giovedì 10 settembre 2020

Oligarchia? No, grazie! Preferisco la Democrazia.

Domenica 20 settembre, come cittadini, siamo chiamati alle urne per esprimere la nostra valutazione sulla legge di Riforma costituzionale, approvata lo scorso anno in Parlamento e che prevede una drastica riduzione del numero dei parlamentari, mediante una modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Il Referendum è stato reso necessario da un’approvazione parlamentare con una maggioranza non sufficiente ad assicurarne l’immediata entrata in vigore.

Credo che un referendum costituzionale costituisca il più importante momento di esercizio della sovranità popolare, così come prevista dall’art. 1 della stessa Costituzione. Nella consultazione referendaria costituzionale ci interroghiamo su elementi fondamentali della nostra vita comune. La Costituzione, ricordiamolo è la legge fondamentale del nostro paese, quella che indica i criteri fondamentali del vivere civile e ispira tutta la legislazione e tutto l’ordinamento amministrativo.

Quindi quando siamo chiamati a pronunciarci in materia costituzionale, credo che noi cittadini dobbiamo prestare la massima considerazione alle scelte in gioco e alle loro conseguenze sulla vita della comunità civile, sul rispetto dei diritti umani e dei valori fondamentali e sulla crescita della democrazia e della partecipazione di tutti i cittadini al libero confronto delle idee e dei valori.

È quindi importante cercare di astrarsi un po’ dalla conflittualità politica contingente e fare uno sforzo per pensare “in grande”, perché nelle scelte costituzionali, non sono in gioco gli equilibri immediati tra gli schieramenti politici, non si decide quale sarà il prossimo governo, ma si contribuisce a delineare la qualità della vita democratica nella nostra Italia nel medio e lungo periodo.

Avrei preferito che per la scadenza referendaria, proprio perché riguardante la legge fondamentale dello stato, si fosse deciso di dedicare un’apposita e autonoma tornata elettorale, evitando la coincidenza temporale con altre forme di consultazione popolare. Così non sarà, purtroppo, per una decisione assunta, a mio avviso, con un po’ di leggerezza. In una parte del paese in contemporanea saranno celebrate le elezioni regionali e anche altre consultazioni amministrative locali. Questa coincidenza rischia, a mio avviso, di distrarre, per la necessaria attenzione da dare anche al confronto tra le proposte politiche in gioco nelle varie realtà, da una piena considerazione di tutti gli elementi in gioco nella consultazione referendaria sulla Costituzione.

Il fatto, poi, che la coincidenza tra più forme di consultazione popolare non riguardi tutto il territorio nazionale ma solo una parte, sia pur molto consistente, dell’elettorato, crea di fatto una condizione di disparità reale tra gli elettori. Una parte dei cittadini, infatti, potrà dedicare pienamente la propria attenzione al quesito referendario, un’altra parte invece potrà essere distratta dai concomitanti elementi di conflittualità naturalmente connessi alle consultazioni di ordine regionale e amministrativo. E questo in barba al diritto dei cittadini di essere posti in condizione di uguaglianza nell’esercizio del diritto di voto.

Per evitare questo vulnus nell’esercizio del diritto di voto sarebbe stato sufficiente prevedere date diverse di svolgimento per il Referendum e per le Elezioni regionali e amministrative. Purtroppo così non sarà e pertanto sarà compito di noi cittadini dare una prova di grande senso di responsabilità democratica nell’affrontare il quesito referendario con il massimo dell’attenzione e della considerazione del suo peso per la crescita democratica del paese.

La riduzione del numero dei parlamentari, prevista dalla legge di riforma costituzionale, in caso di conferma referendaria, di fatto diminuirebbe il grado di rappresentatività delle nostre Assemblee parlamentari, restringendo in senso oligarchico l’esercizio del potere, favorendo così un maggiore distacco tra funzione politica e cittadinanza e lasciando così una via ancora più libera all’esercizio della corruzione di palazzo. Non dimentichiamo, infatti, che il principale strumento di lotta alla corruzione è il controllo popolare della cittadinanza, ma se rendiamo più flebile la relazione tra elettori ed eletti, di fatto spuntiamo la principale arma a nostra disposizione per combattere la corruzione. Per questo, in particolare, sorprende che una tale proposta sia fatta propria anche da formazioni politiche che abitualmente, a parole, sventolano la bandiera della lotta alla corruzione.

