Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano:
"Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla
liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto
davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece,
quando verrà, nessuno saprà di dove sia". Gesù allora, mentre insegnava
nel tempio, esclamò: "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono.
Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi
non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha
mandato".
Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a
mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora. Molti della
folla invece credettero in lui, e dicevano: "Il Cristo, quando verrà,
compirà forse segni più grandi di quelli che ha fatto costui?".
I farisèi udirono che la gente andava dicendo
sottovoce queste cose di lui. Perciò i capi dei sacerdoti e i farisèi mandarono
delle guardie per arrestarlo. Gesù disse: "Ancora per poco tempo sono con
voi; poi vado da colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete;
e dove sono io, voi non potete venire". Dissero dunque tra loro i Giudèi: "Dove sta per andare
costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi
fra i Greci e insegnerà ai Greci? Che discorso è quello che ha fatto: "Voi
mi cercherete e non mi troverete", e: "Dove sono io, voi non potete
venire"?".
Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa,
Gesù, ritto in piedi, gridò: "Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi
crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua
viva". Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti
in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato
glorificato.
All'udire queste parole, alcuni fra la gente
dicevano: "Costui è davvero il profeta!". Altri dicevano:
"Costui è il Cristo!". Altri invece dicevano: "Il Cristo viene
forse dalla Galilèa? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da
Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?". E tra la gente nacque
un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise
le mani su di lui.
Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e
dai farisèi e questi dissero loro: "Perché non lo avete condotto
qui?". Risposero le guardie: "Mai un uomo ha parlato così!". Ma
i farisèi replicarono loro: "Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha
forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisèi? Ma questa gente, che non
conosce la Legge, è maledetta!". Allora Nicodèmo, che era andato
precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: "La nostra Legge
giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?".
Gli risposero: "Sei forse anche tu della Galilèa? Studia, e vedrai che
dalla Galilèa non sorge profeta!". E ciascuno tornò a casa sua (7,25-53).
Nella seconda parte del settimo capitolo del Vangelo di Giovanni il termine Giudèi ricorre esplicitamente una
sola volta al v. 35, ma si dà conto delle successive evoluzioni e degli
sviluppi anche drammatici del confronto, sia nella stessa sede del tempio, sia
nei successivi giorni della festa delle Capanne. Prosegue, infatti, il
confronto che nella prima parte dello stesso capitolo si è determinato
esplicitamente con i Giudèi. Un confronto che continua a incentrarsi sulla sua
autentica identità, nella logica del piano divino di salvezza e che coinvolge anche
alcuni altri personaggî collettivi quali «alcuni abitanti di Gerusalemme»
(7,25), i «capi» (7,26), la «folla» (7,31), i «farisèi» (7,32), la «gente» (7,32),
«i capi dei sacerdoti e i farisèi» (7,32), le «guardie» (7,32). Alla fine del
brano torna, infine in campo, un
personaggio che abbiamo già incontrato in precedenza: Nicodèmo (3,1-15).
1.
La perplessità di alcuni abitanti di Gerusalemme.
Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano:
"Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla
liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto
davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando
verrà, nessuno saprà di dove sia". Gesù allora, mentre insegnava nel
tempio, esclamò: "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure
non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo
conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato" (7,25-29).
