Battesimo, eucarestìa, ministero.
Propongo il famoso documento del 1982
della Commissione "Fede e Costituzione" del
Consiglio ecumenico delle Chiese,
corredato dai passi della Scrittura citati
nello stesso documento. Il confronto diretto
Documento-Bibbia aiuta senz'altro ad
approfondire i temi affrontati.
La Commissione «Fede e costituzione» del Consiglio ecumenico
delle Chiese (CEC), nella sessione svoltasi a Lima dal 3 al 15 gennaio 1982,
approvò un documento dedicato al Battesimo, all’eucarestìa e al ministero.
Questo documento si pone nel momento conclusivo di circa mezzo secolo di
riflessione ecumenica. Da quel momento venne aperta una fase cosiddetta di «ricezione»,
con l’invito a tutte le chiese a dare, entro il 1984, il loro parere di accordo
o meno sul documento pubblicato.
Tra
i 120 teologi che parteciparono ai lavori della Commissione nella redazione del
documento vi fu anche una rappresentanza cattolica. Il documento riveste una
notevole importanza per il raggiungimento di un consenso su numerosi problemi e
una generale convergenza di opinioni anche su punti che tradizionalmente sono
stati punti di disputa tra le chiese. La finalità esplicita proposta dal
documento è quella di delineare il quadro di una sola fede apostolica e di una
sola comunità eucaristica. È naturalmente, quello di questo documento, un
contributo elaborato in àmbito teologico. La formalizzazione dei livelli di
consenso compete naturalmente alle chiese.
La
prefazione del testo contiene una presentazione del Consiglio ecumenico delle
Chiese (CEC), e opera un’introduzione storica e un inquadramento generale del
documento.
Prefazione
Il Consiglio ecumenico delle Chiese
(CEC), secondo la definizione che ne propone il propri atto costitutivo, è «una
comunità fraterna di chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e
Salvatore secondo le Scritture e perciò si sforzano di rispondere insieme alla
loro comune vocazione per la gloria dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito
santo» (Costituzione).
Il Consiglio ecumenico non è tuttavìa
un’autorità universale che definisce e controlla ciò che i cristiani dovrebbero
credere e fare. Nel 1982, alla pubblicazione del documento, aveva raggiunto i
tre decennî di attività, ed era giunto a raccoglier una comunità di circa
trecento chiese, rappresentanti una ricca varietà di contesti culturali e
tradizioni, celebranti il culto in molte lingue diverse e operanti in sistemi
politici di ogni tipo. Nonostante queste differenze tutte le chiese aderenti
sono impegnate in una stretta collaborazione fatta di testimonianza cristiana e
di servizio. Allo stesso tempo esse sono impegnate insieme per conseguire la
mèta dell’unità visibile della chiesa.
La Commissione “Fede e
Costituzione" del Consiglio Ecumenico assicura un sostegno teologico agli
sforzi delle Chiese verso l’unità. La Commissione infatti è stata incaricata
dalle Chiese membri del Consiglio di ricordar loro continuamente l’obbligo
assunto di lavorare in vista della manifestazione in forma più visibile del
dono accordato da Dio dell’unità della Chiesa. Così, il fine esplicito della
Commissione è di "proclamare l’unicità della Chiesa di Gesù Cristo e di
chiamare le Chiese a tendere alla meta dell’unità visibile in un’unica fede e
in un’unica comunità eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in
Cristo, affinché il mondo creda" (Regolamento).
Se le Chiese divise intendono davvero
giungere all’unità visibile che esse cercano, uno dei presupposti essenziali è
che sul battesimo, l’eucarestìa e il ministero esse siano in un fondamentale
accordo. È dunque naturale che la Commissione "Fede e Costituzione"
abbia lavorato assiduamente per superare la divisione dottrinale su questi tre
temi. Durante gli ultimi cinquant’anni, la maggior parte delle sue conferenze
ha avuto al centro delle discussioni l’uno o l’altro di questi argomenti.
I tre testi sono il frutto di un
processo di ricerche di cinquant’anni i cui inizi risalgono alla prima
Conferenza di "Fede e Costituzione", a Losanna nel 1927. Il materiale
è stato discusso e rivisto dalla Commissione "Fede e Costituzione",
ad Accra (1974), a Bangalore (1978) e a Lima (1982). Nei periodi tra le
assemblee della Commissione plenaria, la Commissione permanente e il suo
Comitato di lavoro su Battesimo, Eucarestìa e Ministero hanno proseguito il
lavoro di redazione sotto la presidenza di fr. Max Thurian della comunità di
Taizé.
Questi testi ecumenici riflettono la
continua consultazione e collaborazione dei membri della Commissione (nominati
dalle Chiese) tra loro e con le Chiese stesse. La quinta Assemblea del
Consiglio Ecumenico (Nairobi 1975) ha autorizzato l’invio alle Chiese di un
primo testo provvisorio perché lo studiassero (Quaderno Faith and Order, n. 73). ~ molto significativo che più di cento
Chiese, praticamente di tutte le regioni e di tutte le tradizioni, abbiano
inviato commenti dettagliati. Questi sono stati analizzati con cura in
occasione di una consultazione a Crêt-Bérard, nel 1977 (Quaderno Faith and Order, n. 84).
Contemporaneamente, certi problemi
particolarmente difficili vennero anch’essi analizzati in occasione di speciali
consultazioni ecumeniche tenute sui seguenti temi: "Battesimo dei
fanciulli e dei credenti", a Louisville nel 1978 (Quaderno Faith and
Order, n. 97); "Episcopé ed episcopato", a Ginevra nel 1979 (Quaderno
Faith and Order, n. 102). Il testo
provvisorio è stato rivisto anche dai rappresentanti delle Chiese ortodosse a
Chambesy nel 1979. Infine la Commissione "Fede e Costituzione" è
stata nuovamente autorizzata dal Comitato centrale del Consiglio ecumenico a
Dresda (1981) a trasmettere alle Chiese il testo rivisto per l’ultima volta
(testo di Lima del 1982), domandando la loro risposta ufficiale come tappa di
importanza vitale nel processo ecumenico di ricezione.
Questo lavoro non è stato compiuto
soltanto da "Fede e Costituzione". I tre temi del battesimo, dell’eucarestìa
e del ministero sono stati oggetto di ricerca in molti dialoghi ecumenici. I
due principali tipi di conversazione tra le Chiese, il tipo bilaterale e quello
multilaterale, si sono dimostrati complementari e reciprocamente benèfici. I tre
rapporti della consultazione sulle conversazioni bilaterali lo mostrano
chiaramente: "Concezioni dell’unità" (1978), "Consensus o testi
di accordo" (1979), "Autorità e recezione" (1980), (Quaderno Faith and Order, n. 107). Di
conseguenza, la Commissione "Fede e Costituzione", nella sua ricerca
multilaterale concernente i tre temi, ha cercato di lavorare il più possibile
sulla base dei risultati particolari raggiunti nelle conversazioni bilaterali.
Difatti, uno dei compiti della Commissione è di valutare i risultati di tutti
questi sforzi particolari a vantaggio del movimento ecumenico nel suo insieme.
Ugualmente importante per lo sviluppo
di questo testo è stata la testimonianza di Chiese locali che sono già passate
attraverso il processo di unione superando le divisioni confessionali. È
importante riconoscere che la ricerca dell’unione delle Chiese a livello locale
e la ricerca di un consenso universale sono intimamente legate.
Forse però su questi testi, più ancora
che gli studi ufficiali, hanno influito i cambiamenti in atto nelle Chiese
stesse. Viviamo in un momento cruciale della storia dell’umanità. Mentre
progrediscono verso l’unità, le Chiese si domandano in che rapporto stiano la
loro comprensione e la loro pratica del battesimo, della eucarestìa e del
ministero con la loro missione nel quadro del rinnovamento della comunità umana
e per esso, dal momento che esse cercano di promuovere la giustizia, la pace e
la riconciliazione. Perciò il nostro testo non può venir dissociato dalla
missione redentrice e liberatrice di Cristo attraverso le Chiese nel mondo
moderno.
Come risultato degli studi biblici e
patristici, insieme al rinnovamento liturgico e alla necessità di una
testimonianza comune, si è effettivamente costituita una fraterna comunione
ecumenica che sovente trascende le frontiere confessionali, e nella quale le
vecchie differenze sono ora viste in una luce nuova. Così, benché il linguaggio
sia ancora in larga misura classico nello sforzo di riconciliazione delle
controversie storiche, questo testo ha una forza trainante sovente prodotta
dalla sua contestualità e modernità. Questo fatto stimolerà certamente molte
riformulazioni del testo nei vari linguaggi del nostro tempo.
A quali risultati ci hanno condotto
questi sforzi? Come dimostra il testo di Lima, abbiamo già raggiunto un
considerevole grado di accordo. Certamente non siamo ancora giunti ad un
“consenso” (consentire), inteso qui
come quella esperienza di vita e articolazione della fede che è necessaria per
realizzare e conservare l’unità visibile della Chiesa. Un tale consenso è
radicato nella comunione edificata su Cristo e sulla testimonianza degli
apostoli. Come dono dello. Spirito, prima di poter essere articolato in parole
mediante gli sforzi coordinati di tutti, esso si realizza come esperienza
comune. Un consenso completo può solo essere proclamato dopo che le Chiese sono
giunte al punto di poter vivere e agire insieme nell’unità.
Lungo il cammino verso la meta
dell’unità visibile, le Chiese dovranno passare attraverso varie tappe. Esse
sono state nuovamente benedette ascoltandosi a vicenda e tornando insieme alle
sorgenti originarie, vale a dire "alla Tradizione dell’Evangelo attestato
nella Scrittura, trasmesso nella Chiesa e da essa, mediante la potenza dello
Spirito Santo" (Conferenza mondiale di "Fede e Costituzione",
1963).
Abbandonando le ostilità del passato,
le Chiese hanno incominciato a scoprire molte convergenze promettenti nelle
loro convinzioni e prospettive condivise. Queste convergenze danno la certezza
che nonostante molte diversità nell’espressione teologica le Chiese hanno molto
in comune nella loro comprensione della fede. Il testo che ne risulta tende a
divenire parte di una immagine riflessa, fedele e sufficiente, della comune
Tradizione cristiana su elementi essenziali della comunione cristiana. Nel
processo di una crescita comune nella fiducia reciproca, le Chiese devono
sviluppare queste convergenze dottrinali tappa dopo tappa, fino a quando
saranno infine capaci di dichiarare insieme che esse vivono in comunione le une
con le altre, in continuità con gli apostoli e con gli insegnamenti della
Chiesa universale.
Il presente testo di Lima rappresenta
la significativa convergenza teologica che "Fede e Costituzione" ha
individuato e formulato. Coloro che sanno quanto le Chiese si sono
differenziate nella dottrina e nella pratica del battesimo, dell’eucarestìa e
del ministero, saranno in grado di valutare l’importanza di un accordo così
ampio come quello qui registrato. Praticamente tutte le Tradizioni
confessionali sono rappresentate nella Commissione. Che teologi di tradizioni
così marcatamente differenti siano stati capaci di parlare in modo così
armonico sul battesimo, l’eucarestìa e il ministero, è un fatto senza
precedenti nel movimento ecumenico moderno. È specialmente degno di nota il
fatto che la Commissione comprende anche tra i suoi membri a pieno diritto
teologi della Chiesa cattolica romana e di altre Chiese che non fanno parte del
Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Nel corso di una valutazione critica,
l’intenzione primaria di questo testo ecumenico deve essere tenuta ben
presente. Il lettore non deve aspettarsi di trovare una trattazione teologica
completa del battesimo, dell’eucarestìa e del ministero. Ciò non sarebbe né
opportuno, né desiderabile. Il testo concordato si concentra intenzionalmente
sugli aspetti del tema che sono direttamente o indirettamente in rapporto con i
problemi del riconoscimento reciproco che conduce all’unità. Il testo
principale evidenzia i punti più importanti di convergenza teologica; i
commenti aggiunti indicano le differenze storiche che sono state superate,
oppure individuano punti controversi che esigono ancora ricerca e
riconciliazione.
Alla luce di tutti questi sviluppi, la
Commissione "Fede e Costituzione" presenta ora alle Chiese questo
testo di Lima (1982). Lo facciamo con profonda convinzione, poiché siamo
divenuti sempre più consapevoli della nostra unità nel Corpo di Cristo. Abbiamo
trovato motivo per rallegrarci riscoprendo le ricchezze della nostra comune
eredità nell’Evangelo. Crediamo che lo Spirito
Santo ci ha condotti fino a questo
momento - un kairos del movimento
ecumenico - nel quale Chiese deplorevolmente divise sono state rese capaci di
giungere ad accordi teologici sostanziali. Crediamo che molti progressi significativi
sono possibili se nelle nostre Chiese avremo sufficiente coraggio e
immaginazione per accogliere il dono dell’unità che Dio ci accorda.
Come prova concreta del loro impegno
ecumenico, le Chiese sono invitate a rendere possibile il massimo coinvolgimento
del popolo di Dio, a tutti i livelli della vita ecclesiastica, nel processo
spirituale di ricezione di questo testo.
Alcuni suggerimenti particolari
riguardanti il suo impiego nel culto, nella testimonianza e nella riflessione
delle Chiese sono offerti in appendice.
La Commissione “Fede e
Costituzione" invita ora rispettosamente tutte le Chiese a preparare una
risposta ufficiale a questo testo, al più alto livello possibile di autorità,
sia esso un Consiglio, un Sinodo, una Conferenza, un’Assemblea o qualunque
altro organismo. Per favorire il processo di ricezione, la Commissione vorrebbe
conoscere con la massima precisione possibile:
-
fino a che punto
la vostra Chiesa può riconoscere in questo testo la fede della Chiesa
attraverso i secoli;
-
quali conseguenze
la vostra Chiesa può trarre da questo testo per le sue relazioni e dialoghi con
altre Chiese, particolarmente con le Chiese che riconoscono anch’esse questo
testo come una espressione della fede apostolica;
-
quali indicazioni
la vostra Chiesa può ricevere da questo testo per il suo culto e per la sua
vita e testimonianza nel campo dell’istruzione (cristiana), dell’etica e della
spiritualità;
-
quali
suggerimenti la vostra Chiesa può dare per il proseguimento del lavoro di
"Fede e Costituzione" per quel che riguarda il rapporto tra il
materiale di questo testo su battesimo, eucarestìa e ministero e il suo
progetto di ricerca a lungo termine su "Verso un’espressione comune della
fede apostolica oggi".
La nostra intenzione è di mettere a
confronto tutte le risposte ufficiali che riceveremo, di pubblicare i risultati
e di analizzarne le implicazioni ecumeniche per le Chiese, in occasione di una
futura Conferenza Mondiale di "Fede e Costituzione".
Tutte le risposte a queste domande
dovranno essere inviate entro il 31 dicembre 1984 al Segretariato di "Fede
e ‘Costituzione", Consiglio Ecumenico delle Chiese, 150 route de Ferney,
1211 Ginevra 20, Svizzera.
William H.
Lazareth, Direttore del Segretariato “Fede e Costituzione”
Nikos
Nissiotis, Presidente della Commissione “Fede e Costituzione”
Battesimo
I. L’istituzione del Battesimo
1. Il battesimo cristiano è radicato
nel ministero di Gesù di Nàzareth, nella sua morte e nella sua risurrezione.
Esso è incorporazione in Cristo, Signore crocifisso e risorto; è ingresso nella
Nuova Alleanza tra Dio e il suo popolo. Il battesimo è un dono di Dio ed è
conferito nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. San Matteo
riferisce che il Signore risorto, inviando i suoi discepoli nel mondo, ordinò
loro di battezzare (Mt. 28,18-20).
Gesù si
avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla
terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto
ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo" (Mt. 28,18-20).
La pratica universale del battesimo da
parte della Chiesa apostolica, fin dai primissimi giorni, è attestata dalle
lettere del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli e dagli scritti dei
Padri. Le Chiese oggi continuano a praticare il battesimo come rito di impegno
nei confronti del Signore che riversa la sua grazia sul suo popolo.
II. Il significato del Battesimo
2. Il battesimo è il segno della vita
nuova per mezzo di Gesù Cristo. Esso unisce il battezzato con Cristo e col suo
popolo. Le Scritture del Nuovo Testamento e la liturgia della Chiesa sviluppano
il significato del battesimo, utilizzando varie immagini, che esprimono le
ricchezze di Cristo e i doni della sua salvezza.
Queste immagini sono talvolta
collegate con gli usi simbolici dell’acqua nell’Antico Testamento. Il battesimo
è partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo (Rm. 6,3-5; Col.
2,12); purificazione dal peccato (1Cor. 6,11); nuova nascita (Gv. 3,5);
illuminazione mediante Cristo (Ef. 5,14); rivestirsi di Cristo (Gal. 3,27);
rinnovamento per opera dello Spirito (Tt. 3,5); esperienza di salvezza dalle
acque del diluvio (1Pt. 3,20-21); esodo dalla schiavitù (1Cor. 10,1-2) e
liberazione in vista di una nuova umanità in cui le barriere della divisione di
sesso, razza e posizione sociale sono superate (Gal. 3,27-28; 1Cor. 12,13).
Numerose sono le immagini, ma unica la realtà.
O non sapete
che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella
sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui
nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della
gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se
infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo
saremo anche a somiglianza della sua risurrezione (Rm. 6,3-5).
Con lui sepolti
nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di
Dio, che lo ha risuscitato dai morti (Col 2,12).
