Tornando alla nostra ricerca sulla figura dei Giudèi nel Vangelo di Giovanni, e volendo iniziare a leggere l’ottavo capitolo, ove incontriamo cinque
volte il personaggio collettivo dei Giudèi nella sua seconda parte ai vv. 22,
31, 48, 52 e 57. È tuttavìa utile premettere la lettura del famoso brano nel
quale “Gesù perdona
l’adultera” (7,53-8,11), nel quale in termini letterali il gruppo dei Giudèi non appare.
Il brano tuttavìa riveste uno spessore notevole e presenta delle indubbie
ricadute sul nostro tema.
E ciascuno tornò a casa sua. Gesù si avviò verso il
monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo
andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e
i farisèi gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e
gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante
adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come
questa. Tu che ne dici?". Dicevano questo per metterlo alla prova e per
avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per
terra. Tuttavìa, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro:
"Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di
lei". E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne
andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la
donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono?
Nessuno ti ha condannata?". Ed ella rispose: "Nessuno, Signore".
E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare
più" (7,53-8,11).
Prescindo naturalmente in questa riflessione dalla
valutazione dell’effettivo carattere giovanneo del brano, oggetto di grande
attenzione da parte degli studî esegetici, per la scelta fatta in sede
preliminare di condurre le mie riflessioni in questa sede sul testo finale
della Scrittura, frutto dei precedenti processi di trasmissione orale e dei
varî stadî successivi di redazione storica, questo senza nulla togliere al
valore dello sforzo di ricostruzione del processo della sua formazione.
La scena si svolge anche in questo caso nel
Tempio («al mattino si recò di nuovo nel tempio» - 8,2) e Gesù continua anche
in questo caso a svolgere la sua funzione d’insegnare («egli sedette e si mise
a insegnare loro» - 8,2).
Quest’attività d’insegnamento di Gesù viene
interrotta dagli scribi e dai farisèi. Qui c’imbattiamo non nei Giudèi, ma nei
due gruppi degli scribi e dei farisèi. Come abbiamo già avuto modo di
verificare nell’esame di altri brani a proposito dei farisèi, è possibile
tracciare una distinzione tra questi gruppi, ma anche evidenziare una loro confluenza,
almeno parziale, nel più generale gruppo dei Giudèi. Di certo scribi e farisèi
hanno una loro individualità specifica, data dalla loro funzione in relazione
al testo sacro per i primi, e dalla loro peculiare visione religiosa per i
secondi. Ma è certamente plausibile la loro appartenenza a gruppo più generale
dei Giudèi, che comprendeva al suo interno anche influenti componenti sadducèe
e sacerdotali.
È appunto un gruppo di scribi e farisèi che
irrompe, nel Tempio, sulla scena dell’insegnamento di Gesù agli astanti,
conducendo con la forza e ponendo al centro dell’attenzione generale una donna
sorpresa in flagranza di adulterio. I nuovi sopravvenuti si rivolgono a Gesù
chiedendogli «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne
dici?» (8,4-5). L’intento di questa interlocuzione con Gesù è reso esplicito da
alcuni elementi: il suo svolgersi nel pieno di un’attività d’insegnamento condotta
da Gesù nel Tempio e lo stesso appellativo di “maestro” a lui rivolto,
tradiscono in realtà la volontà nemmeno tanto dissimulata di testare la sua
effettiva autorevolezza magistrale, ponendolo a confronto, a partire da un caso
concreto molto sentito dalla sensibilità comune (l’adulterio flagrante di una
donna sposata), con prescrizioni molto chiare contenute nella Legge.
Il riferimento chiaro è ai testi del Primo
Testamento di Lv. 20,10 e Dt. 22,22-24.
Se uno commette adulterio con la moglie del suo
prossimo, l'adultero e l'adultera dovranno esser messi a morte (Lv. 20,10).
Quando un uomo verrà trovato a
giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l'uomo che è
giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele. Quando
una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con
lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte:
la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha
disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te (Dt. 22,22-24).
