.
In conversazioni bilaterali.
In consigli di Chiese, a livello nazionale, regionale o locale.
In altri organismi ecumenici.

2. Uso all’interno delle Chiese:
Nella formazione teologica.
Nei comitati sulle relazioni delle Chiese.
Nelle assemblee di Chiesa.
In concili, sinodi e conferenze pastorali.
In gruppi laici di studio.
In atti ordinari di culto.
Tutte le Chiese sono incoraggiate a condividere e confrontare i risultati dei loro studi - tutte le volte che ciò è possibile – attraverso le frontiere confessionali, nazionali e culturali.