E tali eravate
alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati
nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1Cor. 6,11).
Rispose Gesù:
"In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non
può entrare nel regno di Dio (Gv. 3,5).
Per questo è
detto: / "Svégliati, tu che dormi, / risorgi dai morti / e Cristo ti
illuminerà" (Ef. 5,14).
Poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo
né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,27-28).
Egli ci ha
salvati, / non per opere giuste da noi compiute, / ma per la sua misericordia,
/
con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo (Tt. 3,5).
con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo (Tt. 3,5).
Che un tempo
avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei
giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in
tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del
battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è
invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù
della risurrezione di Gesù Cristo (1Pt. 3,20-21).
Non voglio
infatti che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube,
tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella
nube e nel mare (1Cor. 10,1-2).
Infatti noi
tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei
o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito
(1Cor 12,13).
a) Partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo
3. Il battesimo significa
partecipazione alla vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Gesù è sceso nel
Giordano ed è stato battezzato in solidarietà con i peccatori, per compiere
ogni giustizia (Mt. 3,15). Questo battesimo ha condotto ‘Gesù sul cammino del
Servo sofferente, manifestato nella sua passione, morte e risurrezione (Mc.
10,38-40.45). Tramite il battesimo, i cristiani sono immersi nella morte
liberatrice di Cristo, in cui i loro peccati vengono sepolti, il "vecchio
Adamo" viene crocifisso con Cristo e il potere del peccato viene infranto.
Così i battezzati non sono più schiavi del peccato, ma liberi.
Ma Gesù gli
rispose: "Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni
giustizia". Allora egli lo lasciò fare (Mt. 3,15).
Gesù disse
loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io
bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". Gli
risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io
bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi
sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me
concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". […] Anche il
Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti" (Mc. 10,38-40.45).
Pienamente associati alla morte di
Cristo, essi sono sepolti con lui e risuscitano qui e ora a una vita nuova
nella potenza della risurrezione di Gesù Cristo, confidando di essere un giorno
uniti a lui anche in una risurrezione simile alla sua (Rm. 6,3-11; Col. 2,13;
3,1; Ef. 2,5-6).
O non sapete
che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella
sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui
nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della
gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se
infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo
saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l'uomo vecchio
che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo
corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è
morto, è liberato dal peccato.
Ma se siamo
morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo,
risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti
egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive
per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in
Cristo Gesù (Rm. 6,3-11).
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle
colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe
(Col. 2,13).
Se dunque siete
risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra
di Dio (Col. 3,1).
Da morti che
eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete
salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in
Cristo Gesù (Ef. 2,5-6).
b) Conversione, perdono, purificazione.
4. Il battesimo, che rende i cristiani
partecipi del mistero della morte e risurrezione di Cristo, implica confessione
di peccato e conversione del cuore. Già il battesimo dato da Giovanni era un
battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Mc. 1,4). Il Nuovo
Testamento sottolinea le implicazioni etiche del battesimo, rappresentandolo
come un’abluzione che lava il corpo con acqua pura, una purificazione del cuore
da ogni peccato e un atto di giustificazione (Eb. 10,22; 1Pt. 3,21; At. 22,16;
1Cor. 6,11). Così i battezzati vengono perdonati, purificati e santificati da
Cristo; essi ricevono un nuovo orientamento etico sotto la guida dello Spirito
Santo; questo fa parte della loro esperienza battesimale.
Vi fu Giovanni,
che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il
perdono dei peccati (Mc. 1,4).
Accostiamoci
con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni
cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura (Eb. 10,22).
Quest'acqua,
come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia
del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona
coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo (1Pt. 3,21).
E ora, perché
aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il
suo nome" (At. 22,16).
E tali eravate
alcuni di voi! Ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati
giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio
(1Cor. 6,11).
c) Dono dello Spirito
5. Lo Spirito Santo è all’opera nella
vita delle persone, prima, durante e dopo il loro battesimo. È lo stessa
Spirito che ha rivelato Gesù come il Figlio (Mc. 1,10-11) e che alla Pentecoste
ha dato ai discepoli potenza e unità (At. 2). Dio riversa sopra i singoli
credenti l’unzione e la promessa dello Spirito Santo, li segna col suo sigillo e
mette nei loro cuori la caparra della loro eredità di figli e figlie di Dio. Lo
Spirito Santo nutre la vita di fede nei loro cuori, sino alla liberazione finale,
quando essi entreranno nel pieno possesso della loro eredità, a lode della gloria
di Dio (2Cor. 1,21-22; Ef. 1,13-14).
E subito,
uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di
lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio,
l'amato: in te ho posto il mio compiacimento" (Mc. 1,10-11).
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti
insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un
vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero
loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di
loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre
lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano
allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A
quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva
parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia,
dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno
di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti,
abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e
dell'Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia
vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e
li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio". Tutti
erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa
significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono
ubriacati di vino dolce".
Allora Pietro
con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: "Uomini
di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate
attenzione alle mie parole. Questi uomini non sono ubriachi, come voi
supponete: sono infatti le nove del mattino; accade invece quello che fu detto
per mezzo del profeta Gioele:
Avverrà : negli
ultimi giorni - dice Dio -
su tutti
effonderò il mio Spirito;
i vostri figli
e le vostre figlie profeteranno ,
i vostri
giovani avranno visioni
e i vostri
anziani faranno sogni .
E anche sui
miei servi e sulle mie serve
in quei giorni
effonderò il mio Spirito
ed essi
profeteranno.
Farò prodigi
lassù nel cielo
e segni quaggiù
sulla terra,
sangue, fuoco e
nuvole di fumo.
Il sole si
muterà in tenebra
e la luna in
sangue,
prima che
giunga il giorno del Signore ,
giorno grande e
glorioso.
E avverrà :
chiunque
invocherà il nome del Signore sarà salvato .
Uomini
d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio
presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra
voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il
prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete
crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori
della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice
infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo
sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla
mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si
rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,
e anche la mia
carne riposerà nella speranza,
perché tu non
abbandonerai la mia vita negli inferi
né permetterai
che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto
conoscere le vie della vita,
mi colmerai di
gioia con la tua presenza .
Fratelli, mi
sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu
sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva
che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo
discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu
abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù,
Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla
destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha
effuso, come voi stessi potete vedere e udire. Davide infatti non salì al
cielo; tuttavia egli dice:
Disse il
Signore al mio Signore:
siedi alla mia
destra,
finché io ponga
i tuoi nemici
come sgabello
dei tuoi piedi.
Sappia dunque
con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo
quel Gesù che voi avete crocifisso".
All'udire
queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse loro:
"Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito
Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli
che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro". Con molte
altre parole rendeva testimonianza e li esortava: "Salvatevi da questa
generazione perversa!". Allora coloro che accolsero la sua parola furono
battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Erano
perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare
il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni
avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano
ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con
tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme
nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e
semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.
Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano
salvati (At. 2).
È Dio stesso
che ci conferma, insieme a voi, in Cristo e ci ha conferito l'unzione, ci ha
impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori
(2Cor. 1,21-22).
In lui anche
voi,
dopo avere
ascoltato la parola della verità,
il Vangelo
della vostra salvezza,
e avere in esso
creduto,
avete ricevuto
il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è
caparra della nostra eredità,
in attesa della
completa redenzione
di coloro che
Dio si è acquistato a lode della sua gloria (Ef. 1,13-14).
d) Incorporazione nel corpo di Cristo
6. Celebrato in obbedienza a Nostro
Signore, il battesimo è un segno e un sigillo del nostro comune discepolato.
Attraverso il loro battesimo, i cristiani sono posti in un rapporto di unione
con Cristo, con ogni altro cristiano e con la Chiesa di tutti i tempi e di
tutti i luoghi. Così il nostro comune battesimo, che ci unisce a Cristo nella
fede, è un fondamentale legame di unità. Noi siamo un solo popolo e siamo
chiamati a confessare e servire un solo Signore, in ogni luogo e in tutto il
mondo. L’unione con Cristo, che condividiamo grazie al battesimo, ha delle
implicazioni importanti per l’unità cristiana. "Vi è... un solo battesimo,
un solo Dio e Padre di tutti..." (Ef. 4,4-6). Quando nella Chiesa una, santa,
cattolica e apostolica, l’unità battesimale viene realizzata, allora può essere
resa un’autentica testimonianza cristiana all’amore di Dio che guarisce e riconcilia.
Perciò, il nostro unico battesimo in Cristo costituisce un appello alle Chiese
perché superino le loro divisioni e manifestino visibilmente la loro comunione.
Un solo corpo e
un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati,
quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo
battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per
mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef. 4,4-6).
Commento
L’incapacità
delle Chiese di riconoscere a vicenda le loro diverse prassi battesimali come modi
di partecipare all’unico battesimo, e il loro attuale stato di divisione malgrado
il reciproco riconoscimento del battesimo, mettono drammaticamente in evidenza
il fatto che la testimonianza della Chiesa è divisa. La disponibilità delle
Chiese, in determinati luoghi e tempi, a permettere che le differenze di sesso,
razza e condizione sociale dividano il corpo di Cristo, ha ulteriormente messo
in questione l’autenticità dell’unità battesimale della comunità cristiana
(Gal. 3,27-28), ed ha seriamente compromesso la sua testimonianza. Il bisogno
di ritrovare l’unità battesimale è al centro del compito ecumenico, così come è
fondamentale per attuare un’autentica fratellanza in seno alle comunità
cristiane.
Poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo
né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti
voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,27-28).
e) Segno del Regno
7. Il battesimo inaugura la realtà
della vita nuova donata già in questo mondo. Rende partecipi della comunità
dello Spirito Santo. È un segno del Regno di Dio e della vita del mondo futuro.
Grazie ai doni della fede, della speranza e dell’amore, il battesimo possiede
una dinamica ‘che investe la vita intera, si estende a tutte le nazioni e
anticipa il giorno in cui ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore,
alla gloria di Dio Padre.
III. Il battesimo e la fede
8. Il battesimo è allo stesso tempo un
dono di Dio e la nostra risposta umana a quel dono. Esso tende ad una crescita
verso la condizione di cristiani adulti, all’altezza della statura perfetta di
Cristo (Ef. 4,13). Tutte le Chiese riconoscono la necessità della fede per
ricevere la salvezza contenuta e manifestata nel battesimo. L’impegno personale
è necessario per essere un membro responsabile del Corpo di Cristo.
Per preparare i
fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo,
finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di
Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di
Cristo (Ef. 4,12-13).
9. Il battesimo è
in rapporto non solo con un’esperienza momentanea, ma con una crescita verso
Cristo che dura tutta la vita. I battezzati sono chiamati ad essere un riflesso
della gloria del Signore, in quanto Sono trasformati dalla potenza dello
Spirito Santo nella Sua immagine, di gloria in gloria (2Cor. 3,18). La vita del
cristiano è necessariamente un continuo combattimento, ma anche una continua
esperienza di grazia. In questa relazione nuova, i battezzati vivono per
Cristo, per la sua Chiesa e per il mondo che Egli ama, mentre attendono nella
speranza la manifestazione della nuova creazione di Dio e il tempo in cui Dio
sarà tutto in tutti (Rm. 8,18-24; 1Cor. 15,22-28.49-57).
E noi tutti, a
viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione
dello Spirito del Signore (2Cor. 3,18).
Ritengo infatti
che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura
che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è
protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata
sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che
l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata
dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei
figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le
doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le
primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la
redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora,
ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che
uno già vede, come potrebbe sperarlo? (Rm. 8,18-24).
Come infatti in Adamo tutti muoiono,
così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima
Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi
sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto
al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli
regni finché non abbia posto tutti i
nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico a essere annientato sarà la
morte, perché ogni cosa ha posto sotto i
suoi piedi. Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro
che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto
gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli
ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
[…]
E come
eravamo simili all'uomo terreno, così saremo simili all'uomo celeste. Vi dico
questo, o fratelli: carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio, né
ciò che si corrompe può ereditare l'incorruttibilità.
Ecco, io
vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in
un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Essa infatti
suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È
necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d'incorruttibilità e
questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo
corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale
d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?
Il
pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano
rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù
Cristo! (1Cor. 15,22-28.49-57).
10. Crescendo
come cristiani nella vita di fede, i credenti battezzati attestano che
l’umanità può essere rigenerata e liberata. Essi hanno, qui e ora, la comune responsabilità
di rendere insieme testimonianza all’Evangelo di Cristo, liberatore di tutti
gli esseri umani. Il contesto di questa comune testimonianza sono la Chiesa e
il mondo. All’interno di una comunione di testimonianza e di servizio, i
cristiani scoprono il pieno significato dell’unico battesimo come il dono di
Dio a tutto il suo popolo. ‘Così pure riconoscono che il battesimo, in quanto
battesimo nella morte di Cristo, ha delle implicazioni etiche, che non solo
richiedono la santificazione personale, ma altresì spronano i cristiani a lottare
perché si realizzi la volontà di Dio in tutti i settori della vita (Rm. 6,9ss; Gal.
3,26-28; 1Pt. 2,21-4,6).
Ma se
siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo,
risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti
egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive
per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in
Cristo Gesù (Rm. 6,8-11).
Tutti voi
infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete
stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né
Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi
siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,26-28).
A questo
infatti siete stati chiamati, perché
anche
Cristo patì per voi,
lasciandovi
un esempio,
perché ne
seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca;
insultato,
non rispondeva con insulti,
maltrattato,
non minacciava vendetta,
ma si
affidava a colui
che
giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno
della croce,
perché,
non vivendo più per il peccato,
vivessimo
per la giustizia;
dalle sue
piaghe siete stati guariti.
Eravate
erranti come pecore,
ma ora
siete stati ricondotti
al pastore
e custode delle vostre anime.
Allo
stesso modo voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti, perché, anche se
alcuni non credono alla Parola, vengano riguadagnati dal comportamento delle
mogli senza bisogno di discorsi, avendo davanti agli occhi la vostra condotta
casta e rispettosa. Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli
intrecciati, collane d'oro, sfoggio di vestiti - ma piuttosto, nel profondo del
vostro cuore, un'anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che
è prezioso davanti a Dio. Così un tempo si ornavano le sante donne che
speravano in Dio; esse stavano sottomesse ai loro mariti, come Sara che
obbediva ad Abramo, chiamandolo signore. Di lei siete diventate figlie, se
operate il bene e non vi lasciate sgomentare da alcuna minaccia.
Così pure
voi, mariti, trattate con riguardo le vostre mogli, perché il loro corpo è più
debole, e rendete loro onore perché partecipano con voi della grazia della
vita: così le vostre preghiere non troveranno ostacolo.
E infine
siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati
da affetto fraterno, misericordiosi, umili. Non rendete male per male né
ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo infatti siete
stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione.
Chi infatti vuole amare la vita
e vedere giorni felici
trattenga la lingua dal male
e le labbra da parole d'inganno,
eviti il male e faccia il bene,
cerchi la pace e la segua,
perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti
e le sue orecchie sono attente alle loro preghiere;
ma il volto del Signore è contro coloro che fanno il male.
E chi
potrà farvi del male, se sarete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per
la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi
per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei
vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della
speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con
una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi,
rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in
Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il
bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per
i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel
corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l'annuncio
anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando
Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava
l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo
dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non
porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da
parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli
è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità
sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Avendo
Cristo sofferto nel corpo, anche voi dunque armatevi degli stessi sentimenti.
Chi ha sofferto nel corpo ha rotto con il peccato, per non vivere più il resto
della sua vita nelle passioni umane, ma secondo la volontà di Dio. È finito il
tempo trascorso nel soddisfare le passioni dei pagani, vivendo nei vizi, nelle
cupidigie, nei bagordi, nelle orge, nelle ubriachezze e nel culto illecito
degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro
verso questo torrente di perdizione, e vi oltraggiano. Ma renderanno conto a
colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti. Infatti anche ai morti è stata
annunciata la buona novella, affinché siano condannati, come tutti gli uomini,
nel corpo, ma vivano secondo Dio nello Spirito (1Pt. 2,21-4,6).
IV. La prassi battesimale
a) Battesimo dei credenti e battesimo dei bambini
11. Non si può escludere la possibilità che il
battesimo dei bambini sia stato praticato anche nel periodo apostolico, ma il
tipo di battesimo più chiaramente attestato nei documenti del Nuovo Testamento
è quello che ha luogo in base a una confessione di fede personale.
Nel corso della
storia, la prassi battesimale si è sviluppata secondo varie forme. Alcune
Chiese battezzano bambini presentati da genitori o da tutori disposti a educarli
nella fede cristiana, nella Chiesa e con essa. Altre Chiese praticano esclusivamente
il battesimo di credenti capaci di fare una confessione di fede personale.
Alcune di queste Chiese raccomandano che i bambini o i fanciulli vengano
presentati e benedetti nel corso di una celebrazione che comprende abitualmente
un rendimento di grazie per il dono del bambino e anche l’impegno della madre e
del padre ad essere dei genitori cristiani.
Chiese battezzano
dei credenti che, provenendo da altre religioni o dall’incredulità, accettano
la fede cristiana e partecipano ad una istruzione catechistica.
12. Tanto il
battesimo dei credenti quanto il battessimo dei bambini, hanno luogo nella
Chiesa in quanto comunità di fede. Quando viene battezzata una persona in grado
di rispondere delle sue azioni, una confessione di fede personale sarà parte
integrante della celebrazione battesimale. Quando viene battezzato un bambino,
la risposta personale verrà presentata più avanti, nel corso della vita. In
entrambi i casi, il battezzato dovrà crescere nella comprensione della fede.