Il confronto con questi testi fa emergere
innanzi tutto come nel nostro brano il riferimento sia circoscritto alla sola
donna. Nulla si dice dell’uomo con il quale è stato consumato l’adulterio. È
sconosciuto al gruppo accusatore di scribi e farisèi? È sfuggito alla cattura?
Oppure, è protetto dagli stessi accusatori? Il primo caso, quello di non essere
conosciuto dagli accusatori della donna, sembra poco conciliabile con la
circostanza della constatazione flagrante dell’adulterio. Sulle altre due
ipotesi possibili nulla si può dedurre dal testo. Di certo, tuttavìa, è da
sottolineare che mentre i due testi della Scrittura dichiarano sia l’uomo che
la donna, colpevoli di adulterio, meritevoli di morte, il nostro brano
prospetta la morte per lapidazione per la sola donna. Scribi e farisèi da un
lato vogliono mettere alla prova il taglio misericordioso dell’insegnamento di
Gesù, ponendolo a confronto con il dovere di dare la morte previsto da precise
disposizioni della Legge mosaica, dall’altra non danno alcuna spiegazione sul
perché a meritare la morte è la sola donna, omettendo qualunque riferimento
all’uomo, con cui è stato compiuto l’adulterio. Contrariamente a quanto
generalmente si pensa in quest’episodio si registra da parte del gruppo di
scribi e farisèi intervenuti sulla scena un arretramento rispetto al contenuto
effettivo delle disposizioni della Legge sul peccato di adulterio, allorché
propongono a Gesù di pronunciarsi sulla doverosità di lapidare una donna (si
badi bene: solo la donna) sorpresa in flagrante adulterio.
A guardar bene la minaccia della “lapidazione”
in un certo senso apre il cap. 8 («Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di
lapidare donne come questa» - 8,5), ma la ritroveremo anche alla sua conclusione,
v. 59 («Allora [i Giudèi] raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui;
ma Gesù si nascose e uscì dal tempio» - 8,59). In un certo senso la
“lapidazione” incornicia la vicenda del cap. 8, in esordio è minacciata contro
la donna sorpresa in flagranza ‘adulterio, a conclusione si cerca di porla in
atto contro Gesù. Tutta la narrazione del capitolo si pone allora sotto il peso
della pratica della lapidazione che aleggia sull’intero svolgersi della
vicenda. E rispetto alla concreta applicazione di tale feroce pena Gesù è
interpellato con decisione («Tu che ne dici?» - 8,5).
Qual è allora la reazione di Gesù? Sarebbe da
aspettarsi l’innescarsi di una disquisizione dottrinale in cui mettere in
campo, da una parte e dall’altra, le ragioni di principio in favore del dovere
di lapidare la donna portata in giudizio e quelle contro, il tutto nell’intento
mal celato di porre Gesù in contraddizione con il dettato della Legge mosaica
(«Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» -
8,6). E Gesù, invece…, non risponde, sembra lasciar cadere l’interrogativo, si
china a scrivere con il dito nel terreno. Sembra prendere tempo, in realtà
appare una sapiente gestione del tempo nella scena, il tempo è un fattore
decisivo nella maturazione delle scelte delle persone. Lo stesso scrivere, che
per tanti versi può apparire un dato oscuro, acquista un valore significativo
se si considera il valore nell’esperienza religiosa ebraica della Scrittura.
L’atto di Gesù di porsi a scrivere per terra può in realtà alludere, sia pur
implicitamente, all’autorevolezza del suo insegnamento anche in rapporto al
testo scritto della Torah.
Ma gl’interlocutori di Gesù non demordono,
insistono per avere una risposta da Gesù, vogliono che si comprometta. E Gesù
risponde, ma non nel modo che gli astanti si aspettavano, non entra nel merito
del quesito proposto, ma affronta un tema di fondo, un preliminare non da poco,
che soggiace alla legittimità stessa di pronunciare un giudizio sulla donna lì
presente («Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei»
- 8,7). È un richiamo chiaro alla coscienza degli astanti, a ciascuno di essi,
chiamati ciascuno a rispondere nel proprio intimo a una domanda decisiva: “Sono
degno di giudicare questa donna? Non sono per caso anch’io un peccatore? Chi
sono io per giudicarla?”. Quest’interrogativo interiore necessità di un suo
tempo per sedimentarsi nell’intimità di ciascuno degli attori in campo, per
essere valutato, soppesato, per produrre frutto e tradursi in una scelta. E
Gesù allora ricorre ancora all’espediente di “prender tempo” («E, chinatosi di
nuovo, scriveva per terra» - 8,8). Questa sapiente gestione del tempo da parte
di Gesù porta i suoi frutti: «Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno,
cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo» (8,9).
