domenica 23 luglio 2017

“Gesù perdona l’adultera” (7,53-8,11)




Tornando alla nostra ricerca sulla figura dei Giudèi nel Vangelo di Giovanni, e volendo iniziare a leggere l’ottavo capitolo, ove incontriamo cinque volte il personaggio collettivo dei Giudèi nella sua seconda parte ai vv. 22, 31, 48, 52 e 57. È tuttavìa utile premettere la lettura del famoso brano nel quale “Gesù perdona l’adultera” (7,53-8,11), nel quale in termini letterali il gruppo dei Giudèi non appare. Il brano tuttavìa riveste uno spessore notevole e presenta delle indubbie ricadute sul nostro tema.

E ciascuno tornò a casa sua. Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisèi gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavìa, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (7,53-8,11).

Prescindo naturalmente in questa riflessione dalla valutazione dell’effettivo carattere giovanneo del brano, oggetto di grande attenzione da parte degli studî esegetici, per la scelta fatta in sede preliminare di condurre le mie riflessioni in questa sede sul testo finale della Scrittura, frutto dei precedenti processi di trasmissione orale e dei varî stadî successivi di redazione storica, questo senza nulla togliere al valore dello sforzo di ricostruzione del processo della sua formazione.
La scena si svolge anche in questo caso nel Tempio («al mattino si recò di nuovo nel tempio» - 8,2) e Gesù continua anche in questo caso a svolgere la sua funzione d’insegnare («egli sedette e si mise a insegnare loro» - 8,2).
Quest’attività d’insegnamento di Gesù viene interrotta dagli scribi e dai farisèi. Qui c’imbattiamo non nei Giudèi, ma nei due gruppi degli scribi e dei farisèi. Come abbiamo già avuto modo di verificare nell’esame di altri brani a proposito dei farisèi, è possibile tracciare una distinzione tra questi gruppi, ma anche evidenziare una loro confluenza, almeno parziale, nel più generale gruppo dei Giudèi. Di certo scribi e farisèi hanno una loro individualità specifica, data dalla loro funzione in relazione al testo sacro per i primi, e dalla loro peculiare visione religiosa per i secondi. Ma è certamente plausibile la loro appartenenza a gruppo più generale dei Giudèi, che comprendeva al suo interno anche influenti componenti sadducèe e sacerdotali.
È appunto un gruppo di scribi e farisèi che irrompe, nel Tempio, sulla scena dell’insegnamento di Gesù agli astanti, conducendo con la forza e ponendo al centro dell’attenzione generale una donna sorpresa in flagranza di adulterio. I nuovi sopravvenuti si rivolgono a Gesù chiedendogli «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (8,4-5). L’intento di questa interlocuzione con Gesù è reso esplicito da alcuni elementi: il suo svolgersi nel pieno di un’attività d’insegnamento condotta da Gesù nel Tempio e lo stesso appellativo di “maestro” a lui rivolto, tradiscono in realtà la volontà nemmeno tanto dissimulata di testare la sua effettiva autorevolezza magistrale, ponendolo a confronto, a partire da un caso concreto molto sentito dalla sensibilità comune (l’adulterio flagrante di una donna sposata), con prescrizioni molto chiare contenute nella Legge.
Il riferimento chiaro è ai testi del Primo Testamento di Lv. 20,10 e Dt. 22,22-24.

Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adultero e l'adultera dovranno esser messi a morte (Lv. 20,10).



Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l'uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele. Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te (Dt. 22,22-24).