Per quanti vengono battezzati in base alla loro propria confessione di fede, vi
è sempre l’esigenza costante di una crescita continua della risposta personale
nella fede.
Nel caso dei
bambini, una confessione personale è richiesta più tardi; l’educazione
cristiana tende a far scaturire questa confessione. Ogni battesimo affonda le
sue radici nella fedeltà di Cristo fino alla morte e proclama questa fedeltà.
Esso si situa nel quadro della vita e della fede della Chiesa, e attraverso la
testimonianza di tutta la Chiesa mette in luce la fedeltà di Dio, fondamento di
ogni vita nella fede. Ad ogni battesimo, l’intera comunità riafferma la sua
fede in Dio e si impegna a fornire al battezzato un contesto di testimonianza e
di servizio. Il battesimo, dunque, dovrebbe essere sempre celebrato e
sviluppato nel quadro della comunità cristiana.
Commento
Quando
si utilizzano le espressioni "battesimo dei bambini" e
"battesimo dei credenti", bisogna tener presente ‘che la vera
distinzione è tra coloro che battezzano persone di qualunque età e coloro che
battezzano solamente persone capaci di pronunciare esse stesse la confessione
di fede. Tra il battesimo dei bambini e il battesimo dei credenti, la
differenza risulta minore se si riconosce che nelle due forme di battesimo
prende corpo l’iniziativa di Dio in Cristo e che esse esprimono una risposta di
fede data in seno alla comunità credente.
La
pratica del battesimo dei bambini sottolinea la fede comunitaria e la fede che
il bambino condivide con i suoi genitori. Il bambino è nato in un mondo diviso
e vi partecipa. Mediante il battesimo, la promessa e la chiamata dell’Evangelo
sono poste sopra il bambino. La fede personale del battezzato e la sua
partecipazione fedele alla vita della Chiesa sono essenziali affinché il
battesimo porti tutti i suoi frutti.
La
pratica del battesimo dei credenti sottolinea la confessione esplicita della
persona che risponde alla grazia di Dio, dentro e attraverso la comunità di
fede, e che chiede il battesimo. Ambedue le forme del battesimo esigono un
atteggiamento egualmente responsabile in rapporto all’educazione cristiana. Una
riscoperta del carattere permanente della formazione cristiana può facilitare
la reciproca accettazione di differenti pratiche di iniziazione.
In
alcune Chiese, che abbinano le tradizioni del battesimo dei bambini e del
battesimo dei credenti, è stato possibile considerare come alternative
equivalenti per l’entrata nella Chiesa, sia la forma secondo la quale il
battesimo conferito nell’infanzia è seguito più tardi da una professione di
fede, sia la forma secondo la quale il battesimo dei credenti fa seguito a una
presentazione e ad una benedizione avvenute nell’infanzia. Questo esempio
invita altre Chiese a decidere se esse pure non possano riconoscere delle
alternative equivalenti nelle loro relazioni reciproche e nelle trattative di
unione tra le Chiese.
13. Il battesimo
è un atto irripetibile. Bisogna evitare qualsiasi pratica che possa venire
interpretata come un "ri-battesimo".
Commento
Certe
Chiese, che avevano insistito su una particolare forma di battesimo, o che
avevano avuto seri problemi a proposito dell’autenticità dei sacramenti e dei ministeri
di altre Chiese, hanno talvolta richiesto a chi veniva da altre tradizioni
ecclesiali di essere battezzato prima di diventare membro in piena comunione.
Dal momento che le Chiese sono giunte ad una più ampia comprensione ed
accettazione reciproca, ed entrano in più strette relazioni di testimonianza e
di servizio, esse vorranno astenersi da ogni pratica che possa mettere in dubbio
l’integrità sacramentale delle altre Chiese o attenuare il carattere
irripetibile del sacramento del battesimo.
b) Battesimo - Crismazione - Confermazione
14. Nell’opera di
Dio per la salvezza, il mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo è
inseparabilmente legato al dono pentecostale dello Spirito Santo. Così pure, la
partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo è inseparabilmente
legata all’accoglienza dello Spirito. Nel suo senso pieno, il battesimo
significa e attua l’una e l’altra cosa.
I cristiani hanno
opinioni diverse per quanto concerne l’individuazione del segno del dono dello
Spirito. Atti diversi sono stati associati al dono dello Spirito. Per alcuni, è
il rito stesso dell’acqua. Per altri, è l’unzione con il crisma e/o
l’imposizione delle mani, che molte Chiese chiamano confermazione. Per altri
ancora, si tratta di tutti e tre i gesti, poiché essi considerano che lo
Spirito agisce attraverso l’intero rito. Tutti sono d’accordo nel dire che il
battesimo cristiano è in acqua e Spirito Santo.
Commento
a)
In certe tradizioni, si precisa che, come il battesimo ci rende conformi al
Cristo crocifisso, sepolto e risorto, così, con la crismazione, i cristiani
ricevono il dono dello Spirito della Pentecoste da parte del Figlio che ha
ricevuto l’unzione.
b)
Se il battesimo, come incorporazione nel Corpo di Cristo, tende per sua stessa
natura alla comunione eucaristica del corpo e del sangue di Cristo, ci si
chiede come mai un rito ulteriore e separato possa interporsi tra il battesimo
e l’ammissione alla comunione. Le Chiese che battezzano dei bambini, ma
rifiutano loro la partecipazione all’eucarestìa prima di quel rito, dovrebbero
domandarsi se hanno pienamente valutato e accettato le conseguenze del
battesimo.
c)
Il battesimo ha bisogno di essere incessantemente riaffermato. La forma più
naturale di riaffermazione è la celebrazione dell’eucarestìa. Il rinnovo degli
impegni battesimali può aver luogo anche in altre occasioni, come la
celebrazione annuale del mistero pasquale oppure quando vengono battezzate
altre persone.
c) Verso un riconoscimento reciproco del battesimo
15. Sempre più le
Chiese praticano tra loro il riconoscimento reciproco del battesimo come
l’unico battesimo in Cristo, quando Gesù Cristo è stato confessato dal
candidato come Signore, oppure quando, come nel caso di battesimo di un
bambino, questa confessione è stata fatta dalla ‘Chiesa (genitori, tutori,
padrini, madrine e comunità) ed affermata più tardi attraverso la fede e l’impegno
personale. Il riconoscimento reciproco del battesimo è considerato un segno e
un mezzo importante per esprimere l’unità battesimale donata in Cristo.
Ovunque è
possibile, le Chiese dovrebbero esprimere in modo esplicito il riconoscimento
reciproco dei loro battesimi.
16. Coloro che
praticano il battesimo dei credenti e coloro che battezzano i bambini
dovrebbero, per superare le loro divergenze, riconsiderare alcuni aspetti delle
loro prassi. I primi potrebbero cercare di esprimere più visibilmente il fatto
che i bambini sono posti sotto la protezione della grazia di Dio. I secondi devono
guardarsi da una pratica battesimale pressoché indiscriminata e prendere più
sul serio la loro responsabilità nell’educazione dei bambini battezzati in vista
di un impegno adulto per Cristo.
d) La celebrazione del battesimo
17. Il battesimo
viene celebrato con acqua, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo.
18. Nella
celebrazione del battesimo, il valore simbolico dell’acqua dovrebbe essere
preso sul serio e non minimizzato. L’atto dell’immersione può esprimere con
evidenza visiva il fatto che, nel battesimo, il cristiano partecipa alla morte,
sepoltura e risurrezione di Cristo.
Commento
In
alcune tradizioni teologiche, l’uso dell’acqua, con tutte le sue associazioni
positive con la vita e la benedizione, significa la continuità tra la vecchia e
la nuova creazione, manifestando così il significato del battesimo non
solamente per gli esseri umani, ma anche per tutto il cosmo. Nello stesso
tempo, l’uso dell’acqua rappresenta una purificazione della creazione, un
morire a tutto ciò che nel mondo è negativo e distruttivo: quelli che sono battezzati
nel Corpo di Cristo sono resi partecipi d’un’esistenza rinnovata.
19. Come già accadeva nei primi
secoli, il dono dello Spirito nel battesimo può essere significato in altri
modi ancora: per esempio, con il segno dell’imposizione delle mani e con
l’unzione o crismazione. Il segno della croce stesso richiama il dono promesso
dello Spirito Santo, che è la caparra e il pegno di ciò che deve ancora venire,
quando Dio avrà pienamente redento quelli che Egli si è acquistato (Ef.
1,13-14). Si può pensare che la riscoperta di questi segni molto espressivi
possa arricchire la liturgia.
In lui
anche voi,
dopo avere
ascoltato la parola della verità,
il Vangelo
della vostra salvezza,
e avere in
esso creduto,
avete
ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
il quale è
caparra della nostra eredità,
in attesa
della completa redenzione
di coloro
che Dio si è acquistato a lode della sua gloria (Ef. 1,13-14).
20. In ogni
liturgia completa del battesimo dovrebbero trovar posto almeno i seguenti
elementi: la proclamazione dei passi biblici relativi al battesimo; un’invocazione
dello Spirito Santo; una rinuncia al male; una professione di fede in Cristo e
nella Santa Trinità; l’uso dell’acqua; una dichiarazione che le persone
battezzate hanno acquisito una nuova identità come figli e figlie di Dio, e
come membri della Chiesa chiamati ad essere testimoni del Vangelo. Alcune Chiese
ritengono che l’iniziazione cristiana non è completa senza il suggello del dono
dello Spirito Santo e la partecipazione del battezzato alla santa comunione.
21. Nel quadro
del servizio battesimale, è bene spiegare il senso del battesimo secondo la
Scrittura: partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, conversione,
perdono e purificazione, dono dello Spirito, incorporazione nel Corpo di Cristo
e segno del Regno.
Commento
Il
dibattito recente dimostra che bisognerebbe prestare maggiore attenzione a
possibili malintesi favoriti dal contesto socio culturale in cui il battesimo
ha luogo.
a)
In alcune parti del mondo, l’uso di dare un nome al battezzato nel corso della
liturgia battesimale ha portato alla confusione tra battesimo e riti
particolari che accompagnano l’attribuzione del nome. Questa confusione è
particolarmente spiacevole se, in culture a predominanza non-cristiana, i
battezzati devono ricevere dei nomi cristiani che non sono radicati nella loro
tradizione culturale. Quando le Chiese preparano la loro normativa sul battesimo,
dovrebbero essere attente a mantenere l’accento sul vero significato cristiano
del battesimo, e ad evitare che i battezzati siano inutilmente estraniati dalla
loro cultura locale a motivo dell’imposizione di nomi stranieri. Un nome
ricevuto dalla propria cultura d’origine radica il battezzato in questa cultura
e, nello stesso tempo, manifesta l’universalità del battesimo, incorporazione
nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, che si estende in tutte le
nazioni della terra.
b)
In parecchie Chiese moltitudiniste europee e nord-americane, il battesimo dei
bambini viene sovente praticato in maniera apparentemente indiscriminata. Ciò
contribuisce a rendere le Chiese che praticano il battesimo dei credenti
riluttanti a riconoscere la validità del battesimo dei bambini; d’altra parte
questo stesso fatto suscita una riflessione più critica sul significato del
battesimo in seno a queste stesse Chiese moltitudiniste.
c)
Alcune Chiese africane praticano il battesimo dello Spirito Santo senza acqua,
con l’imposizione delle mani, pur riconoscendo il battesimo di altre Chiese. è
necessario studiare questa pratica e la sua relazione con il battesimo di
acqua.
22. Il battesimo
è celebrato normalmente da un ministro ordinato, benché in alcune circostanze
altri siano autorizzati a battezzare.
23. Poiché il
battesimo è strettamente legato alla vita comunitaria e al culto della Chiesa,
di norma dovrebbe essere amministrato durante un culto, in modo che ai membri
della comunità possa essere ricordato il loro ‘stesso battesimo, ed essi
possano dare il benvenuto nella loro comunione fraterna a coloro che vengono
battezzati e che essi sono impegnati a formare nella fede cristiana.
Come era
consuetudine nella Chiesa antica, le grandi feste di Pasqua, di Pentecoste e
dell’Epifania sono le più indicate per la celebrazione del battesimo.
EUCARESTÌA
I. L’istituzione dell’Eucarestìa
1. La Chiesa
riceve l’eucarestìa come un dono da parte del Signore. Scriveva san Paolo:
"Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore
Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie,
lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi, fate questo in memoria
(anamnesis) di me". Allo stesso
modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la Nuova
Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di
me" (1Cor. 11,23-25; cf. Mt. 26,26-29; Mc. 14,22-25; Lc. 22,14-24).
Io,
infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il
Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver
reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi;
fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese
anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio
sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me" (1Cor.
11,23-25).
Ora,
mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e,
mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio
corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo:
"Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è
versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d'ora in poi non
berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi,
nel regno del Padre mio" (Mt. 26,26-29).
E, mentre
mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro,
dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese un calice e
rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: "Questo è il
mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non
berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel
regno di Dio" (Mc. 14,22-25).
Quando
venne l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro:
"Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia
passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel
regno di Dio". E, ricevuto un calice, rese grazie e disse:
"Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento
non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio".
Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo
è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo
aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la
nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi". "Ma ecco, la
mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne
va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell'uomo dal quale egli viene
tradito!". Allora essi cominciarono a domandarsi l'un l'altro chi di loro
avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro
fosse da considerare più grande (Lc. 22,14-24).
I pasti che Gesù
ha condiviso durante il suo ministero terreno e dei quali ci è stato conservato
il racconto, proclamano e rendono operante la vicinanza del Regno, di cui la
moltiplicazione dei pani è un segno. Nell’ultima Cena, la comunione del Regno è
stata messa in relazione con la prospettiva della sofferenza di Gesù. Dopo la
risurrezione, il Signore ha manifestato ai suoi discepoli la sua presenza
spezzando il pane. L’eucarestìa si trova così in continuità con questi pasti di
Gesù durante la sua vita terrena e dopo la sua risurrezione, sempre come segni
del Regno. I cristiani vedono prefigurazioni dell’Eucarestìa nel memoriale
pasquale della liberazione di Israele dal paese della schiavitù e nel banchetto
del Patto sul Monte Sinai (Es. 24). L’eucarestìa è il nuovo convito pasquale
della Chiesa, il banchetto della Nuova Alleanza che Cristo ha dato ai suoi
discepoli come l’anamnesis [cioè il
memoriale] della sua morte e della sua risurrezione, come l’anticipazione della
Cena dell’Agnello (Ap. 19,9); Cristo ha così ordinato discepoli di ricordano e
di incontrarlo in questo banchetto sacramentale, come popolo di Dio,
pellegrinante fino al suo ritorno.
Il Signore
disse a Mosè: "Sali verso il Signore tu e Aronne, Nadab e Abiu e settanta
anziani d'Israele; voi vi prostrerete da lontano, solo Mosè si avvicinerà al
Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui". Mosè
andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto
il popolo rispose a una sola voce dicendo: "Tutti i comandamenti che il
Signore ha dato, noi li eseguiremo!". Mosè scrisse tutte le parole del
Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con
dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli
Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di
comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti
catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza
e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto ha detto il Signore,
lo eseguiremo e vi presteremo ascolto". Mosè prese il sangue e ne asperse
il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha
concluso con voi sulla base di tutte queste parole!". Mosè salì con
Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d'Israele. Essi videro il Dio
d'Israele: sotto i suoi piedi vi era come un pavimento in lastre di zaffìro,
limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano:
essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: "Sali
verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge
e i comandamenti che io ho scritto per istruirli". Mosè si mosse con
Giosuè, suo aiutante, e Mosè salì sul monte di Dio. Agli anziani aveva detto: "Restate
qui ad aspettarci, fin quando torneremo da voi; ecco, avete con voi Aronne e
Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro". Mosè salì dunque
sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul
monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore
chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli
Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in
mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e
quaranta notti (Es. 24).
Allora
l'angelo mi disse: "Scrivi: Beati gli invitati al banchetto di nozze
dell'Agnello!". Poi aggiunse: "Queste parole di Dio sono vere"
(Ap. 19,9).
L’ultima cena
celebrata da Gesù fu un pasto liturgico che utilizzava parole e gesti simbolici.
Di conseguenza, l’eucarestìa è un pasto sacramentale che, per mezzo di segni
visibili, ci comunica l’amore di Dio in Gesù Cristo, l’amore con il quale Gesù
amò i suoi " sino alla fine " (Gv. 13,1). Esso ha ricevuto diversi nomi:
per esempio cena del Signore, frazione del pane, santa cena, santa comunione,
divina liturgia, messa. La sua celebrazione continua come l'atto centrale del
culto della Chiesa.
Prima
della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da
questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino
alla fine (Gv. 13,1).
II. Il significato dell’Eucarestìa
2. L'eucarestìa è
essenzialmente il sacramento del dono che Dio ci fa in Cristo per la forza
dello Spirito. Ogni cristiano riceve questo dono di salvezza mediante la
comunione al corpo e al sangue di Cristo. Nel banchetto eucaristico, nell'atto
di mangiare il pane e bere il vino, Cristo accorda la comunione con Lui. Dio
stesso agisce, dando vita al corpo di Cristo e rinnovandone ogni membro.
