sabato 29 marzo 2014

Il disagio di un democratico



Il disagio di un democratico




Sono, sin dalla sua fondazione, un elettore del Partito democratico e sono convinto che senza il Partito democratico in Italia non sia percorribile alcun itinerario di cambiamento. Dico con chiarezza che alle ultime primarie non ho votato per Matteo Renzi, anche se da convinto democratico, accetto la scelta fatta, nelle urne delle primarie, dalla grande maggioranza del partito; un partito del quale continuo a essere un convinto sostenitore, e per il quale continuerò a votare anche in futuro.

Ritengo tuttavia necessario esporre con franchezza e apertamente le ragioni del mio personale disagio rispetto al metodo di lavoro inaugurato da Matteo Renzi, un metodo che ritengo poco coerente con la natura stessa del Partito democratico e che auspico venga al più presto corretto.

Una delle principali ragioni per cui alle primarie non ho votato per Matteo Renzi è stata la poca considerazione mostrata, a mio parere, da Renzi stesso per il suo incarico di Sindaco di Firenze. Sono convinto che alcuni incarichi pubblici, e in particolare quello di Sindaco, richiedano a chi li ricopre un coinvolgimento pieno. La singolare procedura d’investitura che l’ordinamento vigente prevede per l’elezione del Sindaco di una città, con liste fortemente centrate sulle persone candidate, con la possibile celebrazione di due tornate elettorali (con relativi costi a carico dell’erario), appare fortemente centrata sulla persona eletta a Sindaco, che si ritrova a ricevere dai proprî concittadini un mandato forte. Una procedura elettorale a cui, per altro, si guarda con grande attenzione come a un utile modello per altri contesti elettorali. È dunque alquanto naturale che da un Sindaco ci si aspetti una grande dedizione per il mandato ricevuto e che il suo impegno si protragga sino alla sua naturale scadenza . Alla luce di questa convinzione nei mesi scorsi ho guardato con una certa preoccupazione alla strategia seguìta da Matteo Renzi e al suo attivismo per giungere alla segreteria del Pd, come anche ad altri preoccupanti atteggiamenti diffusi un po’ in tutte le forze politiche che denotano, a mio avviso, un grave e diffuso deficit di “cultura democratica”. Alcuni mesi fa, ho infatti espresso questa mia preoccupazione in un contributo pubblico di domenica 8 settembre 2013, titolato proprio “Un grave problema di cultura democratica” [http://sergiosbragia.blogspot.it/2013/09/un-grave-problema-di-cultura-democratica.html]. Un contributo nel quale ho, tra l’altro, fatto anche un cenno critico all’aspirazione di Matteo Renzi a sommare nella propria persona l’incarico di Sindaco e quello di segretario del partito.

Il mio non essere persuaso della validità e della correttezza di una pratica politica consistente nello stare contemporaneamente a Palazzo Vecchio e alla Leopolda si fondava sulla convinzione che alcuni impegni (quali quelli di Sindaco, di Segretario di un partito, di Ministro degli interni, ecc.) non fossero degli incarichi a “part-time” e che il dovuto rispetto per i cittadini, per gli elettori di un partito e per le istituzioni democratiche richiedessero dalle persone investite di un incarico pubblico o di partito una dedizione piena. Se si “pone mano all’aratro” si ha il dovere di “arare il campo”, non ci si può “volgere indietro” e lasciarsi affascinare da altre sirene e da altre avventure. Si ha il dovere di portare a compimento l’impegno assunto.

Lo svolgimento delle primarie ha tuttavia manifestato una larga convergenza di opinione attorno alla prospettiva delineata, per il partito, da Matteo Renzi. Ne ho preso atto, proprio perché sono convinto che il Pd sia una realtà plurale, dove l’iniziativa politica è delineata con metodo democratico e con grande partecipazione di idee e di energie. Un elemento che segna una decisa differenza con altre forze politiche guidate da individualità monarchiche e miliardarie, dove le decisioni sono condizionate dalla capacità del leader/padrone di orientare le opinioni facendo leva sulla propria straripante supremazia economica, attraverso abili orchestrazioni di costose campagne pubblicitarie, la promozione di iniziative pubbliche abilmente sfruttate sul piano mediatico, lo svolgimento di artate consultazioni condotte e pilotate nel “segreto” della rete (e non nelle piazze) che sortiscono “immancabilmente” esiti plebiscitarî, senza per altro disdegnare il ricorso a metodi di stampo staliniano come le riunioni a porte chiuse o l’espulsione di quanto “osano” proporre idee nuove o chiedere di discutere la linea decisa dal leader/padrone. Su questa base, all’indomani delle primarie, ho fatto un’apertura di credito nei confronti di Matteo Renzi, augurandomi che il suo impegno alla segreteria del partito potesse contribuire all’affermazione della proposta politica democratica.

Con sorpresa ho dovuto constatare come, nonostante l’ampio mandato conferitogli dalla base del partito, Matteo Renzi dopo solo pochi mesi abbia subìto il fascino di palazzo Chigi, relegando l’impegno di segretario del partito a una funzione secondaria e subalterna, con buona pace dei tanti che si sono recati ai seggî delle primarie. Ho visto così affermarsi di nuovo uno stile che punta a concentrare su poche persone una pluralità di incarichi e di funzioni, svilite così a compiti da assolvere “part-time” in modo approssimativo e frettoloso. Sono infatti convinto che tutte le persone, anche quelle più capaci e preparate, hanno in definitiva una sola testa e solo due mani. Sovraccaricare un singolo di troppi compiti espone al rischio reale che gli stessi compiti non siano assolti al meglio. Se poi si pensa al carattere assolutamente coinvolgente di ruoli quali quelli di “premier” e di “segretario di partito”, l’improponibilità della scelta di concentrarli sulla stessa persona dovrebbe ricadere sul piano della più naturale ovvietà.