Il confronto con questi testi fa emergere innanzi tutto come nel nostro brano il riferimento sia circoscritto alla sola donna. Nulla si dice dell’uomo con il quale è stato consumato l’adulterio. È sconosciuto al gruppo accusatore di scribi e farisèi? È sfuggito alla cattura? Oppure, è protetto dagli stessi accusatori? Il primo caso, quello di non essere conosciuto dagli accusatori della donna, sembra poco conciliabile con la circostanza della constatazione flagrante dell’adulterio. Sulle altre due ipotesi possibili nulla si può dedurre dal testo. Di certo, tuttavìa, è da sottolineare che mentre i due testi della Scrittura dichiarano sia l’uomo che la donna, colpevoli di adulterio, meritevoli di morte, il nostro brano prospetta la morte per lapidazione per la sola donna. Scribi e farisèi da un lato vogliono mettere alla prova il taglio misericordioso dell’insegnamento di Gesù, ponendolo a confronto con il dovere di dare la morte previsto da precise disposizioni della Legge mosaica, dall’altra non danno alcuna spiegazione sul perché a meritare la morte è la sola donna, omettendo qualunque riferimento all’uomo, con cui è stato compiuto l’adulterio. Contrariamente a quanto generalmente si pensa in quest’episodio si registra da parte del gruppo di scribi e farisèi intervenuti sulla scena un arretramento rispetto al contenuto effettivo delle disposizioni della Legge sul peccato di adulterio, allorché propongono a Gesù di pronunciarsi sulla doverosità di lapidare una donna (si badi bene: solo la donna) sorpresa in flagrante adulterio.
A guardar bene la minaccia della “lapidazione” in un certo senso apre il cap. 8 («Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa» - 8,5), ma la ritroveremo anche alla sua conclusione, v. 59 («Allora [i Giudèi] raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio» - 8,59). In un certo senso la “lapidazione” incornicia la vicenda del cap. 8, in esordio è minacciata contro la donna sorpresa in flagranza ‘adulterio, a conclusione si cerca di porla in atto contro Gesù. Tutta la narrazione del capitolo si pone allora sotto il peso della pratica della lapidazione che aleggia sull’intero svolgersi della vicenda. E rispetto alla concreta applicazione di tale feroce pena Gesù è interpellato con decisione («Tu che ne dici?» - 8,5).
Qual è allora la reazione di Gesù? Sarebbe da aspettarsi l’innescarsi di una disquisizione dottrinale in cui mettere in campo, da una parte e dall’altra, le ragioni di principio in favore del dovere di lapidare la donna portata in giudizio e quelle contro, il tutto nell’intento mal celato di porre Gesù in contraddizione con il dettato della Legge mosaica («Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» - 8,6). E Gesù, invece…, non risponde, sembra lasciar cadere l’interrogativo, si china a scrivere con il dito nel terreno. Sembra prendere tempo, in realtà appare una sapiente gestione del tempo nella scena, il tempo è un fattore decisivo nella maturazione delle scelte delle persone. Lo stesso scrivere, che per tanti versi può apparire un dato oscuro, acquista un valore significativo se si considera il valore nell’esperienza religiosa ebraica della Scrittura. L’atto di Gesù di porsi a scrivere per terra può in realtà alludere, sia pur implicitamente, all’autorevolezza del suo insegnamento anche in rapporto al testo scritto della Torah.
