Il futuro delle biblioteche
Quando nel
mio quotidiano occuparmi di biblioteche mi accade (e avviene sempre più spesso)
di incontrarmi e scontrarmi con l’affermazione che «con l’avvento d’internet
non si avverte più la necessità di andare in biblioteca», non posso fare a meno
d’interrogarmi sul futuro delle nostre biblioteche.
Di
fronte alla pervasività delle opportunità offerte dalla rete, sul piano sia dell’informazione
e della conoscenza sia delle molteplici offerte di nuovi supporti tecnici per
la lettura alternativi al libro, in effetti, non si può evitare di pensare che
l’itinerario storico dell’istituzione “biblioteca” stia per giungere fatalmente
al proprio capolinea.
Se a
questo aggiungiamo poi gli effetti nefasti che l’attuale fase di recessione
economica, con la conseguente drastica contrazione degli investimenti pubblici,
produce sullo sviluppo e sul funzionamento delle biblioteche, nonché le
oggettive difficoltà che il mondo delle biblioteche incontra nel costruire e
affermare socialmente un processo efficace di advocacy (a costituirsi cioè come un autorevole gruppo di pressione
capace d’influenzare le politiche pubbliche e l'allocazione delle risorse
all'interno dei sistemi politici, economici e sociali e delle relative
istituzioni), si può legittimamente essere indotti a conclusioni sconfortanti.
L’effetto
convergente, da un lato, di un processo storico di lungo periodo che propone
nuovi paradigmi nella forma e nella sostanza dei processi di trasmissione e di
formazione della conoscenza e, dall’altro, del restringersi (anche forzato
dalla congiuntura economica) della considerazione sociale per i servizî
bibliotecarî, può apparire un vero ’e proprio nodo scorsoio che lentamente, ma
inesorabilmente, toglie respiro vitale alle
biblioteche e svilisce il ruolo professionale e sociale di quanti vi operano.
La
questione è decisamente seria e, a mio parere, va affrontata con serietà e
lungimiranza.
Nella
vicenda storica dell’umanità è difficile individuare istituti o strutture sociali
ai quali si possa riconoscere il connotato della perennità. È quindi
immaginabile che anche la sia pur millenaria istituzione biblioteca possa in un
futuro non molto lontano rivelarsi superata e venir sostituita da altri
istituti più rispondenti alle esigenze dell’umanità del 21° secolo. Lo stesso
oggetto “libro”, come luogo fisico di condensazione e comunicazione della
conoscenza, ha sviluppato una sua peculiare evoluzione storica che lo ha visto
transitare attraverso una pluralità di formati materiali, di tecniche
produttive, di modalità di conservazione. Nessuna meraviglia, dunque, che il
progresso tecnico, come sta già facendo, possa porre a disposizione nuovi strumenti
e nuovi formati. La considerazione che spesso facciamo dell’essenzialità nella
lettura e nello studio della disponibilità materiale del libro, dell’esigenza
di sfogliarlo manualmente, di poter tornare alla pagina in cui si è letta una
cosa interessante, di poterlo annotare, di poterlo leggere al tavolo di studio,
accoccolati in poltrona, in treno o in tram, all’ombra di un albero, sdraiati
al letto prima di addormentarsi, su una sdraio alla spiaggia, seduti su un
masso di una scogliera, dice senz’altro molto di vero del legame esistenziale
di tanti di noi con l’oggetto libro. Se tuttavia ci guardiamo intorno, non
possiamo non constatare come una familiarità analoga a quella che noi viviamo
con il libro, è già ampiamente diffusa, e appare anche in ulteriore e
vertiginosa crescita, nei confronti dei nuovi strumenti portatili di
comunicazione. Una familiarità che non coinvolge solo le generazioni più
giovani e che di certo ha ampiamente superato i confini di una moda passeggera.
Non mi
spaventa allora la prospettiva che tra qualche decennio “libro a stampa” e “biblioteca”
potranno verosimilmente essere oggetto d’interesse solo da un punto di vista
antiquario, se non addirittura di archeologia culturale. In realtà “libro a
stampa” e “biblioteca” dicono una relazione essenziale e insostituibile con una
dimensione strutturale e profonda dell’umanità: la dimensione della “conoscenza”.
Non mi avventuro certo su terreni filosofici miranti a definire la dimensione
della “conoscenza” come una struttura perenne e ineliminabile dell’umanità, ma
è certo almeno che all’orizzonte non è percepibile alcun segnale che possa
nemmeno lontanamente far presagire l’imminenza di una caduta della sua utilità
sociale. Se dunque è immaginabile che “libri a stampa” e “biblioteche” in un futuro
prossimo possano venir messi in disparte, mi sembra certo che i processi di
formazione, condensazione e trasmissione della conoscenza continueranno a
essere aspetti ai quali le comunità civili dovranno prestare la massima attenzione.