Al di là dell’impercorribilità pratica (per una singola persona) della sovrapposizione delle funzioni di capo del governo e di segretario politico del Pd, appaiono di tutta evidenza anche i limiti politici di una tale scelta, che prescinde del tutto da una democratica e sana cultura della distinzione. L’assunzione dell’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri, richiede l’assoluta libertà e il pieno rispetto dell’istituzione. La persona incaricata risponde esclusivamente ai cittadini. Un leader di partito deve rispondere anche ai sostenitori della propria parte politica. Le due cose non sono coincidenti e la distinzione non è solo teorica. Mi chiedo, per esempio, ogni qual volta Matteo Renzi prende posizione su un tema qualsiasi se esprime la valutazione del governo o quella del partito, dove finisca l’una e dove inizî l’altra.

Non solo, ma, a mio parere, così facendo in definitiva si afferma una logica poco rispettosa dei diritti democratici.

Infatti uno degli aspetti primarî su cui si giudica il carattere autenticamente democratico di un asetto politico è quello del rispetto delle minoranze. Quando il capo del partito maggioritario assume in prima persona la guida del governo del paese, il principio del rispetto delle minoranze ne viene a soffrire gravemente. Per contro l’incarico a una diversa personalità, attraverso l’attuazione del principio democratico della divisione dei poteri, offrirebbe di certo maggiori garanzie.

La cosa appare, per altro, poco rispettosa anche nei confronti delle altre forze politiche che concorrono all’attività del governo. Il ruolo preminente svolto nella compagine governativa e nella sua attività corrente dal leader di uno dei partiti, finisce per sminuire e porre in secondo piano il contributo dato dagli altri partner, venendosi a configurare con l’evolversi delle situazione in un’oggettiva debolezza dell’azione di governo.

Può sembrare strano, ma alla fin fine, la scelta della coincidenza tra leader del paese e leader di partito si configura anche come poco rispettosa per lo stesso Partito democratico. Il programma di governo e il programma politico del partito non coincidono ne possono coincidere. Il primo è frutto di un accordo trasparente sottoscritto tra più forze politiche, al cui interno sono stati individuati temi condivisi e sono state poste tra parentesi azioni che non hanno, tra le stesse forze politiche, riscosso il consenso necessario. Il secondo, invece, esprime la visione complessiva di società che una forza politica propone per il paese. Questa visione, che non è un’agenda politica immediata è tuttavia una funzione necessaria che nel quotidiano dibattito politico deve essere adeguatamente rappresentata. Una funzione che, per quanti sforzi faccia, un Presidente del Consiglio non potrà mai concretizzare pienamente senza venire meno agli obblighi proprî della sua funzione.

Non mi sento, infine, di condividere l’opinione di quanti ritengono che la scelta di conferire l’incarico di premier al segretario politico di un partito, sia un elemento di forza per il governo, perché dice dell’effettivo e pieno sostegno del partito di maggioranza relativa all’azione del governo. Sono invece convinto che, più che un elemento di forza, una tale opzione sia un segno di debolezza. Passati i momenti un po’ rituali e formalistici dell’insediamento, connotati inevitabilmente da immancabili lineamenti trionfalistici, quando viene l’ora delle scelte concrete e quando si prospettano nella congiuntura politica scenarî inediti e imprevisti, iniziano i distinguo e le scissioni di responsabilità. Le stesse altre forze che hanno dato vita al governo avvertono il peso della propria marginalità nell’azione di governo, subiscono la tentazione di rendere pubblico il carattere condizionato del proprio sostegno al governo e sono indotte a lasciare l’ingrato compito di “togliere le castagne dal fuoco” al leader del partito di maggioranza relativa, che non potrà avvalersi della necessaria, opportuna e utile distribuzione delle funzioni tra più persone.

Con questa mia presa di posizione, che assumo apertamente, perché ritengo che di politica sia giusto parlare apertamente come una cosa che riguarda tutti e che sia di rifuggire ogni rintanarsi al chiuso delle riunioni interne, vorrei segnalare la necessità di una riflessione responsabile tra quanti hanno a cuore le sorti del partito e quelle del paese. Sono convinto che il popolo del Partito democratico sia il primo e più significativo baluardo per le sorti democratiche del paese. I difetti della nostra parte politica sono cose di cui dobbiamo avere il coraggio di parlare, per mettere insieme le forze, le capacità, le idee e le energie per correggerli. L’unica scelta sbagliata sarebbe quella di chiudere gli occhî e di ignorarli, o di impegolarci in sterili campagne negatrici dell’evidenza. Il pericolo che ho cercato di segnalare è reale. Mi auguro che un dibattito sereno e concreto permetta di prenderne coscienza e che Matteo Renzi dimostri saggezza e lungimiranza politica lasciando ad altri la segreteria del partito per concentrarsi esclusivamente sull’azione di governo. Ne guadagnerebbero il partito, il governo e il paese.



Sergio Sbragia

Vico Equense, sabato 29 marzo 2014.

Nessun commento:

Posta un commento