mercoledì 23 marzo 2022

Aiutiamo il popolo ucraino, non le industrie che producono armi!

Credo  sia importante operare la più ampia, operativa e credibile mobilitazione per aiutare e soccorrere il popolo ucraino, sia garantendo l’accoglienza a quanti fuggono dalla guerra, sia facendo pervenire in loco aiuti umanitari e sanitari. Mi permetto però di dissentire dalle decisioni di fornire aiuti militari di qualsiasi natura. Quest’ultima opzione, a prima vista, può sembrare una scelta realistica, che punta a fornire al debole aggredito i mezzi necessari per difendersi. Se tuttavia approfondiamo anche solo un poco la riflessione non è difficile rendersi conto, che una tale scelta non fa altro che fornire argomenti all’aggressore e distrae dalla ricerca più ampia possibile per assicurare all’Ucraina un’adeguata protezione internazionale sotto l’egida dell’ONU.

Il riconoscimento del carattere di aggressione dato dal pronunciamento dell’Assemblea dell’ONU all’invasione russa dell’Ucraina (col voto favorevole di circa 140 paesi) è un elemento politico di grande rilevanza, che meriterebbe un sostegno fortissimo da parte dell’opinione pubblica mondiale e dell’iniziativa politica internazionale, per costruire un’iniziativa mondiale per predisporre le condizioni per il posizionamento di una forza ONU d’interposizione tra le parti in conflitto. Di questo, però, nessuno parla. Ci si avvita in una spirale pericolosissima quanto inefficace di ritorsioni e contro-ritorsioni, dislocazioni di truppe Nato nei paesi limitrofi con connesso svolgimento di costose esercitazioni che hanno il solo risultato di fornire argomento alla propaganda russa.

Credo invece che la Nato dovrebbe fornire credibili e chiare indicazioni di non avere obiettivi di espansione e di assunzione di iniziative di natura militare miranti a danneggiare la Russia. In questo potrebbe essere utile riprendere l’opinione espressa da Henry Kissinger, che non può certamente essere considerato un sostenitore della Russia, che nel 2014, in merito agli Accordi di Minsk, auspicava che l’Ucraina si collocasse come un ponte fra Oriente e Occidente senza entrare nella Nato, puntando a ricoprire una posizione simile a quella finlandese, cooperando con l’Occidente, ma evitando l’ostilità istituzionale con la Russia.

Ogni giorno di guerra e ogni rigonfiamento occidentale di muscoli non fa altro che allontanare la saggia prospettiva delineata da Kissinger. È urgente pertanto, a mio avviso, porre subito sul piatto una credibile manifestazione politica che le forze Nato non nutrono alcuna ulteriore mira espansiva ad est in funzione anti-russa. Questo potrebbe essere lo scenario per rendere possibile l’apertura di negoziati veri tra Russia e Ucraina, con l’intermediazione delle Nazioni Unite, la cui azione dovrebbe ricevere il più ampio sostegno internazionale.

La cosa più importante oggi è far tacere subito le armi, ogni giorno di guerra in più, provoca distruzione, lutti e sofferenza. Fermare le armi non è vigliaccheria, ma è la scelta della consapevolezza indicata alcuni anni fa da Hans Küng «sulla via non siamo da soli, ma con milioni e milioni di altri uomini (…), con i quali siamo sempre più in un processo di comunicazione nel quale non si dovrebbe combattere per il mio e il tuo, per la mia verità - per la tua verità, ma si dovrebbe piuttosto essere infinitamente disponibili ad imparare dalla verità degli altri e a comunicare senza gelosie la propria verità» (Hans Küng, Progetto per un'etica mondiale).

sabato 19 marzo 2022

Oggi possono gioire solo i fabbricanti e i mercanti d’armi!

Il quotidiano proseguire dell’orrore in terra ucraina pone in chiarissima evidenza come in queste settimane si sia dischiusa una rosea prospettiva di buoni affari per l’industria degli armamenti. Quasi tutti i governi stanno decidendo un ampliamento degli investimenti e delle spese militari. Si moltiplicano le esercitazioni e le dislocazioni di armamenti. Sono solo di ieri le immagini televisive di truppe italiane impegnate in esercitazioni in zona artica (anche se dichiarate come programmate prima dello scoppio della guerra, ma dubito che avrebbero avuto l’onore degli schermi in assenza del conflitto). Vari paesi dell’Europa occidentale si sono impegnati a rifornire di armi l’Ucraina.