Aspetti ai quali sarà necessario riservare spazî reali, siano essi spazî
fisici, spazî virtuali o digitali. Altrettanto essenziale sarà investire in
essi risorse e dedicare competenze specifiche e adeguate. Potrà non essere più
necessario leggere un libro, ma resterà ancora indispensabile leggere,
studiare, conoscere, incontrare gli altri e confrontarsi con le loro
esperienze. E per far questo, tra le altre cose, sarà necessario (anzi
indispensabile) l’apporto di professionalità specifiche, duttili e di alta
competenza.
Di
fronte al forse inevitabile ridimensionamento numerico e di rilevanza sociale
delle biblioteche, mi sembra allora che l’atteggiamento più adeguato non sia né
quello dello sconforto e né quello della rassegnazione. In questo mi torna di
aiuto un insegnamento di sant’Agostino che, dinanzi alle rovine della città di
Roma, seppe porre in evidenza come la grandezza di una città consista non tanto
nelle sue costruzioni, quanto nelle qualità dei suoi cittadini. Lo stesso si
può dire per la questione che stiamo affrontando: se l’attuale strutturazione
delle biblioteche è destinata a essere superata, la dimensione culturale dei
professionisti delle biblioteche si trova invece dinanzi a una sfida, certo
impegnativa, ma sotto tanti aspetti entusiasmante, che le giovani bibliotecarie
e i giovani bibliotecarî devono senz’altro raccogliere e portare avanti,
investendo in essa le proprie energie, le proprie idee e le proprie capacità.
Una sfida che da tanti indizî quotidiani verifico che i giovani colleghi stanno
concretamente e coraggiosamente ingaggiando.
La
comunità bibliotecaria, per esempio, da alcuni anni ha inaugurato un’interessante
percorso professionale su una dimensione peculiare della professionalità. Mi
riferisco al campo, definito con un anglismo, come Information Literacy, al quale la letterale trasposizione in italiano
come “competenza informativa” non rende per nulla giustizia. Si tratta in
realtà della capacità professionale di identificare, individuare, valutare,
organizzare, utilizzare e comunicare le informazioni e la conoscenza. Mi sembra
questo il naturale sbocco della professionalità bibliotecaria, che potrà
svolgersi in un luogo fisico come la biblioteca o attraverso la mediazione di
una struttura digitale on-line, che tuttavia non potrà fare a meno di una
raffinata capacità di selezionare le risorse informative e conoscitive
disponibili materialmente o in rete, di valutarne la qualità e di proporle e
renderle disponibili secondo le esigenze del pubblico richiedente. Un’attività
che sarà necessario graduare per campi di ricerca e per livelli d’interesse
(ricerca, competenza, divulgazione, informazione, ecc.).
Lo
stesso dicasi per la vasta sperimentazione in corso sugli approccî bibliometrici,
di analisi citazionale, con l’approntamento in questo settore di studio, di
strumenti di valutazione della qualità dei contributi, come quello dell’impact factor. Un metodo che, a mio
avviso, sarebbe opportuno provare a estendere dal campo della ricerca (a cui è
di preferenza sinora applicato) a terreni più generali e diversificati.
In quest’ottica
mi sembra si muova anche l’evoluzione vissuta in questi ultimi anni dall’AIB, l’Associazione
italiana biblioteche, che ha accentuato notevolmente la propria dimensione
professionale, attraverso una selezione e un monitoraggio dell’offerta
professionale dei proprî associati. La scommessa intesa a garantire un’elevata
qualità dell’offerta professionale messa a disposizione del mondo delle biblioteche
mi sembra il segno che si è imboccato il sentiero giusto per porre nel dovuto
risalto la dimensione culturale a tutto tondo di chi lavora in biblioteca.
La
valorizzazione, infine, di chi professionalmente opera in biblioteca, mi sembra
anche la garanzia più solida e più credibile per affermare, sul piano
deontologico, i valori centrali della professione, quali quelli del diritto
universale di accesso alle fonti dell’informazione e della conoscenza. Valori che
nelle evoluzioni in corso nella società globale dell’informazione sono tutt’altro
che assicurati. In questa sfida naturalmente una categoria professionale che
sappia con sapienza, saggezza e lungimiranza delineare il proprio status epistemologico e deontologico e che
sia capace, altresì, di ritagliare una propria funzione sociale non facilmente
surrogabile può naturalmente dire la sua.
Sergio Sbragia
(domenica, 30 marzo 2014)