Ermeneutiche in tensione: tempi bui per la teologia. Un saggio di Faustino Teixeira sul “far teologia” oggi, nella
Chiesa.
Nel
«Forum teologico» del n. 3/2013 di «Concilium» ho avuto l'opportunità di
leggere uno studio del teologo brasiliano Faustino Teixeira, dedicato ai
problemi dell’odierno statuto della riflessione teologica nella comunità
ecclesiale:
Faustino
Teixeira, Ermeneutiche in tensione: tempi
bui per la teologia, in «Concilium : Rivista internazionale di teologia»,
49. (2013) 3, pp. [152]-159.
Il
saggio, ripreso da «Boletim Rede de
Cristãos» (20. (2012) 2), è stato in realtà scritto nel 2012, quindi ben prima
dell’inizio del pontificato di papa Francesco. Tuttavia, l’analisi condotta da
Teixeira sulla condizione del “far teologia” nella Chiesa appare pienamente
rispondente alla realtà della vita ecclesiale negli ultimi trent’anni.
Naturalmente non sono presenti le venature di ottimismo che, a quasi un anno
dall’inizio del pontificato di Francesco, è del tutto legittimo nutrire. In
ogni caso anche oggi la questione del come “fare teologia” è attuale e urgente.
Teixeira
prende le mosse da una citazione di Pierre Teilhard de Chardin: «Talvolta si ha
senza dubbio l’impressione che le nostre chiesette ci nascondano la Terra».
Egli mostra come il rapporto tra teologia e magistero, nell’ultimo secolo, sia
stato spesso testimone di esperienze di tensione e di profonda sofferenza umana.
Vengono, infatti, passati in rassegna una serie di casi personali di teologi
ammoniti o puniti dal Sant’Uffizio, poi divenuto Sacra Congregazione per la dottrina
della fede. Si va dallo stesso Pierre Teilhard de Chardin a Marie-Dominique
Chenu, da Hans Küng a Jacques Pohier, da Edward Schillebeeckx, da Leonardo Boff
a Tissa Balasuriya, da Anthony de Mello a
Jacques Dupuis, da Marciano Vidal a Roger Haight, da Jon Sobrino a
Margareth Farley, solo per citare i casi più noti.
Teixeira,
citando Susan Ross e Felix Wilfred, ricorda come, in realtà «solo cinquant’anni
fa la teologia
cattolica era una disciplina in gran parte chiusa, insegnata da sacerdoti-docenti in seminarî controllati da ordini religiosi maschili o dalle diocesi. I teologi venivano formati nelle università pontificie e facevano parte delle stesse comunità clericali dei loro vescovi».
cattolica era una disciplina in gran parte chiusa, insegnata da sacerdoti-docenti in seminarî controllati da ordini religiosi maschili o dalle diocesi. I teologi venivano formati nelle università pontificie e facevano parte delle stesse comunità clericali dei loro vescovi».
Nei
decennî precedenti il Concilio Vaticano 2°, come abbiamo visto, numerosi
teologi sono stati oggetto di duri provvedimenti disciplinari. Con il Concilio
si sono aperti spazi nuovi per la riflessione teologica. Sono state aperte le
porte degli studî teologici ai laici, che hanno così potuto in forma sempre più
ampia cercare di esplorare le concettualità teologiche. Le università hanno
iniziato a insegnare la teologia come disciplina accademica. I teologi non sono
stati sottoposti all’obbligo dell’“imprimatur” per rendere pubblico il loro lavoro.
Teixeira
constata però che la primavera conciliare è stata di breve durata. Ben presto
la “minoranza conciliare” ha ripreso fiato, riuscendo a far affermare una nuova
dinamica nella vita ecclesiale con la ricerca di “nuova disciplina”. Egli
individua come momento spartiacque il 1981, allorché l’allora Cardinal Joseph Ratzinger
assume la guida della Congregazione per la dottrina della fede. Teixeira mostra
come sia possibile riconoscere nella lettura del libro-intervista del 1985, Rapporto sulla fede, la piattaforma
programmatica del cambiamento attraverso la proposizione nella lettura del
Concilio, di una sofisticata e, per tanti versi, geniale «ermeneutica della
continuità». Vi si riconosce, infatti, un’esplicita reazione contro
un’«apertura indiscriminata» realizzata nel post-concilio e la denuncia di una
«certa euforica solidarietà post-conciliare». Teixeira non manca di porre in
evidenza come «molte delle questioni polemiche che segnarono i decennî seguenti
sono presenti in quest’opera: le difficoltà del magistero con la teologia
morale (identificate come polo principale delle tensioni tra il magistero e i
teologi), con la teologia femminista e con la teologia della liberazione, con
le conferenze episcopali, con la teologia delle religioni».