Oggi nella nostra Italia abbiamo un parlamentare ogni 64mila abitanti circa. Grazie all’eventuale approvazione della modifica proposta, dovremmo avere un parlamentare ogni 100mila abitanti circa. Questo vorrà dire che, per eleggere un parlamentare, sarà necessario raccogliere più voti per ciascun seggio, più o meno un quarto in più di quanti ne siano necessarî oggi. La conseguenza sarà un allontanamento ulteriore dei cittadini dalla politica e una riduzione della rappresentatività democratica in direzione oligarchica. Un cittadino che vorrà scegliere d’impegnarsi in politica per servire il paese e dedicarsi al bene comune si troverà a fare i conti, per avere successo e conquistare un seggio in parlamento, con la necessità di scalare un gradino più alto e di raccogliere un consistente maggior numero di voti. Molto minori difficoltà avranno i candidati delle forze politiche, a trazione miliardaria, in possesso di maggiori disponibilità economiche, o quanti siano legati a centri di potere lobbistici e finanziari, o espressione di trame delle maggiori potenze internazionali, o, ancora, perché legati a organizzazioni illegali e/o criminali.

Sorprende, poi, che la presentazione del disegno di legge, poi approvato dalla aule parlamentari, predisposta a cura del Dipartimento per le riforme istituzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (consultabile in rete alla pagina http://www.riformeistituzionali.gov.it/media/1312/editing-dossier-riduzparl-22lug-norev.pdf), nell’operare un raffronto delle rappresentanze parlamentari in àmbito europeo, indica l’Italia come il paese con il numero di parlamentari più alto d’Europa (cf. pag. 2). Si dice infatti che in Italia sono previsti 945 parlamentari, contro i 700 della Germania, i 650 del Regno Unito (che oggi non è più nell’Unione europea) e i poco meno dei 600 della Francia. Questa presentazione, tuttavia, evita attentamente, e, a mio avviso, del tutto scorrettamente sul piano della completezza informativa, di porre in relazione questi dati con la popolazione di ciascun paese. Se operiamo tale correlazione emerge che in Italia abbiamo un parlamentare ogni 64 mila abitanti, mentre in Germania uno ogni 117mila e in Francia uno ogni 121mila. I parlamenti di questi paesi, a ben vedere, hanno un requisito di minore rappresentatività democratica rispetto al nostro. Sono questi parlamenti che avrebbero davvero bisogno di modifiche sul piano del grado di rappresentatività democratico, molto più del nostro. Interventi, naturalmente, di segno inverso. In questa classifica europea, però, l’Italia, pur precedendo i paesi che ho appena citato, ricopre solo il 22° posto, preceduta da molti altri paesi (per la precisione 21), come per es. il Belgio (1 parlamentare ogni 54mila ab.), l’Ungheria (1 ogni 48mila), il Portogallo (1 ogni 47mila), l’Austria (1 ogni 35mila), la Danimarca (1 ogni 32mila), la Svezia (1 ogni 28mila), la Finlandia (1 ogni 27 mila). E questo solo per citarne alcuni. Una parte dei parlamenti di questi paesi rivela un grado di operatività istituzionale migliore, proprio grazie a un rapporto meno sproporzionato in termini numerici tra eletti ed elettori. Mentre le aule parlamentari di Francia e Germania, prese improvvidamente come esempio, soffrono sostanzialmente degli stessi problemi che riscontriamo in Italia.

Siamo sempre soliti criticare l’invasività dei maggiori paesi europei, quando ci chiedono di allinearci ai paradigmi finanziari dell’Unione, mi sorprende quindi che noi cittadini oggi veniamo invitati a imitare Francia e Germania in un àmbito ove conseguono un evidente esito peggiore del nostro. E quest’invito guarda caso ci arriva anche da forze politiche fortemente critiche verso Parigi e Berlino. Questo mi fa molto pensare.

Il rapporto attualmente vigente in Italia (1 parlamentare ogni 64mila abitanti), tenuto anche conto delle dimensioni territoriali del paese, appare quello fisiologicamente più rispondente a garantire un corretto rapporto eletti-elettori. Ridurlo porterebbe a una dimensione eccessiva delle aule parlamentari. Aumentarlo, come si propone la legge oggetto del referendum, significa introdurre un anco più radicale isolamento degli eletti dalla cittadinanza rappresentata, riducendo la relazione alla sola rappresentazione fornita dai mezzi di massa e dai social.

