Suggerimento
di lettura
«Ebrei» ed «Ellenisti» nella Chiesa di Gerusalemme / Gerard Rossé. – in «Rivista Biblica», 62. (2014) 4, 519-540.
Davvero stimolante l’approfondimento condotto da Gerard Rossé in
questo contributo, nel quale ha tentato di ricostruire i connotati delle
relazioni intercorrenti, entro la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme,
tra le componenti, entrambe d’estrazione giudaica, ma una espressione del
giudaismo consolidato in Palestina e l’altra manifestazione della diàspora
giudaica nella grande area della koiné
ellenistica (di qui la definizione di «ellenisti»).
Rossé prende le mosse dall’episodio narrato negli “Atti degli apostoli” (6,1-7), dove si dà
conto della vicenda che ha portato alla costituzione del gruppo denominato “dei
Sette” scelti per provvedere al servizio delle mense.
«In
quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca
mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana,
venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei
discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di
Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di
buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo
incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della
Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano,
uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone,
Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. 6Li
presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la
parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si
moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva
alla fede» (At.
6,1-7).
Da questo brano apprendiamo dell’esistenza nella primitiva
comunità gerosolomitana di due gruppi, uno di lingua ebraica («ebrei») e
l’altro di lingua greca («ellenisti») e dell’insorgere tra questi due gruppi di
una tensione originata, secondo Luca, da una forma di trascuratezza nei
confronti delle vedove elleniste nei servizî quotidiani di aiuto.
In relazione a quest’episodio, Rossé si chiede se esso possa
essere il segno dell’esistenza, all’interno dell’originaria chiesa di
Gerusalemme di contrapposizioni afferenti anche ad aspetti riferiti ai
contenuti dell’annuncio evangelico (quelli che oggi definiremmo aspetti
dottrinarî).
A tale scopo Rossé traccia il profilo di alcune configurazioni
comunitarie che si sono affermate, sono coesistite e/o susseguite nel volgere
di pochi anni nella prima chiesa di Gerusalemme: la «Chiesa dei Dodici» (la
comunità nascente di lingua aramaica, che ha il suo punto di partenza nell’apparizione
di Gesù risorto, nella sua signorìa pasquale e parùsiaca, a Pietro e ai Dodici),
la «Chiesa di Giacomo» (dizione che connota la fisionomìa della comunità di
Gerusalemme, quando, non più guidata da Pietro, troverà in Giacomo, il «fratello
del Signore», la figura più autorevole), la «Chiesa dei Sette» (per indicare
quel gruppo di giudeocristiani che, a motivo della lingua, frequentava le
sinagoghe ellenistiche e s’incontrava in dimore private dove si parlava in
greco).
Rossé approfondisce poi come questa composita realtà della prima
comunità di Gerusalemme ha fatto i conti con i fenomeni di persecuzione che ben
presto si sono fatti sentire e, dei quali, la lapidazione di Stefano è senza
dubbio l’evento più emblematico. Fenomeni di persecuzione che sembrano aver
colpito prevalentemente la componente ellenistica, in gran parte costretta a
lasciare la città, e meno la componente della cosiddetta chiesa degli apostoli.
Qui Rossé si sofferma operando una valutazione della portata di
questi fenomeni persecutorî, concludendo per un loro carattere sostanzialmente
episodico, ma ancorandoli comunque a una prima percezione che la mediazione
salvifica di Gesù fosse, in definitiva, sostitutiva della mediazione della Torah, e, quindi inaccettabile per la
fede giudaica.
È questa l’occasione anche per un interessante approfondimento
sul ruolo di Saulo/Paolo, prima e dopo l’evento occorso sulla via di Damasco,
sia in rapporto ai fenomeni persecutorî, sia con riguardo alle sue relazioni
con le due componenti della comunità cristiana.
Segnalo, infine, due punti particolari del contributo di Rossé,
dai quali è possibile ricavare due eccezionali lezioni del metodo esegetico
seguìto autorevolissimo studioso e maestro.
Mi riferisco, in primo luogo, all’analisi del brano di At. 8,1-4
(a p. 533) del quale viene posto in evidenza come esso sia un esempio di
composizione a incastro, che conferisce al testo un carattere di transizione
che collega il racconto precedente con quelli successivi: la conversione di
Paolo (At. 9,1-19), la missione in Samarìa (At. 8,5-8) e la fondazione della
chiesa di Antiòchia (At. 11,19-21).
In secondo luogo mi sembra giusto porre nel dovuto rilievo l’acutezza
con cui Rossé riscontra nello sviluppo narrativo degli Atti degli apostoli, articolato secondo la logica causa-effetti,
come ordinariamente Luca conosca gli effetti, ma ignori le loro cause (p. 535).
Un saggio, questo di Gerard Rossé, che merita senz’altro d’essere
letto e studiato con grande attenzione.
Sergio Sbragia
Vico Equense, sabato 27 giugno 2015
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