Sono abbastanza certo che coloro i cui guadagni derivano dall’industria degli armamenti in questi giorni si stiano sfregando le mani per le opportunità che si stanno schiudendo dinanzi ai loro occhi. La cosa mi ricorda l’episodio della gioia di alcuni imprenditori nostrani all’indomani di uno dei gravi terremoti che hanno investito il nostro paese.

L’auspicio che tutti noi naturalmente formuliamo è che tutto questo predisporre armi resti del tutto inutilizzato. Il loro uso equivarrebbe a una tragedia planetaria. Quello che dobbiamo augurarci è che tutti questi nuovi armamenti siano destinati a star fermi, ad andare in obsolescenza senza essere mai usati. È una prospettiva un po’ folle, come comprare una nuova lavatrice e non usarla per fare il bucato, ma è quanto di meglio possiamo sperare in questi giorni.

Personalmente ritengo che sia importantissimo manifestare la più ampia solidarietà nei riguardi del popolo ucraino e delle sue sofferenze. È giusto, giustissimo, predisporre aiuti umanitari, ma considero un grave errore prevedere sostegni di tipo militare. Le armi, la storia degli ultimi decenni lo dimostra ampiamente, non fermano, ma alimentano le guerre.

Anziché dare la parola alle armi, facciamo parlare la ragione! Diamo valore alle posizioni dell’ONU. È di grande importanza la votazione assembleare nella quale la stragrande maggioranza dei paesi aderenti ha condannato l’invasione dell’Ucraina. Credo che anziché gonfiare i muscoli con esercitazioni e dislocazioni di truppe, sia preferibile conferire il massimo rilievo a questo pronunciamento dell’Assemblea dell’ONU, sostenere in tutti i modi le iniziative dell’ONU, stimolarne l’assunzione di altre, anche di maggior spessore, perché la via del negoziato assuma connotati concreti e rispettosi dei diritti umani. Soffiare sul fuoco, a mio avviso, non serve, anzi rischia di essere controproducente. Fornire armi anziché aprire le vie della pace, può addirittura precluderle.

venerdì 18 marzo 2022

Negli anni ’60, in occasione della crisi di Cuba, i potenti di allora seppero fermarsi prima dell’irreparabile!

Nel 1962 probabilmente fu vissuto il momento più drammatico del periodo della guerra fredda. Le relazioni tra USA e URSS raggiunsero un grado di altissima tensione, in ragione della funzione politica svolta dall’isola di Cuba nell’area caraibica e degli equilibri militari determinatosi in Europa, con, da un lato, il fallimento del tentativo statunitense d’invasione di Cuba alla Baia dei Porci (1961) e il dispiegamento in Europa (anche in Italia) di missili balistici in funzione antisovietica, e, dall’altro, la decisione russa di insediare nell’isola allora governata da Fidel Castro analoghi missili balistici in funzione antiamericana. 

L’Unione sovietica mise in mare un convoglio navale con i missili destinati a Cuba, gli Stati Uniti predisposero al largo dell’isola un blocco navale. Il mondo allora visse giorni di altissima tensione, temendo che le due potenze potessero arrivare allo scontro diretto. Echeggiò in quei giorni un grande appello alla pace di papa Giovanni XXIII. Dopo giorni di grande paura giunse la notizia che le navi russe non avrebbero tentato di forzare il blocco navale. Si aprì così lo spazio al negoziato e fu possibile superare quel duro momento.

I potenti di allora, anch'essi uomini di potere, seppero però avere la saggezza e la sapienza necessarie per non compiere scelte irreparabili. Quelle allora compiute non furono scelte di debolezza o di vigliaccheria, ma espressero la forza e l’autorevolezza della politica con la “P” maiuscola che sa farsi carico delle esigenze dell’umanità e del mondo. Ancora oggi siamo grati a quegli uomini, che allora ebbero il coraggio di fermarsi in tempo.

Di fronte alla tragedia che si sta consumando in Ucraina, dobbiamo chiedere con forza che si facciano tacere le armi, si smetta di gonfiare i muscoli, e si dispieghi pienamente la capacità negoziale della politica di grande respiro. Dopo il secondo conflitto mondiale l’opzione militare si è ripetutamente dimostrata non solo disastrosa, ma anche inconcludente. Quasi tutti i conflitti che si sono registrati da allora, hanno provocato lutti e dolori, ma quasi mai hanno raggiunto gli obiettivi per i quali sono stati posti in essere. Impariamo da Chruščёv e da Kennedy!