Secondo la promessa di Cristo, ogni membro battezzato del corpo di Cristo
riceve nell'eucarestìa l'assicurazione del perdono dei peccati (Mt. 26,28), e il
pegno della vita eterna (Gv. 6,51-58). Benché l’eucarestìa sia essenzialmente un
tutto unico, essa verrà qui considerata sotto i seguenti aspetti: azione di grazie
al Padre, memoriale di Cristo, invocazione dello Spirito, comunione dei fedeli,
banchetto del Regno.
Perché
questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono
dei peccati (Mt. 26,28).
Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
Allora i
Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci
la sua carne da mangiare?". Gesù disse loro: "In verità, in verità io
vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo
sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è
vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e
io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il
pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno" (Gv. 6,51-58).
a) L’eucarestìa come azione di grazie al Padre
3. L’eucarestìa,
che comprende sempre la parola e il sacramento, è una proclamazione e una
celebrazione dell’opera di Dio. E la grande azione di grazie al Padre per tutto
ciò che ha compiuto nella creazione, nella redenzione e nella santificazione,
per tutto ciò che compie nella Chiesa e nel mondo nonostante i peccati degli
esseri umani, per tutto ciò che compirà portando il suo Regno alla pienezza.
Così l’eucarestìa è la benedizione (berakah)
con cui la Chiesa esprime la sua riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici.
4. L’eucarestìa è
il grande sacrificio di lode, con il quale la Chiesa parla a nome dell’intera
creazione. Difatti in ogni eucarestìa è presente il mondo che Dio ha riconciliato
a sé: nel pane e nel vino, nella persona dei fedeli e nelle preghiere che essi
offrono per se stessi e per tutti gli esseri umani. Cristo unisce a sé i fedeli
e associa le loro preghiere alla propria intercessione, di modo che i fedeli vengono
trasfigurati e le loro preghiere accolte. Questo sacrificio di lode è possibile
solo per mezzo di Cristo, con lui e in lui. Il pane e il vino, frutti della terra
e del lavoro degli uomini, vengono presentati al Padre nella fede e nell’azione
di grazie. L’eucarestìa significa così ciò che il mondo deve diventare:
un’offerta e un inno di lode al Creatore, una comunione universale nel corpo di
Cristo, un regno di giustizia, amore e pace nello Spirito Santo.
b) L’eucarestìa come anamnesi o memoriale di Cristo
5. L’eucarestìa è
il memoriale di Cristo crocifisso e risorto, cioè il segno vivo ed efficace del
suo sacrificio, compiuto una volta per tutte sulla croce e ancora operante in
favore di tutta l’umanità. L’idea biblica del memoriale applicata all’eucarestìa
rinvia a questa efficacia attuale dell’opera di Dio quando essa viene celebrata
dal suo popolo in una liturgia.
6. Cristo stesso,
con tutto ciò che ha compiuto per noi e per l’intera creazione nella sua
incarnazione, nella sua condizione di servo, nel suo ministero, nel suo insegnamento,
nella sua sofferenza, nel suo sacrificio, nella sua risurrezione, nella sua
ascensione e nell’invio dello Spirito Santo, è presente in questa anamnesis [o memoriale], accordandoci la
comunione con sé. L’eucarestìa è anche l’anticipazione del suo ritorno e del
Regno finale.
7. Il memoriale,
in cui Cristo agisce attraverso la gioiosa celebrazione della sua Chiesa, è
dunque al tempo stesso rappresentazione e anticipazione. Esso non è solamente
un richiamare alla memoria ciò che è passato e il suo significato. E la proclamazione
efficace, tramite la Chiesa, dei potenti atti di Dio e delle sue promesse.
8. Il memoriale,
rappresentazione e anticipazione, si esprime in preghiere di ringraziamento e
intercessione. Ricordando con gratitudine i potenti atti di redenzione compiuti
da Dio, la Chiesa lo supplica di concedere a ogni essere umano i benefici di
quegli atti. Nella preghiera di ringraziamento e intercessione, la Chiesa è unita
al Figlio, suo sommo Sacerdote e Intercessore (Rm. 8,34; Eb. 7,25). L’eucarestìa
è il sacramento del sacrificio unico di Cristo, sempre vivente per intercedere
in nostro favore. Essa è il memoriale di tutto ciò che Dio ha fatto per la
salvezza del mondo. Quello che Dio ha voluto compiere nell’incarnazione, nella
vita, morte, risurrezione e ascensione di Cristo, Egli non lo ripete. Questi
avvenimenti sono unici e non possono essere né ripetuti né prolungati.
Tuttavia, nel memoriale dell’eucarestìa, la Chiesa offre la sua intercessione,
in comunione con Cristo nostro sommo Sacerdote.
Chi
condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e
intercede per noi! (Rm. 8,34).
Perciò può
salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli
infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore (Eb. 7,25).
Commento
È
alla luce del significato dell’eucarestìa come intercessione che si possono
comprendere i riferimenti all’eucarestìa come " sacrificio propiziatorio "
fatti nell’ambito della teologia cattolica. Il senso è che c’è una sola
espiazione, quella dell’unico sacrificio della croce, reso operante nell’eucarestìa
e presentato al Padre nell’intercessione di Cristo e della Chiesa a favore di
tutta l’umanità. Alla luce della concezione biblica del memoriale, tutte le
Chiese potrebbero rivedere le vecchie controversie a proposito della nozione di
" sacrificio " e approfondire la loro comprensione delle ragioni per
le quali tradizioni diverse dalla loro hanno utilizzato oppure rigettato questo
termine.
9. L’anamnesis di Cristo è il fondamento e la
sorgente di ogni preghiera cristiana. Così, la nostra preghiera fa assegnamento
sulla continua intercessione del Signore risorto e le è unita. Nell’eucarestìa
Cristo ci rende capaci di vivere con lui, di soffrire con lui e di pregare
tramite suo come peccatori giustificati, compiendo liberamente e gioiosamente
la sua volontà.
10. In Cristo
offriamo noi stessi in sacrificio vivente e santo nella nostra vita quotidiana
(Rm. 12,1; 1Pt. 2,5): questo culto spirituale gradito a Dio è alimentato nell’eucarestìa,
nella quale siamo santificati e riconciliati nell’amore per essere servitori
della riconciliazione nel mondo.
Vi esorto
dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come
sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale
(Rm. 12,1).
Quali
pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un
sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante
Gesù Cristo (1Pt. 2,5).
11. Uniti al
nostro Signore e in comunione con tutti i santi e i martiri, siamo rinnovati
nell’alleanza suggellata dal sangue di Cristo.
12. Poiché
l’anamnesis di Cristo è il contenuto vero e proprio della Parola predicata,
così come lo è del pasto eucaristico, la prima dà forza al secondo, e viceversa.
Una corretta celebrazione dell’eucarestìa comprende la proclamazione della
Parola.
13. Le parole e i
gesti di Cristo nell’istituzione dell’eucarestìa stanno al centro della
celebrazione: il banchetto eucaristico è il sacramento del Corpo e del sangue
di Cristo, il sacramento della sua presenza reale. Cristo realizza in
molteplici modi la sua promessa di essere sempre con i suoi, sino alla fine del
mondo. Ma il modo della presenza di Cristo nell’eucarestìa è unico. Sul pane e
sul vino dell’eucarestìa Gesù ha detto: " Questo è il mio corpo... questo
è il mio sangue... ". Ciò che Cristo ha detto è vero, e questa verità si
compie ogni volta che l’eucarestìa viene celebrata. La Chiesa confessa la
presenza reale, vivente e attiva di Cristo nell’eucarestìa. Benché la presenza reale
di Cristo nell’eucarestìa non dipenda dalla fede degli individui, tutti però concordano
nel riconoscere che per discernere il corpo e il sangue di Cristo occorre la
fede.
Commento
Molte
Chiese credono che, per le parole stesse di Gesù e per la potenza dello Spirito
Santo, il pane e il vino dell’eucarestìa diventano, in una maniera reale benché
misteriosa, il corpo e il sangue del Cristo risorto, cioè del Cristo vivente,
presente in tutta la sua pienezza. Sotto i segni del pane e del vino, la realtà
più profonda è l’essere intero di Cristo, che viene a noi per nutrirci e
trasformare tutto il nostro essere. Altre Chiese, pur affermando una presenza reale
di Cristo nell’eucarestìa, non legano in modo così preciso questa presenza ai
segni del pane e del vino. Le Chiese devono decidere se questa differenza può
coesistere con la convergenza formulata nel testo.
c) L’eucarestìa come invocazione dello Spirito
14. Lo Spirito
rende il Cristo crocifisso e risorto realmente presente per noi nel pasto
eucaristico, realizzando la promessa contenuta nelle parole dell’istituzione.
La presenza di Cristo è chiaramente il centro dell’eucarestìa, e perciò la
promessa contenuta nelle parole dell’istituzione è fondamentale per la celebrazione.
Tuttavia, il Padre è l’origine prima e il compimento finale dell’evento
eucaristico. Il Figlio di Dio incarnato, mediante il quale e nel quale quell’evento
si compie, ne è il centro vivente. Lo Spirito Santo è l’incommensurabile forza
d’amore che lo rende possibile e continua a renderlo efficace. Il legame tra la
celebrazione eucaristica e il mistero del Dio Trinitario rivela il ruolo dello
Spirito Santo come quello di Colui che rende presente e viva la Parola storica
di Gesù. Nella certezza di venire esaudita in forza della promessa di Cristo
contenuta nelle parole dell’istituzione, la Chiesa domanda al Padre il dono
dello Spirito Santo, affinché l’evento eucaristico possa essere una realtà: la
presenza reale di Cristo crocifisso e risorto, che dona la sua vita per l’intera
umanità.
Commento
Non
si vuole spiritualizzare la presenza eucaristica di Cristo, ma affermare
l’unione indissolubile tra il Figlio e lo Spirito. Questa unione manifesta che
l’eucarestìa non è un atto magico e automatico, ma una preghiera rivolta al
Padre, che accentua l’assoluta dipendenza della Chiesa da Lui. Le parole
dell’istituzione, promessa di Cristo, e l’epiclesi, invocazione dello Spirito,
sono tra loro in stretta relazione nella liturgia. L’epiclesi è diversamente
situata in rapporto alle parole dell’istituzione, nelle diverse tradizioni
liturgiche. Nelle liturgie primitive, l’intera "azione di preghiera"
era concepita come portatrice della realtà promessa da Cristo. L’invocazione
dello Spirito veniva fatta sia sulla comunità, sia sugli elementi del pane e
del vino. Il ricupero di questa concezione può aiutarci a superare le nostre
difficoltà riguardo ad un particolare momento di consacrazione.
15. E in virtù
della parola vivente di Cristo e per la potenza dello Spirito, che il pane e il
vino diventano i segni sacramentali del corpo e del sangue di Cristo. Essi rimangono
tali in vista della comunione.
Commento
Nella
storia della Chiesa ci sono stati diversi tentativi di comprendere il mistero
della presenza reale e unica di Cristo nell’eucarestìa. Alcuni si accontentano
semplicemente di affermare questa presenza, senza cercare di spiegarla. Altri
considerano necessario affermare [che avviene] un cambiamento attuato dallo
Spirito Santo e dalle parole di Cristo, in conseguenza del quale non ci sono
più soltanto pane e vino ordinari, bensì il corpo e il sangue di Cristo. Altri
ancora hanno elaborato una spiegazione della presenza reale che, senza
pretendere di esaurire il significato del mistero, cerca di salvaguardarla da interpretazioni
che le recano danno.
16. L’intera
celebrazione dell’eucarestìa ha un carattere "epicletico", perché dipende
dall’azione dello Spirito Santo. Questo aspetto dell’eucarestìa trova differenti
espressioni nelle parole della liturgia.
17. La Chiesa,
come comunità della Nuova Alleanza, invoca con fiducia lo Spirito per essere
santificata e rinnovata, guidata in ogni giustizia, verità e unità, e resa
capace di compiere la propria missione nel mondo.
18. Lo Spirito
Santo dona, attraverso l’eucarestìa, un’anticipazione del Regno di Dio: la
Chiesa riceve la vita della nuova creazione e la certezza del ritorno del Signore.
d) L’eucarestìa come comunione dei fedeli
19. La comunione
eucaristica con Cristo presente, che alimenta la vita della Chiesa, è allo
stesso tempo comunione nel corpo di Cristo che è la Chiesa. La condivisione
dell’unico pane e del calice comune, in un dato luogo, manifesta e compie
l’unità dei partecipanti con Cristo e con tutti i comunicanti, in ogni tempo e
luogo. E nell’eucarestìa che la comunità del popolo di Dio è pienamente manifestata.
Le celebrazioni eucaristiche hanno sempre a che fare con la Chiesa intera, e la
Chiesa intera è implicata in ogni celebrazione eucaristica. Nella misura in cui
una Chiesa pretende di essere una manifestazione della Chiesa universale, avrà
cura di organizzare la propria vita in modo da prendere sul serio gli interessi
e le preoccupazioni delle Chiese sorelle.
Commento
Sin
dagli inizi, il battesimo è stato concepito come il sacramento mediante il
quale i credenti sono incorporati al corpo di Cristo e ricevono il dono dello
Spirito Santo. Nella misura in cui il diritto dei credenti battezzati e dei
loro ministri a partecipare e presiedere alla celebrazione eucaristica in una
Chiesa è messo in questione da coloro che presiedono e partecipano ad altre
assemblee eucaristiche, la cattolicità dell’eucarestìa è meno evidente. In molte
Chiese oggi si discute sull’ammissione di bambini battezzati come comunicanti
alla Cena del Signore.
20. L’eucarestìa
abbraccia tutti gli aspetti della vita. Essa è un atto rappresentativo di
ringraziamento e di offerta in nome del mondo intero. La celebrazione
eucaristica richiede la riconciliazione e la condivisione con tutti coloro che
sono considerati fratelli e sorelle nell’unica famiglia di Dio; essa è una
costante sfida a cercare, nell’ambito della vita sociale, economica e politica,
relazioni consone [con la comunione eucaristica] (Mt. 5,23s; 1Cor. 10,16s; 1Cor.
11,20-22; Gal. 3,28). Tutte le forme di ingiustizia, razzismo, separazione e privazione
di libertà sono radicalmente messe sotto accusa quando condividiamo il corpo e
il sangue di Cristo. Attraverso l’eucarestìa, la grazia di Dio che tutto
rinnova, penetra e reintegra la personalità umana e la sua dignità.
L’eucarestìa
coinvolge il credente nell’avvenimento centrale della storia del mondo. Perciò,
quali partecipanti all’eucarestìa ci mostriamo incoerenti se non partecipiamo
attivamente a quest’opera continua di ricostruzione della situazione del mondo e
della condizione umana. L’eucarestìa ci mostra che il nostro comportamento è
incoerente rispetto alla presenza riconciliatrice di Dio nella storia umana:
siamo posti sotto un giudizio costante, perché continuano ad esistere nella
nostra società relazioni ingiuste di ogni tipo, molteplici divisioni dovute
all’orgoglio umano, a interessi materiali e a politiche di potenza, e soprattutto
l’ostinazione di opposizioni confessionali ingiustificabili all’interno del
corpo di Cristo.
Se dunque
tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima
a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono (Mt.
5,23-24).
il calice
della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di
Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di
Cristo? 17Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché
molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane (1Cor. 10,16-17).
Quando
dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del
Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il
proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre
case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio
e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
(1Cor. 11,20-22).
Non c'è
Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché
tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal. 3,28).
21. La
solidarietà nella comunione eucaristica del Corpo di Cristo e la responsabilità
dei cristiani gli uni verso gli altri e nei confronti del mondo, trovano
un’espressione particolare nelle liturgie: nel perdono reciproco dei peccati,
nel segno della pace, nell’intercessione per tutti, nel mangiare e bere insieme,
nel portare gli elementi eucaristici ai malati e ai prigionieri o nel celebrare
l’eucarestìa con loro. Tutte queste manifestazioni di amore fraterno nell’eucarestìa
sono direttamente legate alla testimonianza specifica di Cristo come servo: i
cristiani partecipano, essi pure, a questo servizio. In Cristo, Dio è entrato
nella condizione umana; così la liturgia eucaristica è vicina alle situazioni
concrete e particolari degli uomini e delle donne. Nella Chiesa primitiva, il
ministero dei diaconi e delle diaconesse aveva una responsabilità particolare
nel dare espressione a questo aspetto dell’eucarestìa. La collocazione di un
tale ministero tra la mensa [eucaristica] e i bisognosi attesta in modo adeguato
la presenza liberatrice di Cristo nel mondo.
e) L’eucarestìa come pasto del Regno
22. L’eucarestìa
dischiude la visione del governo di Dio, promesso come rinnovamento finale
della creazione: essa ne è un’anticipazione. Segni di questo rinnovamento sono
presenti nel mondo, ovunque la grazia di Dio si manifesta e gli esseri umani
lavorano per la giustizia, l’amore e la pace. L’eucarestìa è la festa nella
quale la Chiesa rende grazie a Dio per questi segni, e nella gioia celebra e
anticipa la venuta del Regno in Cristo (1Cor. 11,26; Mt. 26,29).
Ogni volta
infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte
del Signore, finché egli venga (1Cor. 11,26).
Io vi dico
che d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo
berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio" (Mt. 26,29).
