venerdì 20 giugno 2014

È possibile fermare il soffio dello Spirito?



Leggendo l’ultimo numero di «Tempi di fraternità» (n. 6, giugno-luglio 2014) ho scoperto di aver contribuito a indurre don Roberto Sardelli a presentare l’esperienza sua e di altri sacerdoti della Chiesa di Roma in questo primo anno vissuto dalla comunità ecclesiale dell’Urbe sotto la guida del vescovo Francesco [“Ti darò le chiavi del Regno”… (ma quelle del Vaticano chi le tiene?) / don Roberto Sardelli, in “TdF” 43.(2014) 6, p. 14-16].
In realtà nei mesi scorsi avevo formulato delle riflessioni sul significato e sulle sfide che si pongono dinanzi alla riflessione teologica (non quella accademica, ma quella che si realizza nel concreto delle comunità e dei luoghi di vita) nella nuova condizione della vita ecclesiale che si è presentata con l’elezione di papa Francesco. Dopo aver delineato le gravi contraddizioni e richiamato le sofferenze di tanti teologi negli ultime decennî  si sono determinate nella pratica della riflessione teologica che nella vita ecclesiale si erano venute determinando in relazione alla funzione e al ruolo della riflessione teologica. Terminavo il mio contributo, non senza una dose di ottimismo, guardando con fiducia e speranza alla “novità” rappresentata dal nuovo pontificato. Un contributo che gli amici di «Tempi di Fraternità» hanno pubblicato sul numero dello scorso febbraio [cf. La sfida del “far teologia” al tempo di Francesco / Sergio Sbragia, in “TdF” 43.(2014) 2, p. 3-4].
Sono tuttavia contento che con il mio “pezzo”, io abbia in qualche maniera indotto don Roberto a porre per iscritto la sua esperienza. Dopo averla letta devo dire che, quella presentata da don Roberto, è una testimonianza di grande valore, che è importante sia stata resa pubblica e posta all’attenzione e alla riflessione comunitaria. L’elezione di papa Francesco e i gesti significativi di cui si è reso sinora protagonista hanno, in effetti, prodotto il diffondersi all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale di ampî sentimenti di ottimismo che anelano a veder concretizzarsi reali rinnovamenti nella vita della Chiesa.
Non che nello scrivere le mie riflessioni non avessi presenti i concreti rischî di fallimento o di sterilità che la ventata innovativa portata da Francesco comunque corre, tuttavia don Roberto Sardelli fornisce un  prezioso richiamo al realismo. Un richiamo, che non è alternativo alla necessaria e preziosa apertura alla “novità”, ma è consapevolezza che quello indicato da Francesco è solo l’inizio di un itinerario certamente affascinante e coinvolgente, che va tuttavia da noi percorso nella consapevolezza di essere comunque uomini immersi nella storia, dove nulla è scontato, tutto è prova, tutto è ricerca, pellegrinaggio, passaggio, attesa del giorno.
Don Roberto, per la comunità ecclesiale, segnala un grande pericolo, quello rappresentato dalla possibilità che tra papa Francesco e il popolo dei fedeli venga innalzato un muro di non comunicazione,  sapientemente gestito dagli ambienti curiali e istituzionali, che possono puntare a una presentazione mediatica della figura di papa Francesco, che determini cambiamenti reali nella vita quotidiana della comunità ecclesiale.
Un disegno del genere incontra d’altronde evidenti sponde nel mondo politico, nel mondo dei poteri forti economici, finanziarî e militari, nel mondo della comunicazione. L’obiettivo di fare di Francesco una personalità “molto applaudita”, ma “poco o per niente ascoltata”, risponde, in effetti, agli interessi di molti. Creare intorno a lui un sèguito esemplato su quello che si costruiscono interno a star del mondo della musica leggera o dello sport, cercare di cavalcare una sorta di movimento di opinione pubblica mirante a un una sorta di beatificazione in vita senza sollevare molte domande sul senso autentico di testimoniare Gesù nel mondo di oggi, corrisponde a un concreto disegno di molti che sperano così, con la complicità del tempo e della necessaria evoluzione verso altro dell’attenzione mediatica, sia posta la sordina alla denuncia degli scandali di vario che in questi anni sono venuti alla luce nel mondo della chiesa istituzionale, onde poter ristabilire nella forma più piena il controllo della vita ecclesiale.
Nella recente campagna elettorale, per esempio, abbiamo tutti assistito a una curiosa gara di tanti candidati all’europarlamento ad appropriarsi della figura di papa Francesco, senza farsi troppe domande sulla coerenza reale tra i valori proposti dall’azione pastorale avviata dal papa e quelli posti alla base della propria proposta politica.
Di questo pericolo reale il primo a esserne consapevole appare, per tanti versi, proprio papa Francesco, non tanto per le ripetute occasioni in cui ha rifiutato di svolgere il ruolo di star mediatica, quanto per la sua insistita richiesta, rivolta sin dal prima ora a tutti noi, di aiutarlo con la preghiera.
Ci aspetta quindi una grande ed entusiasmante sfida. Abbiamo alle nostre spalle la lezione di qualche possibile errore commesso nel periodo post-conciliare, consistente nell’aver lasciato nella solitudine della morsa del potere clericale papa Paolo 6° e tanti altri generosi pastori, ai quali forse non siamo riusciti a far sentire con pienezza la nostra sollecitudine per la comunità ecclesiale. I gesti e le parole di Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato, mi hanno mostrato con chiarezza e con forza Gesù di Nàzareth, e questo mi basta. Sta tuttavia a noi trovare singolarmente e in comunità la fantasia utile per aggirare le cinture isolanti che il potere ecclesiastico non cesserà di stendere ed erigere. Gli ultimi cinquant’anni hanno dimostrato che nessuna catena umana può limitare il soffio dello Spirito.

Vico Equense, venerdì 20 giugno 2014
Sergio Sbragia

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