domenica 28 aprile 2013


LA FRITTATA È FATTA. BERLUSCONI E LA LEGA RINGRAZIANO, MA LA “SINISTRA È PLURALE” E IL “LAVORO È AL PRIMO POSTO”.

Sono un elettore del Partito Democratico e ho partecipato alle Primarie. L’esito di quanto avvenuto nei giorni scorsi all’interno del Partito mi ha profondamente addolorato. È stato in sostanza dissipato un grande lavoro di costruzione di un’intesa democratica che aveva visto l’impegno di tanti nelle settimane precedenti nella ricerca di un significativo denominatore comune con le altre forze democratiche presenti in Parlamento.
Il primo elemento di riflessione che mi sento di proporre è che dopo quasi un ventennio di potere berlusconiano-leghista e dinanzi alle durissime conseguenze che ciò ha comportato per il paese, devo purtroppo constatare che non esiste ancora una chiara coscienza per il pericolo e la minaccia eversiva che tale concentrazione di potere rappresenta per la democrazia e per la vita civile del paese. Le forze democratiche non hanno saputo, o non hanno voluto, far fronte comune per innescare un processo di cambiamento. Non nego la legittimità di specifiche identità e visioni politiche, ma quando è in gioco il futuro democratico del paese bisogna rimboccarsi le maniche e trovare le ragioni dell’unità.
Berlusconi e la Lega, oltre a essere responsabili del disastro etico, politico ed economico in cui ci troviamo, sono due realtà politiche estranee e contrarie alla democrazia. Essere strumentalmente portatori degli interessi di una sola persona o pretendere di rappresentare (per altro male) una sola parte del paese significa porsi al di fuori dei valori fondanti la costituzione. La campagna condotta contro il ruolo costituzionale della Magistratura e contro la sua indipendenza, culminata con l’adunata al palazzo di giustizia di alcune settimane fa, presenta evidenti lineamenti eversivi. Sarebbe urgente e per di più necessario trovare il modo per porre fuori gioco il partito del Cavaliere e le suggestioni secessioniste. Il fatto che Scelta civica e il Movimento 5 Stelle non abbiano saputo maturare le ragioni di un coinvolgimento costruttivo e responsabile in un progetto di governo condiviso del paese, mette in evidenza una loro sostanziale subalternità all’ipoteca berlusconiana. A poco serve poi trasformare l’aula di Montecitorio in un’arena di tifo calcistico, o mettere in scena forme di silenzio riottoso e infantile. Una cosa è lo spettacolo, altra cosa è la politica. Di spettacolo (di pessima qualità) ne vediamo da vent’anni. Adesso occorre far politica. Noi cittadini possiamo e dobbiamo fare manifestazioni. Dagli eletti in Parlamento ci si aspetta, però, qualcosa di più delle grida, degli slogan, degli insulti, dei silenzi capricciosi, delle dirette streaming, delle riunioni a porte chiuse e delle esternazioni in rete. In Parlamento occorrono idee, proposte concrete, programmi di governo, disponibilità a mettersi in gioco e ad operare per il bene comune.
Detto questo, mi sembra doveroso evidenziare che un’analoga e anche più pericolosa subalternità al Cavaliere sia stata dimostrata da una parte del Partito Democratico, quando non si è riusciti (di fronte al rifiuto dei 5 Stelle) a elaborare una proposta politica alternativa e che ha finito per ingolfarsi in una poco decorosa stasi, sbloccata… nel segreto delle urne parlamentari senza la dignità di una posizione esplicita.
Sul piano personale, non posso non esprimere la sofferenza vissuta da me e da tanti elettori del Partito Democratico, nel vedere i proprî rappresentanti prigionieri di logiche personalistiche e sostanzialmente precipitati nell’incapacità di far sintesi su una posizione matura da proporre al paese.
Sono convinto che sarebbe stato necessario fare di tutto per evitare un tale esito. Ma sono anche sufficientemente adulto per comprendere che questa vicenda non felice è comunque testimonianza che il Partito Democratico, con tutti suoi limiti e le sue contraddizioni, è una realtà plurale e partecipata. La presenza nel partito di diverse identità e diverse culture può determinare situazioni di conflitto o di blocco, che può sfociare (come nelle ultime settimane) in imbarazzanti paralisi. Tutto ciò non mi indice per nulla a preferire l’organizzazione in stile monarchico di altre forze politiche a guida miliardaria, con lo strumento dello scettro comunicazionale. Tutto ciò non esime dall’obbligo di far di tutto per fare sintesi delle diversità.