23. Il mondo, cui
è promesso il rinnovamento, è presente in tutta la celebrazione eucaristica. Il
mondo è presente nell’azione di grazie al Padre, in cui la Chiesa parla a nome
dell’intera creazione; il mondo è presente nel memoriale di Cristo, in cui la
Chiesa, unita al suo Sommo Sacerdote e Intercessore, prega per il mondo; il
mondo è presente nella preghiera per il dono dello Spirito Santo, in cui la
Chiesa domanda la santificazione e l’avvento della nuova creazione.
24. Riconciliati
nell’eucarestìa, i membri del corpo di Cristo sono chiamati ad essere servitori
della riconciliazione in mezzo agli uomini e alle donne, e testimoni della gioia
di cui è fonte la risurrezione. Come Gesù, durante il suo ministero terreno,
andava incontro ai pubblicani e ai peccatori e mangiava con loro, così i
cristiani sono chiamati, nell’eucarestìa, ad essere solidali con gli esclusi e
a divenire segni dell’amore di Cristo, che è vissuto e si è sacrificato per
tutti, e ora dona se stesso nell’eucarestìa.
25. La
celebrazione stessa dell’eucarestìa è un esempio della partecipazione della
Chiesa alla missione di Dio nel mondo. Questa partecipazione si concretizza ogni
giorno nella proclamazione dell’Evangelo, nel servizio del prossimo e nella
presenza fedele nel mondo.
26. Essendo
interamente dono di Dio, l’eucarestìa immette in questo mondo una realtà nuova
che trasforma i cristiani nell’immagine dì Cristo, e perciò li rende suoi
efficaci testimoni. L’eucarestìa costituisce un prezioso nutrimento per i missionari,
pane e vino per i pellegrini nel loro viaggio apostolico. La comunità eucaristica
è nutrita e fortificata in modo da poter confessare in parole ed opere il
Signore Gesù Cristo, che ha offerto la propria vita per la salvezza del mondo. Poiché
diventa un solo popolo partecipando alla mensa dell’unico Signore, l’assemblea
eucaristica deve necessariamente preoccuparsi di raccogliere anche coloro che
oggi si trovano al di fuori dei suoi confini visibili, perché Cristo ha invitato
al suo banchetto tutti coloro per i quali è morto. Il fatto che i cristiani non
possano riunirsi in piena comunione intorno alla medesima mensa per mangiare il
medesimo pane e bere al medesimo calice, indebolisce la loro testimonianza
missionaria, sia a livello individuale, sia come comunità.
III. La celebrazione dell’eucarestìa
27. La liturgia
eucaristica è essenzialmente un tutto unico, che storicamente è costituito dai
seguenti elementi, che possono presentarsi in ordine differente e che sono
d’importanza diseguale: canti di lode; atto di pentimento; dichiarazione di
perdono; proclamazione della parola di Dio, in varie forme; confessione della
fede (Credo); intercessione per tutta la Chiesa e per il mondo; preparazione
del pane e del vino; azione di grazie al Padre per le meraviglie della
creazione, della redenzione e della santificazione (derivata dalla tradizione
ebraica della berakah); le parole
dell’istituzione del sacramento da parte di Cristo, secondo la tradizione neotestamentaria;
l’anamnesi o memoriale dei grandi atti di redenzione, passione, morte, risurrezione,
ascensione e Pentecoste, che hanno fatto nascere la Chiesa; l’invocazione dello
Spirito Santo sulla comunità e sugli elementi del pane e del vino (epikiesis, sia prima delle parole
dell’istituzione, sia dopo il memoriale, oppure e l’uno e l’altro, o qualche
altro riferimento allo Spirito Santo che esprima adeguatamente il carattere
"epicletico" dell’eucarestìa); consacrazione dei fedeli a Dio; riferimento
alla comunione dei santi; preghiera per la venuta del Signore e la
manifestazione definitiva del suo Regno; l’amen
di tutta la comunità; il Padre Nostro; segno di riconciliazione e di pace; frazione
del pane; mangiare e bere in comunione col Cristo e con ogni membro della
Chiesa; atto finale di lode; benedizione e invio in missione.
28. La migliore
via verso l’unità nella celebrazione e comunione eucaristica consiste nel
rinnovamento dell’eucarestìa stessa, nelle diverse Chiese, a livello di
insegnamento e di liturgia. Le Chiese dovrebbero esaminare le proprie liturgie
alla luce dell’accordo eucaristico al quale si stanno avvicinando. Il movimento
di riforma liturgica ha avvicinato tra loro le Chiese nel modo di celebrare l’Eucarestìa.
Tuttavia, una certa diversità liturgica compatibile con la nostra comune fede
eucaristica è riconosciuta come fatto salutare e arricchente. L’affermazione di
una fede eucaristica comune non implica uniformità né nella liturgia né nella
prassi.
Commento
Dall’epoca
del Nuovo Testamento, la Chiesa ha attribuito la massima importanza all’uso costante
degli elementi del pane e del vino che Gesù ha utilizzato nell’ultima cena. In
certe parti del mondo, dove il pane e il vino non sono comuni o non è facile
procurarseli, oggi a volte si sostiene che il cibo e la bevanda locali servono
meglio a radicare l’eucarestìa nella vita di tutti i giorni.
Si
impone uno studio ulteriore per individuare quali aspetti della Cena del
Signore sono immutabili in ragione dell’istituzione da parte di Gesù, e su
quali aspetti invece le Chiese possono liberamente decidere.
29. Nella
celebrazione dell’eucarestìa, è Cristo che raduna, ammaestra e nutre la Chiesa.
E Cristo che invita al banchetto e lo presiede. Egli è il pastore che guida il
popolo di Dio, il profeta che annuncia la Parola di Dio, il sacerdote che celebra
il mistero di Dio. Nella maggior parte delle Chiese, questa presidenza è significata
da un ministro ordinato. Colui che presiede la celebrazione eucaristica in nome
di Cristo manifesta che il rito non è una creazione o una proprietà
dell’assemblea; l’eucarestìa è ricevuta come un dono dal Cristo vivente nella
sua Chiesa. Il ministro dell’eucarestìa è l’ambasciatore che rappresenta
l’iniziativa di Dio ed esprime il legame della comunità locale con le altre
comunità locali nella Chiesa universale.
30. La fede
cristiana si approfondisce nella celebrazione della Cena del Signore. Pertanto
l’eucarestìa dovrebbe essere celebrata di frequente. Molte differenze di teologia,
di liturgia e di prassi sono legate alla diversa frequenza con cui è celebrata
l’eucarestìa.
31. Poiché l’eucarestìa
celebra la risurrezione di Cristo, è conveniente che essa abbia luogo almeno
ogni domenica. Poiché essa è il nuovo convito sacramentale del popolo di Dio,
ogni cristiano dovrebbe venire incoraggiato a ricevere di frequente la
comunione.
32. Alcune Chiese
insistono sul fatto che la presenza di Cristo negli elementi consacrati
continua dopo la celebrazione; altre pongono l’accento principale sull’atto
stesso della celebrazione e sulla consumazione degli elementi nella comunione.
Il modo di trattare gli elementi richiede particolare attenzione. Per quanto
riguarda la prassi di conservare gli elementi, ogni Chiesa dovrebbe rispettare le
prassi e la pietà delle altre. Data la diversità di prassi tra le Chiese e tenendo
contemporaneamente conto della situazione odierna nel processo di convergenza,
è utile suggerire: che, da una parte, si ricordi, particolarmente nella
catechesi e nella predicazione, che l’intenzione primaria della conservazione
degli elementi è la loro distribuzione ai malati e agli assenti; e che, d’altra
parte, si riconosca che il miglior modo di mostrare rispetto per gli elementi
che sono serviti alla celebrazione eucaristica è la loro consumazione, senza
escludere il loro uso per la comunione dei malati.
33. L’accresciuta
comprensione reciproca espressa nel presente documento può permettere ad alcune
Chiese di raggiungere un più alto livello di comunione eucaristica tra loro,
rendendo così più vicino il giorno in cui il popolo di Cristo, finora diviso,
sarà riunito visibilmente intorno alla mensa del Signore.
MINISTERO
I. La vocazione dell’intero popolo di Dio
1. In un mondo
lacerato, Dio chiama tutta l’umanità a divenire suo popolo. A questo scopo Egli
ha scelto Israele, e poi ha parlato in modo unico e decisivo in Gesù Cristo,
Figlio di Dio. Gesù ha fatto proprie la natura, la condizione e la causa di
tutto il genere umano offrendo se stesso in sacrificio per tutti. La sua vita
di servizio, la sua morte e risurrezione sono il fondamento di una nuova comunità
che viene continuamente edificata dalla buona novella dell’Evangelo e dal dono
dei sacramenti. Lo Spirito Santo unisce in un solo corpo coloro che seguono Gesù
Cristo e li invia nel mondo come testimoni. Appartenere alla Chiesa significa
vivere in comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo.
2. La vita della
Chiesa è fondata sulla vittoria di Cristo, compiuta una volta per tutte sulle
potenze del male e della morte. Cristo offre il perdono, invita al pentimento e
libera dalla distruzione. Per mezzo di Cristo uomini e donne sono resi capaci
di volgersi a Dio nella lode e al prossimo nel servizio. In Cristo essi trovano
la sorgente di una vita nuova nella libertà, nel perdono reciproco e nell’amore.
Per mezzo di Cristo i loro cuori e le loro menti sono orientate verso il
compimento del Regno, nel quale la vittoria di Cristo diverrà manifesta e ogni cosa
sarà fatta nuova. Il disegno di Dio è che in Gesù Cristo tutti possano aver parte
a questa comunione.
3. La Chiesa vive
della forza liberatrice e rigeneratrice dello Spirito Santo. Che lo Spirito
Santo sia stato su Gesù è messo in evidenza nel suo battesimo, e dopo la sua
risurrezione quello stesso Spirito è stato dato a coloro che credevano nel Signore
risorto, per ricrearli come corpo di Cristo. Lo Spirito chiama uomini e donne
alla fede, li santifica con molti doni, accorda la forza di testimoniare l’Evangelo
e li rende capaci di servire nella speranza e nell’amore. Lo Spirito mantiene
la Chiesa nella verità, e la guida malgrado la fragilità dei suoi membri.
4. La Chiesa è
chiamata a proclamare e a prefigurare il Regno di Dio. Essa risponde alla sua
vocazione annunciando l’Evangelo al mondo e vivendo davvero come il corpo di
Cristo. In Gesù il Regno di Dio è venuto tra noi. Egli ha offerto la salvezza
ai peccatori. Ha annunciato la buona novella ai poveri, ai prigionieri la
liberazione, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi (Lc. 4,18). Cristo ha
istituito una nuova via di accesso al Padre. Vivendo così in comunione con Dio,
tutti i membri della Chiesa sono chiamati a confessare la propria fede e a
rendere ragione della loro speranza. Essi devono identificarsi con le gioie e
le sofferenze di tutti quando cercano di testimoniare [Cristo] con amore pieno
di compassione. I membri del Corpo di Cristo devono lottare con gli oppressi,
in vista della libertà e della dignità promesse con la venuta del Regno. Tale missione
dev’essere compiuta in diversi contesti politici, sociali e culturali. Per attuare
fedelmente questa missione, [i cristiani] cercheranno in ogni situazione forme
significative di testimonianza e di servizio. Così facendo porteranno al mondo
un’anticipazione della gioia e della gloria del Regno di Dio.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha
consacrato con l'unzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto
annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista;
/ a rimettere in libertà gli oppressi (Lc. 4,18).
5. Lo Spirito
Santo accorda alla comunità doni diversi e complementari. Questi vengono dati
per il bene comune di tutto il popolo e si manifestano in azioni di servizio
all’interno della comunità e per il mondo. Possono essere doni di comunicazione
dell’Evangelo in parole e opere, doni di guarigione, di preghiera, di
insegnamento e apprendimento, di servizio, di guida e discepolato, di
ispirazione e visione. Tutti i membri sono chiamati a scoprire, con l’aiuto della
comunità, i doni che hanno ricevuto, e a utilizzarli per l’edificazione della Chiesa
e per il servizio del mondo al quale la Chiesa è inviata.
6. Benché le
Chiese siano d’accordo nella loro comprensione generale della vocazione del
popolo di Dio, differiscono nella loro comprensione del modo in cui debba
essere ordinata la vita della Chiesa. In particolare, vi sono differenze a
proposito del posto e delle forme del ministero ordinato. Impegnandosi nello sforzo
di superare queste differenze, è necessario che le Chiese prendano come punto
di partenza la vocazione dell’intero popolo di Dio. Le Chiese devono cercare
una risposta comune alla domanda seguente: come deve essere concepita e
strutturata, secondo la volontà di Dio e sotto la guida dello Spirito Santo, la
vita della Chiesa, affinché l’Evangelo possa diffondersi e la comunità possa
essere edificata nell’amore?
II. La Chiesa e il ministero ordinato
7. Le differenze
nella terminologia sono una delle questioni dibattute. Per evitare confusione
nelle discussioni sul ministero ordinato nella Chiesa, è necessario precisare
chiaramente in che senso i vari termini sono utilizzati nei paragrafi che
seguono.
Il termine carisma indica i doni accordati dallo
Spirito Santo a ogni membro del corpo di Cristo per l’edificazione della comunità
e il compimento della sua vocazione.
Il termine ministero in senso lato indica il
servizio che tutto il popolo di Dio è chiamato a svolgere, sia come persone
singole, sia come comunità locale, sia come Chiesa universale; ministero o
ministeri possono anche indicare le forme istituzionali particolari che questo
servizio può assumere.
Il termine ministero ordinato indica le persone che
hanno ricevuto un carisma e che la Chiesa incarica di un servizio tramite
ordinazione, mediante l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani.
Molte Chiese
adoperano il termine sacerdote per designare alcuni ministeri ordinati. Dato
che tale uso non è universale, il presente documento affronterà [al riguardo]
le questioni di rilievo al paragrafo 17.
a) Il ministero ordinato
8. Per compiere
la sua missione, la Chiesa ha bisogno di persone che siano pubblicamente e in
modo continuo responsabili di evidenziare la sua fondamentale dipendenza da
‘Gesù Cristo, e in questo modo forniscano, all’interno di una molteplicità di
doni, un centro focale della sua unità. Il ministero di tali persone, che da
tempo assai antico sono state ordinate, è costitutivo della vita e della
testimonianza della Chiesa.
9. La Chiesa non
è mai stata senza persone dotate di autorità e responsabilità specifiche. Gesù
scelse e inviò i discepoli per essere testimoni del Regno (Mt. 10,1-8). I
Dodici hanno ricevuto la promessa che si sarebbero " seduti su troni per
giudicare le tribù di Israele " (Lc. 22,30). Un ruolo particolare è
attribuito ai Dodici nelle comunità della prima generazione. Essi sono
testimoni della vita e della risurrezione del Signore (At. 1,21-26), guidano la
comunità nella preghiera, nell’insegnamento, nella frazione del pane, nella
proclamazione e nel servizio (At. 2,42-47; 6,2-6; ecc.). L’esistenza stessa dei
Dodici e di altri apostoli mostra che sin dagli inizi vi erano nella comunità
dei ruoli differenziati.
Chiamati a
sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per
scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli
sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di
Zebedeo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il
pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda
l'Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi
sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: "Non andate fra i pagani e
non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore
perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno
dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i
lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date
(Mt. 10,1-8).
Perché
mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a
giudicare le dodici tribù d'Israele (Lc. 22,30).
Bisogna
dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il
Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al
giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone,
insieme a noi, della sua risurrezione".
Ne
proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. Poi
pregarono dicendo: "Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale
di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e
apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli
spettava". Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu
associato agli undici apostoli (At. 1,21-26).
Erano
perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare
il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni
avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano
ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con
tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme
nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e
semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.
Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano
salvati (At. 2,42-47).
Allora i
Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che
noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque,
fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e
di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo
alla preghiera e al servizio della Parola". Piacque questa proposta a
tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo,
Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di
Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le
mani (At. 6,2-6).
Commento
Nel
Nuovo Testamento, il termine " apostolo " è adoperato in diversi
sensi. È utilizzato per i Dodici, ma anche per una cerchia più ampia di
discepoli. Viene applicato a Paolo e ad altri in quanto sono inviati a
proclamare l’Evangelo da Cristo risorto. I ruoli degli apostoli ricoprono sia
la fondazione sia la missione.
10. Gesù ha
chiamato i Dodici ad essere rappresentanti dell’Israele rinnovato. In quel
momento specifico essi rappresentano l’insieme del popolo di Dio ed esercitano
contemporaneamente un ruolo speciale in mezzo a quella comunità. Dopo la
risurrezione, sono tra le guide della comunità. Si può dire che gli apostoli
prefigurano allo stesso tempo la Chiesa nel suo insieme e le persone cui sono
affidate una autorità e una responsabilità specifiche nella Chiesa. Il ruolo degli
apostoli come testimoni della risurrezione di Cristo è unico e irripetibile. Vi
è dunque una differenza tra gli apostoli e i ministri ordinati, il cui
ministero è fondato su quello degli apostoli.
11. Cristo, come
ha scelto e inviato gli apostoli, così continua attraverso lo Spirito Santo a
scegliere e a chiamare altre persone in vista del ministero ordinato. Come
araldi e ambasciatori, i ministri ordinati sono rappresentanti di Gesù Cristo
per la comunità e proclamano il suo messaggio di riconciliazione. Come guide e
maestri, chiamano la comunità a sottomettersi all’autorità di Gesù Cristo, il
maestro e profeta, nel quale hanno compimento la legge e i profeti. Come
pastori, sotto Gesù Cristo, il supremo pastore, essi radunano e guidano il popolo
di Dio disperso, nell’anticipazione del Regno che viene.
