Domenica 20 settembre, come cittadini,
siamo chiamati alle urne per esprimere la nostra valutazione sulla legge di
Riforma costituzionale, approvata lo scorso anno in Parlamento e che prevede
una drastica riduzione del numero dei parlamentari, mediante una modifica degli
articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Il Referendum è stato reso necessario da
un’approvazione parlamentare con una
maggioranza non sufficiente ad assicurarne l’immediata entrata in vigore.
Credo
che un referendum costituzionale costituisca il più importante momento di
esercizio della sovranità popolare, così come prevista dall’art. 1 della stessa
Costituzione. Nella consultazione referendaria costituzionale ci interroghiamo
su elementi fondamentali della nostra vita comune. La Costituzione,
ricordiamolo è la legge fondamentale del nostro paese, quella che indica i
criteri fondamentali del vivere civile e ispira tutta la legislazione e tutto
l’ordinamento amministrativo.
Quindi
quando siamo chiamati a pronunciarci in materia costituzionale, credo che noi
cittadini dobbiamo prestare la massima considerazione alle scelte in gioco e
alle loro conseguenze sulla vita della comunità civile, sul rispetto dei
diritti umani e dei valori fondamentali e sulla crescita della democrazia e
della partecipazione di tutti i cittadini al libero confronto delle idee e dei
valori.
È quindi
importante cercare di astrarsi un po’ dalla conflittualità politica contingente
e fare uno sforzo per pensare “in grande”, perché nelle scelte costituzionali,
non sono in gioco gli equilibri immediati tra gli schieramenti politici, non si
decide quale sarà il prossimo governo, ma si contribuisce a delineare la
qualità della vita democratica nella nostra Italia nel medio e lungo periodo.
Avrei
preferito che per la scadenza referendaria, proprio perché riguardante la legge
fondamentale dello stato, si fosse deciso di dedicare un’apposita e autonoma
tornata elettorale, evitando la coincidenza temporale con altre forme di
consultazione popolare. Così non sarà, purtroppo, per una decisione assunta, a
mio avviso, con un po’ di leggerezza. In una parte del paese in contemporanea
saranno celebrate le elezioni regionali e anche altre consultazioni
amministrative locali. Questa coincidenza rischia, a mio avviso, di distrarre,
per la necessaria attenzione da dare anche al confronto tra le proposte
politiche in gioco nelle varie realtà, da una piena considerazione di tutti gli
elementi in gioco nella consultazione referendaria sulla Costituzione.
Il
fatto, poi, che la coincidenza tra più forme di consultazione popolare non
riguardi tutto il territorio nazionale ma solo una parte, sia pur molto
consistente, dell’elettorato, crea di fatto una condizione di disparità reale
tra gli elettori. Una parte dei cittadini, infatti, potrà dedicare pienamente
la propria attenzione al quesito referendario, un’altra parte invece potrà
essere distratta dai concomitanti elementi di conflittualità naturalmente
connessi alle consultazioni di ordine regionale e amministrativo. E questo in
barba al diritto dei cittadini di essere posti in condizione di uguaglianza
nell’esercizio del diritto di voto.
Per
evitare questo vulnus nell’esercizio
del diritto di voto sarebbe stato sufficiente prevedere date diverse di
svolgimento per il Referendum e per le Elezioni regionali e amministrative.
Purtroppo così non sarà e pertanto sarà compito di noi cittadini dare una prova
di grande senso di responsabilità democratica nell’affrontare il quesito
referendario con il massimo dell’attenzione e della considerazione del suo peso
per la crescita democratica del paese.
La riduzione del numero dei
parlamentari, prevista dalla legge di riforma costituzionale, in caso di
conferma referendaria, di fatto diminuirebbe il grado di rappresentatività
delle nostre Assemblee parlamentari, restringendo in senso oligarchico
l’esercizio del potere, favorendo così un maggiore distacco tra funzione
politica e cittadinanza e lasciando così una via ancora più libera
all’esercizio della corruzione di palazzo. Non dimentichiamo, infatti, che il
principale strumento di lotta alla corruzione è il controllo popolare della
cittadinanza, ma se rendiamo più flebile la relazione tra elettori ed eletti,
di fatto spuntiamo la principale arma a nostra disposizione per combattere la
corruzione. Per questo, in particolare, sorprende che una tale proposta sia
fatta propria anche da formazioni politiche che abitualmente, a parole,
sventolano la bandiera della lotta alla corruzione.
