Martedì scorso, 1° aprile 2014, presso la
Biblioteca di Area umanistica dell’Università degli studî di Napoli “Federico
2°”, si è svolta una tavola rotonda in occasione dei 50 anni de “Il Tetto”, la
rivista del dissenso cattolico, nata a Napoli negli anni del Concilio, che negli
ultimi decennî ha seguìto con puntualità e passione la vita ecclesiale,
politica, sociale e civile di Napoli e della Campania.
L’incontro più che una mera celebrazione,
è stato l’occasione per una riflessione a più voci circa il rilievo e il
significato di una partecipazione critica e consapevole sia sul piano
ecclesiale che su quello civile.
Ha aperto i lavori Pasquale Colella, il
promotore e animatore instancabile della rivista, che ha richiamato i temi
principali che hanno contraddistinto le battaglie appassionate condotte da “Il
Tetto” in questi 50 anni.
Il primo è stato quello di “portare a Napoli
il Concilio”, cosa non facile dinanzi all’atteggiamento di chiusura assunto
dalle istituzioni ecclesiali locali, che di fatto preferivano seguire una linea
di sostanziale silenzio sulle novità introdotte dal Concilio. Da qui il via a
una serie di chiusure e censure operate dalla chiesa ufficiale nei confronti
del cenacolo d’intellettuali che, dalla metà degli anni ’60, si andò a
raccogliere intorno all’esperienza della rivista.
Un’esperienza che ebbe poi modo di
svilupparsi intorno a temi delicatissimi della vita civile ed ecclesiale, nello
sforzo costante di declinare e testimoniare uno stile di corretta relazione tra
i valori della vita di fede e quelli della vita sociale, civile e politica,
quali:
- la critica al sistema concordatario;
- l’impegno per il superamento dell’unità politica dei cattolici;
- il contributo di riflessione offerto, in concomitanza con il referendum sul divorzio, in favore di una cultura della distinzione tra il piano della libera scelta etico-religiosa e quello delle norme giuridiche;
- l’attenzione appassionata alle vicende travagliate della vita cittadina, sospese tra magmatici tentativi di rinnovamento e dolorose esperienze di fallimento.
- la critica al sistema concordatario;
- l’impegno per il superamento dell’unità politica dei cattolici;
- il contributo di riflessione offerto, in concomitanza con il referendum sul divorzio, in favore di una cultura della distinzione tra il piano della libera scelta etico-religiosa e quello delle norme giuridiche;
- l’attenzione appassionata alle vicende travagliate della vita cittadina, sospese tra magmatici tentativi di rinnovamento e dolorose esperienze di fallimento.
Il tutto in 50 anni di testimonianza
realizzata seguendo uno stile improntato al “dialogo”; un dialogo condotto
senza preclusioni con uomini e donne anche di diversa provenienza politica,
culturale e religiosa, con la sola finalità di insieme meglio comprendere la
realtà.
Procolo Mirabella ha poi coordinato e
stimolato gli interventi successivi. Il primo dei quali è stato offerto da
Guido D’Agostino, che ha tenuto a porre in evidenza un elemento caratteristico
che contraddistingue l’esperienza di una rivista, quello dell’“ansia”. A
differenza della predisposizione di uno studio monografico o di un libro, una
rivista è fortemente condizionata dal fattore tempo. Il lavoro di una rivista
con l’esigenza ricorrente di pubblicare il “numero”, di rispettare la
periodicità, da qui l’“ansia” del tempo. Nel caso de “Il Tetto”, oltre questa
sfida ampiamente superata per 50 anni, emerge anche una singolarità che la
rende del tutto originale nel panorama della pubblicistica periodica
partenopea. “Il Tetto” non ha perseguito l’intento di affermare un’“egemonia”
quanto quello di operare una “contaminazione” tra culture e sfere valoriali differenziate
e, spesso, anche contrapposte. E forse qui sta il segreto, nonostante la lunga
strada percorsa, della persistente novità della proposta che “Il Tetto” offre
alla comunità cittadina.
Nel successivo intervento, Aldo Masullo,
prendendo spunto dal carattere di assoluta libertà di pensiero, testimoniato
dall’esperienza de “Il Tetto”, con la scelta di esprimere con grande onestà
intellettuale il proprio dissenso rispetto a impostazioni precostituite offerte
dalla struttura ecclesiastica, ha illustrato con grande lucidità e chiarezza,
la natura essenzialmente e necessariamente conflittuale della relazione
sussistente tra persone e gruppi, che vivono le proprie scelte esistenziali e
valoriali con elevato grado di consapevolezza, e le formazioni sociali (le “chiese”)
che tali scelte valoriali si propongono di rappresentare. Le organizzazioni (le
“chiese”) tendono a dare rilievo agli aspetti dell’appartenenza, dell’uniformità,
dell’efficacia. I singoli e i gruppi puntano invece sull’essenzialità e sull’autenticità
dei valori e delle idee. Le due prospettive vivono inevitabilmente una
dialettica conflittuale, generatrice di sofferenza e travaglio umano,
spirituale e intellettuale.
Nel successivo intervento Ermanno Rea, proprio
a testimonianza del valore del dissenso critico, consapevole e appassionato, ha
voluto ricordare i tratti particolari di un’esperienza dolorosa di dissenso
vissuta negli anni ’50, all’interno del Partito Comunista, da un gruppo di intellettuali
napoletani: il gruppo Gramsci, animato da Guido Piegari. L’emarginazione subìta
da tale gruppo, in nome della cosiddetta “ortodossia di partito”, pone in evidenza
come la libera e onesta espressione di pensiero spesso faccia fatica a essere
riconosciuta per quello che essa è in realtà: un contributo per meglio
realizzare le ragioni dello stare insieme.
In conclusione, quella di martedì scorso è
stata un’occasione di riflessione che ci ha offerto strumenti essenziali per
saper leggere correttamente, nell’àmbito
di esperienze di movimento e d’impegno, la dialettica tra “i credenti e appartenenti”,
“i credenti, non appartenenti” e “gli appartenenti, non credenti”, ricordando che
l’essenziale non è “il dichiarare”, ma l’andare nel campo.
Infine, la lunga strada percorsa da “Il
Tetto” è un esempio che smentisce la diffusa convinzione che la perseveranza
non sia una virtù napoletana.
A Pasquale Colella e agli amici de “Il
Tetto” un grazie sincero e tanti, tantissimi augurî.
Sergio Sbragia
sabato, 5 aprile 2014
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