Commento
La
realtà fondamentale di un ministero ordinato esisteva fin dall’inizio (vedi il
paragrafo 8). Peraltro, le forme concrete di ordinazione e ministero ordinato
hanno subito un’evoluzione nel corso di un complesso sviluppo storico (vedi il
paragrafo 19). Le Chiese devono dunque evitare di attribuire le loro forme
particolari di ministero ordinato direttamente alla volontà e all’istituzione
di Gesù Cristo.
12. I membri
della comunità credente, ordinati e laici, sono tutti strettamente legati fra
loro. Da una parte, la comunità ha bisogno di ministeri ordinati. La loro
presenza ricorda alla comunità l’iniziativa divina e la dipendenza della Chiesa
da Gesù Cristo, che è la sorgente della sua missione e il fondamento della sua
unità. Essi servono all’edificazione della comunità in Cristo e al potenziamento
della sua testimonianza. In essi, la Chiesa cerca un esempio di santità e
sollecitudine piena d’amore. D’altra parte, il ministero ordinato non esiste
indipendentemente dalla comunità. I ministri ordinati possono realizzare la
loro vocazione solo nella comunità e per essa. Essi non possono fare a meno del
riconoscimento, del sostegno e dell’incoraggiamento della comunità.
13. La
responsabilità principale del ministero ordinato è di radunare ed edificare il
corpo di Cristo mediante la proclamazione e l’insegnamento della Parola di Dio,
la celebrazione dei sacramenti e la guida della vita della comunità nella sua liturgia,
nella sua missione e nella sua diaconia.
Commento
Queste
funzioni non sono esercitate in maniera esclusiva dal ministro ordinato. Poiché
il ministero ordinato e la comunità sono inseparabilmente collegati, tutti i
membri partecipano all’esercizio di queste funzioni. In effetti, ogni carisma
serve a radunare ed edificare il corpo di Cristo. Ciascun membro del corpo può
partecipare alla proclamazione e all’insegnamento della Parola di Dio, può
contribuire alla vita sacramentale del corpo. Il ministero ordinato compie
queste funzioni in modo rappresentativo, fornendo il centro focale per l’unità
della vita e della testimonianza della comunità.
14. E soprattutto
nella celebrazione eucaristica che il ministero ordinato è il centro focale
visibile della comunione profonda che unisce Cristo e le membra del suo corpo,
e che abbraccia tutta la realtà. Nella celebrazione dell’Eucarestìa, Cristo
raduna, ammaestra e alimenta la Chiesa. E Cristo che invita al banchetto e lo
presiede. Nella maggior parte delle Chiese, questa presidenza è significata e rappresentata
da un ministro ordinato.
Commento
Il
Nuovo Testamento dice molto poco sull’ordinamento dell’eucarestìa. Non vi sono indicazioni
esplicite sulla presidenza dell’eucarestìa. Molto presto è chiaro che un
ministro ordinato presiede la celebrazione. Se è vero che il ministero ordinato
fornisce un centro focale di unità della vita e della testimonianza della
Chiesa, è ragionevole che questo compito [della presidenza eucaristica] venga
affidato a un ministro ordinato. Tale compito è intimamente collegato con
quello di guidare la comunità, cioè di vegliare sulla sua vita (episkopé)
e di rafforzare la sua vigilanza in rapporto alla verità del messaggio
apostolico e alla venuta del Regno.
b) Ministero ordinato e autorità
15. L’autorità
del ministro ordinato è radicata in Gesù Cristo, che l’ha ricevuta dal Padre
(Mt. 28,18), e la conferisce nello Spirito Santo attraverso l’atto di ordinazione.
Quest’atto ha luogo in una comunità che accorda un riconoscimento pubblico ad
una persona particolare. Poiché Gesù è venuto come colui che serve (Mc. 10,45;
Lc. 22,27), essere messi a parte [per il ministero ordinato] significa essere
consacrati per il servizio. Poiché l’ordinazione è essenzialmente un essere
messi a parte accompagnato dalla preghiera per il dono dello Spirito Santo,
l’autorità del ministero ordinato non deve essere intesa come la proprietà
della persona ordinata, ma come dono per la continua edificazione del corpo nel
quale e per il quale il ministro è stato ordinato. L’autorità ha il carattere
di responsabilità davanti a Dio ed è esercitata con la cooperazione dell’intera
comunità.
Gesù si
avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla
terra (Mt. 28,18).
Anche il
Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti" (Mc. 10,45).
Infatti
chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a
tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve (Lc. 22,27).
16. Di
conseguenza i ministri ordinati non devono essere né degli autocrati né dei
funzionari impersonali. Benché siano chiamati a esercitare con saggezza e con
amore una funzione di guida2 sulla base della Parola di Dio, sono tuttavia legati
ai fedeli in interdipendenza e reciprocità. Solo se ricercano la corrispondenza
e il consenso della comunità, la loro autorità può essere salvaguardata dalle
deviazioni dell’isolamento e del dominio. Essi manifestano ed esercitano
l’autorità di Cristo nel modo in cui Cristo stesso ha rivelato al mondo
l’autorità di Dio: impegnando la loro vita per la comunità. L’autorità di Cristo
è unica. "Egli li ammaestrava come uno che ha autorità (exousia) e non come i loro scribi"
(Mt. 7,29). Questa autorità è guidata dall’amore per "le pecore che non
hanno pastore "(Mt. 9,36). E confermata dalla sua vita di servizio e,
soprattutto, dalla sua morte e risurrezione. L’autorità nella Chiesa può essere
autentica solo in quanto cerca di conformarsi a questo modello.
Quando
Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo
insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come
i loro scribi (Mt. 7,28-29).
Gesù
percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe,
annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come
pecore che non hanno pastore (Mt. 9,35-36).
Commento
Qui
devono essere evitati due pericoli. Da una parte, l’autorità non può essere
esercitata senza riguardi per la comunità. Gli apostoli erano attenti
all’esperienza e al giudizio dei credenti. D’altra parte, l’autorità dei
ministri ordinati non deve essere talmente ridotta da renderli dipendenti dall’opinione
comune della comunità. La loro autorità riposa sulla loro responsabilità di
esprimere la volontà di Dio nella comunità.
c) Ministero ordinato e sacerdozio
17. Gesù Cristo è
l’unico sacerdote della Nuova Alleanza. Egli ha dato la sua vita in sacrificio
per tutti. In modo derivato, la Chiesa nel suo insieme può essere descritta
come un sacerdozio. Tutti i membri sono chiamati a offrire la propria vita
"in sacrificio vivente" e a intercedere per la Chiesa e per la salvezza
del mondo. I ministri ordinati partecipano, come tutti i cristiani, sia al sacerdozio
di Cristo che al sacerdozio della Chiesa. Essi però possono in modo pertinente
essere chiamati sacerdoti poiché compiono un servizio sacerdotale particolare
in quanto fortificano ed edificano il sacerdozio regale e profetico dei fedeli
mediante la Parola e i sacramenti, mediante le loro preghiere di intercessione
e la loro guida pastorale della comunità.
Commento
Il
Nuovo Testamento non utilizza mai i termini sacerdozio" o
"sacerdote" (hiereus) per designare il ministero ordinato o il
ministro ordinato. Nel Nuovo Testamento questi termini sono riservati, da una
parte, all’unico sacerdozio di Gesù Cristo e, dall’altra, al sacerdozio regale
e profetico di tutti i battezzati. Il sacerdozio di Cristo e il sacerdozio dei
battezzati hanno, ciascuno nel modo che gli è proprio, la funzione di
sacrificio e intercessione. Come Cristo ha offerto se stesso, i cristiani
offrono la loro intera esistenza "in sacrificio vivente".
Come
Cristo intercede presso il Padre, i cristiani intercedono per la Chiesa e per
la salvezza del mondo. Tuttavia, le differenze tra questi due tipi di
sacerdozio non possono sfuggire. Mentre Cristo ha offerto se stesso in un
sacrificio unico, una volta per tutte, per la salvezza del mondo, i credenti
devono ricevere continuamente come un dono di Dio ciò che Cristo ha fatto per
essi. Nella Chiesa antica si è incominciato a usare i termini
"sacerdozio", "sacerdote", per designare il ministero
ordinato e il ministro in quanto presiede l’Eucarestìa.
Questi
termini sottolineano il fatto che il ministero ordinato è in relazione con la
realtà sacerdotale di Gesù Cristo e dell’intera comunità. Quando i termini sono
utilizzati in riferimento al ministero ordinato, il loro significato è
debitamente diverso sia dal sacerdozio sacrificale dell’Antico Testamento, sia
dall’unico sacerdozio redentore di Cristo, sia infine dal sacerdozio
corporativo del popolo di Dio. San Paolo poteva descrivere il suo ministero come
"un servizio sacerdotale reso all’Evangelo di Dio, cosicché l’offerta [a
Dio] delle nazioni sia gradita nello Spirito Santo" (Rm. 15,16).
Per essere
ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di
annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita,
santificata dallo Spirito Santo (Rm. 15,16).
d) Il ministero di uomini e donne nella Chiesa
18. Dove Cristo è
presente, le barriere umane sono infrante. La Chiesa è chiamata a trasmettere
al mondo l’immagine di una umanità nuova. In Cristo non c’è né maschio né
femmina. Uomini e donne devono scoprire insieme i loro specifici contributi al
servizio di Cristo nella Chiesa. La -Chiesa deve scoprire sia il ministero che
può essere esercitato dalle donne, sia il ministero che può essere esercitato
dagli uomini. Una più profonda comprensione dell’ampiezza del ministero, nella
quale si rifletta l’interdipendenza di uomini e donne, deve essere più
largamente manifestata nella vita della Chiesa. Benché siano d’accordo su
questa necessità, le Chiese traggono conclusioni differenti per quanto concerne
l’ammissione delle donne al ministero ordinato. Un numero crescente di Chiese
ha deciso che non vi sono ragioni bibliche o teologiche contro l’ordinazione
delle donne, e di conseguenza molte di esse hanno cominciato a praticarla.
Tuttavia molte Chiese ritengono che la tradizione della Chiesa in questa
materia non deve essere cambiata.
Commento
Le
Chiese che praticano l’ordinazione delle donne lo fanno a motivo della loro comprensione
dell’Evangelo e del ministero. Essa si fonda, per loro, sulla convinzione teologica
profondamente motivata che il ministero ordinato della Chiesa manca di pienezza
quando è limitato a un sesso soltanto. Questa convinzione teologica è stata
rafforzata dall’esperienza da loro fatta negli anni in cui esse hanno associato
le donne ai loro ministeri ordinati. Hanno scoperto che i doni delle donne sono
tanto ampi e vari quanto quelli degli uomini e che il loro ministero è pienamente
benedetto dallo Spirito Santo, tanto quanto quello degli uomini. Nessuna Chiesa
ha trovato ragioni per rivedere la propria decisione.
Le
Chiese che non praticano l’ordinazione delle donne ritengono che il peso di
diciannove secoli di tradizione contro tale ordinazione non deve essere messo
da parte. Esse credono che una tradizione di questo genere non può essere
liquidata come una mancanza di rispetto per il ruolo della donna nella Chiesa.
Credono che esistono problemi teologici riguardanti la natura umana e la
cristologia che stanno al cuore delle loro convinzioni e della loro comprensione
del ruolo delle donne nella Chiesa.
La
discussione di questi problemi pratici e teologici all’interno delle diverse
Chiese e tradizioni cristiane dovrebbe essere completata da uno studio e da una
riflessione comuni nell’ambito della comunione ecumenica di tutte le Chiese.
III. Le forme del ministero ordinato
a) Vescovi, presbiteri e diaconi
19. Il Nuovo
Testamento non descrive una forma unica di ministero che dovrebbe servire da
modello o norma permanente per ogni futuro ministero nella Chiesa. Nel Nuovo
Testamento appare piuttosto una varietà di forme esistenti in luoghi e tempi
differenti. Mentre lo Spirito Santo continuava a guidare la Chiesa nella vita,
nel culto e nella missione, alcuni elementi di questa varietà iniziale furono
ulteriormente sviluppati, e poi fissati in un modello più universale di
ministero. Durante il secondo e il terzo secolo, un modello tripartito, con
vescovo, presbitero e diacono, divenne stabile come forma del ministero
ordinato in ogni parte della Chiesa. Nei secoli seguenti i ministeri del vescovo,
del presbitero e del diacono conobbero nel loro esercizio pratico cambiamenti
considerevoli. In certi periodi di crisi nella storia della Chiesa, le funzioni
stabili del ministero furono distribuite, in certi luoghi e comunità, secondo
strutture diverse dal modello tripartito [che era] predominante. A volte ci si
è appellati al Nuovo Testamento per giustificare questi altri modelli. In altri
casi, si è sostenuto che la ristrutturazione del ministero era di competenza
della Chiesa, in quanto lo adattava a situazioni mutate.
20. E importante
essere consapevoli dei mutamenti che il ministero tripartito ha subìto nella
storia della Chiesa. Le più antiche menzioni del ministero tripartito lo
riferiscono alla comunità eucaristica locale. Il vescovo era il capo della comunità.
Era ordinato e insediato per proclamare la Parola e presiedere la celebrazione
dell’eucarestìa. Era circondato da un collegio di presbiteri e da diaconi che
lo assistevano nei suoi compiti. In questo contesto, il ministero del vescovo
era un centro focale di unità all’interno dell’intera comunità.
21. Molto presto
però le funzioni si modificarono. Sempre di più i vescovi incominciarono ad
esercitare l’episkopé su parecchie comunità locali allo stesso tempo. Nella
prima generazione, erano stati gli apostoli ad esercitare l’episkopé nella
Chiesa nel senso ampio del termine. Più tardi viene riferito che Timoteo e Tito
hanno compiuto una funzione di supervisione in una data regione. Più tardi ancora,
questo compito apostolico è svolto dai vescovi in un modo nuovo. Essi costituiscono
un centro focale di unità della vita e della testimonianza, nell’ambito di
regioni che comprendono diverse comunità eucaristiche. Di conseguenza nuovi
ruoli vengono assegnati a presbiteri e diaconi. I presbiteri diventano le guide
di una comunità eucaristica locale, e i diaconi ricevono, quali assistenti dei
vescovi, delle responsabilità su una regione più estesa.
Commento
La
Chiesa delle origini ha conosciuto sia il ministero itinerante di missionari
come Paolo, sia il ministero locale di direzione là dove l’Evangelo era stato
accettato. Sembra che i modelli organizzativi a livello locale abbiano variato
a seconda delle circostanze. Gli Atti degli Apostoli parlano per Gerusalemme
dei Dodici e dei Sette, più tardi di Giacomo e degli anziani; per Antiochia di
profeti e dottori (At. 6,1-6; 15,13-22; 13,1). Le lettere ai Corinzi parlano di
apostoli, profeti e dottori (1Cor. 12,28); così la lettera ai Romani, che parla
anche di diaconi o assistenti (Rm. 16,1). A Filippi i termini profani di episkopoi
e diakonoi erano utilizzati insieme
per designare i ministri cristiani (Fil 1,1). Molti di questi ministeri sono
attribuiti sia alle donne che agli uomini. Mentre alcuni erano conferiti
mediante l’imposizione delle mani, in altri casi non vi è indicazione di questa
procedura. Questi ministeri, qualunque ne sia stato il nome, avevano come
finalità di proclamare la Parola di Dio, di trasmettere e salvaguardare il
contenuto originario dell’Evangelo, di nutrire e rafforzare la fede, la
disciplina e il servizio delle comunità cristiane, di proteggere e stimolare
l’unità al loro interno e tra di loro. Questi sono stati i compiti permanenti
del ministero attraverso gli sviluppi e le crisi della storia cristiana.
In quei
giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono
contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano
trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli
e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per
servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo
incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della
Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano,
uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone,
Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e,
dopo aver pregato, imposero loro le mani (At. 6,1-6).
Quando
essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: "Fratelli,
ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere
dalle genti un popolo per il suo nome. Con questo si accordano le parole dei
profeti, come sta scritto:
Dopo
queste cose ritornerò
e
riedificherò la tenda di Davide, che era caduta;
ne
riedificherò le rovine e la rialzerò,
perché
cerchino il Signore anche gli altri uomini
e tutte le
genti sulle quali è stato invocato il mio nome,
dice il
Signore, che fa queste cose,
note da
sempre.
Per questo
io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si
convertono a Dio, ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione
con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue.
Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché
viene letto ogni sabato nelle sinagoghe".
Agli
apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere
alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda,
chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli (At.
15,13-22).
C'erano
nella Chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger,
Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo (At.
13,1).
Alcuni
perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo
luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi
il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue
(1Cor. 12,28).
Vi
raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre (Rm.
16,1).
Paolo e
Timòteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a
Filippi, con i vescovi e i diaconi (Fil 1,1).
22. Benché non vi
sia un unico modello neotestamentario di ministero, benché lo Spirito abbia
spesso condotto la Chiesa ad adattare i suoi ministeri ai bisogni di un
contesto storico particolare, e benché altre forme del ministero ordinato siano
state benedette con i doni dello Spirito Santo, ciò nondimeno il ministero tripartito
di vescovo, presbitero e diacono può servire oggi come un’espressione dell’unità
che cerchiamo, e anche come un mezzo per raggiungerla. Sul piano storico è vero
che il ministero tripartito è diventato il modello generalmente accettato nella
Chiesa dei primi secoli, e che esso è tuttora conservato da molte Chiese.
