LA
FRITTATA È FATTA. BERLUSCONI E LA LEGA RINGRAZIANO, MA LA “SINISTRA È PLURALE”
E IL “LAVORO È AL PRIMO POSTO”.
Sono un elettore del Partito Democratico e ho partecipato alle
Primarie. L’esito di quanto avvenuto nei giorni scorsi all’interno del Partito
mi ha profondamente addolorato. È stato in sostanza dissipato un grande lavoro
di costruzione di un’intesa democratica che aveva visto l’impegno di tanti
nelle settimane precedenti nella ricerca di un significativo denominatore
comune con le altre forze democratiche presenti in Parlamento.
Il primo elemento di riflessione che mi sento di proporre è che dopo
quasi un ventennio di potere berlusconiano-leghista e dinanzi alle durissime
conseguenze che ciò ha comportato per il paese, devo purtroppo constatare che
non esiste ancora una chiara coscienza per il pericolo e la minaccia eversiva
che tale concentrazione di potere rappresenta per la democrazia e per la vita
civile del paese. Le forze democratiche non hanno saputo, o non hanno voluto,
far fronte comune per innescare un processo di cambiamento. Non nego la
legittimità di specifiche identità e visioni politiche, ma quando è in gioco il
futuro democratico del paese bisogna rimboccarsi le maniche e trovare le
ragioni dell’unità.
Berlusconi e la Lega, oltre a essere responsabili del disastro etico,
politico ed economico in cui ci troviamo, sono due realtà politiche estranee e
contrarie alla democrazia. Essere strumentalmente portatori degli interessi di
una sola persona o pretendere di rappresentare (per altro male) una sola parte
del paese significa porsi al di fuori dei valori fondanti la costituzione. La
campagna condotta contro il ruolo costituzionale della Magistratura e contro la
sua indipendenza, culminata con l’adunata al palazzo di giustizia di alcune
settimane fa, presenta evidenti lineamenti eversivi. Sarebbe urgente e per di
più necessario trovare il modo per porre fuori gioco il partito del Cavaliere e
le suggestioni secessioniste. Il fatto che Scelta civica e il Movimento 5
Stelle non abbiano saputo maturare le ragioni di un coinvolgimento costruttivo
e responsabile in un progetto di governo condiviso del paese, mette in evidenza
una loro sostanziale subalternità all’ipoteca berlusconiana. A poco serve poi
trasformare l’aula di Montecitorio in un’arena di tifo calcistico, o mettere in
scena forme di silenzio riottoso e infantile. Una cosa è lo spettacolo, altra
cosa è la politica. Di spettacolo (di pessima qualità) ne vediamo da vent’anni.
Adesso occorre far politica. Noi cittadini possiamo e dobbiamo fare
manifestazioni. Dagli eletti in Parlamento ci si aspetta, però, qualcosa di più
delle grida, degli slogan, degli insulti, dei silenzi capricciosi, delle
dirette streaming, delle riunioni a porte chiuse e delle esternazioni in rete.
In Parlamento occorrono idee, proposte concrete, programmi di governo,
disponibilità a mettersi in gioco e ad operare per il bene comune.
Detto questo, mi sembra doveroso evidenziare che un’analoga e anche
più pericolosa subalternità al Cavaliere sia stata dimostrata da una parte del
Partito Democratico, quando non si è riusciti (di fronte al rifiuto dei 5
Stelle) a elaborare una proposta politica alternativa e che ha finito per
ingolfarsi in una poco decorosa stasi, sbloccata… nel segreto delle urne
parlamentari senza la dignità di una posizione esplicita.
Sul piano personale, non posso non esprimere la sofferenza vissuta da
me e da tanti elettori del Partito Democratico, nel vedere i proprî
rappresentanti prigionieri di logiche personalistiche e sostanzialmente precipitati
nell’incapacità di far sintesi su una posizione matura da proporre al paese.
Sono convinto che sarebbe stato necessario fare di tutto per evitare
un tale esito. Ma sono anche sufficientemente adulto per comprendere che questa
vicenda non felice è comunque testimonianza che il Partito Democratico, con
tutti suoi limiti e le sue contraddizioni, è una realtà plurale e partecipata.
La presenza nel partito di diverse identità e diverse culture può determinare
situazioni di conflitto o di blocco, che può sfociare (come nelle ultime
settimane) in imbarazzanti paralisi. Tutto ciò non mi indice per nulla a
preferire l’organizzazione in stile monarchico di altre forze politiche a guida
miliardaria, con lo strumento dello scettro comunicazionale. Tutto ciò non esime
dall’obbligo di far di tutto per fare sintesi delle diversità.
Oggi abbiamo un nuovo governo presieduto da Enrico Letta e frutto di
un preciso indirizzo formulato dal rieletto Presidente Giorgio Napolitano e di
un’intesa sottoscritta tra il Partito Democratico, il PDL e Scelta Civica.
