Purtroppo la cultura dell’arroganza politica
sta diventando abituale in Occidente. Già ho avuto modo di esprimere la mia
personale valutazione negativa delle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi
dal segretario di stato USA, Mark Pompeo, con le quali ha invitato papa
Francesco a non rinnovare l’accordo la Cina sulle modalità di nomina dei
vescovi in quel paese. L’amministrazione Trump da un lato si erge, sia pur
strumentalmente a fini elettoralistici, a paladina del valore della libertà
religiosa e, allo stesso tempo, compie una pressione indebita sul libero e
autonomo esercizio dell’attività spirituale della Chiesa cattolica, nel
delineare la propria attività evangelizzatrice che ha proprio la finalità di
garantire ai cattolici cinesi la libera professione della fede. La Santa Sede
oggi sa far riferimento al consiglio evangelico di “essere semplici come le
colombe e prudenti come i serpenti” e non mancherà di chiedere al Signore il
sostegno necessario e il giusto discernimento nel non facile confronto con i
governanti cinesi, ma di certo non ha alcun bisogno dei consigli “interessati”
di una superpotenza internazionale, che negli ultimi anni si è posta in aperta
contrapposizione con la Cina, e appare stranamente interessata a ricostruire un
clima da guerra fredda.
Per comprendere meglio questa vicenda può
essere utile prendere in considerazione la grande lezione che alcuni secoli fa
ci ha mostrato il grande gesuita Matteo Ricci, che, per portare il Vangelo in
Cina, di farsi “cinese con i cinesi”.
Dinanzi al
problema di creare un ponte tra due culture, quella cinese e quella europea,
così reciprocamente estranee, Matteo Ricci evidenziò come la filosofia greca
fosse quella più vicina al confucianesimo e fosse perciò in grado di aprire le
porte del continente asiatico. Per questo motivo Matteo Ricci assunse il nome
cinese di “Li Ma Dou”, dove “Li” sta per l’iniziale del cognome
“Ri”, e “Ma Dou” come il suono più vicino al nome “Matteo”. Non solo,
iniziò a vestirsi come un cinese, indossando la tunica al posto della veste; si
lasciò crescere barba e capelli; scelse di farsi chiamare “letterato” e
non “sacerdote”, onde non essere confuso con un monaco buddhista. Nel
corso di un dibattito con alcuni letterati confuciani, sostenne che il culto
cinese degli antenati potesse senz’altro essere accolto e integrato nella
pratica religiosa cristiana.
Ai cinesi,
e in particolare ai letterati e alle persone colte, piacque la visione
cristiana di Confucio da lui espressa.
Un segno
dell’apprezzamento nei suoi riguardi fu dato dal consenso imperiale alla sua
sepoltura nella città di Pechino, cosa ordinariamente negata agli stranieri che
avevano la sorte di morire in quella città; consenso motivato esplicitamente
dal riconoscimento ufficiale che, sin dall’antichità non si era mai visto un
solo straniero con la virtù, la scienza e l’amore per i cinesi, che aveva
mostrato Matteo Ricci.
La sua
personalità ha fornito un grande apporto al dialogo e alla reciproca
comprensione tra Cina ed Europa. Grazie alla sua preparazione fu il principale
artefice dell’introduzione in Cina della matematica e della geometria occidentali.
Ebbe modo anche di presentare le acquisizioni del Rinascimento nei campi della
geografia, della cartografia e dell’astronomia. D’altro canto, con i suoi
scritti fornì all’Europa una conoscenza precisa e ampia della cultura cinese,
per cui può a buona ragione essere indicato come il fondatore della moderna
sinologia.
Risulta quindi davvero interessante cercare di
comprendere come Ricci abbia aperto la strada alla lettura del Vangelo in
cinese. Non si è trattato semplicemente di tradurre un testo, ma di “riesprimere
il Vangelo” attraverso le categorie simboliche di quella cultura.
La grande intuizione di Matteo Ricci è stata quella d’impegnarsi
per avere la capacità di esprimere in cinese la propria esperienza di fede e di
comprensione del messaggio evangelico, ponendosi così nelle condizioni di
riconoscere significati e sensi che un occidentale non è capace di “leggere
e scrivere”, perché non riconoscibili nelle coordinate interpretative della
cultura di provenienza. Con lo sguardo di chi scrive con gli ideogrammi, si
possono vedere e comprendere cose nuove, si possono riconoscere sfumature e
sensi complementari a quelli intuiti dalle culture alfabetiche occidentali.
Ogni cultura che accoglie il messaggio evangelico lo comprende, lo vive e lo
annuncia in una forma, diversa rispetto alle altre, ma altrettanto vera. Grazie
a Ricci si iniziò a pensare che i cristiani cinesi, leggendo le Scritture con i
propri occhi e entro le coordinate della loro cultura, avrebbero potuto
comunicare a noi occidentali quello che con i nostri non siamo in grado di
distinguere. Una comprensione sempre più piena del messaggio evangelico
costituisce, in definitiva, un arricchimento per tutti.
A guardar bene, la lezione di Matteo Ricci travalica i confini di una comprensione limitata alla sfera religiosa, ma si propone come una metodologia utile, e forse unica, in un pianeta come il nostro, che sta divenendo sempre più piccolo. Le culture presenti sulla terra, quella occidentale, quelle orientali, quella del vicino oriente, quelle del sud del mondo, non possono più vivere isolate le une dalle altre in àmbiti territoriali propri e impermeabili alle influenze esterne, ma sono destinate a un’integrazione sempre più decisa, stante il processo di universalizzazione dei rapporti in cui ormai da tempo siamo stati progressivamente tutti coinvolti. In una realtà come quella odierna, che tutti riconosciamo come globalizzata, il costruire muri e lo stabilire confini è una scelta miope e perdente. Invece tutte le culture, nessuna esclusa, hanno ricchezze proprie da donare a tutti, il confronto e il dialogo amichevole sono la via maestra per crescere tutti in positivo. L’intestardirsi immaturamente nella ricerca di riservare a sé il controllo di materie prime, di sistemi di armamento, delle forme di comunicazione globale, significa porre in serio pericolo il futuro del pianeta e dell’intera umanità, rendendo insolubili problemi gravissimi che vanno affrontati assieme in uno spirito di concordia e di cooperazione, quali la sconfitta della povertà estrema di una gran parte dell’umanità, la cessazione di numerosissimi conflitti armati in corso a macchia di leopardo in tutti i continenti, la conduzione di un contrasto efficace e non rinviabile ai mutamenti climatici. Naturalmente non ignoro e non sottovaluto le difficoltà che sono disseminate sul sentiero che conduce verso queste mete. Ma l’arroganza politica di certo è un elemento che rema in senso contrario e conduce alla rovina e alla sconfitta dell’intera umanità. Il confronto e l’arricchimento reciproco delle culture è la condizione per garantire il futuro del pianeta. In tutte le tradizioni religiose da decenni sono maturati e si stanno esprimendo sempre con maggiore convinzione fermenti e orientamenti ispirati alla fraternità universale. Facciamoli nostri e diamo il nostro contributo alla loro promozione e affermazione.
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