martedì 30 aprile 2013


Una domanda banale: Cosa me ne faccio del rimborso dell’IMU, se non c’è il lavoro?

 
Nell’impostazione del programma di governo, che in queste ore è in corso, sembra in atto un braccio di ferro sul tema dell’IMU, del rimborso di quella versata nello scorso anno e anche della sua eventuale abolizione. Lungi da me il negare l’esigenza di porre mano a una rivisitazione del regime fiscale sulla casa, soprattutto per alleggerirne il peso per i contribuenti con reddito reale modesto. Ritengo tuttavìa che non sia quello il tema di maggiore rilevanza nelle drammatiche circostanze che il paese attualmente si trova a vivere.
Il dramma reale che oggi abbiamo di fronte è quello del lavoro. I dati che ci vengono forniti quotidianamente dagli strumenti di comunicazione sociale, ma ancor più la diretta esperienza quotidiana di vita, ci pongono dinanzi alla realtà di migliaia e migliaia di posti di lavoro persi,  di innumerevoli schiere di giovani che, nonostante le competenze, non riescono a entrare nel mondo del lavoro, di un esercito sempre più numeroso di meno giovani (o di quasi anziani) che non riescono a ritrovare un lavoro che hanno perso, e, infine, per chi un lavoro lo ha ancora, al moltiplicarsi di minacce di chiusure e licenziamenti  insieme a un progressivo e drastico attacco alle condizioni quotidiane di vita dentro e fuori il posto di lavoro.
Eppure una politica che garantisca a tutti (a tutti senza eccezione) la possibilità di esercitare il sacrosanto e inviolabile diritto al lavoro (art. 1 della Costituzione repubblicana) è la prima e unica condizione per uscire dalla crisi. Solo grazie al lavoro di tutti è possibile porci alle spalle l’attuale crisi economica e costruire un futuro economico equilibrato e sostenibile.
Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, si è posto un limite temporale di diciotto mesi, al termine del quale opererà una valutazione del lavoro svolto e del percorso compiuto. Ebbene, a tale data, il tema primario su cui l’operato del Governo sarà valutato sarà proprio quello del lavoro. Un giudizio positivo sarà possibile solo se ci troveremo dinanzi a una radicale e significativa inversione di tendenza sul terreno dell’occupazione e del lavoro. In caso contrario la valutazione non potrà che essere una sostanziale bocciatura.
Di questo ritengo dobbiamo un po’ essere tutti convinti. Lo dico oggi, vigilia del Primo Maggio, perché sappiamo un po’ tutti domani affermare con chiarezza la centralità del LAVORO, come preoccupazione primaria per tutto il paese. Gli altri problemi, pur rilevanti, cedono necessariamente il passo a questo tema decisivo.
È per questo che ritengo davvero fuorviante la campagna mediatica di queste ore che vede il Sig. Berlusconi e il partito PDL fare la voce grossa sull’IMU, pretendendone restituzione e abolizione, in nome  della casa quale valore identitario fondamentale per tutti i cittadini. Qui è necessario fare adeguatamente chiarezza: la battaglia sull’IMU non è certamente una battaglia sul diritto alla casa per tutti, che è cosa molto diversa da quanto proposto dal Cavaliere e dal suo partito. Definire una giusta disciplina fiscale sulla casa è un tema certamente importante, ma non è il più urgente.
Questo tema odierno mi ricorda un po’ un modo di dire molto diffuso nei miei anni giovanili. In parrocchia nel gruppo giovanile si parlava delle modalità organizzative delle attività caritative e il vice-parroco che ci animava era solito dire: «se a una persona che ha fame regali un pesce, lo sfami per un giorno, se gli insegni a pescare, lo sfami per tutta la vita».
Questo principio se applicato al problema dell’IMU suona sostanzialmente così: «se una famiglia viene sollevata dal pagamento dell’IMU riceve senz’altro un sollievo finanziario, ma se ai componenti di quella famiglia viene data la concreta possibilità di esercitare il diritto al lavoro, quella casa sarà nelle condizioni di vivere e prosperare,  di badare a se stessa e anche di contribuire al benessere della comunità circostante».
Allora mi viene spontaneo formulare un invito a tutti: concentriamoci sulle cose importanti, occupiamoci del “trave” del lavoro, e, una volta che avremo maggiore respiro sul terreno occupazionale e produttivo potremo occuparci del “bruscolo” (non secondario) dell’IMU.
Chiedo allora al Presidente Letta che nell’impostazione dei lavori del governo ponga al primo posto il LAVORO per tutti, ricordando che la Costituzione in proposito afferma solennemente:
«L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul “lavoro”» (art. 1).
«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al “lavoro” e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'”attività o una funzione” che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4).
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo […] e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2).
La Costituzione indica nel lavoro un valore fondante che è inteso come “diritto primario”, ma anche come dovere, di ogni cittadino. Prescrive altresì un impegno solenne a promuovere le condizioni per rendere effettivo l’esercizio del diritto al lavoro e richiede a tutti l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà. Di fronte all’enorme dramma del lavoro negato a milioni di cittadini, se si guardano bene le cose e con la dovuta onestà intellettuale, la “querelle” sull’IMU appare quanto meno fuori luogo.
Il mio invito al Presidente Enrico Letta è allora quello di fare un appello al paese per mobilitare tutte le risorse, tutte le competenze, tutte le idee e tutte le energie per il LAVORO.
Celebriamo allora il 1° maggio chiedendo con forza e dignità una mobilitazione generale del paese per il LAVORO.
Concludo con un Nota Bene: Ho letto e riletto la Costituzione, ebbene non ci crederete, non ho mai incontrato la parola IMU.
Vico Equense, martedì 30 aprile 2013