Ma gl’interlocutori di Gesù non demordono, insistono per avere una risposta da Gesù, vogliono che si comprometta. E Gesù risponde, ma non nel modo che gli astanti si aspettavano, non entra nel merito del quesito proposto, ma affronta un tema di fondo, un preliminare non da poco, che soggiace alla legittimità stessa di pronunciare un giudizio sulla donna lì presente («Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» - 8,7). È un richiamo chiaro alla coscienza degli astanti, a ciascuno di essi, chiamati ciascuno a rispondere nel proprio intimo a una domanda decisiva: “Sono degno di giudicare questa donna? Non sono per caso anch’io un peccatore? Chi sono io per giudicarla?”. Quest’interrogativo interiore necessità di un suo tempo per sedimentarsi nell’intimità di ciascuno degli attori in campo, per essere valutato, soppesato, per produrre frutto e tradursi in una scelta. E Gesù allora ricorre ancora all’espediente di “prender tempo” («E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra» - 8,8). Questa sapiente gestione del tempo da parte di Gesù porta i suoi frutti: «Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo» (8,9). Il riferimento «uno per uno», conferma ancora il ruolo del tempo, ciascuno a un tempo proprio per maturare le proprie scelte, soprattutto quelle eticamente più impegnative. Sui motivi che hanno indotto il gruppo di scribi e farisèi ad abbandonare alla spicciolata la scena della vicenda il testo non dice nulla esplicitamente. Tuttavìa è legittimo pensare alla presenza nel gruppo di due diversi atteggiamenti: da un lato, alcuni che preferiscono defilarsi per non assumersi la responsabilità di scegliere di porre a morte la donna; dall’altro, quanti si sono sentiti interpellati nel profondo della propria coscienza e non si sono ritenuti degni di giudicare. Quest’ipotesi è plausibile perché, a ben vedere i gruppi degli interlocutori di Gesù che sinora abbiamo incontrato, non si sono mai mostrati compatti. È plausibile pensare a gruppi attraversati da una pluralità di sensibilità e di orientamenti, che discutono anche delle diverse opzioni in campo. Perché allora escludere che nel gruppo di scribi e farisèi che hanno condotto la donna dinanzi a Gesù, ci sia stato (e non uno solo) anche chi si sia sentito posto in crisi dalle parole di Gesù.
Con l’allontanarsi del gruppo giustizialista degli scribi e dei farisèi, la scena cambia radicalmente, l’azione si concentra esclusivamente su Gesù e sulla donna adultera («Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo» - 8,9). Nulla si dice del popolo che era andato da lui per ascoltare il suo insegnamento («e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro» - 8,2), cui si è fatto riferimento all’inizio del brano e che certamente doveva essere almeno in gran parte restato presente dopo l’andata via degli scribi e dei farisèi. Invece noi lettori, siamo portati quasi insensibilmente a pensare che Gesù e la donna sono rimasti gli unici attori sulla scena.
E finalmente si apre il dialogo tra Gesù e la donna. Abbandonata l’azione dello scrivere per terra, Gesù si leva in piedi e si rivolge alla donna e le fa constatare l’andata via del gruppo dei facinorosi e le chiede: «Nessuno ti ha condannata?» (8,10). La donna conviene che nessuno l’ha condannata. Gesù ribatte che anch’egli non pronuncia alcuna condanna contro di lei («Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più"» - 8,11). Da notare che Gesù si astiene dal condannare la donna, la lascia libera di andare ma la invita ad assumere un atteggiamento di autoconsapevolezza («e d'ora in poi non peccare più"» - 8,11). Gesù nel momento in cui non giudica, invita la sua interlocutrice a essere giudice di se stessa, a essere una persona responsabile capace di discernere il proprio comportamento, a divenire artefice del proprio destino umano mediante un confronto autentico con la propria coscienza. Un atteggiamento del tutto parallelo a quello proposto efficacemente agli scribi e ai farisèi solo poco prima («Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» - 8,7). Gesù si rifiuta di giudicare dall’esterno, invita invece gli uomini e le donne a divenire protagonisti della propria vita, timonieri autentici della propria esistenza e delle proprie azioni. Anziché ricercare indicazioni d’autorità poste dall’esterno, Gesù richiama all’esigenza di ricercare nel confronto intimo con la propria coscienza la via privilegiata per comprendere quale sia la più autentica volontà di Dio per ciascuno e in ogni circostanza della vita.

