martedì 13 maggio 2014

Suggerimento di lettura : La speranza nel presente, la speranza nell’altrove



Suggerisco la lettura di un altro bel contributo presente sul numero 8 di «Rocca»:

Che cos’è la religione : La speranza nel presente, la speranza nell’altrove / Marco Gallizioli. – «Rocca : Quindicinale della Pro Civitate Christiana», 73. (2014) 08. p. 47-49.

L’autore, Marco Gallizioli, prendendo le mosse da una costante antropologica facilmente riscontrabile nell’umanità contemporanea che segna un sordo sentimento di rassegnazione e d’ineluttabilità nei confronti dell’epoca odierna, pone in evidenza come oggi ci si trovi di fronte a una sorta di smarrimento della capacità di «generare un senso di speranza in grado di innervare nei soggetti forza e determinazione, di rinnovare idee e progetti, di fornire nutrimento e propellente esistenziali». Il rischio più che concreto è che, in conseguenza dell’incapacità di dare senso alla speranza nella condizione presente in cui ciascuno si ritrova, si finisce col negarla o rifiutarla, col sostituirla con surrogati del tutto riduttivi, oppure con il confinarla su un piano astratto e lontano dalla vita reale. E questo nonostante oggi sia quanto mai essenziale un contributo propositivo di alto profilo motivazionale.
Certamente lo slancio verso il futuro, che senza dubbio è connaturato allo stesso essere in divenire della persona umana, si trova tuttavia nella necessità di calarsi nella realtà presente, perché la realtà concreta di oggi è «il vero luogo della speranza, inteso come tempo del cambiamento in vista del domani». E qui è davvero illuminante la considerazione operata da Gallizioli: «il nostro essere “qui e ora” è, infatti, l’àmbito in cui si esprime la nostra esistenza, il terreno in cui si gioca il nostro essere viventi e in cui si deve realizzare il senso dell’attesa».
Da qui parte una presentazione davvero accattivante di come il valore della “speranza” appare declinato nelle tradizioni religiose e nella cultura contemporanea.
Le tradizioni occidentali, nel loro complesso, concordano nell’affermare che, per dar vita a un mondo migliore, sia doveroso partire dal cambiare il nostro stile di vivere nella storia e nel tempo. Il cristianesimo, dal canto suo, con la proposta di un Dio che si fa uomo e vive nella storia, costituisce il principale esempio di un tale orientamento. Qui il presente si costituisce come il luogo temporale ove può determinarsi la nostra trasformazione, l’àmbito della ricerca della dimensione più autentica, della presa di coscienza, della conversione e dell’avvio dell’itinerario di perfezione.
Vivere nel presente in una prospettiva di trasformazione di sé (diremmo in un linguaggio di moda, “con un atteggiamento in progress), rappresenta un vero ‘e proprio seme di speranza, un sentirsi compartecipi, parete di una realtà, il mondo, che è qualcosa di più della mera somma delle sue componenti.
Per esempio, per un pensatore come Martini Heidegger il presente è il «il tempo della cura, della crescita nella responsabilità e nella consapevolezza di ciò che siamo». Anche il pensiero antropologico ha fornito un grande contributo in proposito. Dal suo punto di vista Clifford Geertz ha posto in luce come una grande speranza per l’umanità sia quella d’imparare a capire ciò che non possiamo abbracciare. Gallizioli sottolinea con grande efficacia come oggi la sfida sia rappresentata dal prenderci cura del mondo, che vuol dire imparare ad ascoltare e comprendere l’altro, inteso come alterità culturale. Questo implica percorrere strade diverse e alternative al dissimulare la differenza dall’altro con discorsi generici sul dato della comune umanità, all’indifferenza del dare “a ciascuno il suo”, o, infine, alla collocazione marginale e distante sul piano di una considerazione di fascino esotico, ma di sostanziale estraneità alla realtà quotidiana. Urge pertanto divenire capaci di apprendere l’attitudine di comprendere l’altro, e di saperla mantenere viva e alimentare. Le diverse culture vivono insieme nel mondo, in qualche modo intrecciate reciprocamente. Su un piano assoluto non possibile né isolarle l’una dall’altra né uniformarle in una generalizzata indistinzione. La pratica sociale si realizza nel concreto della vita e della storia e non in un laboratorio asettico.
Tutte le culture devono, sia pur lentamente, imboccare la strada di una responsabile autoeducazione finalizzata a prendere coscienza della propria marginalità, superando autocomprensioni fondate sull’avvertirsi come realtà separata e in contrapposizione alle altre culture. Nessuna cultura, in fin dei conti, è in sé autosufficiente o priva di correlazioni con le altre culture. Tutte, di fatto, sperimentano una sostanziale osmosi reciproca. Dimensione, questa, che l’attuale globalizzazione tende inevitabilmente ad accrescere. Tutte le culture dovrebbero compiere lo sforzo di calcare il sentiero di assumere la preoccupazione di percepirsi insieme nel mondo, declinando tale percezione come dato ineliminabile e concreto. Anziché attardarci ciascuno nella celebrazione