Nell’adempimento della loro missione e del loro servizio, le Chiese hanno
bisogno di persone che in diversi modi esprimano e svolgano i compiti del
ministero ordinato nei suoi aspetti e nelle sue funzioni diaconale, presbiterale
ed episcopale.
23. La Chiesa
come corpo di Cristo e popolo escatologico di Dio viene costituita dallo
Spirito Santo mediante una varietà di doni o ministeri. Tra questi doni, un
ministero dì episkopé è necessario per esprimere e salvaguardare l’unità del
corpo. Ogni Chiesa ha bisogno di questo ministero di unità in qualche forma,
per essere la Chiesa di Dio, l’unico corpo dì Cristo, un segno dell’unità dì
tutti nel Regno.
24. Il modello
tripartito del ministero ha evidente bisogno di riforma. In alcune Chiese la
dimensione collegiale della guida nella comunità eucaristica ha sofferto una
certa menomazione. In altre, la funzione dei diaconi è stata ridotta a semplice
ruolo di assistenza nella celebrazione della liturgia: i diaconi hanno smesso
di svolgere qualsiasi funzione relativa alla testimonianza diaconale della Chiesa.
In generale la relazione tra il presbiterato e il ministero episcopale è stata
oggetto di discussioni attraverso i secoli, e il grado di partecipazione del presbitero
al ministero episcopale è ancora per molti una questione insoluta di rande
portata ecumenica. In alcuni casi, le Chiese che non hanno formalmente conservato
il modello tripartito, di fatto hanno mantenuto alcuni aspetti della sua
configurazione originaria.
25. Così, il
modello tripartito tradizionale solleva problemi per tutte le Chiese. Le Chiese
che mantengono il modello tripartito dovranno domandarsi in che modo potrebbero
esserne pienamente sviluppate le potenzialità, per una più efficace
testimonianza della Chiesa in questo mondo. A tale impegno dovrebbero
partecipare anche le Chiese che non hanno il modello tripartito del ministero.
Queste, inoltre, dovrebbero domandarsi se il modello tripartito, così come si è
sviluppato, non esiga con forza di essere accettato da loro.
b) Princìpi direttivi per l’esercizio del ministero ordinato nella Chiesa
26. Tre
considerazioni sono importanti a questo proposito. Il ministero ordinato dovrebbe
essere esercitato in un modo personale, collegiale e comunitario. Personale in quanto la presenza di
Cristo in mezzo al suo popolo può essere segnalata nel modo più efficace da una
persona ordinata per proclamare l’Evangelo e per chiamare la comunità a servire
il Signore nell’unità della vita e della testimonianza. Collegiale, perché c’è bisogno di un collegio di ministri ordinati
che condivida il compito comune di far presenti le preoccupazioni della comunità.
Infine, la stretta relazione tra il ministero ordinato e la comunità deve trovare
la sua espressione in una dimensione
comunitaria, nel senso che l’esercizio del ministero ordinato deve essere
radicato nella vita della comunità ed esige l’effettiva partecipazione della
comunità nella scoperta della volontà di Dio e della guida dello Spirito.
Commento
È
necessario tenere uniti i tre aspetti. In diverse Chiese l’uno o l’altro è
stato accentuato esageratamente a detrimento degli altri. In alcune Chiese, la
dimensione personale del ministero ordinato tende a sminuire le dimensioni
collegiale e comunitaria. In altre Chiese, la dimensione collegiale o
comunitaria diventa così importante che il ministero ordinato perde la sua
dimensione personale. Ogni Chiesa deve domandarsi in quale senso, nel suo interno,
l’esercizio del ministero ordinato ha sofferto nel corso della storia. Una
valutazione positiva di queste tre dimensioni è soggiacente a una
raccomandazione fatta dalla prima Conferenza mondiale "Fede e
Costituzione" a Losanna nel 1927 (Rapporto della Commissione V): "
Tenendo in debito conto quanto segue: il posto che l’episcopato, il consiglio
dei presbiteri [o degli anziani] e l’assemblea dei fedeli hanno avuto, rispettivamente,
nella costituzione della Chiesa primitiva; il fatto che i sistemi di governo
episcopale, presbiteriano e congregazionalista sono stati per secoli e sono
oggi accettati ciascuno da vasti settori della cristianità; il fatto che
ciascuno di questi tre sistemi (episcopale, presbiteriano e congregazionalista)
è considerato da molti come essenziale per il buon ordine della Chiesa, di
conseguenza noi riconosciamo che questi diversi elementi devono tutti trovare
un posto adeguato nell’organizzazione della vita di una Chiesa riunificata, in
modi e condizioni che esigono ulteriore studi".
27. Il ministero
ordinato deve essere strutturato costituzionalmente o canonicamente, ed
esercitato nella Chiesa in modo che ciascuna di queste tre dimensioni possa
trovare espressione adeguata. A livello della comunità eucaristica locale è
necessario un ministro ordinato che agisca all’interno di un corpo collegiale.
Bisognerebbe mettere un forte accento sulla partecipazione attiva di tutti i
membri alla vita e alle decisioni della comunità. Anche a livello regionale è
necessario un ministro ordinato che eserciti un servizio di unità. La dimensione
collegiale e quella comunitaria troveranno espressione in regolari incontri
sinodali rappresentativi.
c) Funzioni dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi
28. Che cosa si
può dire sulle funzioni e persino sui titoli di vescovi, presbiteri e diaconi?
Per il riconoscimento reciproco dei ministeri ordinati non è necessaria una
risposta uniforme a questa domanda. Comunque, per quanto concerne le funzioni,
offriamo, a titolo di proposta, le considerazioni seguenti.
29. I vescovi predicano la Parola, presiedono
la celebrazione dei sacramenti e amministrano la disciplina così da essere, in
modo rappresentativo, ministri pastorali di sorveglianza, continuità ed unità
nella Chiesa. Essi hanno il compito di sorveglianza pastorale della regione in
cui sono chiamati. Sono al servizio dell’apostolicità e dell’unità
dell’insegnamento, del culto e della vita sacramentale della Chiesa. Nella
missione della Chiesa hanno una responsabilità di direzione. Essi mettono in
collegamento la comunità cristiana della loro regione con la Chiesa in senso
più ampio, e la Chiesa universale con la loro comunità. In comunione con i
presbiteri, i diaconi e tutta la comunità, sono responsabili della trasmissione
regolare dell’autorità ministeriale nella Chiesa.
30. I presbiteri servono in una comunità
eucaristica locale come ministri pastorali della Parola e dei sacramenti. Sono
predicatori e maestri della fede, esercitano la cura pastorale e portano la
responsabilità della disciplina della comunità perché il mondo creda, e tutti i
membri della Chiesa siano rinnovati, irrobustiti ed attrezzati per il
ministero. I presbiteri hanno una particolare responsabilità nella preparazione
dei fedeli alla vita cristiana e al ministero.
31. I diaconi rappresentano in seno alla
Chiesa la sua vocazione di vivere al servizio del mondo. Lottando nel nome di
Cristo con le innumerevoli necessità delle società e delle persone, i diaconi
offrono l’esempio dell’interdipendenza tra il culto e il servizio nella vita
della Chiesa. Esercitano una responsabilità nel culto della comunità, per
esempio leggendo le Scritture, predicando e guidando i fedeli nella preghiera.
Aiutano a istruire la comunità. Vi esercitano un ministero di amore. Svolgono
certi compiti amministrativi e possono essere eletti a responsabilità di
governo.
Commento
In
molte Chiese vi è oggi una notevole incertezza circa la necessità, il senso, lo
statuto e le funzioni dei diaconi. In che senso il diaconato può essere
considerato come una parte del ministero ordinato? Cosa lo distingue dagli
altri ministeri nella Chiesa (catechisti, musici, ecc.)? Perché i diaconi
dovrebbero essere ordinati mentre questi altri ministri non ricevono ordinazione?
Se sono ordinati, ricevono l’ordinazione nel senso pieno della parola oppure la
loro ordinazione è solo la prima tappa verso l’ordinazione a presbiteri? Vi è
oggi in molte Chiese una forte tendenza a ripristinare il diaconato come
ministero ordinato con una sua propria dignità e concepito come funzione da
esercitare per tutta la vita. Ora che le Chiese si stanno avvicinando, si
potrebbero raggruppare nel diaconato [una serie di] ministeri che ora esistono
in una varietà di forme e sono designati con nomi diversi. Le differenze nel disciplinare
il ministero diaconale non dovrebbero essere considerate come un impedimento al
reciproco riconoscimento dei ministeri ordinati.
d) Varietà dei carismi
32. La comunità
che vive nella forza dello Spirito sarà caratterizzata da una varietà di
carismi. Lo Spirito è il dispensatore di doni diversi che arricchiscono la vita
della comunità. Per renderli più efficaci, la comunità riconoscerà pubblicamente
alcuni di questi carismi. Mentre alcuni rispondono a bisogni permanenti nella
vita della comunità, altri sono temporanei. Nelle comunità di ordini religiosi,
uomini e donne compiono un servizio che ha un’importanza particolare nella vita
della Chiesa. Il ministero ordinato, che è esso stesso un carisma, non deve
diventare un ostacolo alla varietà di questi carismi. Al contrario, dovrà
aiutare la comunità a scoprire i doni largiti ad essa dallo Spirito Santo e
dovrà fornire ai membri del corpo ciò che occorre per servire in una varietà di
forme.
33. Nella storia
della Chiesa vi sono stati periodi in cui la verità dell’Evangelo poté essere
preservata solo grazie a personalità profetiche e carismatiche. Spesso nuovi
impulsi hanno potuto aprirsi un varco nella vita della Chiesa solo per vie
insolite. Certe volte, le riforme hanno richiesto un ministero speciale. I ministri
ordinati e tutta la comunità dovranno prestare attenzione alla sfida lanciata
da tali ministeri speciali.
IV. La successione nella Tradizione apostolica
a) La tradizione apostolica nella Chiesa
34. Nel credo la
Chiesa confessa di essere apostolica. La Chiesa vive in continuità con gli
apostoli e con la loro predicazione. Il medesimo Signore che mandò gli apostoli
in missione continua ad essere presente nella Chiesa. Lo Spirito mantiene la
Chiesa nella tradizione apostolica fino al compimento della storia nel Regno di
Dio. Tradizione apostolica nella Chiesa significa continuità nelle
caratteristiche permanenti della Chiesa degli apostoli: testimonianza alla fede
apostolica, proclamazione e interpretazione sempre rinnovata dell’Evangelo,
celebrazione del battesimo e dell’eucarestìa, trasmissione delle responsabilità
ministeriali, comunione nella preghiera, nell’amore, nella gioia e nella
sofferenza, servizio ai malati e ai bisognosi, unità tra le Chiese locali e condivisione
dei beni che il Signore dona a ciascuna.
Commento
Gli
apostoli, in quanto testimoni della vita e della risurrezione del Signore e
inviati da lui, sono all’origine della trasmissione dell’Evangelo, della tradizione
delle parole e dei gesti salvifici di Gesù Cristo che costituiscono la vita
della Chiesa. Questa tradizione apostolica continua attraverso la storia e
collega la Chiesa alle sue origini in Cristo e nel collegio degli apostoli.
All’interno di questa tradizione apostolica vi è una successione apostolica del
ministero, che è al servizio della continuità della Chiesa nella sua vita in
Cristo e della sua fedeltà alle parole e ai gesti di Gesù trasmessi dagli apostoli.
I ministri incaricati dagli apostoli, e in seguito gli episkopoi delle Chiese,
sono stati i primi custodi di questa trasmissione della tradizione apostolica;
essi sono stati i testimoni della successione apostolica del ministero che
continuava attraverso i vescovi della Chiesa antica, in comunione collegiale
con i presbiteri e i diaconi in seno alla comunità cristiana. Conviene dunque
distinguere la tradizione apostolica di tutta la Chiesa dalla successione del
ministero apostolico.
b) La successione del ministero apostolico
35. La prima manifestazione
della successione apostolica si trova nella tradizione apostolica della Chiesa
nel suo insieme. La successione è un’espressione della permanenza e perciò
della continuità della missione propria di Cristo, cui la Chiesa partecipa.
Nella Chiesa, il ministero ordinato ha un compito particolare di preservazione
e attualizzazione della fede apostolica. La regolare trasmissione del ministero
ordinato è pertanto un’espressione vigorosa della continuità della Chiesa
attraverso la storia; sottolinea inoltre la vocazione del ministro ordinato
come custode della fede. Là dove le Chiese danno poca importanza alla
trasmissione regolare [del ministero ordinato], dovrebbero chiedersi se la loro
concezione della continuità nella tradizione apostolica non debba essere
modificata. D’altra parte, là dove il ministero ordinato non serve
adeguatamente alla proclamazione della fede apostolica, le Chiese devono
domandarsi se le loro strutture ministeriali non abbiano bisogno di una
riforma.
36. In ragione
delle particolari circostanze storiche della Chiesa in espansione nei primi
secoli, la successione dei vescovi divenne uno dei modi, insieme con la
trasmissione dell’Evangelo e la vita della comunità, in cui trovò espressione la
tradizione apostolica della Chiesa. Tale successione fu compresa come servizio,
simbolo e salvaguardia della continuità della fede e della comunione apostoliche.
Commento
Nella
Chiesa antica, il legame tra l’episcopato e la comunità apostolica fu compreso
in due modi. Clemente di Roma ricollegava la missione del vescovo all’invio di
Cristo da parte del Padre e all’invio degli apostoli da parte di Cristo (Cor.
42-44). Ciò faceva del vescovo un successore degli apostoli che assicurava la
permanenza della missione apostolica nella Chiesa. Clemente è soprattutto
interessato ai mezzi con cui la continuità storica della presenza di Cristo è
assicurata nella Chiesa grazie alla successione apostolica. Per Ignazio di
Antiochia (Magn 6,1; 3,1-2; TraIl 3,1), è Cristo circondato dai Dodici che è
presente in modo permanente nella Chiesa nella persona del vescovo circondato
dai presbiteri. Ignazio vede nella comunità cristiana radunata attorno al
vescovo, in mezzo ai presbiteri e ai diaconi, la manifestazione concreta nello
Spirito della comunità apostolica. Così il segno della successione apostolica
non solamente mette in evidenza la continuità storica; manifesta anche una
effettiva realtà spirituale.
Gli
apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato
da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose
ordinatamente secondo la volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di
certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella
parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare
che il regno di Dio stava per venire. Predicavano per le campagne e le città e
costituivano le primizie del loro lavoro apostolico, provandole nello spirito,
nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo
si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così, infatti, dice la
Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi
nella fede".
Che
meraviglia se quelli che avevano fede in Cristo stabilirono come opera da parte
di Dio i ministri predetti? Anche Mosè "fedele servitore in tutta la
casa" segnò nei libri sacri tutto ciò che gli fu ordinato. Gli altri
profeti lo seguirono rendendo testimonianza alle norme stabilite da lui. Quando
sorse gelosia intorno al sacerdozio e le tribù si disputavano quale di esse si
sarebbe ornata del nome glorioso, egli ordinò ai dodici capitribù di portargli
delle verghe e che ciascuna fosse contrassegnata dal nome. Avendole prese, le
legò, le sigillò con gli anelli dei capitribù e le pose nel tabernacolo della
testimonianza sulla tavola di Dio. Chiuso il tabernacolo sigillò le chiavi come
le verghe. E disse loro: "Fratelli, la tribù la cui verga germoglierà, Dio
sceglie per esercitare il sacerdozio e servirlo". Venuto il mattino,
convocò tutto Israele, seicentomila uomini. Mostrò i sigilli ai capitribù e
aprì il tabernacolo della testimonianza e tirò fuori le verghe. E si trovò che
la verga di Aronne non solo era germogliata, ma aveva anche il frutto. Che ve
ne pare, o carissimi? Mosè non prevedeva che questo sarebbe accaduto? Lo sapeva
davvero. Fece così perché non scoppiasse un tumulto in Israele e fosse
glorificato il nome del vero e dell'unico Dio. A lui sia la gloria nei secoli
dei secoli. Amen.
I nostri
apostoli conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata
contesa sulla carica episcopale. Per questo motivo, prevedendo esattamente
l'avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che
alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati. Quelli che
furono stabiliti dagli Apostoli o dopo da altri illustri uomini con il consenso
di tutta la Chiesa, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con
umiltà, calma e gentilezza, e che hanno avuto testimonianza da tutti e per
molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero. Sarebbe per
noi colpa non lieve se esonerassimo dall'episcopato
quelli che
hanno portato le offerte in maniera ineccepibile e santa. Beati i presbiteri
che, percorrendo il loro cammino, hanno avuto una fine fruttuosa e perfetta!
Essi non hanno temuto che qualcuno li avesse allontanati dal posto loro
stabilito. Noi vediamo che avete rimosso alcuni, nonostante la loro ottima condotta,
dal ministero esercitato senza reprensione e con onore (Clemente di Roma, Lettera ai Corinti, 42-44).
Poiché
nelle persone nominate sopra ho visto e amato tutta la comunità. Vi prego di
essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei presbiteri.
Con la guida del vescovo al posto di Dio, e dei presbiteri al posto del
collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di
Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato (Ignazio
di Antiochia, Lettera ai Magnesii, 6,1).
Conviene
che voi non abusiate dell’età del vescovo, ma per la potenza di Dio Padre gli
tributiate ogni riverenza. In realtà ho saputo che i vostri santi presbiteri
non hanno abusato della giovinezza evidente di lui, ma saggi in Dio sono
sottomessi a lui, non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo che è il vescovo di
tutti.