Il riferimento «uno per uno», conferma ancora il ruolo del tempo, ciascuno a un
tempo proprio per maturare le proprie scelte, soprattutto quelle eticamente più
impegnative. Sui motivi che hanno indotto il gruppo di scribi e farisèi ad
abbandonare alla spicciolata la scena della vicenda il testo non dice nulla
esplicitamente. Tuttavìa è legittimo pensare alla presenza nel gruppo di due
diversi atteggiamenti: da un lato, alcuni che preferiscono defilarsi per non
assumersi la responsabilità di scegliere di porre a morte la donna; dall’altro,
quanti si sono sentiti interpellati nel profondo della propria coscienza e non
si sono ritenuti degni di giudicare. Quest’ipotesi è plausibile perché, a ben
vedere i gruppi degli interlocutori di Gesù che sinora abbiamo incontrato, non
si sono mai mostrati compatti. È plausibile pensare a gruppi attraversati da
una pluralità di sensibilità e di orientamenti, che discutono anche delle
diverse opzioni in campo. Perché allora escludere che nel gruppo di scribi e
farisèi che hanno condotto la donna dinanzi a Gesù, ci sia stato (e non uno
solo) anche chi si sia sentito posto in crisi dalle parole di Gesù.
Con l’allontanarsi del gruppo giustizialista
degli scribi e dei farisèi, la scena cambia radicalmente, l’azione si concentra
esclusivamente su Gesù e sulla donna adultera («Lo lasciarono solo, e la donna
era là in mezzo» - 8,9). Nulla si dice del popolo che era andato da lui per
ascoltare il suo insegnamento («e tutto il popolo andava da lui. Ed egli
sedette e si mise a insegnare loro» - 8,2), cui si è fatto riferimento
all’inizio del brano e che certamente doveva essere almeno in gran parte
restato presente dopo l’andata via degli scribi e dei farisèi. Invece noi
lettori, siamo portati quasi insensibilmente a pensare che Gesù e la donna sono
rimasti gli unici attori sulla scena.
E finalmente si apre il dialogo tra Gesù e la
donna. Abbandonata l’azione dello scrivere per terra, Gesù si leva in piedi e
si rivolge alla donna e le fa constatare l’andata via del gruppo dei facinorosi
e le chiede: «Nessuno ti ha condannata?» (8,10). La donna conviene che nessuno
l’ha condannata. Gesù ribatte che anch’egli non pronuncia alcuna condanna
contro di lei («Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse:
"Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più"» - 8,11).
Da notare che Gesù si astiene dal condannare la donna, la lascia libera di
andare ma la invita ad assumere un atteggiamento di autoconsapevolezza («e
d'ora in poi non peccare più"» - 8,11). Gesù nel momento in cui non
giudica, invita la sua interlocutrice a essere giudice di se stessa, a essere
una persona responsabile capace di discernere il proprio comportamento, a
divenire artefice del proprio destino umano mediante un confronto autentico con
la propria coscienza. Un atteggiamento del tutto parallelo a quello proposto
efficacemente agli scribi e ai farisèi solo poco prima («Chi di voi è senza
peccato, getti per primo la pietra contro di lei» - 8,7). Gesù si rifiuta di
giudicare dall’esterno, invita invece gli uomini e le donne a divenire
protagonisti della propria vita, timonieri autentici della propria esistenza e
delle proprie azioni. Anziché ricercare indicazioni d’autorità poste
dall’esterno, Gesù richiama all’esigenza di ricercare nel confronto intimo con
la propria coscienza la via privilegiata per comprendere quale sia la più
autentica volontà di Dio per ciascuno e in ogni circostanza della vita.
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