L’episodio del confronto nel Tempio che abbiamo visto nelle stesso capitolo
(7,1-24), in realtà genera delle perplessità successive agli occhî almeno di
una parte degli abitanti di Gerusalemme. Una perplessità generata
dall’apparente assenza di reazioni esplicite, concrete ed immediate da parte
dei Giudèi, all’insegnamento destabilizzante dello status quo proclamato da Gesù. Non sanno spiegarsi come mai, al Gesù
di Nàzareth, che hanno ascoltato insegnare al Tempio, e che sembra sia davvero
colui che i ceti dirigenti giudaici intendono uccidere, venga consentito di
continuare a insegnare e parlare liberamente, senza che egli incontri alcuna
opposizione materiale (7,25-26). Si fa strada tra i gerosolimitani l’ipotesi
eversiva che i «capi» possano aver riconosciuto che egli sia davvero il Cristo
(7,26). Ma poi le stesse persone trovano da soli una risposta tranquillizzante,
di “buon senso”, e in grado di garantire il quieto vivere. L’ipotesi che Gesù
di Nàzareth possa essere il Cristo, non sta in piedi, perché secondo
l’insegnamento tradizionale del Cristo atteso nessuno conoscerà la provenienza,
mentre di Gesù tutti sanno che viene da Nàzareth di Galilèa (7,27). Nel dar
conto della propria perplessità, tuttavìa, questi abitanti di Gerusalemme si
riferiscono ai Giudèi, definendoli «capi». Questa espressione, che per altro
abbiamo già incontrato in precedenza, rende chiaro ancora una volta che quando
si scende sul piano del conflitto che oppone Gesù ai Giudèi, questa espressione
è riferita chiaramente al gruppo dirigente religioso e politico raccolto
intorno al Tempio di Gerusalemme. La mancata immediata reazione d’autorità, che
era tutto sommato prevedibile e in parte anche attesa, è tuttavìa il segno, che
anche nello stesso gruppo dei Giudèi, le idee non fossero del tutto chiare e
univoche, che dovevano essere presenti posizioni contrastanti e differenti
valutazioni di opportunità e prudenza politica.
Gesù tuttavìa ribatte a tono, sia pure con
tutta verosimiglianza in un successivo momento d’insegnamento al tempio,
all’obiezione perplessa di questi gerosolimitani sulla palese origine di Gesù
stesso, quale segno evidente, della non fondatezza della sua pretesa messianica.
Gesù sposta allora l’attenzione dalla provenienza geografica alla provenienza
personale, che non è l’esito di una decisione propria ma un preciso mandato
conferito da chi, per eccellenza, è “veritiero”, cioè Dio. Se si riesce a
cogliere in Gesù il suo essere un autentico inviato di Dio, non c’è più spazio
per dubitare della sua veridicità, né per mettere in dubbio la sua parola su
Dio, perché fondata sulla diretta conoscenza di Dio (7,28-29).
2. La progressiva radicalizzazione del confronto.
Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a
mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora. Molti della
folla invece credettero in lui, e dicevano: "Il Cristo, quando verrà,
compirà forse segni più grandi di quelli che ha fatto costui?".
I farisèi udirono che la gente andava dicendo
sottovoce queste cose di lui. Perciò i capi dei sacerdoti e i farisèi mandarono
delle guardie per arrestarlo. Gesù disse: "Ancora per poco tempo sono con
voi; poi vado da colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete;
e dove sono io, voi non potete venire". Dissero dunque tra loro i Giudèi: "Dove sta per andare
costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi
fra i Greci e insegnerà ai Greci? Che discorso è quello che ha fatto: "Voi
mi cercherete e non mi troverete", e: "Dove sono io, voi non potete
venire"? (7,30-36).
L’evangelista passa a illustrare la radicalizzazione del confronto, ma in
forma impersonale («Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere
le mani su di lui » - v. 31). Si dice, infatti, semplicemente «cercavano»,
senza indicare il soggetto, anche se il contesto del racconto porta quasi
naturalmente a pensare ai Giudèi, ma il racconto evita di precisarlo e lascia
in qualche maniera in sospeso la questione di definire meglio l’identità di chi
s’impegna nel tentare di arrestare Gesù, senza tuttavìa riuscire a catturarlo.
Ritorna qui il tema del “tempo” che abbiamo già incontrato nella disputa tra
Gesù e i suoi fratelli a Nàzareth (7,5-8), l’evangelista lo richiama in
riferimento al fatto che chi cercava di catturarlo non fosse riuscito nel suo
intento, sostenendo che «non era ancora
giunta la sua ora» (7,30), cioè che il tempo per la manifestazione di Gesù non
era ancora compiuto.