sabato 22 luglio 2017

CATTOLICI E LUTERANI: IN DIALOGO SUL MINISTERO


Dopo aver analizzato le dodici affermazioni di consenso sul tema della Chiesa illustrate dalla Dichiarazione in cammino: Chiesa, ministero ed eucarestìa[1], con la riflessione di oggi iniziamo un percorso analogo dedicato al secondo tema di affrontato dal documento: il tema del “ministero”.

In realtà le questioni inerenti il ministero sono riconosciute sia dai luterani che dai cattolici come temi di particolare delicatezza, intorno alle quali si addensano alcune delle difficoltà di maggior peso sul piano delle relazioni ecumeniche e alcuni degli ostacoli che si frappongono lungo il faticoso cammino di costruzione della comunione. Che il terreno del ministero rappresenti forse una delle sfide più impegnative è riconosciuto anche dal documento sull’ecclesiologìa del 2013, La Chiesa: verso una visione comune, della Commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese:

«Il dialogo ecumenico ha ripetutamente dimostrato che le questioni riguardanti il ministero ordinato costituiscono ostacoli pesanti nel cammino verso l’unità. Se [tali] differenze […] impediscono l’unità piena, allora la ricerca del modo in cui superarle continua a essere una priorità urgente per la Chiesa» (La Chiesa: verso una visione comune, 45)[2].

L’esperienza di dialogo portata avanti negli ultimi decennî ha mostrato come molte delle differenze sussistenti tra cattolici e luterani sugli altri due temi del documento che stiamo analizzando, quelli della Chiesa e dell’Eucarestìa, affondano le proprie radici proprio su punti di diversa comprensione del tema del Ministero. Di conseguenza senza conseguire progressi significativi su questo tema, gli aspetti di consenso conseguiti sulla Chiesa e sull’Eucarestìa non riescono a esprimere pienamente i proprî effetti sul piano del culto e della testimonianza comune.
Ciò nonostante i dialoghi che si sono sviluppati tra i cattolici e i luterani hanno comunque consentito di far emergere importanti aspetti di consenso su molti argomenti inerenti al ministero. Posizioni che solo alcuni anni fa erano considerate come rigidamente contrapposte tra le due tradizioni, sono state rilette entro nuovi orizzonti di comprensione, resi possibili da ricerche storiche condivise, da riesami teologici condotti in seno a ciascuna tradizione e da una conoscenza più accurata delle pratiche degli uni e degli altri.
Questo cammino ecumenico compiuto ha permesso di far venire alla luce delle impensabili convergenze, sia pur misurate e sfumate, su aspetti di fondo che possono preludere a un possibile reciproco riconoscimento delle funzioni ministeriali. Questo percorso compiuto da una condizione di aperta e consapevole opposizione in direzione di una prima limitata e incerta convergenza, divenuta man mano sempre più ampia e concreta, è ampiamente attestata dai riferimenti al tema del “ministero” presenti nei documenti di dialogo prodotti in questi decennî.
Il documento Ministero pastorale nella Chiesa (1981), prodotto nel corso della seconda fase del dialogo internazionale luterano-cattolico, ha prestato notevole attenzione ai temi del “ministero” già poste in luce, precedentemente, nel 1972 dal Rapporto di Malta.
Le attività di dialogo poste in atto negli Stati Uniti hanno in forma crescente focalizzato la propria attenzione ai temi del “ministero”, da un rifermento d'avvìo in L’eucaristìa come sacrificio (1967), a un esame approfondito e aperto in prospettiva alla convergenza in Eucarestìa e ministero (1979).
Successivamente, sempre in àmbito statunitense, la dichiarazione La Chiesa come koinonìa di salvezza e, in àmbito di dialogo internazionale, il documento di studio L'apostolicità della Chiesa, hanno, ciascuno dalla propria prospettiva d'analisi, approfondito molte tematiche, anche di una certa delicatezza, inerenti al “ministero”. Questi due testi, in effetti, hanno suggerito alcune modalità attraverso le quali luterani e cattolici avrebbero potuto compiere passi concreti in direzione di un reciproco riconoscimento del “ministero”.
La Dichiarazione congiunta sulla dottrina delle giustificazione, solennemente condivisa da cattolici e luterani nel 1999, ha, sua volta, conferito un nuovo slancio all'approfondimento di temi inerenti il “ministero” che costituivano ancora elemento di divisione tra le Chiese.
 A dire il vero, già il Rapporto di Malta aveva suggerito elementi significativi su come tali temi potevano essere positivamente affrontati:

«Il problema del ministero ecclesiastico, della sua fondazione, della sua posizione nella Chiesa e della sua esatta comprensione rappresenta uno dei principali interrogativi non risolti fra luterani e cattolici. In esso si concretizza anche il problema della posizione del Vangelo nella Chiesa e al di sopra della Chiesa. Si tratta quindi del modo in cui la dottrina della giustificazione incide sull’espressione del ministero» (Il vangelo e la Chiesa : Rapporto di Malta, 47)[3].

