domenica 30 marzo 2014

Il futuro delle biblioteche


Il futuro delle biblioteche





Quando nel mio quotidiano occuparmi di biblioteche mi accade (e avviene sempre più spesso) di incontrarmi e scontrarmi con l’affermazione che «con l’avvento d’internet non si avverte più la necessità di andare in biblioteca», non posso fare a meno d’interrogarmi sul futuro delle nostre biblioteche.

Di fronte alla pervasività delle opportunità offerte dalla rete, sul piano sia dell’informazione e della conoscenza sia delle molteplici offerte di nuovi supporti tecnici per la lettura alternativi al libro, in effetti, non si può evitare di pensare che l’itinerario storico dell’istituzione “biblioteca” stia per giungere fatalmente al proprio capolinea.

Se a questo aggiungiamo poi gli effetti nefasti che l’attuale fase di recessione economica, con la conseguente drastica contrazione degli investimenti pubblici, produce sullo sviluppo e sul funzionamento delle biblioteche, nonché le oggettive difficoltà che il mondo delle biblioteche incontra nel costruire e affermare socialmente un processo efficace di advocacy (a costituirsi cioè come un autorevole gruppo di pressione capace d’influenzare le politiche pubbliche e l'allocazione delle risorse all'interno dei sistemi politici, economici e sociali e delle relative istituzioni), si può legittimamente essere indotti a conclusioni sconfortanti.
L’effetto convergente, da un lato, di un processo storico di lungo periodo che propone nuovi paradigmi nella forma e nella sostanza dei processi di trasmissione e di formazione della conoscenza e, dall’altro, del restringersi (anche forzato dalla congiuntura economica) della considerazione sociale per i servizî bibliotecarî, può apparire un vero ’e proprio nodo scorsoio che lentamente, ma inesorabilmente, toglie  respiro vitale alle biblioteche e svilisce il ruolo professionale e sociale di quanti vi operano.
La questione è decisamente seria e, a mio parere, va affrontata con serietà e lungimiranza.
Nella vicenda storica dell’umanità è difficile individuare istituti o strutture sociali ai quali si possa riconoscere il connotato della perennità. È quindi immaginabile che anche la sia pur millenaria istituzione biblioteca possa in un futuro non molto lontano rivelarsi superata e venir sostituita da altri istituti più rispondenti alle esigenze dell’umanità del 21° secolo. Lo stesso oggetto “libro”, come luogo fisico di condensazione e comunicazione della conoscenza, ha sviluppato una sua peculiare evoluzione storica che lo ha visto transitare attraverso una pluralità di formati materiali, di tecniche produttive, di modalità di conservazione. Nessuna meraviglia, dunque, che il progresso tecnico, come sta già facendo, possa porre a disposizione nuovi strumenti e nuovi formati. La considerazione che spesso facciamo dell’essenzialità nella lettura e nello studio della disponibilità materiale del libro, dell’esigenza di sfogliarlo manualmente, di poter tornare alla pagina in cui si è letta una cosa interessante, di poterlo annotare, di poterlo leggere al tavolo di studio, accoccolati in poltrona, in treno o in tram, all’ombra di un albero, sdraiati al letto prima di addormentarsi, su una sdraio alla spiaggia, seduti su un masso di una scogliera, dice senz’altro molto di vero del legame esistenziale di tanti di noi con l’oggetto libro. Se tuttavia ci guardiamo intorno, non possiamo non constatare come una familiarità analoga a quella che noi viviamo con il libro, è già ampiamente diffusa, e appare anche in ulteriore e vertiginosa crescita, nei confronti dei nuovi strumenti portatili di comunicazione. Una familiarità che non coinvolge solo le generazioni più giovani e che di certo ha ampiamente superato i confini di una moda passeggera.
Non mi spaventa allora la prospettiva che tra qualche decennio “libro a stampa” e “biblioteca” potranno verosimilmente essere oggetto d’interesse solo da un punto di vista antiquario, se non addirittura di archeologia culturale. In realtà “libro a stampa” e “biblioteca” dicono una relazione essenziale e insostituibile con una dimensione strutturale e profonda dell’umanità: la dimensione della “conoscenza”. Non mi avventuro certo su terreni filosofici miranti a definire la dimensione della “conoscenza” come una struttura perenne e ineliminabile dell’umanità, ma è certo almeno che all’orizzonte non è percepibile alcun segnale che possa nemmeno lontanamente far presagire l’imminenza di una caduta della sua utilità sociale. Se dunque è immaginabile che “libri a stampa” e “biblioteche” in un futuro prossimo possano venir messi in disparte, mi sembra certo che i processi di formazione, condensazione e trasmissione della conoscenza continueranno a essere aspetti ai quali le comunità civili dovranno prestare la massima attenzione. Aspetti ai quali sarà necessario riservare spazî reali, siano essi spazî fisici, spazî virtuali o digitali. Altrettanto essenziale sarà investire in essi risorse e dedicare competenze specifiche e adeguate. Potrà non essere più necessario leggere un libro, ma resterà ancora indispensabile leggere, studiare, conoscere, incontrare gli altri e confrontarsi con le loro esperienze. E per far questo, tra le altre cose, sarà necessario (anzi indispensabile) l’apporto di professionalità specifiche, duttili e di alta competenza.
