martedì 29 aprile 2014

Suggerimento di lettura : Il Vangelo della famiglia









Sempre sul tema delicatissimo dell’interdizione dalla mensa eucaristica attualmente vigente nei confronti dei fedeli divorziati e risposati, in questi giorni ho avuto la significativa opportunità di leggere un altro contributo di grande rilievo, del quale consiglio senza dubbio la lettura:

Papa Francesco – Primo concistoro : Il Vangelo della famiglia : La relazione Kasper e il dibattito sulla comunione ai divorziati risposati / Giovanni Cereti. – «Il Regno : quindicinale di attualità e documenti : Attualità», 59. (2014) 06, p. 148-150.

Come per il pezzo di Raniero La Valle, del quale ho dato conto alcuni giorni fa, anche quest’articolo di Giovanni Cereti (che ai temi della famiglia e del matrimonio ha dedicato anni studio e di riflessione) prende l’avvio dalla scelta di papa Francesco di conferire, nel quadro della prospettiva di rinnovamento complessivo che sta proponendo all’intera comunità ecclesiale, una priorità e un rilievo del tutto particolari ai temi del matrimonio e della famiglia, che senza dubbio oggi sono investiti da dinamiche e tensioni che, sul piano ecclesiale, non è possibile sottovalutare né continuare a ignorare.
Segno di quest’orientamento di papa Francesco è la convocazione dell’Assemblea straordinaria del Sinodo mondiale di vescovi, che si aprirà nel prossimo autunno e dovrà concludersi nella seconda metà del 2015, e che, per le modalità inedite di preparazione poste in atto e quelle di svolgimento previste, sembra destinato a produrre, su tali temi di grande delicatezza umana e pastorale, delle decisioni ampiamente sentite e condivise nel corpo ecclesiale.
Nella consapevolezza della rilevanza nel quadro della vita cristiana dei temi del matrimonio e della famiglia e della necessità di un adeguato tempo di maturazione per consentire su tali temi un’autentica metànoia, papa Francesco ha scelto che la riflessione in proposito fosse aperta da sùbito, già nel Concistoro dello scorso febbraio, ove il tema è stato introdotto dal card. Walter Kasper.
Nella sua relazione introduttiva, in effetti, il card. Kasper ha posto in evidenza come sia particolarmente importante essere capaci di riscoprire la lieta novella di Gesù intorno alla famiglia. E questo è particolarmente vero nell’odierna crisi antropologica e culturale che, accanto a un grande numero di positive esperienze familiari, registra anche tanti casi di paura a dar vita a una nuova famiglia, nonché tanti fallimenti di progetti di vita avviati anche sotto i migliori auspicî.
Nella prima parte della sua presentazione, dedicata alla «famiglia nell’ordine del creato», il card. Kasper, richiamandosi all’insegnamento dell’apostolo Paolo in Rm. 2,14-15 («Quando i pagani, che non hanno la Legge, per natura agiscono secondo la Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono»), prende le mosse da una riflessione che considera la famiglia una realtà e un istituto di diritto naturale, un’impostazione questa che può favorire il dialogo intorno al rispetto della dignità di ogni persona umana  anche all’interno della famiglia. Il card. Kasper, tuttavia, precisa che quanto è riconosciuto sul piano del diritto naturale, riceve un’interpretazione concreta nella rivelazione, nella seconda tavola del Decalogo, ma soprattutto grazie ai due racconti della creazione di Genesi (cc. 1-2), che offrono la rivelazione del disegno di Dio sull’uomo e sulla donna, creati a immagine di Dio e donati da Dio l’uno per l’altra. Ciò non toglie che la Scrittura pone in evidenza anche l’esperienza umana del peccato, che travolge anche i rapporti fra uomo e donna e la stessa realtà della famiglia. La rivelazione cristiana mostra poi come Gesù assuma il matrimonio e la famiglia nell’ordine della redenzione dell’umanità, tanto che «l’alleanza stretta tra i coniugi diventa segno e sacramento dell’alleanza di Dio con il suo popolo che si è compiuta in Gesù Cristo».
Entrando più nel merito degli aspetti di maggiore problematicità del matrimonio, che come sacramento è sia via di guarigione dal peccato, sia àmbito di effusione della grazia, il card. Kasper sottolinea come afferisca alla dimensione più piena della dignità della persona umana la possibilità di poter assumere delle decisioni definitive, che contrassegnano in forma permanente la storia personale.  È tuttavia verificabile che è concreta esperienza umana anche il venir talora meno a scelte di dimensioni definitive. Ciononostante  è necessario aver presente che, grazie alla misericordia di Dio, sono sempre possibili il perdono, la guarigione e un nuovo inizio.
A questo punto, nel quadro della presentazione della famiglia come chiesa domestica, si ricorda «che ogni cristiano, sposato o no, abbandonato dal proprio partner o cresciuto da bambino o da giovane  senza contatti con la propria famiglia, non è mai solo o smarrito, è di casa in una nuova famiglia di fratelli e sorelle», la comunità ecclesiale. In effetti, il Vangelo della famiglia trova la sua concretizzazione nella chiesa domestica e non bisogna dimenticare che la chiesa dei primi secoli si è incarnata proprio nelle chiese domestiche, che, sia pur in forme diverse si sono riproposte in tutte le epoche e fino a oggi.
Giungendo ad affrontare il problema dei divorziati risposati, il card. Kasper, pur evidenziando che si tratta di un problema relativamente nuovo, sorto dopo l’introduzione nelle nostre società dell’istituto del matrimonio civile, sottolinea con forza che è un problema che va affrontato nel contesto di una pastorale matrimoniale e familiare globalmente considerata. A questo proposito assume una posizione molto chiara: «tutti sanno che esistono situazioni in cui ogni ragionevole tentativo di salvare un matrimonio risulta vano. L’eroismo dei coniugi abbandonati che rimangono soli e vanno avanti da soli merita la nostra ammirazione e sostegni. Ma molti coniugi abbandonati dipendono, per il bene dei figlî, da un nuovo rapporto e da un matrimonio civile, al quale non possono rinunciare senza nuove colpe. Spesso, dopo le esperienze amare del passato, queste relazioni fanno provare loro nuova gioia, addirittura talvolta vengono percepite, come dono dal cielo».
Di fronte a questa realtà il card. Kasper sottolinea la piena consapevolezza del non poter venir meno alle parole del Signore sul matrimonio e alla tradizione viva della Chiesa, ma anche dell’esigenza di essere pienamente fedeli alla misericordia di Dio, per la quale non esiste situazione umana che sia assolutamente priva di speranza e di soluzione. Questa situazione ricorda, secondo il card. Kasper, una situazione in parte analoga con quella vissuta dalla comunità ecclesiale all’epoca del Concilio ecumenico Vaticano 2°. Anche allora, in  merito a temi di grande rilevanza quali l’ecumenismo e la libertà religiosa, ci si venne a trovare dinanzi a encicliche e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere ogni possibile evoluzione. L’assemblea conciliare, di fronte alle sollecitazioni ineludibili provenienti dalla società dell’epoca, con l’assistenza dello Spirito, seppe individuare i sentieri più adatti per rispondere alle nuove esigenze proposte dalla storia senza venir meno alla tradizione della fede apostolica.
Un compito analogo si pone oggi dinanzi alla comunità ecclesiale proprio a proposito della questione dei fedeli divorziati e risposati. Rispetto a questa sfida il card. Kasper, premettendo che non si può individuare una soluzione univoca valida per ogni caso, visto che i casi sono notevolmente differenti tra loro, propone due possibili piste di soluzione.