domenica 28 aprile 2013


LA FRITTATA È FATTA. BERLUSCONI E LA LEGA RINGRAZIANO, MA LA “SINISTRA È PLURALE” E IL “LAVORO È AL PRIMO POSTO”.

Sono un elettore del Partito Democratico e ho partecipato alle Primarie. L’esito di quanto avvenuto nei giorni scorsi all’interno del Partito mi ha profondamente addolorato. È stato in sostanza dissipato un grande lavoro di costruzione di un’intesa democratica che aveva visto l’impegno di tanti nelle settimane precedenti nella ricerca di un significativo denominatore comune con le altre forze democratiche presenti in Parlamento.
Il primo elemento di riflessione che mi sento di proporre è che dopo quasi un ventennio di potere berlusconiano-leghista e dinanzi alle durissime conseguenze che ciò ha comportato per il paese, devo purtroppo constatare che non esiste ancora una chiara coscienza per il pericolo e la minaccia eversiva che tale concentrazione di potere rappresenta per la democrazia e per la vita civile del paese. Le forze democratiche non hanno saputo, o non hanno voluto, far fronte comune per innescare un processo di cambiamento. Non nego la legittimità di specifiche identità e visioni politiche, ma quando è in gioco il futuro democratico del paese bisogna rimboccarsi le maniche e trovare le ragioni dell’unità.
Berlusconi e la Lega, oltre a essere responsabili del disastro etico, politico ed economico in cui ci troviamo, sono due realtà politiche estranee e contrarie alla democrazia. Essere strumentalmente portatori degli interessi di una sola persona o pretendere di rappresentare (per altro male) una sola parte del paese significa porsi al di fuori dei valori fondanti la costituzione. La campagna condotta contro il ruolo costituzionale della Magistratura e contro la sua indipendenza, culminata con l’adunata al palazzo di giustizia di alcune settimane fa, presenta evidenti lineamenti eversivi. Sarebbe urgente e per di più necessario trovare il modo per porre fuori gioco il partito del Cavaliere e le suggestioni secessioniste. Il fatto che Scelta civica e il Movimento 5 Stelle non abbiano saputo maturare le ragioni di un coinvolgimento costruttivo e responsabile in un progetto di governo condiviso del paese, mette in evidenza una loro sostanziale subalternità all’ipoteca berlusconiana. A poco serve poi trasformare l’aula di Montecitorio in un’arena di tifo calcistico, o mettere in scena forme di silenzio riottoso e infantile. Una cosa è lo spettacolo, altra cosa è la politica. Di spettacolo (di pessima qualità) ne vediamo da vent’anni. Adesso occorre far politica. Noi cittadini possiamo e dobbiamo fare manifestazioni. Dagli eletti in Parlamento ci si aspetta, però, qualcosa di più delle grida, degli slogan, degli insulti, dei silenzi capricciosi, delle dirette streaming, delle riunioni a porte chiuse e delle esternazioni in rete. In Parlamento occorrono idee, proposte concrete, programmi di governo, disponibilità a mettersi in gioco e ad operare per il bene comune.
Detto questo, mi sembra doveroso evidenziare che un’analoga e anche più pericolosa subalternità al Cavaliere sia stata dimostrata da una parte del Partito Democratico, quando non si è riusciti (di fronte al rifiuto dei 5 Stelle) a elaborare una proposta politica alternativa e che ha finito per ingolfarsi in una poco decorosa stasi, sbloccata… nel segreto delle urne parlamentari senza la dignità di una posizione esplicita.
Sul piano personale, non posso non esprimere la sofferenza vissuta da me e da tanti elettori del Partito Democratico, nel vedere i proprî rappresentanti prigionieri di logiche personalistiche e sostanzialmente precipitati nell’incapacità di far sintesi su una posizione matura da proporre al paese.
Sono convinto che sarebbe stato necessario fare di tutto per evitare un tale esito. Ma sono anche sufficientemente adulto per comprendere che questa vicenda non felice è comunque testimonianza che il Partito Democratico, con tutti suoi limiti e le sue contraddizioni, è una realtà plurale e partecipata. La presenza nel partito di diverse identità e diverse culture può determinare situazioni di conflitto o di blocco, che può sfociare (come nelle ultime settimane) in imbarazzanti paralisi. Tutto ciò non mi indice per nulla a preferire l’organizzazione in stile monarchico di altre forze politiche a guida miliardaria, con lo strumento dello scettro comunicazionale. Tutto ciò non esime dall’obbligo di far di tutto per fare sintesi delle diversità.