Di fronte al forse inevitabile ridimensionamento numerico e di rilevanza sociale delle biblioteche, mi sembra allora che l’atteggiamento più adeguato non sia né quello dello sconforto e né quello della rassegnazione. In questo mi torna di aiuto un insegnamento di sant’Agostino che, dinanzi alle rovine della città di Roma, seppe porre in evidenza come la grandezza di una città consista non tanto nelle sue costruzioni, quanto nelle qualità dei suoi cittadini. Lo stesso si può dire per la questione che stiamo affrontando: se l’attuale strutturazione delle biblioteche è destinata a essere superata, la dimensione culturale dei professionisti delle biblioteche si trova invece dinanzi a una sfida, certo impegnativa, ma sotto tanti aspetti entusiasmante, che le giovani bibliotecarie e i giovani bibliotecarî devono senz’altro raccogliere e portare avanti, investendo in essa le proprie energie, le proprie idee e le proprie capacità. Una sfida che da tanti indizî quotidiani verifico che i giovani colleghi stanno concretamente e coraggiosamente ingaggiando.
La comunità bibliotecaria, per esempio, da alcuni anni ha inaugurato un’interessante percorso professionale su una dimensione peculiare della professionalità. Mi riferisco al campo, definito con un anglismo, come Information Literacy, al quale la letterale trasposizione in italiano come “competenza informativa” non rende per nulla giustizia. Si tratta in realtà della capacità professionale di identificare, individuare, valutare, organizzare, utilizzare e comunicare le informazioni e la conoscenza. Mi sembra questo il naturale sbocco della professionalità bibliotecaria, che potrà svolgersi in un luogo fisico come la biblioteca o attraverso la mediazione di una struttura digitale on-line, che tuttavia non potrà fare a meno di una raffinata capacità di selezionare le risorse informative e conoscitive disponibili materialmente o in rete, di valutarne la qualità e di proporle e renderle disponibili secondo le esigenze del pubblico richiedente. Un’attività che sarà necessario graduare per campi di ricerca e per livelli d’interesse (ricerca, competenza, divulgazione, informazione, ecc.).
Lo stesso dicasi per la vasta sperimentazione in corso sugli approccî bibliometrici, di analisi citazionale, con l’approntamento in questo settore di studio, di strumenti di valutazione della qualità dei contributi, come quello dell’impact factor. Un metodo che, a mio avviso, sarebbe opportuno provare a estendere dal campo della ricerca (a cui è di preferenza sinora applicato) a terreni più generali e diversificati.
In quest’ottica mi sembra si muova anche l’evoluzione vissuta in questi ultimi anni dall’AIB, l’Associazione italiana biblioteche, che ha accentuato notevolmente la propria dimensione professionale, attraverso una selezione e un monitoraggio dell’offerta professionale dei proprî associati. La scommessa intesa a garantire un’elevata qualità dell’offerta professionale messa a disposizione del mondo delle biblioteche mi sembra il segno che si è imboccato il sentiero giusto per porre nel dovuto risalto la dimensione culturale a tutto tondo di chi lavora in biblioteca.
La valorizzazione, infine, di chi professionalmente opera in biblioteca, mi sembra anche la garanzia più solida e più credibile per affermare, sul piano deontologico, i valori centrali della professione, quali quelli del diritto universale di accesso alle fonti dell’informazione e della conoscenza. Valori che nelle evoluzioni in corso nella società globale dell’informazione sono tutt’altro che assicurati. In questa sfida naturalmente una categoria professionale che sappia con sapienza, saggezza e lungimiranza delineare il proprio status epistemologico e deontologico e che sia capace, altresì, di ritagliare una propria funzione sociale non facilmente surrogabile può naturalmente dire la sua.

Sergio Sbragia
(domenica, 30 marzo 2014)
 

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