Allo stesso tempo sempre l’evangelista tiene a evidenziare che all’interno
del personaggio collettivo «la folla», sono presenti persone che hanno scelto
di credere in Gesù, fondando questa scelta sulla convinzione, nata dall’aver
assistito a delle azioni operate da Gesù, che il Cristo, alla sua
manifestazione, non avrebbe operato gesti più grandi di quelli compiuti da Gesù
(7,31).
A questo punto entra in campo il gruppo dei farisèi che cercano di
raccogliere le opinioni e le convinzioni su Gesù, che si sono formate e diffuse
tra la folla. Un gruppo che quindi è molto preoccupato di conoscere gli umori
che maturano tra la gente, per poterli conoscere, prevenire, orientarli e
controllarli. Nella sostanza quindi si configura il profilo di un gruppo che
tende ad assumere con consapevolezza un ruolo di direzione degli umori popolari
e degli orientamenti prevalenti tra la popolazione, e questo come abbiamo
potuto verificare nei varî episodî sin qui analizzati, per alcuni di essi
costituiva la precauzione per non trovarsi spiazzati da posizioni impreviste
che potevano porre in discussione i loro spazî di potere; per altri, invece,
costituiva il modo per indirizzare verso una vita di fede coerente con la
testimonianza della Legge e dei profeti. Qui però sembra che, ad aver il
sopravvento, nel gruppo di farisèi siano coloro che hanno a cuore il proprio
peso politico e hanno timore di perderlo, infatti, insieme ai capi dei
sacerdoti decidono di mandare delle guardie per arrestare Gesù per
neutralizzarne il potenziale pericolo. Abbiamo, pertanto, l’alleanza tra un
influente gruppo sacerdotale e una componente dei farisèi, che potrebbero,
assieme, costituire il gruppo comunemente definito «i Giudèi», e considerato
dall’evangelista come il gruppo degli avversarî di Gesù.
Il racconto torna però a proporre i contenuti dei discorsi di Gesù al
Tempio nel corso della festa e qui riporta alcune espressioni che, nel corso
del Vangelo, ricorrono più volte sulle labbra di Gesù, il cui senso profondo
sfugge ai suoi ascoltatori. Dinanzi al tentativo di procedere al suo arresto,
Gesù, senza mezzi termini, sottolinea a coloro che i capi dei sacerdoti e i
farisèi avevano incaricato di arrestarlo «Ancora per poco tempo sono con voi;
poi vado da colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete e non mi troverete; e
dove sono io, voi non potete venire» (7,33-34).
In effetti, questo tema in cui Gesù avverte i suoi ascoltatori che sarà con
loro ancora per poco tempo, che dovrà andare da colui che lo ha inviato, che
sarà dai suoi interlocutori cercato, ma non riusciranno a trovarlo, perché dove
sarà lui, essi non potranno andare, nel sèguito del Vangelo avremo modo
d’incontrarlo più volte. E queste affermazioni non riusciranno a essere
comprese da chi lo ascolta. Incontreremo espressioni di questo tenere nei
successivi cap. 8 (8,14.21-22), 12 (12,35-36a), 13 (13,33), 14 (14,1-4.19).
Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di
me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove
vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. […] Di nuovo disse loro:
«Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi
non potete venire». Dicevano allora i Giudèi:
«Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete
venire”?» (8,14.21-22).
Anche in questo caso, che approfondiremo nel prossimo capitolo, Gesù si
confronta con un gruppo d’interlocutori ostili, ai quali tiene a evidenziare
che essi non possono sapere da dove egli venga, e dove vada. Non solo! Essi non
potranno seguirlo là dove egli andrà. I Giudèi, a loro volta, non riusciranno a
comprendere il significato delle sue affermazioni, sulle quali cercheranno di
formulare delle ipotesi fondate sul senso comune.
Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la
luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi
sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce,
credete nella luce, per diventare figlî della luce» (12,35-36a).
Il riferimento al tempo limitato di presenza tra gli uomini ricorre anche
in questo discorso rivolto alla folla del capitolo 12, nel quale Gesù ricorre
alla metafora della luce e invita quanti lo ascoltano a trar profitto dalla
presenza della luce per camminare, prima di essere sorpresi dalle tenebre:
approfittare della luce, per credere nella luce e divenire figlî della luce.
Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi
cercherete ma, come ho detto ai Giudèi,
ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire (13,33).
Al capitolo 13 invece il riferimento di Gesù è rivolto ai proprî discepoli,
ai quali riferisce un messaggio sostanzialmente analogo: egli sarà con loro
ancora per poco, essi lo cercheranno, ma non potranno andare dove egli andrà.
Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio
e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se
no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi
avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono
io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» […] Ancora un
poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi
vivrete (14,1-4.19).
Finalmente nel capitolo 14 Gesù, rivolto anche qui ai discepoli, manifesta
più apertamente il senso delle sue parole. Prende le mosse da un invito a
superare il turbamento interiore e ad aver fede in Dio e in lui, perché presso
il Padre sono disponibili molte dimore. Andando presso il Padre, Gesù preparerà
un posto anche per i suoi discepoli, perché dove sarà lui, là saranno anche
coloro che lo seguiranno. E del luogo dove egli sta per andare ormai i
discepoli conoscono la strada. Tra un po’ il mondo non vedrà più Gesù, ma i
discepoli lo vedranno, perché Gesù sarà vivo e anche i discepoli vivranno.
La fede in Dio e in Gesù dunque è la condizione per comprendere il senso
autentico della realtà in cui ci si ritrova a vivere e il pre-requisito
irrinunciabile per attingere il significato pieno delle parole di Gesù.
Tornando, dopo questa digressione, al brano
che stiamo analizzando siamo ora in grado di comprendere come Gesù, con le
affermazioni circa il limitato tempo che sarà ancora tra i suoi ascoltatori, il
suo dover andare da colui che lo ha mandato, che sarà cercato, ma non trovato,
perché non sarà possibile raggiungerlo, vuole in realtà porre in evidenza
l’essenzialità della fede in Dio e in lui, quale inviato da Dio. Senza un
atteggiamento di fede non sarà possibile comprendere il suo annuncio e prendere
la decisione di seguirlo.
L’essenzialità della scelta di fede al fine
di comprendere autenticamente il senso del messaggio di Gesù e per scegliere di
seguirlo è, poi, confermata dall’evangelista col riportare i dubbî diffusi
proprio nel gruppo dei Giudèi sul significato delle affermazioni di Gesù («Dissero
dunque tra loro i Giudèi: "Dove sta per andare costui, che noi non potremo
trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai
Greci? Che discorso è quello che ha fatto: "Voi mi cercherete e non mi
troverete", e: "Dove sono io, voi non potete venire"?» - 7,35-36).
La condizione di sostanziale non-fede che contraddistingue questo gruppo
impedisce loro la comprensione della reale identità di Gesù.
Di qui il loro
disperdersi in una pluralità ipotesi velleitarie e poco attendibili sulle reali
intenzioni di Gesù («Andrà forse da quelli che sono
dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci» - 7,35). Il loro pensiero tende comunque a ricondurre il fenomeno nel
campo tranquillizzante del conosciuto e del controllabile, pensando a una sua
missione presso gli ebrei della diàspora ellenistica o, finanche, presso gli
stessi Greci. Non fa capolino alcuno nelle loro riflessione l’apertura al
mistero, all’eccezionalità dell’azione di Dio nella storia. Ciò che risulta
accessibile, con grande facilità a tanti umili e semplici, resta precluso alle
loro menti e ai loro cuori, nonostante essi siano, nei confronti del popolo
della Giudèa, i custodi più rigorosi della tradizione della salvezza operata da
Dio a favore dei Padri, in Egitto, nel deserto e nell’esilio di Babilonia.
3.
L’ultimo giorno della festa.
Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa,
Gesù, ritto in piedi, gridò: "Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi
crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua
viva". Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti
in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato
glorificato.
