Leggendo l’ultimo numero di «Tempi di fraternità» (n. 6, giugno-luglio
2014) ho scoperto di aver contribuito a indurre don Roberto Sardelli a
presentare l’esperienza sua e di altri sacerdoti della Chiesa di Roma in questo
primo anno vissuto dalla comunità ecclesiale dell’Urbe sotto la guida del
vescovo Francesco [“Ti darò le chiavi del
Regno”… (ma quelle del Vaticano chi le tiene?) / don Roberto Sardelli, in
“TdF” 43.(2014) 6, p. 14-16].
In realtà nei mesi scorsi avevo formulato delle riflessioni sul
significato e sulle sfide che si pongono dinanzi alla riflessione teologica
(non quella accademica, ma quella che si realizza nel concreto delle comunità e
dei luoghi di vita) nella nuova condizione della vita ecclesiale che si è
presentata con l’elezione di papa Francesco. Dopo aver delineato le gravi
contraddizioni e richiamato le sofferenze di tanti teologi negli ultime decennî si sono determinate nella pratica della
riflessione teologica che nella vita ecclesiale si erano venute determinando in
relazione alla funzione e al ruolo della riflessione teologica. Terminavo il
mio contributo, non senza una dose di ottimismo, guardando con fiducia e
speranza alla “novità” rappresentata dal nuovo pontificato. Un contributo che
gli amici di «Tempi di Fraternità» hanno pubblicato sul numero dello scorso
febbraio [cf. La sfida del “far teologia”
al tempo di Francesco / Sergio Sbragia, in “TdF” 43.(2014) 2, p. 3-4].
Sono tuttavia contento che con il mio “pezzo”, io abbia in qualche
maniera indotto don Roberto a porre per iscritto la sua esperienza. Dopo averla
letta devo dire che, quella presentata da don Roberto, è una testimonianza di
grande valore, che è importante sia stata resa pubblica e posta all’attenzione
e alla riflessione comunitaria. L’elezione di papa Francesco e i gesti
significativi di cui si è reso sinora protagonista hanno, in effetti, prodotto
il diffondersi all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale di ampî
sentimenti di ottimismo che anelano a veder concretizzarsi reali rinnovamenti
nella vita della Chiesa.
Non che nello scrivere le mie riflessioni non avessi presenti i
concreti rischî di fallimento o di sterilità che la ventata innovativa portata
da Francesco comunque corre, tuttavia don Roberto Sardelli fornisce un prezioso richiamo al realismo. Un richiamo,
che non è alternativo alla necessaria e preziosa apertura alla “novità”, ma è
consapevolezza che quello indicato da Francesco è solo l’inizio di un
itinerario certamente affascinante e coinvolgente, che va tuttavia da noi
percorso nella consapevolezza di essere comunque uomini immersi nella storia,
dove nulla è scontato, tutto è prova, tutto è ricerca, pellegrinaggio,
passaggio, attesa del giorno.
Don Roberto, per la comunità ecclesiale, segnala un grande pericolo,
quello rappresentato dalla possibilità che tra papa Francesco e il popolo dei
fedeli venga innalzato un muro di non comunicazione, sapientemente gestito dagli ambienti curiali
e istituzionali, che possono puntare a una presentazione mediatica della figura
di papa Francesco, che determini cambiamenti reali nella vita quotidiana della
comunità ecclesiale.
Un disegno del genere incontra d’altronde evidenti sponde nel mondo
politico, nel mondo dei poteri forti economici, finanziarî e militari, nel
mondo della comunicazione. L’obiettivo di fare di Francesco una personalità
“molto applaudita”, ma “poco o per niente ascoltata”, risponde, in effetti,
agli interessi di molti. Creare intorno a lui un sèguito esemplato su quello
che si costruiscono interno a star del mondo della musica leggera o dello
sport, cercare di cavalcare una sorta di movimento di opinione pubblica mirante
a un una sorta di beatificazione in vita senza sollevare molte domande sul
senso autentico di testimoniare Gesù nel mondo di oggi, corrisponde a un
concreto disegno di molti che sperano così, con la complicità del tempo e della
necessaria evoluzione verso altro dell’attenzione mediatica, sia posta la
sordina alla denuncia degli scandali di vario che in questi anni sono venuti
alla luce nel mondo della chiesa istituzionale, onde poter ristabilire nella
forma più piena il controllo della vita ecclesiale.
Nella recente campagna elettorale, per esempio, abbiamo tutti
assistito a una curiosa gara di tanti candidati all’europarlamento ad
appropriarsi della figura di papa Francesco, senza farsi troppe domande sulla
coerenza reale tra i valori proposti dall’azione pastorale avviata dal papa e
quelli posti alla base della propria proposta politica.
Di questo pericolo reale il primo a esserne consapevole appare, per
tanti versi, proprio papa Francesco, non tanto per le ripetute occasioni in cui
ha rifiutato di svolgere il ruolo di star mediatica, quanto per la sua insistita
richiesta, rivolta sin dal prima ora a tutti noi, di aiutarlo con la preghiera.
Ci aspetta quindi una grande ed entusiasmante sfida. Abbiamo alle
nostre spalle la lezione di qualche possibile errore commesso nel periodo
post-conciliare, consistente nell’aver lasciato nella solitudine della morsa
del potere clericale papa Paolo 6° e tanti altri generosi pastori, ai quali
forse non siamo riusciti a far sentire con pienezza la nostra sollecitudine per
la comunità ecclesiale. I gesti e le parole di Francesco, sin dall’inizio del
suo pontificato, mi hanno mostrato con chiarezza e con forza Gesù di Nàzareth,
e questo mi basta. Sta tuttavia a noi trovare singolarmente e in comunità la
fantasia utile per aggirare le cinture isolanti che il potere ecclesiastico non
cesserà di stendere ed erigere. Gli ultimi cinquant’anni hanno dimostrato che
nessuna catena umana può limitare il soffio dello Spirito.
Vico Equense, venerdì 20 giugno 2014
Sergio Sbragia
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