Ma il nuovo clima creato dalla Dichiarazione congiunta ha permesso di percorrere piste nuove, fino a portare nel 2010 i lavori del dialogo locale condotto in àmbito finlandese e svedese, concentrati nel ricerca di una risposta all’interrogativo su quale sia il posto ricoperto dalla giustificazione nella vita delle due confessioni, a considerare il ministero ecclesiale al servizio della giustificazione, così come attestato dal documento Giustificazione nella vita della Chiesa.
In realtà il paragrafo conclusivo della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione aveva affermato con chiarezza:

«Il nostro consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione deve avere degli effetti e trovare un riscontro nella vita e nell’insegnamento delle Chiese. Al riguardo permangono ancora questioni, di importanza diversa, che esigono ulteriori chiarificazioni […] [incluso il] ministero […]. Siamo convinti che la comprensione comune da noi raggiunta offra la base solida per detta chiarificazione. Le Chiese luterane e la Chiesa cattolica romana si adopereranno ad approfondire la comprensione comune esistente affinché essa possa dare i suoi frutti nell’insegnamento e nella vita ecclesiale» (Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, 43)[4].

Queste affermazioni della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione hanno, a dire il vero, una duplice ricaduta sul nostro tema del “ministero”. La prima, di ordine metodologico, indica l’applicabilità anche al dialogo sul ministero del metodo del consenso differenziato, che si è rivelato positivamente produttivo sul tema della giustificazione. La seconda consiste nell’indicazione della sussistenza di un’intrinseca relazione tra il tema della giustificazione e quello della giustificazione.
Quanto alla potenziale positività del metodo ecumenico del consenso differenziato, è opportuno ricordare come essa sia stata individuata dal rapporto del dialogo internazionale L’apostolicità della Chiesa, che aveva additato anche alcuni modi per poterne proficuamente farne uso. Questo documento aveva, infatti, mostrato chiaramente la possibilità dell’estensione del metodo al campo del dialogo sul ministero, pur nella consapevolezza del spessore specifico detenuto dal tema del ministero, per il suo afferire sia alla sfera della pratica di fede sia a quella dei contenuti più propriamente dottrinali. In merito il rapporto si confrontava con chiarezza con l’interrogativo:

«Bisogna chiedersi se un consenso differenziato non sia possibile anche nella dottrina del ministero o ministeri».

e aveva rivolto un chiaro invito a luterani e cattolici a prendere in considerazione il metodo del consenso differenziato conseguito sulla dottrina della giustificazione non potesse essere affiancato da

«un approccio alle forme di ministero divergenti, nelle quali si scoprono tanti elementi comuni da rendere possibile un reciproco riconoscimento dei ministeri» (L’apostolicità della Chiesa, 292).

Non solo. Il rapporto entra anche nel merito della relazione intercorrente tra i temi della giustificazione e del ministero, sostenendo:

«Per la successione apostolica, la successione nella fede è l’aspetto essenziale […] Ma ora, la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione ha accertato […] fra la Chiesa cattolica e le Chiese luterane […] un alto grado di accordo nella fede, ossia in ciò che costituisce il cuore della successione apostolica […]. La visione cattolica del ministero delle Chiese luterane e la visione luterana del ministero nella Chiesa cattolica romana non possono non essere toccate dalla Dichiarazione congiunta. Infatti anche se la preservazione della retta dottrina non è il compito del solo ministero ordinato, è tuttavia suo compito specifico insegnare e proclamare il Vangelo pubblicamente. La firma della ‘Dichiarazione congiunta’ implica quindi il riconoscimento del fatto che il ministero ordinato in entrambe le Chiese ha, con la forza dello Spirito Santo, compiuto il suo servizio di mantenere la fedeltà
al Vangelo apostolico riguardo alla questione centrale della fede esposta nella Dichiarazione» (L’apostolicità della Chiesa, 288).