Nelle scorse settimane non ho fatto mistero che avrei preferito un esito
diverso, ma è anche vero che, al di là dei desiderî e delle mie legittime
aspirazioni, le alternative di cambiamento si costruiscono su concreti spazî di
consenso che con tutta evidenza in questi ultimi mesi non abbiamo avuto modo di
verificare. Evidentemente non ne sussistono le condizioni, con grave danno per
il paese. Le responsabilità, a mio parere, sono alquanto distribuite e ritengo
molto infantile l’esercizio diffuso di volerle individuare, solo e sempre, in
un campo diverso dal proprio (la tradizione cattolica ci ricorda che esistono i
“peccati” commessi con “le opere”, ma anche i “peccati di omissione”).
Ma più che la caccia alle streghe della distribuzione delle
responsabilità, mi sembra utile porre in evidenza nello schieramento
democratico, nonostante le dure esperienze di questi anni, non sia stata ancora
stata maturata un’autentica coscienza del dato che “la sinistra è un soggetto
plurale”. La pluralità della sinistra di fatto è più un dato subìto che
affermato. Ogni componente e, addirittura, ogni sotto-componente si percepisce
come titolare esclusivo della ricetta di cambiamento e vive con fastidio le
proposte diverse dalle proprie, le percepisce come un ostacolo e non come la legittima espressione di identità e
sensibilità diverse che concorrono a pieno titolo a comporre il grande
arcobaleno multi-identitario e multiculturale della sinistra.
Oggi, che ci troviamo a vivere in un momento in cui una parte della
sinistra è impegnata in un’esperienza di governo e un’altra parte della
sinistra all’opposizione, la proposizione della maturazione della coscienza della
“realtà plurale della sinistra”, potrebbe sembrare a prima vista un’operazione
del tutto velleitaria. Non mi nascondo naturalmente le difficoltà del compito
che abbiamo davanti, ma sono convinto che i temi che da sempre sono patrimonio
della sinistra (il lavoro, i diritti, la tolleranza, la convivenza pacifica e
proficua tra identità diverse) devono trovare i modi e le forme concrete per
produrre concreti spazî di solidarietà tra diverse componenti della sinistra,
pur se collocate su diversi versanti rispetto alla linea di demarcazione
tracciata dalla dialettica governo/opposizione.
In effetti, pur avendo nelle mie preferenze uno scenario diverso, non
posso non riconoscere la legittimità e il valore di quelle componenti del
Partito Democratico che, in forma esplicita, hanno ritenuto di rispondere
all’invito della Presidenza della Repubblica a concorrere alla costruzione di un
governo di larghe intese. Per la verità è una scelta delicatissima, che esprime
una profonda attenzione alle gravi condizioni del paese, e che accetta di
incamminarsi su un sentiero difficile, irto e tortuoso di
confronto/collaborazione con la forza politica contrapposta allo scopo di
contribuire a portare il paese fuori dalla situazione tragica in cui versa. I
primissimi passi compiuti dall’ipotesi di governo a guida di Enrico Letta, per
la verità, sembrano uno sforzo sincero per andare in questa direzione, la
qualità delle persone chiamate (in rappresentanza delle componenti
democratiche) a ricoprire i principali incarichi appare fuori discussione.
Anche l’esclusione dalla compagine di nomi eccellenti della controparte
berlusconiana costituisce un segno senz’altro positivo. È ovvio che tutto ciò non
basta e che sono necessarie ulteriori e significative conferme, ma è
altrettanto evidente che è necessario assicurare alle componenti democratiche
del governo il sostegno essenziale a ché il loro impegno possa raggiungere i
risultati sperati.
Allo stesso tempo, le componenti che, invece, hanno scelto di
collocarsi all’opposizione sono chiamate a tallonare il governo sul tema
primario del “Lavoro” (senza naturalmente dimenticare altri temi di alta rilevanza).
Sì, il Lavoro (quello di coloro che lo hanno perso, quello di quanti che non
sono mai riusciti ad averlo, quello di quanti rischiano di perderlo, quello di
quanti, pur avendolo, lo vivono in condizioni di crescenti difficoltà) è il
primo tema, quello decisivo. Questa mattina il Governo ha giurato nelle mani
del Capo dello Stato e sulla Carta Costituzionale, che al primo articolo ìndica
come valore fondante della civile convivenza proprio il “Lavoro” e, contemporaneamente,
davanti a Palazzo Chigi un tragico episodio ha mostrato a quali tremende
conseguenze può portare il misconoscimento del diritto al “Lavoro”.
Anziché isolarsi in sterili recriminazioni di vesti stracciate al
grido dell’”inciucio”, opposizione si fa presentando quotidianamente al governo
il conto di quanto fatto o non fatto sul tema del lavoro.
L’impegno sul lavoro potrà essere allora un terreno comune e
unificante, pur nella diversità dei metodi e della prospettiva, tra chi è al
governo e chi è all’opposizione. L’imminente 1° maggio può rappresentare allora
l’occasione per riaffermare senza equivoci la centralità per tutti del LAVORO.
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