All'udire queste parole, alcuni fra la gente
dicevano: "Costui è davvero il profeta!". Altri dicevano:
"Costui è il Cristo!". Altri invece dicevano: "Il Cristo viene
forse dalla Galilèa? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da
Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?". E tra la gente nacque
un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise
le mani su di lui (7,37-44).
Il culmine della vicenda si registra
nell’ultimo giorno della festa, nel quale Gesù, con un implicito rimando alla
visione della “sapienza” risalente al Libro
dei Proverbî («La sapienza grida per
le strade, nelle piazze fa udire la voce» - Pr. 1,20), viene plasticamente
descritto come “ritto in piedi” nell’atteggiamento di “gridare” e d’invitare
con decisione tutti coloro che hanno “sete”, di accorrere presso di lui per
poter bere, credendo in lui. Poi il riferimento alla Scrittura diviene, nelle
parole di Gesù, esplicito, rivendicando con chiarezza a sé il ruolo di colui
dal quale sgorga l’“acqua viva”. Riecheggiano qui fondamentali testi profetici
di Isaia ed Ezechiele:
O voi tutti assetati, venite all'acqua,
voi che non avete denaro, venite,
comprate e mangiate; venite, comprate
senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane,
il vostro guadagno per ciò che non sazia?
Su, ascoltatemi e mangerete cose buone
e gusterete cibi succulenti.
Porgete l'orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete.
Io stabilirò per voi un'alleanza eterna,
i favori assicurati a Davide (Is. 55,1-3).
Poiché io verserò acqua sul suolo assetato,
torrenti sul terreno arido.
Verserò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri (Is.
44,3).
Vi aspergerò con acqua pura e
sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i
vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito
nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez.
36,25-26).
L’evangelista avverte allora che qui Gesù
anticipa la comprensione post-pasquale della venuta dello Spirito («Questo egli
disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi
era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» - 7,39),
ma, in realtà, noi abbiamo già avuto modo in forma implicita o esplicita,
d’incontrare nel nostro percorso il tema dell’“acqua viva” in molti dei brani
che abbiamo esaminato (cf. 1,19-28; 2,1-11; 2,13-25; 3,1-15; 3,22-36; 4,1-45;
5,1-18).
Le parole di Gesù sull’acqua viva, inducono
nella folla che lo ascolta delle reazioni contrastanti. Alcuni lo riconoscono
come un autentico profeta o, addirittura come il “Cristo” (7,40-41). Altri,
invece, contestano quest’affermazione messianica, richiamando (7,42) un passo
del Secondo libro di Samuele, dove il
Signore incarica il profeta Natan di annunziare a Davide che quando i suoi «giorni
saranno compiuti e tu [Davide] dormirai con i tuoi padri, io [il Signore]
susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò
stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile
il trono del suo regno per sempre» (2Sam. 7,12-13).
4. La sorpresa
delle guardie.
Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e
dai farisèi e questi dissero loro: "Perché non lo avete condotto
qui?". Risposero le guardie: "Mai un uomo ha parlato così!". Ma
i farisèi replicarono loro: "Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse
creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisèi? Ma questa gente, che non
conosce la Legge, è maledetta!" (7,45-49).
Assistiamo ora
all’epilogo fallimentare del tentativo posto in atto di arrestare Gesù. Le
guardie, incaricate di procedere all’arresto, tornano a mani vuote da coloro
che avevano loro commissionato l’operazione: i capi dei sacerdoti e i farisèi,
cioè il gruppo di potere che, con grande probabilità, comprende i Giudèi che
sono l’obiettivo polemico di Gesù. Questi chiedono alle guardie il motivo per
cui non hanno proceduto all’arresto di Gesù. La risposta data dalle guardie è
però davvero sorprendente. Anziché cercare una giustificazione del tipo “non lo
abbiamo trovato”, “è fuggito”, “siamo stati ingannati”, “ha fatto resistenza”,
“i suoi ce lo hanno impedito”, le guardie confessano di aver scientemente
scelto di non procedere all’arresto perché «"Mai
un uomo ha parlato così!"» (7,46). Un gruppo quale quello delle guardie,
che nell’accezione ordinaria è inteso come un gruppo sociale avvezzo a un
atteggiamento di mera, puntuale, e spesso anche pedissequa esecuzione degli
ordini ricevuti, e, invece…, si trova posto in crisi dalle parole di Gesù e
sceglie di sospendere il proprio comportamento e di recedere dagli ordini
ricevuti, nel timore di colpire un inviato di Dio.