Personalmente, inoltre, non condivido nemmeno la logica politica che ha portato all’approvazione della legge di modifica costituzionale in discussione. Mi sembra giusto evidenziare anche il mio personale dissenso nei confronti di una diffusa modalità, utilizzata da più parti politiche, per presentare il referendum come una preziosa occasione, per operare attraverso l’espressione del “si” allo stesso tempo un utile risparmio per le sofferenti casse dello stato e una diminuzione del numero di “poltrone”. Quest’approccio al tema referendario gioca con chiarezza a fare l’occhiolino all’insofferenza di molti nei confronti della classe politica, nella ricerca di raccogliere con tale mezzuccio il consenso sufficiente per assicurarsi la conferma popolare della modifica. Ma quest’invito proviene proprio dalla “classe politica” che, a parole, si dice di voler combattere. Su questo c’è molto da riflettere. Non credo a questa mobilitazione contro il degrado della politica, promossa proprio dalle forze politiche più direttamente espressione di tale degrado. È mai possibile che stiano remando contro se stesse?

Un provvedimento di riforma costituzionale richiede un’attenzione particolare e non il ricorso mezzucci di piccolo cabotaggio. Le riforme costituzionali hanno un’incidenza sulla vita politica di medio-lungo termine e non possono essere analizzate superficialmente nell’ottica di corto respiro sottesa al pur legittimo duello politico, quale quello attualmente in corso tra maggioranza e opposizione.

Mi chiedo, infatti, una cosa: quando il Presidente del Consiglio dei ministri, i singoli ministri o i leaders delle forze politiche prendono la parola in Parlamento, ritengono di parlare a un’Assemblea dei rappresentanti liberamente eletti dai cittadini, oppure davanti a un consesso di “poltrone”?

Con tutti i limiti e le contraddizioni della vita politica, ritengo sia davvero scorretto definire “poltrone” i seggi parlamentari, che sono invece lo strumento democratico di manifestazione della volontà dei cittadini nell’esercizio della sovranità popolare. Questo non vuol dire “chiudere gli occhî” su un uso scorretto della funzione parlamentare. Ma è necessario sottolineare che è attraverso il mandato parlamentare, e solo attraverso di esso, che i cittadini possono esercitare la propria sovranità, in ossequio all’art. 1 della Costituzione.

Purtroppo gran parte delle forze politiche non ha avuto in questi giorni la saggezza di rispettare l’autonoma libertà di scelta dei cittadini, evitando indicazioni di natura verticistica. Tra i sostenitori di tutte le forze politiche ci sono cittadini favorevoli alla modifica delle norme costituzionali in gioco e cittadini contrari alla loro modifica. I partiti, tenuto conto che in Parlamento non hanno raggiunto la maggioranza costituzionalmente prevista per la piena entrata in vigore, avrebbero dovuto avere la sensibilità di rimettersi in pienezza alla libera espressione del voto popolare, senza dare indicazioni di voto. Nel referendum è in gioco molto di più della permanenza o della caduta di un governo, ma la qualità della democrazia nel nostro paese per i prossimi decenni. Qualunque sarà l’esito delle urne non potrà essere interpretato come un verdetto positivo o negativo nei confronti del governo in carica. La cosa non è contenuta nel quesito referendario. Operare una tale lettura significa compiere una manipolazione della sovranità popolare offensiva del dettato dell’art. 1 della Costituzione.

Ricordiamoci che la democrazia è autentica solo, se tutti hanno il pieno diritto di esprimere e sostenere le proprie idee, le proprie convinzioni e i propri valori, e se tutti osservano pienamente il dovere di rispettare le idee, le convinzioni e i valori diversi dai propri. Facciamo sì, che la prossima scadenza referendaria abbia in pienezza queste caratteristiche.

In conclusione, in coerenza con quanto sin qui esposto e nel pieno rispetto di quanti hanno un’opinione diversa dalla mia, sono orgoglioso di dire che, domenica 20 settembre, sarò onorato di votare “no” per dire la mia contrarietà all’entrata in vigore delle modifiche costituzionali approvate lo scorso anno in Parlamento con maggioranza non sufficiente.

Pur con tutti i suoi limiti, mobilitiamoci per difendere la Costituzione e la Democrazia!