Oggi nella nostra Italia abbiamo un
parlamentare ogni 64mila abitanti circa. Grazie all’eventuale approvazione
della modifica proposta, dovremmo avere un parlamentare ogni 100mila abitanti
circa. Questo vorrà dire che, per eleggere un parlamentare, sarà necessario
raccogliere più voti per ciascun seggio, più o meno un quarto in più di quanti
ne siano necessarî oggi. La conseguenza sarà un allontanamento ulteriore dei
cittadini dalla politica e una riduzione della rappresentatività democratica in
direzione oligarchica. Un cittadino che vorrà scegliere d’impegnarsi in
politica per servire il paese e dedicarsi al bene comune si troverà a fare i
conti, per avere successo e conquistare un seggio in parlamento, con la
necessità di scalare un gradino più alto e di raccogliere un consistente
maggior numero di voti. Molto minori difficoltà avranno i candidati delle forze
politiche, a trazione miliardaria, in possesso di maggiori disponibilità
economiche, o quanti siano legati a centri di potere lobbistici e finanziari, o
espressione di trame delle maggiori potenze internazionali, o, ancora, perché
legati a organizzazioni illegali e/o criminali.
Sorprende, poi, che la presentazione
del disegno di legge, poi approvato dalla aule parlamentari, predisposta a cura
del Dipartimento per le riforme istituzioni della Presidenza del Consiglio dei
Ministri (consultabile in rete alla pagina http://www.riformeistituzionali.gov.it/media/1312/editing-dossier-riduzparl-22lug-norev.pdf),
nell’operare un raffronto delle rappresentanze parlamentari in àmbito europeo,
indica l’Italia come il paese con il numero di parlamentari più alto d’Europa
(cf. pag. 2). Si dice infatti che in Italia sono previsti 945 parlamentari,
contro i 700 della Germania, i 650 del Regno Unito (che oggi non è più
nell’Unione europea) e i poco meno dei 600 della Francia. Questa presentazione,
tuttavia, evita attentamente, e, a mio avviso, del tutto scorrettamente sul
piano della completezza informativa, di porre in relazione questi dati con la
popolazione di ciascun paese. Se operiamo tale correlazione emerge che in
Italia abbiamo un parlamentare ogni 64 mila abitanti, mentre in Germania uno
ogni 117mila e in Francia uno ogni 121mila. I parlamenti di questi paesi, a ben
vedere, hanno un requisito di minore rappresentatività democratica rispetto al
nostro. Sono questi parlamenti che avrebbero davvero bisogno di modifiche sul
piano del grado di rappresentatività democratico, molto più del nostro.
Interventi, naturalmente, di segno inverso. In questa classifica europea, però,
l’Italia, pur precedendo i paesi che ho appena citato, ricopre solo il 22°
posto, preceduta da molti altri paesi (per la precisione 21), come per es. il
Belgio (1 parlamentare ogni 54mila ab.), l’Ungheria (1 ogni 48mila), il
Portogallo (1 ogni 47mila), l’Austria (1 ogni 35mila), la Danimarca (1 ogni
32mila), la Svezia (1 ogni 28mila), la Finlandia (1 ogni 27 mila). E questo
solo per citarne alcuni. Una parte dei parlamenti di questi paesi rivela un
grado di operatività istituzionale migliore, proprio grazie a un rapporto meno
sproporzionato in termini numerici tra eletti ed elettori. Mentre le aule
parlamentari di Francia e Germania, prese improvvidamente come esempio,
soffrono sostanzialmente degli stessi problemi che riscontriamo in Italia.
Siamo sempre soliti criticare
l’invasività dei maggiori paesi europei, quando ci chiedono di allinearci ai
paradigmi finanziari dell’Unione, mi sorprende quindi che noi cittadini oggi
veniamo invitati a imitare Francia e Germania in un àmbito ove conseguono un
evidente esito peggiore del nostro. E quest’invito guarda caso ci arriva anche
da forze politiche fortemente critiche verso Parigi e Berlino. Questo mi fa
molto pensare.
Il rapporto attualmente vigente in
Italia (1 parlamentare ogni 64mila abitanti), tenuto anche conto delle
dimensioni territoriali del paese, appare quello fisiologicamente più
rispondente a garantire un corretto rapporto eletti-elettori. Ridurlo
porterebbe a una dimensione eccessiva delle aule parlamentari. Aumentarlo, come
si propone la legge oggetto del referendum, significa introdurre un anco più radicale
isolamento degli eletti dalla cittadinanza rappresentata, riducendo la
relazione alla sola rappresentazione fornita dai mezzi di massa e dai social.