Per il
rispetto di chi ci ha voluto bisogna obbedire senza ipocrisia alcuna, poiché
non si inganna il vescovo visibile, bensì si mentisce a quello invisibile. Non
si parla della carne, ma di Dio che conosce le cose invisibili (Ignazio di
Antiochia, Lettera ai Magnesii,
3,1-2).
Similmente
tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come anche il vescovo che è
l'immagine del Padre, i presbiteri come il sinedrio di Dio e come il collegio
degli apostoli. Senza di loro non c'è Chiesa (Ignazio di Antiochia, Lettera ai Trallesi, 3,1).
37. Le Chiese che
hanno la successione mediante l’episcopato riconoscono sempre di più che è
stata conservata una continuità nella fede apostolica, nel culto e nella
missione, nelle Chiese che non hanno conservato la forma dell’episcopato
storico. Questo riconoscimento è ulteriormente favorito dal fatto che realtà e
funzione del ministero episcopale sono state mantenute in molte di queste
Chiese, con o senza il titolo di " vescovo ". In esse, ad esempio, l’ordinazione
è sempre compiuta da persone nelle quali la Chiesa riconosce l’autorità di
trasmettere il mandato ministeriale.
38. Queste
considerazioni non diminuiscono l’importanza del ministero episcopale. Al
contrario, aiutano le Chiese che non hanno mantenuto l’episcopato a considerare
positivamente la successione episcopale come un segno, anche se non una
garanzia, della continuità e dell’unità della Chiesa. Oggi alcune Chiese, tra
cui quelle impegnate in trattative di unione, esprimono una disponibilità ad
accettare la successione episcopale come un segno della apostolicità della vita
di tutta la Chiesa. Allo stesso tempo però esse non possono accettare nessuna
ipotesi in base alla quale il ministero esercitato nella loro tradizione
sarebbe invalido sino a quando non sia entrato in una linea [già] esistente di
successione episcopale. La loro accettazione della successione episcopale
favorirà nel modo migliore l’unità di tutta la Chiesa, se farà parte di un
processo più ampio col quale le Chiese episcopali stesse ritrovano la loro unità
perduta.
V. L'ordinazione
a) Il significato dell’ordinazione
39. La Chiesa
ordina alcuni dei suoi membri al ministero nel nome di Cristo, attraverso
l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani (1Tm. 4,14; 2Tm. 1,6);
facendo ciò, essa cerca di continuare la missione degli apostoli e di restare
fedele al loro insegnamento. L’atto di ordinazione compiuto da colore che sono
incaricati di questo ministero attesta il vincolo della Chiesa con Gesù Cristo
e la testimonianza apostolica, ricordando che in realtà colui che ordina e largisce
il dono è il Signore risorto. Con le ordinazioni, la Chiesa, ispirata dallo Spirito,
provvede alla fedele proclamazione dell’Evangelo e all’umile servizio nel nome
di Cristo. L’imposizione delle mani è il segno del dono dello Spirito, rendendo
visibile il fatto che il ministero è stato istituito nella rivelazione compiuta
in Cristo, e ricordando alla Chiesa di guardare a lui come alla sorgente del
proprio mandato missionario. Questa ordinazione tuttavia può configurarsi in
modo differenziato, in relazione agli impegni specifici dei vescovi, dei presbiteri
e dei diaconi, secondo le indicazioni contenute nelle liturgie di ordinazione.
Non
trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola
profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri (1Tm. 4,14).
Per questo
motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante
l'imposizione delle mie mani (2Tm. 1,6).
Commento
È
chiaro che le Chiese hanno pratiche differenti di ordinazione e che sarebbe
errato privilegiarne una come unica valida in senso esclusivo. D’altra parte,
se le Chiese sono disposte a riconoscersi vicendevolmente nel segno della
successione apostolica, come descritta sopra, dovrebbe conseguirne che l’antica
tradizione secondo la quale è il vescovo che ordina, con la partecipazione
della comunità, dovrebbe essa pure essere riconosciuta e osservata.
40. Propriamente
parlando, dunque, l’ordinazione indica un’azione compiuta da Dio e dalla
comunità, mediante la quale le persone ordinate sono fortificate dallo Spirito,
in vista del compimento del loro incarico, e sono sostenute dal riconoscimento
e dalle preghiere della comunità.
Commento
I
termini originati del Nuovo Testamento per designare l’ordinazione tendono a
essere semplici e descrittivi. Il fatto di una designazione viene registrato.
L’imposizione delle mani viene descritta. Una preghiera di richiesta del dono
viene pronunciata. Sulla base di questi dati, le diverse tradizioni hanno
costruito differenti interpretazioni.
È
evidente che vi è una differenza tra il retroterra culturale, [peraltro] non
evocato, che sta dietro al verbo greco cheirotonein e quello dei termini latini ordo o ordinare. L’uso neotestamentario del primo termine è carico del significato
fondamentalmente profano di "designazione" (At. 14,23; 2Cor. 8,19),
che è a sua volta derivato dal senso originario di "stendere la mano",
sia per designare una persona, sia per esprimere un voto. Alcuni studiosi vedono
in cheirotonein un riferimento
all’atto dì imposizione delle mani a partire dalla descrizione letterale di
questa azione negli esempi apparentemente paralleli quali At. 6,6; 8,17; 13,3;
19,6; 1Tm. 4,14; 2Tm. 1,6. D’altra parte, ordo e ordinare sono termini
derivati dalla legge romana e trasmettono l’idea dello statuto speciale di un
gruppo, distinto dalla plebe; così, ad esempio, l’espressione ordo
clarissimus designava il senato romano.
Il punto di partenza di qualsiasi costruzione concettuale che utilizzi questi
termini influenzerà profondamente ciò che, nel pensiero e nell’azione che ne
derivano, viene considerato come acquisito.
Designarono
quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e
digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto (At. 14,23).
Egli è
stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità,
alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche
l'impulso del nostro cuore (2Cor. 8,19).
Li
presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani (At. 6,6).
Allora
imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo (At. 8,17).
Allora,
dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono (At. 13,3).
Udito
questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe
imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare
in lingue e a profetare (At. 19,5-6).
Non
trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola
profetica, con l'imposizione delle mani da parte dei presbiteri (1Tm. 4,14).
Per questo
motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante
l'imposizione delle mie mani (2Tm. 1,6).
b) L’atto dell’ordinazione
41. Una lunga e
antica tradizione cristiana situa l’ordinazione dentro il contesto del culto e
particolarmente dell’eucarestìa. Questa collocazione della celebrazione dell’ordinazione
fa sì che l’ordinazione stessa venga correttamente intesa come un atto di tutta
la comunità, e non di un certo gruppo al suo interno, oppure della singola
persona ordinata. L’atto di ordinazione mediante l’imposizione delle mani di
coloro che ne sono incaricati è ad un tempo invocazione dello Spirito Santo (epiklesis), segno sacramentale,
riconoscimento dei doni e impegno.
42. a)
L’ordinazione è un’invocazione rivolta a Dio affinché il nuovo ministro riceva
la potenza dello Spirito, nella nuova relazione che viene a stabilirsi tra questo
ministro e la comunità cristiana locale e, sul piano dell’intenzione, la Chiesa
universale. L’alterità dell’iniziativa divina, di cui il ministero ordinato è un
segno, viene qui riconosciuta nello stesso atto dell’ordinazione. "Lo
Spirito soffia dove vuole" (Gv. 3,3): l’invocazione dello Spirito implica
che l’esaudimento della preghiera della Chiesa dipende in maniera assoluta da
Dio. Ciò vuol dire che lo Spirito può mettere in movimento nuove energie e
aprire nuove possibilità "infinitamente al di là di tutto ciò che noi
domandiamo o pensiamo" (Ef. 3,20).
Gli
rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce
dall'alto, non può vedere il regno di Dio" (Gv. 3,3).
A colui
che in tutto ha potere di fare
molto più
di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la
potenza che opera in noi (Ef. 3,20).
43. b)
L’ordinazione è un segno dell’esaudimento di questa preghiera da parte del
Signore che accorda il dono del ministero ordinato. Benché l’esaudimento dell’epiclesi
della Chiesa dipenda dalla libertà di Dio, tuttavia la Chiesa ordina nella
fiducia che Dio, fedele alle sue promesse in Cristo, entra sacramentalmente
nelle forme contingenti, storiche delle relazioni umane e le utilizza per i
suoi fini. L’ordinazione è un segno compiuto credendo che la relazione
spirituale che viene significata si fa presente con, mediante, e nelle parole
dette, nei gesti compiuti e nelle forme utilizzate.
44. c)
L’ordinazione è un riconoscimento da parte della Chiesa dei doni dello Spirito
in colui che è ordinato, e un impegno da parte della Chiesa e della persona
ordinata a [vivere] il nuovo rapporto [instauratosi tra loro]. Ricevendo attraverso
l’atto dell’ordinazione il nuovo ministro, la comunità riconosce i doni di
questo ministro e s’impegna alla responsabilità di essere aperta nei confronti di
questi doni. Analogamente, coloro che hanno ricevuto l’ordinazione offrono i loro
doni alla Chiesa e si impegnano a far fronte ai pesi e alle possibilità che un’autorità
e una responsabilità nuove comportano. Allo stesso tempo, essi entrano in una
relazione collegiale con gli altri ministri ordinati.
c) Le condizioni per l’ordinazione
45. I fedeli sono
chiamati al ministero ordinato in modi diversi. C’è una consapevolezza
personale di una chiamata del Signore a consacrarsi al ministero ordinato.
Questa chiamata può essere riconosciuta nella preghiera e nella riflessione
personale, ma anche attraverso suggerimenti, esempi, incoraggiamenti,
orientamenti provenienti dalla famiglia, da amici, dalla comunità, dagli
insegnanti e da altre autorità della Chiesa. Questa chiamata dev’essere
autenticata dal riconoscimento da parte della Chiesa dei doni e delle grazie,
naturali e spirituali, accordati a quella persona particolare, [e] necessari all’adempimento
del ministero. Per il ministero ordinato, -Dio può servirsi sia di celibi sia
di persone sposate.
46. Le persone
ordinate possono essere ministri a tempo pieno nel senso che ricevono dalla
Chiesa il loro salario. La Chiesa può ordinare anche persone che conservano
altri impieghi od occupazioni.
47. I candidati
al ministero ordinato hanno bisogno di un’adeguata preparazione studiando la
Scrittura e la teologia, coltivando la preghiera e la spiritualità, e familiarizzandosi
con le realtà sociali e umane del mondo contemporaneo. In certe situazioni,
questa preparazione potrà prendere una forma diversa da quella di studi
accademici prolungati. Il periodo di formazione sarà l’occasione per provare la
vocazione del candidato, per stimolarla e confermarla, o per modificarne la
comprensione.
48. Normalmente,
l’impegno iniziale nel ministero ordinato dovrebbe essere senza riserve o
limiti di tempo. Ma un congedo dal servizio non è incompatibile con
l’ordinazione. La riassunzione di un ministero ordinato richiede l’accordo della
Chiesa, ma non una nuova ordinazione. Nel riconoscimento del carisma del
ministero concesso da Dio, l’ordinazione a uno qualunque dei vari ministeri ordinati
non è mai ripetuta.
49. La disciplina
concernente le condizioni per l’ordinazione in una determinata Chiesa non deve
essere considerata come [una disciplina] da applicare universalmente, né essere
utilizzata come motivo per non riconoscere i ministeri di altre Chiese.
50. Le Chiese che
rifiutano di prendere in considerazione dei candidati al ministero ordinato a
motivo di un handicap o perché appartengono, per esempio, a una razza o a un
gruppo sociologico particolari, devono riesaminare la loro prassi. Questo
ripensamento è particolarmente importante oggi, considerando le numerose
esperienze di nuove forme di ministero attraverso le quali le Chiese si stanno
accostando al mondo moderno.
VI. Verso il reciproco riconoscimento dei ministeri ordinati
51. Per
progredire verso il reciproco riconoscimento dei ministeri, bisogna compiere sforzi
particolari e meditati. Tutte le Chiese devono esaminare le forme del ministero
ordinato e il grado della loro fedeltà alle intenzioni originarie. Le Chiese
devono essere preparate a rinnovare la loro comprensione e la loro pratica del
ministero ordinato.
52. Tra le
questioni su cui bisogna lavorare mentre le Chiese avanzano verso il reciproco
riconoscimento dei ministeri, quello della successione apostolica ha una
particolare importanza. Le Chiese che sono coinvolte in conversazioni ecumeniche,
possono riconoscere i loro rispettivi ministeri ordinati se sono rassicurate a
vicenda circa la loro intenzione di trasmettere il ministero della Parola e dei
Sacramenti in continuità con i tempi apostolici. L’atto di trasmissione
dovrebbe essere compiuto in accordo con la tradizione apostolica, che include
l’invocazione dello Spirito e l’imposizione delle mani.
53. Per giungere
al riconoscimento reciproco dei ministeri, Chiese diverse dovranno compiere
passi diversi. Per esempio:
a) Alle Chiese che hanno mantenuto la
successione episcopale si chiede di riconoscere sia il contenuto apostolico del
ministero ordinato esistente nelle Chiese che non hanno mantenuto tale
successione, sia l’esistenza in queste Chiese di un ministero di episkopé sotto
varie forme.
b) Le Chiese che non hanno successione
episcopale e che vivono in fedele continuità con la fede e la missione
apostoliche, hanno un ministero di Parola e Sacramenti, come è evidente
considerando la fede, la prassi e la vita di queste Chiese. A queste Chiese si
chiede di rendersi conto che la continuità con la Chiesa degli apostoli trova
un’espressione profonda nella successione di imposizione delle mani da parte di
vescovi e che, anche se esse possono non essere prive della continuità con la
tradizione apostolica, tale segno rafforzerà e approfondirà quella continuità.
Esse possono aver bisogno di ricuperare il segno della successione episcopale.
54. Alcune Chiese
ordinano uomini e donne, altre ordinano soltanto uomini. Differenze su tale
questione creano ostacoli al riconoscimento reciproco dei ministeri. Questi
ostacoli però non devono essere considerati come un impedimento decisivo a
compiere ulteriori sforzi verso il riconoscimento reciproco. L’apertura degli
uni verso gli altri comporta la possibilità che lo Spirito parli a una Chiesa
attraverso le cognizioni di un’altra. Pertanto, considerazioni ecumeniche
dovrebbero incoraggiare - e non inibire - le Chiese ad affrontare questo
problema.
55. Il
riconoscimento reciproco delle Chiese e dei loro ministeri implica una decisione
da parte delle autorità competenti, e un atto liturgico a partire dal quale
l’unità sarà manifestata pubblicamente. Per questo atto pubblico sono state
proposte molte forme: vicendevole imposizione delle mani, concelebrazione
eucaristica, culto solenne senza rito particolare di riconoscimento, lettura di
un testo di unione nel corso di una celebrazione. Nessuna forma liturgica è
richiesta in modo assoluto, ma in tutti i casi sarebbe necessario proclamare
pubblicamente l’avvenuta realizzazione del riconoscimento reciproco. Il luogo
adeguato per compiere un atto di questo genere sarebbe certamente la
celebrazione comune dell’eucarestìa.
APPENDICE
a) Il materiale
- Growing
together in Baptism, Eucharist and Ministry, Consiglio Ecumenico delle Chiese,
Ginevra 1982. È una guida scritta da William H. Lazareth, per la discussione in
gruppi di studio laici. E breve, costa poco, è scritta in uno stile vivace ed è
rivolta principalmente al lettore medio.
- Ecumenical
Perspectives on Baptism, Eucharist and Ministry, Consiglio Ecumenico delle
Chiese, Ginevra 1982. E un volume di saggi teologici, curato da Max Thurian,
che fornisce agli studiosi in teologia e liturgia trattazioni più complete
delle questioni tecniche sollevate [nel testo di Lima].
- Baptism
and Eucharist: Ecumenical Convergence in Celebration, Consiglio Ecumenico
delle Chiese, Ginevra 1982. E un volume, curato da Max Tburian, che offre a
preti e pastori materiale utile e modelli per il culto cristiano, adattabili in
vario modo. Un’ampia varietà di riti riproducono il rinnovamento liturgico in
atto nelle Chiese, comprese nuove liturgie ecumeniche del battesimo e dell’eucarestìa
che contengono gli elementi raccomandati in questo testo concordato [a Lima].
b) L’uso di questo materiale
Questo materiale può essere utilizzato sia per
il culto sia per lo studio. Così facendo si spera che ci sarà una ricerca
comune delle Chiese ad approfondire il loro culto e la loro spiritualità, a
insegnare la loro dottrina, ad alimentare la loro testimonianza e a impegnarsi
in iniziative per la giustizia e il servizio, mentre avanzano verso l’unità
cristiana.
1. Uso in contesti ecumenici:
In trattative di unione.
In conversazioni bilaterali.
In consigli di Chiese, a livello nazionale,
regionale o locale.
In altri organismi ecumenici.
2. Uso all’interno delle Chiese:
Nella formazione teologica.
Nei comitati sulle relazioni delle Chiese.
Nelle assemblee di Chiesa.
In concili, sinodi e conferenze pastorali.
In gruppi laici di studio.
In atti ordinari di culto.
Tutte le Chiese sono incoraggiate a
condividere e confrontare i risultati dei loro studi - tutte le volte che ciò è
possibile – attraverso le frontiere confessionali, nazionali e culturali.
Nessun commento:
Posta un commento