La prima ipotesi di soluzione riguarda l’attività dei tribunali ecclesiastici nel giudicare le eventuali ragioni di nullità matrimoniale, nei cui riguardi sottolinea l’esigenza di considerare se può realmente sussistere la realtà sacramentale del matrimonio, se questo viene contratto senza fede o senza la piena e consapevole accettazione dei valori della fedeltà e dell’indissolubilità quali tratti essenziali del matrimonio cristiano.
In merito a questa prima pista di soluzione, proposta dal card. Kasper, mi sembra opportuno richiamare la sostanziale messa in guardia operata da Raniero La Valle nel suo contributo Gesù e la donna dai cinque mariti, di cui ho dato conto mia riflessione di sabato 26 aprile scorso. La Valle sostiene che quella dell’estensione oltre misura dei casi di nullità matrimoniale sarebbe una falsa soluzione. Negando la piena realtà sacramentale di un maggior numero di matrimonî, rispetto a quanto avviene oggi, solo in apparenza si darebbe una risposta al vero problema che si pone. Certamente molti coniugi cristiani potrebbero risposarsi, le componenti ecclesiali contrarie a un’evoluzione dottrinale vedrebbero pienamente salvaguardato il principio dell’indissolubilità e la struttura istituzionale della Chiesa manterrebbe la potestà di pronunciarsi al più alto livello in materia di validità e nullità matrimoniale. Ma, a giudizio di La Valle, sul piano etico è di certo più significativo un divorzio contrassegnato dalla sofferenza e dal riconoscimento di un insuccesso piuttosto che la possibile finzione di un matrimonio reale e ricco di valori negato come non sussistente sin dall’origine. D’altronde anche lo stesso card. Kasper è convinto che «molti divorziati non vogliono la dichiarazione di nullità. Dicono: abbiamo vissuto insieme, abbiamo avuto figlî; questa era una realtà, che non si può dichiarare nulla, spesso solo per ragione di mancanza di forma canonica del primo matrimonio». Allora appare inevitabile confrontarsi con la vera questione, che è quella dell’avvenuta dissoluzione di un matrimonio tra battezzati, pienamente valido sotto il profilo della disciplina canonica, che tuttavia non è riuscito a mantenere nel tempo la stabilità del legame coniugale.