Personalmente, inoltre, non condivido nemmeno
la logica politica che ha portato all’approvazione della legge di modifica
costituzionale in discussione. Mi sembra giusto evidenziare anche il mio
personale dissenso nei confronti di una diffusa modalità, utilizzata da più
parti politiche, per presentare il referendum come una preziosa occasione, per
operare attraverso l’espressione del “si” allo stesso tempo un utile risparmio
per le sofferenti casse dello stato e una diminuzione del numero di “poltrone”.
Quest’approccio al tema referendario gioca con chiarezza a fare l’occhiolino
all’insofferenza di molti nei confronti della classe politica, nella ricerca di
raccogliere con tale mezzuccio il consenso sufficiente per assicurarsi la
conferma popolare della modifica. Ma quest’invito proviene proprio dalla “classe
politica” che, a parole, si dice di voler combattere. Su questo c’è molto da
riflettere. Non credo a questa mobilitazione contro il degrado della politica,
promossa proprio dalle forze politiche più direttamente espressione di tale
degrado. È mai possibile che stiano remando contro se stesse?
Un provvedimento di riforma
costituzionale richiede un’attenzione particolare e non il ricorso mezzucci di
piccolo cabotaggio. Le riforme costituzionali hanno un’incidenza sulla vita
politica di medio-lungo termine e non possono essere analizzate
superficialmente nell’ottica di corto respiro sottesa al pur legittimo duello
politico, quale quello attualmente in corso tra maggioranza e opposizione.
Mi chiedo, infatti, una cosa: quando
il Presidente del Consiglio dei ministri, i singoli ministri o i leaders delle forze politiche prendono
la parola in Parlamento, ritengono di parlare a un’Assemblea dei rappresentanti
liberamente eletti dai cittadini, oppure davanti a un consesso di “poltrone”?
Con tutti i limiti e le contraddizioni
della vita politica, ritengo sia davvero scorretto definire “poltrone” i seggi
parlamentari, che sono invece lo strumento democratico di manifestazione della
volontà dei cittadini nell’esercizio della sovranità popolare. Questo non vuol
dire “chiudere gli occhî” su un uso scorretto della funzione parlamentare. Ma è
necessario sottolineare che è attraverso il mandato parlamentare, e solo
attraverso di esso, che i cittadini possono esercitare la propria sovranità, in
ossequio all’art. 1 della Costituzione.
Purtroppo
gran parte delle forze politiche non ha avuto in questi giorni la saggezza di
rispettare l’autonoma libertà di scelta dei cittadini, evitando indicazioni di
natura verticistica. Tra i sostenitori di tutte le forze politiche ci sono
cittadini favorevoli alla modifica delle norme costituzionali in gioco e
cittadini contrari alla loro modifica. I partiti, tenuto conto che in
Parlamento non hanno raggiunto la maggioranza costituzionalmente prevista per la
piena entrata in vigore, avrebbero dovuto avere la sensibilità di rimettersi in
pienezza alla libera espressione del voto popolare, senza dare indicazioni di
voto. Nel referendum è in gioco molto di più della permanenza o della caduta di
un governo, ma la qualità della democrazia nel nostro paese per i prossimi
decenni. Qualunque sarà l’esito delle urne non potrà essere interpretato come
un verdetto positivo o negativo nei confronti del governo in carica. La cosa
non è contenuta nel quesito referendario. Operare una tale lettura significa compiere
una manipolazione della sovranità popolare offensiva del dettato dell’art. 1
della Costituzione.
Ricordiamoci
che la democrazia è autentica solo, se tutti hanno il pieno diritto di
esprimere e sostenere le proprie idee, le proprie convinzioni e i propri
valori, e se tutti osservano pienamente il dovere di rispettare le idee, le
convinzioni e i valori diversi dai propri. Facciamo sì, che la prossima
scadenza referendaria abbia in pienezza queste caratteristiche.
In conclusione, in coerenza con quanto
sin qui esposto e nel pieno rispetto di quanti hanno un’opinione diversa dalla
mia, sono orgoglioso di dire che, domenica 20 settembre, sarò onorato di votare
“no” per dire la mia contrarietà all’entrata in vigore delle modifiche
costituzionali approvate lo scorso anno in Parlamento con maggioranza non
sufficiente.
Pur con tutti i suoi limiti,
mobilitiamoci per difendere la Costituzione e la Democrazia!
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