dei proprî eroi e nella demonizzazione dei proprî nemici, è urgente prendere coscienza che lo stesso futuro di ciascuna cultura dipende dalla sua capacità di sapersi pensare in una conformazione diversa da quella attuale. Nella storia dell’umanità ogni giorno non è mai l’esatta fotocopia del giorno precedente. Ciascun giorno ha naturalmente salde radici nell’ieri, ma guai se fosse privo di nuovi germoglî protesi verso il domani. Le culture, che si rivelano refrattarie a un’apertura all’ospitalità incondizionata, in realtà segnano ineluttabilmente il proprio destino. Lasciare, invece, la porta aperta all’ospite inatteso, accettare il rischio che questa visita comporta significa riconoscere che l’altro, più che essere colui che invade l’àmbito del mio orizzonte, è piuttosto colui assieme al quale posso travalicare gli orizzonti.
La speranza appare allora come una fondamentale esigenza d’immaginazione, che ciascuno di noi e il mondo nel suo complesso avvertiamo come una necessità stringente, che determina il futuro in tutte le sue possibilità.
Appare assolutamente necessario spalancare una finestra su un futuro possibile e non predeterminabile, l’alternativa significa ridurre la nostra azione nel presente a un qualcosa di precostituito e, inevitabilmente, voluto all’inefficacia.
Sotto questo punto di vista appare davvero esemplare l’insegnamento del Vangelo, per il suo chiamare a sentirsi partecipi e compartecipi della creazione: una chiamata a costruire, attraverso l’attenzione all’oggi, il senso del domani, un domani da rispettare comunque nella sua astrazione e imprevedibilità.
Il buddhismo Mahayana, dal canto suo, invita alla bodhipranidhicitta, cioè a conseguire l’illuminazione per il bene di tutti gli esseri, vivendo le quattro realtà incommensurabili: l’amore, la compassione, la gioia, l’equanimità illimitate, in quanto rivolte a tutti gli esseri. Nella visione buddhista il raggiungimento dell’illuminazione non è mai finalizzato a se stessi, ma opera per il risveglio complessivo degli esseri, affinché ogni realtà possa partecipare alla felicità che comunque ciascuna contribuisce a determinare. I quattro valori, prima richiamati, caratterizzano uno stile di vita proteso ad apprendere che ogni essere al mondo vive di relazioni e che ogni realtà va rispettata. In una tale ottica la dimensione della speranza che può caratterizzare il nostro essere “qui e ora" costituisce un appello a vivere in modo autentico, per poter costruire qualcosa che può proiettarsi nel futuro. E questo rappresenta la speranza che domani potrà esserci ancora una realtà presente in cui ci si possa adoperare per innescare nuovo cambiamento.
La dimensione della speranza che ci viene proposta dalle tradizioni religiose, sia occidentali che orientali, rispetto al nostro essere pienamente immersi nel presente, assolve un’altra funzione di assoluto rilievo, quella di proporsi a noi come traguardo, respiro e silenzio.
Grazie a una seria analisi della realtà possiamo evitare d’invischiarci in mitologie inquietanti, con l’uso rigoroso della ragione possiamo scegliere di non imboccare i vicoli ciechi delle illusioni, ma è solo con «la speranza nell’altrove – sostiene Gallizioli – che ci riconciliamo con il nostro presente e diventiamo capaci di assaporare l’esistenza». E questo nonostante i nostri limiti, le nostre miserie, la nostra incapacità di comprendere, nonostante i limiti e i condizionamenti posti dalla natura, con le sue leggi e i suoi meccanismi, e, infine, nonostante le visioni umane di Dio che, non di rado, possono ridurlo a funzione di una società, nelle cui logiche finiscono per intrappolarlo.
La speranza, allora, è il propellente che nel concreto della quotidianità ci apre la prospettiva verso un futuro comunque non ipotecabile. Essa si propone come vera ‘e propria poesia della quale abbiamo più che mai necessità per uscire dai vincoli aridi dei linguaggî tesi alla mera oggettività e superare la perentorietà condizionante della realtà che ci circonda. E questo perché la poesia «è una capacità d’incanto che nessuno si può permettere di perdere e che nessun male, nessun dolore, nessuna sofferenza, nessun limite può inquinare perché nasce da un’esperienza».
La speranza, secondo la prospettiva proposta da Gallizioli, finisce per sfociare nella capacità di vivere fino in fondo il silenzio in cui l’esperienza del “totalmente altro” non si contamina con i linguaggî dell’ordinarietà. «Un silenzio nel quale la speranza diviene impalpabile, invisibile e indicibile, perché diviene sinonimo di salvezza, diventa esperienza della salvezza, di una salvezza che non è mai solo mia, ma è la salvezza per intero dell’umanità, della creazione, del cosmo».
Quella proposta da Marco Gallizioli è una riflessione davvero intrigante, che propone il tema della speranza in una chiave del tutto inconsueta, aperta al contributo delle più diverse e disparate ispirazioni di pensiero.
Una lettura da non lasciarsi sfuggire.

Sergio Sbragia
Vico Equense, martedì 13 maggio 2014

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