Le cronache di questi giorni sono piene
di riferimenti al tragico stato dell’economia greca e di resoconti delle
pressioni esercitate dalle istituzioni europee e dalle autorità monetarie
internazionali sul governo ellenico, affinché vengano imposte sui cittadini del
paese mediterraneo ulteriori gravi pesi d’ordine economico, in aggiunta a
quelli già sopportati negli ultimi anni.
Uno scenario davvero inquietante che
vede:
- da un lato, il Fondo Monetario Internazionale, lasciare
immotivatamente e irresponsabilmente il tavolo dei negoziati con il governo di
Atene, lanciando così di fatto un messaggio chiaro alla pirateria finanziaria internazionale
voluttuosamente affamata di avere campo libero per attività di speculazione ai
danni dei cittadini ellenici;
- dall’altro, le istituzioni europee che oscillano con
incertezza tra dichiarazioni di disponibilità alla trattativa e pesanti pressioni
politiche che puntano a far accettare al popolo greco di far ingoiare la
pillola di un pesante conto della spesa, col risultato di inficiare gravemente
la stessa positiva iniziativa della Banca Centrale Europea di sostenere la
liquidità del sistema bancario ellenico.
Questo tragico tira e molla ha generato
la corsa agli sportelli bancarî per ritirare i proprî risparmi, con l’effetto
di aggravare ancor più se possibile le condizioni economiche del paese. Il
risultato è stato quello della decisione di fermare l’attività bancaria e la
sostanziale limitazione dell’attività economica al solo àmbito della liquidità
contante, con la riscoperta anche della funzione del baratto. E tutto questo in
barba alla vanagloria dei circoli economici a
la page che in questi anni ci hanno subissato di odî laudatorie dell’economia
immateriale, delle carte di credito, dei pagamenti on-line e dei prodotti
finanziarî agili.
Oggi, in Grecia, si può mettere qualcosa
a tavola, se si è tra i pochi fortunati a disporre di un gruzzoletto in
contanti.
Mi complimento davvero, con le teste d’uovo
di Strasburgo e di Brexelles, per i lusinghieri risultati economici conseguiti!
Sono certo che un gruppo di sagge massaie, abituate a far quadrare i modesti conti
di casa, avrebbero fatto di più e meglio.
E che dire poi del circolo dei leaders politici europei. Un vero ‘e
proprio «cenacolo della mediocrità», connotato dall’incapacità di partorire
disegni politici e idee guida di una qualche genialità, nonostante la
preoccupazione di inondare i circuiti mediatici di sciocchezze, di vuota
arroganza, di litigiosità inutile, di pezzi d’avanspettacolo di pessima qualità.
Una sciocchezza resta tale anche sia se viene proclamata in una solenne conferenza
stampa, sia se è lanciata in un tweet, sia se è proclamata in un blog.
Quello che manca drammaticamente è l’onesta
e attenta ricerca del “bene comune”. Una pista quest’ultima che porta ad
anteporre il bene dei popoli, non solo agli interessi ristretti, ma anche alle
diversità nazionali, ai privilegî di pochi, alle contrapposizioni, all’arroganza
di potere, all’aggressività insulsa, parolaia e inconcludente.
Del tutto illusoria è poi la mira, da
nessuno proclamata, ma perseguìta da molti circoli della pirateria finanziaria:
liberarsi del peso morto ellenico e poter così proseguire senza problemi sulla
via della concentrazione della ricchezza.
Ma l’economia è una realtà concreta che
molto spesso sfugge ai teoremi da laboratorio proclamati da autoproclamati
cervelloni in materia.
L’uscita della Grecia dall’Euro e/o
anche dall’Unione europea, sarebbe in realtà più un problema per l’Europa e l’Euro,
che non tanto per la Grecia. I fenomeni che maldestramente i soloni monetarî
hanno indotto nel paese ellenico sono dotati di una pericolosa contagiosità,
insensibile ai cordoni di sicurezza sanitaria, perché (a differenza del
contagio biologico) fondata su una trasmissione non materiale (cioè realizzata attraverso
transazioni economiche reali), ma su una trasmissione immateriale, quella della
paura. E la paura scavalca ogni barriera protezionistica. Basta un’antenna televisiva
e l’irresponsabilità di qualche pseudo-leader che non sa far politica (e questi
in Europa purtroppo abbondano).