La seconda pista di soluzione, suggerita dal card. Kasper, fa invece diretto riferimento alla prassi penitenziale della Chiesa antica, che soleva offrire un’opportunità di salvezza anche ai responsabili dei peccati più gravi. È il caso, per esempio, dell’atteggiamento assunto nei confronti di fedeli che avevano compiuto gesti oggetto di grave considerazione morale, quali l’apostasia nel corso di una persecuzione (è il caso dei cosiddetti lapsi) e l’adulterio, inteso come abbandono del coniuge per contrarre un altro matrimonio. Questo atteggiamento di tolleranza è testimoniato da varî padri della Chiesa, poiché questa prassi assunse una notevole rilevanza nel corso della controversia con l’impostazione rigorista praticata dai novaziani (seguaci dell’antipapa Novaziano del 3° sec.), che escludevano nella forma più assoluta dalla comunione apostati, omicidi e adulteri, anche se profondamente pentiti. Questa linea pastorale tollerante fu inoltre riconfermata, sempre in contrapposizione ai novaziani, anche nel Concilio di Nicea. Il canone 8 di questo Concilio, subordinava la riammissione dei novaziani alla comunione ecclesiale all’esplicita sottoscrizione di un impegno a «essere in comunione (ecclesiale ed eucaristica, secondo il nostro linguaggio) con coloro che vivono un secondo matrimonio e con coloro che sono caduti nella persecuzione, una volta che hanno osservato il tempo della penitenza e sono stati riconciliati».

La realtà della Chiesa del 4° sec. (epoca del Concilio di Nicea) presenta un singolare aspetto di analogia con la situazione attuale. Allora, come oggi, i cristiani vivevano in un contesto sociale variegato, ove pagani ed ebrei ammettevano normalmente forme di scioglimento del matrimonio (sia che fosse la pratica del ripudio e quella del divorzio). Di conseguenza era frequente che i cristiani si trovassero, anche nelle stesse comunità, fianco a fianco con fedeli che potevano aver fatto esperienza di scioglimento del vincolo matrimoniale. Rispetto a questa realtà il canone 8 di Nicea costituisce una chiara attestazione di una prassi consolidata nella Chiesa cattolica e apostolica dell’epoca in base alla quale si riammetteva nella comunità, dopo un preciso itinerario penitenziale, gli apostati nella persecuzione e quanti vivevano un secondo matrimonio (tra i quali numerosi dovevano essere anche quanti oggi chiameremmo divorziati risposati).
Prendere sul serio quanto a suo tempo riconosciuto con il canone 8 di Nicea, significherebbe, a giudizio di Giovanni Cereti, «riconoscere alla Chiesa il potere di rimettere tutti i peccati, compreso il gravissimo peccato definito come adulterio nell’Evangelo. Gesù ha ricordato come la monogamia assoluta sia conforme al disegno del Creatore, ma non ha mai dichiarato che questo peccato di adulterio debba essere considerato un peccato contro lo Spirito Santo, non remissibile da chi nella Chiesa ha ricevuto il potere di legare e di sciogliere, per cui questo potere veniva a ragione rivendicato dalla Chiesa dei primi secoli».
Le proposte avanzate dal card. Kasper nel corso del Concistoro hanno naturalmente sollevato numerose obiezioni da parte delle componenti ecclesiali più intransigenti. Nella riflessione che nei prossimi mesi vedrà impegnato l’intero corpo ecclesiale, Giovanni Cereti, sottolineando che nessuno intende porre in discussione il valore dell’indissolubilità di un matrimonio sacramentale rato e consumato, invita a che questo insegnamento sia compreso in piena coerenza con il messaggio di Gesù sull’infinita misericordia di Dio per chiunque si converte. L’altro invito è quello a tener conto dell’intera tradizione della Chiesa che, come abbiamo visto, sull’argomento in questione non è così unilineare, come a prima vista potrebbe sembrare.
In conclusione, il contributo di Giovanni Cereti si segnala un ottimo approfondimento del delicato tema della possibile riammissione alla mensa eucaristica dei fratelli divorziati e risposati. Fornisce una ricca messe d’informazioni circostanziate. È davvero consigliabile leggerlo per avere un quadro chiaro della questione.
La comunità ecclesiale nel lontano 4° secolo seppe reagire con sapienza pastorale alle derive rigoriste d’ispirazione novaziana. Saprà fare altrettanto la Chiesa del 21° secolo? Io sono convinto di sì!

Sergio Sbragia
Vico Equense, martedì 29 aprile 2014

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