La reazione dei capi dei sacerdoti e dei
farisèi è di autentico sconcerto. Probabilmente il fatto che un gruppo, come le
guardie, che ordinariamente dovrebbe essere un affidabile esecutore dei loro
ordini, si sia lasciato fuorviare dalle parole di Gesù, appare una sostanziale
conferma della pericolosità sociale e religiosa di Gesù. Allora inveiscono
contro le guardie accusandole di essersi anch’esse lasciate ingannare da Gesù,
seguendo l’opinione facile che si va diffondendo tra la popolazione, che in
gran parte non conosce la Scrittura e si lascia fuorviare dalle apparenze. A
prova di ciò, essi adducono la constatazione che nessuno tra i capi e tra i
farisèi, cioè tra quanti hanno una larga conoscenza della Scrittura, ha creduto
in Gesù (7,49).
5.
Nicodèmo e il gruppo dei Giudèi.
Allora Nicodèmo, che
era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: "La nostra
Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che
fa?". Gli risposero: "Sei forse anche tu della Galilèa? Studia, e
vedrai che dalla Galilèa non sorge profeta!". E ciascuno tornò a casa sua (7,50-53).
È stato appena affermato che nessuno tra i
capi e tra i farisèi ha creduto in Gesù, che con una singolare coincidenza
torna sulla scena un personaggio che abbiamo già incontrato, nel precedente
capitolo 3, Nicodèmo, del quale si tiene a sottolineare che era uno di loro, ma
il narratore tiene anche a ricordare che in precedenza costui era andato da
Gesù. Ne abbiamo parlato analizzando il brano 3,1-15, dove abbiamo potuto
verificare l’interesse sincero di un maestro come Nicodèmo per la persona di
Gesù, un interesse tuttavìa che non era giunto a determinare nello stesso
Nicodèmo la maturazione di una scelta esplicita di sequela, per paura della
reazione dei farisèi e dei Giudèi, di cui l’evangelista ha asserito che era uno
dei capi. Quasi a smentire la precedente affermazione rivolta alle guardie
circa la constatazione che nessuno dei capi aveva creduto in Gesù, nella
discussione interviene Nicodèmo, che prende le difese di Gesù, in una logica
che oggi definiremmo “garantista”. Nicodèmo infatti cerca una mediazione con la
logica di potere dei capi dei sacerdoti e dei farisèi, in difesa di Gesù,
richiama all’indicazione fondata sulla Legge di non esprimere giudizî su un
uomo senza averlo prima ascoltato (7,51). Il riferimento operato da Nicodèmo
richiama un significativo testo del Deuteronomio,
dove Mosè afferma: «in quel tempo diedi quest’ordine ai vostri giudici:
“Ascoltate le cause dei vostri fratelli e decidete con giustizia fra un uomo e
suo fratello o lo straniero che sta presso di lui” (Dt. 1,16). Questo richiamo
operato da Nicodèmo, da un lato, tende a creare le condizioni per un confronto
aperto e dialogante tra Gesù e i Giudèi, nella convinzione che una serena
discussione avrebbe potuto fare emergere e rendere chiaro e far riconoscere il
carattere unico della persona di Gesù; dall’altro, pone tuttavìa in luce che in
merito a Gesù i Giudèi hanno di fatto ignorato una precisa disposizione della
Legge (quello di ascoltare le persone prima di accusarle), nonostante il gruppo
dei Giudèi si proponga pubblicamente come un rigoroso custode dell’osservanza
della Legge.