Passando
ad analizzare l’opera pubblicata nel 2006 dalla Congregazione per la dottrina
della fede, i Documenta inde a Concilio
Vaticano secundo expleto edita (1966-2005), Teixeira mostra come anche in essa,
ad oltre vent’anni di distanza, permanga una chiara difficoltà rispetto alla
cosiddetta «ermeneutica della discontinuità e della rottura», nonché una viva
preoccupazione per la produzione teologica su alcuni temi cristologici e
trinitarî, su questioni ecclesiologiche, di antropologia teologica, questioni
morali, di teologia della liberazione e
teologia delle religioni.
Teixeira
riconosce poi, in accordo con Ivone Gebara, un’evoluzione ulteriore in questo
ritorno indietro rispetto alla novità conciliare, allorché si passa dall’accusa
ai singoli teologi, all’individuazione di nodi problematici in realtà
collegiali come le Conferenze episcopali (alle quali si nega una base teologica
e si riconosce solo una funzione pratica). O, ancora, come nella vicenda
riguardante la “Leadership Conference of Women Religious degli Stati Uniti”,
ove si giunge ad accusare le religiose statunitensi come sostenitrici di un
femminismo radicale, di deviazioni circa la dottrina cattolica, di complicità
nell’approvazione delle unioni omosessuali, etc.
Teixeira
giunge infine alla Lettera apostolica Porta
fidei (del 2011) e alla Nota con
indicazioni pastorali per l’anno della fede (del 2012), nelle quali
intravede sotto la preoccupazione di proporre una corretta comprensione del
concilio da condurre nell’àmbito della tradizione della chiesa, la
realizzazione di una sorta di inversione di autorevolezza magisteriale che
finisce per inquadrare la lettura dei testi del Concilio sotto la luce del Catechismo della Chiesa cattolica. Il
che conduce a proporre una lettura statica dell’insegnamento conciliare, che lo
isola dalla necessaria comprensione del contesto dinamico in cui tale
insegnamento è maturato e si è prodotto e lo priva del suo “status” di invito
libero alla conversione dei cuori.
Di
fronte a questa realtà difficile, che tuttavia chiede a quanti quotidianamente
“fanno teologia” una paziente opera di perseveranza, di testimonianza e di
discernimento, Teixeira evidenzia così l’urgenza di raccogliere la sfida di una
teologia pubblica, più impegnata con il Regno di Dio e con la causa del
Vangelo, sintonizzata con la ricerca accademica e in dialogo con la società.
Una tale fisionomia teologica investe soprattutto i teologi laici, chiamati in
prima persona a condurre un discorso pubblico, al quale va riconosciuta una
libertà istituzionale sul piano ecclesiologico, ma anche assicurato un luogo
nello spazio pubblico della riflessione scientifica. Ciò naturalmente non
avviene per concessione, ma solo attraverso una quotidiana pratica della
riflessione teologica, rigorosa, sollecita sul piano umano ed ecclesiale,
libera, responsabile e responsabilizzante, nutrita dalla Parola di Dio e
dall’immersione nella realtà del nostro tempo. Giustamente, allora, conclude
Teixeira, che «cambia il profilo della teologia – e anche dei suoi compiti – in
questo tempo di società post-tradizionali. Le teologhe e i teologi sono
provocati a investimenti riflessivi più audaci e coraggiosi, a cercare di
affrontare con creatività le grandi sfide del 21° secolo alla luce delle
proprie esperienze di fede e di comunità».
Invito
quanti ne hanno l’opportunità a non lasciarsi sfuggire l’opportunità di leggere
il saggio di Faustino Teixeira.
Vico
Equense, mercoledì 25 dicembre 2013
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