giovedì 1 ottobre 2020

Il tronfio imperatore d’Occidente bacchetta il successore di Pietro

 


Purtroppo la cultura dell’arroganza politica sta diventando abituale in Occidente. Già ho avuto modo di esprimere la mia personale valutazione negativa delle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dal segretario di stato USA, Mark Pompeo, con le quali ha invitato papa Francesco a non rinnovare l’accordo la Cina sulle modalità di nomina dei vescovi in quel paese. L’amministrazione Trump da un lato si erge, sia pur strumentalmente a fini elettoralistici, a paladina del valore della libertà religiosa e, allo stesso tempo, compie una pressione indebita sul libero e autonomo esercizio dell’attività spirituale della Chiesa cattolica, nel delineare la propria attività evangelizzatrice che ha proprio la finalità di garantire ai cattolici cinesi la libera professione della fede. La Santa Sede oggi sa far riferimento al consiglio evangelico di “essere semplici come le colombe e prudenti come i serpenti” e non mancherà di chiedere al Signore il sostegno necessario e il giusto discernimento nel non facile confronto con i governanti cinesi, ma di certo non ha alcun bisogno dei consigli “interessati” di una superpotenza internazionale, che negli ultimi anni si è posta in aperta contrapposizione con la Cina, e appare stranamente interessata a ricostruire un clima da guerra fredda.

Per comprendere meglio questa vicenda può essere utile prendere in considerazione la grande lezione che alcuni secoli fa ci ha mostrato il grande gesuita Matteo Ricci, che, per portare il Vangelo in Cina, di farsi “cinese con i cinesi”.

Dinanzi al problema di creare un ponte tra due culture, quella cinese e quella europea, così reciprocamente estranee, Matteo Ricci evidenziò come la filosofia greca fosse quella più vicina al confucianesimo e fosse perciò in grado di aprire le porte del continente asiatico. Per questo motivo Matteo Ricci assunse il nome cinese di “Li Ma Dou”, dove “Li” sta per l’iniziale del cognome “Ri”, e “Ma Dou” come il suono più vicino al nome “Matteo”. Non solo, iniziò a vestirsi come un cinese, indossando la tunica al posto della veste; si lasciò crescere barba e capelli; scelse di farsi chiamare “letterato” e non “sacerdote”, onde non essere confuso con un monaco buddhista. Nel corso di un dibattito con alcuni letterati confuciani, sostenne che il culto cinese degli antenati potesse senz’altro essere accolto e integrato nella pratica religiosa cristiana.

Ai cinesi, e in particolare ai letterati e alle persone colte, piacque la visione cristiana di Confucio da lui espressa.

Un segno dell’apprezzamento nei suoi riguardi fu dato dal consenso imperiale alla sua sepoltura nella città di Pechino, cosa ordinariamente negata agli stranieri che avevano la sorte di morire in quella città; consenso motivato esplicitamente dal riconoscimento ufficiale che, sin dall’antichità non si era mai visto un solo straniero con la virtù, la scienza e l’amore per i cinesi, che aveva mostrato Matteo Ricci.

La sua personalità ha fornito un grande apporto al dialogo e alla reciproca comprensione tra Cina ed Europa. Grazie alla sua preparazione fu il principale artefice dell’introduzione in Cina della matematica e della geometria occidentali. Ebbe modo anche di presentare le acquisizioni del Rinascimento nei campi della geografia, della cartografia e dell’astronomia. D’altro canto, con i suoi scritti fornì all’Europa una conoscenza precisa e ampia della cultura cinese, per cui può a buona ragione essere indicato come il fondatore della moderna sinologia.

Risulta quindi davvero interessante cercare di comprendere come Ricci abbia aperto la strada alla lettura del Vangelo in cinese. Non si è trattato semplicemente di tradurre un testo, ma di “riesprimere il Vangelo” attraverso le categorie simboliche di quella cultura.

La grande intuizione di Matteo Ricci è stata quella d’impegnarsi per avere la capacità di esprimere in cinese la propria esperienza di fede e di comprensione del messaggio evangelico, ponendosi così nelle condizioni di riconoscere significati e sensi che un occidentale non è capace di “leggere e scrivere”, perché non riconoscibili nelle coordinate interpretative della cultura di provenienza. Con lo sguardo di chi scrive con gli ideogrammi, si possono vedere e comprendere cose nuove, si possono riconoscere sfumature e sensi complementari a quelli intuiti dalle culture alfabetiche occidentali. Ogni cultura che accoglie il messaggio evangelico lo comprende, lo vive e lo annuncia in una forma, diversa rispetto alle altre, ma altrettanto vera. Grazie a Ricci si iniziò a pensare che i cristiani cinesi, leggendo le Scritture con i propri occhi e entro le coordinate della loro cultura, avrebbero potuto comunicare a noi occidentali quello che con i nostri non siamo in grado di distinguere. Una comprensione sempre più piena del messaggio evangelico costituisce, in definitiva, un arricchimento per tutti.

A guardar bene, la lezione di Matteo Ricci travalica i confini di una comprensione limitata alla sfera religiosa, ma si propone come una metodologia utile, e forse unica, in un pianeta come il nostro, che sta divenendo sempre più piccolo. Le culture presenti sulla terra, quella occidentale, quelle orientali, quella del vicino oriente, quelle del sud del mondo, non possono più vivere isolate le une dalle altre in àmbiti territoriali propri e impermeabili alle influenze esterne, ma sono destinate a un’integrazione sempre più decisa, stante il processo di universalizzazione dei rapporti in cui ormai da tempo siamo stati progressivamente tutti coinvolti. In una realtà come quella odierna, che tutti riconosciamo come globalizzata, il costruire muri e lo stabilire confini è una scelta miope e perdente. Invece tutte le culture, nessuna esclusa, hanno ricchezze proprie da donare a tutti, il confronto e il dialogo amichevole sono la via maestra per crescere tutti in positivo. L’intestardirsi immaturamente nella ricerca di riservare a sé il controllo di materie prime, di sistemi di armamento, delle forme di comunicazione globale, significa porre in serio pericolo il futuro del pianeta e dell’intera umanità, rendendo insolubili problemi gravissimi che vanno affrontati assieme in uno spirito di concordia e di cooperazione, quali la sconfitta della povertà estrema di una gran parte dell’umanità, la cessazione di numerosissimi conflitti armati in corso a macchia di leopardo in tutti i continenti, la conduzione di un contrasto efficace e non rinviabile ai mutamenti climatici. Naturalmente non ignoro e non sottovaluto le difficoltà che sono disseminate sul sentiero che conduce verso queste mete. Ma l’arroganza politica di certo è un elemento che rema in senso contrario e conduce alla rovina e alla sconfitta dell’intera umanità. Il confronto e l’arricchimento reciproco delle culture è la condizione per garantire il futuro del pianeta. In tutte le tradizioni religiose da decenni sono maturati e si stanno esprimendo sempre con maggiore convinzione fermenti e orientamenti ispirati alla fraternità universale. Facciamoli nostri e diamo il nostro contributo alla loro promozione e affermazione.

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