A quest’osservazione gli altri farisèi e
capi dei sacerdoti piccati rimbeccano Nicodèmo, sospettandolo di essere Galilèo
e invitandolo a studiare con profondità le Scritture per rendersi conto che
dalla Galilèa non può sorgere un profeta. In pratica essi riprendono
l’argomento utilizzato da alcune componenti della “folla” al precedente v. 41.
6.
Alcune osservazioni.
A questo punto può essere
interessante operare un confronto tra i varî personaggî collettivi che fanno la
loro comparsa in questo brano: gli abitanti di Gerusalemme, i capi, la folla, i
farisèi, i capi dei sacerdoti, le guardie, i Giudèi, la gente. Alcuni di questi
gruppi possono essere considerati sostanzialmente coincidenti e le
diversificate espressioni usate in questo brano in realtà contraddistinguono lo
stesso gruppo. È questo il caso delle espressioni “abitanti di Gerusalemme”,
“folla” e “gente”, che in realtà sono usate per indicare il popolo di
Gerusalemme che incontra o cerca d’incontrare Gesù e di capire chi in realtà
egli sia. All’interno di questo gruppo si registrano posizioni diversificate.
Da un lato, si registra da parte di alcuni un rifiuto deciso di Gesù;
dall’altro, non manca chi invece riconosce la sua statura profetica e si chiede
se, in realtà, egli non sia Il Cristo. Predomina, però, una profonda paura dei
capi e ci s’interroga su quale sia la posizione che i capi hanno assunto su di
lui.
Poi ricorrono i gruppi
dei “capi”, dei “capi dei sacerdoti”, dei “farisèi” e dei “Giudèi”. È molto
probabile che le due espressioni “capi” e “capi dei sacerdoti”, in realtà
indichino lo stesso gruppo: un gruppo di dignità sacerdotale, con una funzione,
socialmente riconosciuta, di guida religiosa.
I farisèi si configurano
invece come un gruppo religioso con un’identità precisa, contrassegnato dalla
pratica di un’attenta verifica degli umori che si diffondono negli strati
popolari e da una volontà esplicita di orientarli in direzione di una corretta
pratica cultuale che non pregiudichi l’influenza politica e sociale dei gruppi
dirigenti.
Il gruppo dei Giudèi
appare composto dai capi dei sacerdoti e dai farisèi, una realtà quindi
composita, ma rappresentativa del ceto dirigente religioso e sociale, che
s’interroga sull’identità autentica di Gesù, sulla cui persona s’interroga
attraverso uno sforzo interpretativo delle Scritture condotto in una forma
tutto sommato letterale, piuttosto che sostanziale.
A sorprendere, invece, è
il comportamento delle guardie, che, incaricate dai capi di procedere all’arresto
di Gesù, una volta entrati in contatto con lui, nell’ascoltare le sue parole,
devono onestamente constatare che «mai un uomo ha
parlato così!» (7,46), vanno in crisi
e decidono di sospendere l’esecuzione degli ordini ricevuti, assumendo, almeno
temporaneamente, un atteggiamento di sostanziale insubordinazione che irrita i
farisèi.
Questi sono, come abbiamo
visto, preoccupati delle posizioni indecise su Gesù che serpeggiano tra il
popolo e dei possibili riconoscimenti di una sua statura profetica. Un
cedimento di “opinione pubblica” molto pericoloso, che ha finito per
coinvolgere persino uno dei gruppi più fidati, quali quello delle “guardie”. Di
qui la rivendicazione della unità e tenuta del gruppo dei capi e dei farisèi.
Ma, con una sorta di ironia narrativa, quest’affermazione di tenuta monolitica
del gruppo viene posta anch’essa in dubbio, sia pur timidamente, dalla
posizione garantista di Nicodèmo, uno di loro.
Questo dato costituito
dalla posizione di Nicodèmo, sia pur timorosa e timida, è comunque il segno che
anche nel contesto di un gruppo sociale, dotato di una rigoroso e forte sistema
di controllo interno, è possibile comunque fare la “scelta” di seguire Gesù.
Vico
Equense, mercoledì 28 ottobre 2015
Sergio
Sbragia