Oggi abbiamo un nuovo governo presieduto da Enrico Letta e frutto di un preciso indirizzo formulato dal rieletto Presidente Giorgio Napolitano e di un’intesa sottoscritta tra il Partito Democratico, il PDL e Scelta Civica. Nelle scorse settimane non ho fatto mistero che avrei preferito un esito diverso, ma è anche vero che, al di là dei desiderî e delle mie legittime aspirazioni, le alternative di cambiamento si costruiscono su concreti spazî di consenso che con tutta evidenza in questi ultimi mesi non abbiamo avuto modo di verificare. Evidentemente non ne sussistono le condizioni, con grave danno per il paese. Le responsabilità, a mio parere, sono alquanto distribuite e ritengo molto infantile l’esercizio diffuso di volerle individuare, solo e sempre, in un campo diverso dal proprio (la tradizione cattolica ci ricorda che esistono i “peccati” commessi con “le opere”, ma anche i “peccati di omissione”).
Ma più che la caccia alle streghe della distribuzione delle responsabilità, mi sembra utile porre in evidenza nello schieramento democratico, nonostante le dure esperienze di questi anni, non sia stata ancora stata maturata un’autentica coscienza del dato che “la sinistra è un soggetto plurale”. La pluralità della sinistra di fatto è più un dato subìto che affermato. Ogni componente e, addirittura, ogni sotto-componente si percepisce come titolare esclusivo della ricetta di cambiamento e vive con fastidio le proposte diverse dalle proprie, le percepisce come un ostacolo e non  come la legittima espressione di identità e sensibilità diverse che concorrono a pieno titolo a comporre il grande arcobaleno multi-identitario e multiculturale della sinistra.
Oggi, che ci troviamo a vivere in un momento in cui una parte della sinistra è impegnata in un’esperienza di governo e un’altra parte della sinistra all’opposizione, la proposizione della maturazione della coscienza della “realtà plurale della sinistra”, potrebbe sembrare a prima vista un’operazione del tutto velleitaria. Non mi nascondo naturalmente le difficoltà del compito che abbiamo davanti, ma sono convinto che i temi che da sempre sono patrimonio della sinistra (il lavoro, i diritti, la tolleranza, la convivenza pacifica e proficua tra identità diverse) devono trovare i modi e le forme concrete per produrre concreti spazî di solidarietà tra diverse componenti della sinistra, pur se collocate su diversi versanti rispetto alla linea di demarcazione tracciata dalla dialettica governo/opposizione.
In effetti, pur avendo nelle mie preferenze uno scenario diverso, non posso non riconoscere la legittimità e il valore di quelle componenti del Partito Democratico che, in forma esplicita, hanno ritenuto di rispondere all’invito della Presidenza della Repubblica a concorrere alla costruzione di un governo di larghe intese. Per la verità è una scelta delicatissima, che esprime una profonda attenzione alle gravi condizioni del paese, e che accetta di incamminarsi su un sentiero difficile, irto e tortuoso di confronto/collaborazione con la forza politica contrapposta allo scopo di contribuire a portare il paese fuori dalla situazione tragica in cui versa. I primissimi passi compiuti dall’ipotesi di governo a guida di Enrico Letta, per la verità, sembrano uno sforzo sincero per andare in questa direzione, la qualità delle persone chiamate (in rappresentanza delle componenti democratiche) a ricoprire i principali incarichi appare fuori discussione. Anche l’esclusione dalla compagine di nomi eccellenti della controparte berlusconiana costituisce un segno senz’altro positivo. È ovvio che tutto ciò non basta e che sono necessarie ulteriori e significative conferme, ma è altrettanto evidente che è necessario assicurare alle componenti democratiche del governo il sostegno essenziale a ché il loro impegno possa raggiungere i risultati sperati.
Allo stesso tempo, le componenti che, invece, hanno scelto di collocarsi all’opposizione sono chiamate a tallonare il governo sul tema primario del “Lavoro” (senza naturalmente dimenticare altri temi di alta rilevanza). Sì, il Lavoro (quello di coloro che lo hanno perso, quello di quanti che non sono mai riusciti ad averlo, quello di quanti rischiano di perderlo, quello di quanti, pur avendolo, lo vivono in condizioni di crescenti difficoltà) è il primo tema, quello decisivo. Questa mattina il Governo ha giurato nelle mani del Capo dello Stato e sulla Carta Costituzionale, che al primo articolo ìndica come valore fondante della civile convivenza proprio il “Lavoro” e, contemporaneamente, davanti a Palazzo Chigi un tragico episodio ha mostrato a quali tremende conseguenze può portare il misconoscimento del diritto al “Lavoro”.
Anziché isolarsi in sterili recriminazioni di vesti stracciate al grido dell’”inciucio”, opposizione si fa presentando quotidianamente al governo il conto di quanto fatto o non fatto sul tema del lavoro.
L’impegno sul lavoro potrà essere allora un terreno comune e unificante, pur nella diversità dei metodi e della prospettiva, tra chi è al governo e chi è all’opposizione. L’imminente 1° maggio può rappresentare allora l’occasione per riaffermare senza equivoci la centralità per tutti del LAVORO.

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