Oggi abbiamo un nuovo governo presieduto da Enrico Letta e frutto di un preciso indirizzo formulato dal rieletto Presidente Giorgio Napolitano e di un’intesa sottoscritta tra il Partito Democratico, il PDL e Scelta Civica. Nelle scorse settimane non ho fatto mistero che avrei preferito un esito diverso, ma è anche vero che, al di là dei desiderî e delle mie legittime aspirazioni, le alternative di cambiamento si costruiscono su concreti spazî di consenso che con tutta evidenza in questi ultimi mesi non abbiamo avuto modo di verificare. Evidentemente non ne sussistono le condizioni, con grave danno per il paese. Le responsabilità, a mio parere, sono alquanto distribuite e ritengo molto infantile l’esercizio diffuso di volerle individuare, solo e sempre, in un campo diverso dal proprio (la tradizione cattolica ci ricorda che esistono i “peccati” commessi con “le opere”, ma anche i “peccati di omissione”).
Ma più che la caccia alle streghe della distribuzione delle responsabilità, mi sembra utile porre in evidenza nello schieramento democratico, nonostante le dure esperienze di questi anni, non sia stata ancora stata maturata un’autentica coscienza del dato che “la sinistra è un soggetto plurale”. La pluralità della sinistra di fatto è più un dato subìto che affermato. Ogni componente e, addirittura, ogni sotto-componente si percepisce come titolare esclusivo della ricetta di cambiamento e vive con fastidio le proposte diverse dalle proprie, le percepisce come un ostacolo e non  come la legittima espressione di identità e sensibilità diverse che concorrono a pieno titolo a comporre il grande arcobaleno multi-identitario e multiculturale della sinistra.
Oggi, che ci troviamo a vivere in un momento in cui una parte della sinistra è impegnata in un’esperienza di governo e un’altra parte della sinistra all’opposizione, la proposizione della maturazione della coscienza della “realtà plurale della sinistra”, potrebbe sembrare a prima vista un’operazione del tutto velleitaria. Non mi nascondo naturalmente le difficoltà del compito che abbiamo davanti, ma sono convinto che i temi che da sempre sono patrimonio della sinistra (il lavoro, i diritti, la tolleranza, la convivenza pacifica e proficua tra identità diverse) devono trovare i modi e le forme concrete per produrre concreti spazî di solidarietà tra diverse componenti della sinistra, pur se collocate su diversi versanti rispetto alla linea di demarcazione tracciata dalla dialettica governo/opposizione.
In effetti, pur avendo nelle mie preferenze uno scenario diverso, non posso non riconoscere la legittimità e il valore di quelle componenti del Partito Democratico che, in forma esplicita, hanno ritenuto di rispondere all’invito della Presidenza della Repubblica a concorrere alla costruzione di un governo di larghe intese. Per la verità è una scelta delicatissima, che esprime una profonda attenzione alle gravi condizioni del paese, e che accetta di incamminarsi su un sentiero difficile, irto e tortuoso di confronto/collaborazione con la forza politica contrapposta allo scopo di contribuire a portare il paese fuori dalla situazione tragica in cui versa. I primissimi passi compiuti dall’ipotesi di governo a guida di Enrico Letta, per la verità, sembrano uno sforzo sincero per andare in questa direzione, la qualità delle persone chiamate (in rappresentanza delle componenti democratiche) a ricoprire i principali incarichi appare fuori discussione. Anche l’esclusione dalla compagine di nomi eccellenti della controparte berlusconiana costituisce un segno senz’altro positivo. È ovvio che tutto ciò non basta e che sono necessarie ulteriori e significative conferme, ma è altrettanto evidente che è necessario assicurare alle componenti democratiche del governo il sostegno essenziale a ché il loro impegno possa raggiungere i risultati sperati.
Allo stesso tempo, le componenti che, invece, hanno scelto di collocarsi all’opposizione sono chiamate a tallonare il governo sul tema primario del “Lavoro” (senza naturalmente dimenticare altri temi di alta rilevanza). Sì, il Lavoro (quello di coloro che lo hanno perso, quello di quanti che non sono mai riusciti ad averlo, quello di quanti rischiano di perderlo, quello di quanti, pur avendolo, lo vivono in condizioni di crescenti difficoltà) è il primo tema, quello decisivo. Questa mattina il Governo ha giurato nelle mani del Capo dello Stato e sulla Carta Costituzionale, che al primo articolo ìndica come valore fondante della civile convivenza proprio il “Lavoro” e, contemporaneamente, davanti a Palazzo Chigi un tragico episodio ha mostrato a quali tremende conseguenze può portare il misconoscimento del diritto al “Lavoro”.
Anziché isolarsi in sterili recriminazioni di vesti stracciate al grido dell’”inciucio”, opposizione si fa presentando quotidianamente al governo il conto di quanto fatto o non fatto sul tema del lavoro.
L’impegno sul lavoro potrà essere allora un terreno comune e unificante, pur nella diversità dei metodi e della prospettiva, tra chi è al governo e chi è all’opposizione. L’imminente 1° maggio può rappresentare allora l’occasione per riaffermare senza equivoci la centralità per tutti del LAVORO.