E
la paura, purtroppo, inizia a serpeggiare. Basti pensare a quella che si è
diffusa per la convocazione sul tema in questione di una consultazione
referendaria in Grecia. In molti si sono stracciate ipocritamente le vesti per
questa scelta operata dal governo ellenico. Mi sembra davvero paradossale che
sul conto della spesa possono parlare tutti: pirati finanziarie, inattendibili
agenzie di rating, politicanti di modesta statura (non sono più i tempi di Willi
Brandt, di Mitterand o di MacMillan). Gli unici a cui si vuol negare il diritto
di dire la propria sono coloro ai quali si pretende di far pagare il conto.
Siamo molto attenti a monitorare l’andamento
degli indicatori economici. Puntualmente la sola previsione (badate bene “la
previsione”, non la verifica “di un risultato reale”) di un miglioramento della
seconda cifra decimale (la seconda dopo la virgola) di un indicatore economico,
fornisce la stura a una serie ripetitiva e patetica di dichiarazioni di
autocompiacimento “cafone” che pateticamente tenta di appropriarsi del merito
del modesto (ma svenduto come eccezionale) risultato conseguìto. Dichiarazione
che puntualmente il giornalismo dei nostri giorni ci riversa sulle tv, sulla
carta stampata e sulla rete, senza alcuna voce critica di riflessione autentica,
eccezion fatta per la contrapposizione di schieramento precostituito, che si
limita valutazioni riccamente condite di arroganza, aggressività,
spettacolarizzazione e spesso anche insulti, ma purtroppo quasi sempre senza il
becco di un contenuto.
Eppure se si guarda allo scenario
economico di questi anni non è difficile verificare che le economie in reale
crescita (quelle che conseguono risultati di crescita annua che vanno oltre il
5%) sono quelle che determinano un miglioramento reale nel condizioni di vita
dei cittadini. Certamente anche in queste realtà sono presenti grandi
contraddizioni. Sono perfettamente consapevole che l’economia non fa rima con
la beneficenza. Ma è fondamentale essere altrettanto consapevoli che il
rispondere alle esigenze materiali e reali delle popolazioni sia un formidabile
volano economico capace di generare domanda aggregata forte e continuativa,
unico fattore capace di garantire ritmi significativi di sviluppo nel medio e
nel lungo termine.
Di qui la necessità d’interventi
politici di grande spessore (a livello nazionale, europeo e del mondo
occidentale) capaci di orientare i mercati finanziarî verso l’economia dell’utile,
del necessario e del doveroso, favorendo il suo progressivo ma reale disimpegno
dagli àmbiti del futile, dell’inutile, del dannoso e del momentaneo, intorno ai
quali da troppi lunghi anni si sono concentrati con i drammatici esiti che oggi
stiamo purtroppo verificando.
Invece di correre dietro a eventi
momentanei che alimentano solo la corruzione e il malaffare, come abbiamo visto
per l’Expo e i Mondiali di calcio, e producono al massimo un effetto
temporaneo, destinato inevitabilmente a esaurirsi nel tempo. Una sorta di
effetto droga, che smaltita la momentanea euforia, fa ricadere la realtà
economica in una successiva e difficile crisi da astinenza.
Invece assumere coraggiose decisioni
capaci di incoraggiare serî investimenti per migliorare le condizioni di vita
reale del popolo greco, ma anche degli altri paesi europei in maggiore difficoltà
(compreso il nostro), oltre a essere l’unica e la sola prospettiva rispondente alle
finalità istituzionali dell’Unione europea, costituisce anche una scelta di
politica economica di grande respiro, che si rivelerà, alla lunga, un vero
affare per l’economia europea.
È necessario tuttavia che la classe
politica europea dimostri di possedere “gli attributi” necessarî per
determinare un cambiamento epocale.
Parafrasando un nobile motto
risorgimentale, mi sento di sottolineare che “Se è stata fatta l’Europa, ora è doveroso
fare gli Europei”.
L’Europa si vanta di fondarsi sugli
ideali democratici (e questo non è del tutto falso). Ma la paura di un
referendum, il rifiuto di dar vita a un programma autentico di sostegno e
solidarietà, la scelta di porre al bando pretesi “pesi morti”, sono segni
gravissimi e reali di una rottura con una vera cultura democratica.
Non dimentichiamo che la “democrazia” ha
emesso i suoi primi vagiti sull’Acropoli di Atene.
Pertanto io mi sento oggi più che mai “cittadino
di Atene”.
Sergio
Sbragia
lunedì,
29 giugno 2015