Fatte queste premesse, la Dichiarazione in cammino: Chiesa, ministero ed eucarestìa[5] passa all’illustrazione degli specifici temi di consenso che sono stati conseguiti in questi anni. L’esame prende il via dal tema n. 13, nel quale si pone in luce come luterani e cattolici affermano concordemente che:

«il ministero ordinato appartiene agli elementi essenziali che esprimono il carattere apostolico della Chiesa e che esso contribuisce anche, con il potere dello Spirito Santo, alla continua fedeltà apostolica della Chiesa».

L’enunciazione del tema di consenso fa esplicito riferimento agli esiti del citato rapporto L’apostolicità della Chiesa, mostrando come l’esame globale del tema dell’apostolicità portato avanti nel corso della 4a fase del dialogo internazionale abbia posto in evidenza:

«gli “elementi” che, con la forza dello Spirito Santo, contribuiscono all’edificazione della Chiesa “sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20). Fra questi elementi vi sono: sacre Scritture, comunicazione della parola di Dio nella proclamazione, battesimo e cena del Signore, ufficio delle chiavi, catechesi come trasmissione della tradizione apostolica, confessioni di fede, preghiera del Signore e dieci comandamenti» (L’apostolicità della Chiesa, 271).

Ma questi elementi, che il medesimo documento riconosce come autentiche

«istituzioni e promulgazioni della comunicazione della parola di Dio nella quale il contenuto del vangelo
apostolico si rende presente per portare la salvezza agli esseri umani»,

possono assolvere alla loro funzione nel garantire l’apostolicità della Chiesa, solo mediante il coinvolgimento di persone umane.
Su questa base il rapporto L’apostolicità della Chiesa sottolinea con forza che:

«Non c’è testimonianza senza un testimone, sermone senza un predicatore, amministrazione dei sacramenti senza un ministro, ma, d’altra parte, non c’è testimonianza e sermone senza popolo che ascolta, celebrazione dei sacramenti senza popolo che li riceve» (L’apostolicità della Chiesa, 165).

Il consenso sullo stretto legame sussistente tra la funzione del ministero e la natura apostolica della Chiesa costituisce il primo, ma fondamentale, gradino superato nel itinerario, certamente in salita, che le due confessioni, quella luterana e quella cattolica, stanno faticosamente, ma produttivamente percorrendo assieme. Nei prossimi appuntamenti avremo modo di renderci conto dello spessore teologico dei risultati conseguiti, ma anche della lunghezza e delle difficoltà della strada che resta da fare.

Sergio Sbragia
Vico Equense, sabato 22 luglio 2017


[1] - Commissione per le questioni ecumeniche della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti - Chiesa evangelica luterana in America, Dichiarazione in cammino: Chiesa, ministero ed eucarestìa. - in «Il Regno : attualità e documenti», 61° (2016) 13, 409-456.
[2] - Consiglio ecumenico delle Chiese : Commissione Fede e costituzione, La Chiesa: verso una visione comune, 45.
[3] -  Commissione di studio evangelica luterana - cattolica romana, Il vangelo e la Chiesa : Rapporto di Malta, 1972, 47.
[4] - Federazione luterana mondiale - Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, 1999, 43.
[5] - Commissione per le questioni ecumeniche della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti - Chiesa evangelica luterana in America, Dichiarazione in cammino: Chiesa, ministero ed eucarestìa. - in «Il Regno : attualità e documenti», 61° (2016) 13, 409-456.