sabato 27 giugno 2015

«Ebrei» ed «Ellenisti» nella Chiesa di Gerusalemme



Suggerimento di lettura



«Ebrei» ed «Ellenisti» nella Chiesa di Gerusalemme / Gerard Rossé. – in «Rivista Biblica», 62. (2014) 4, 519-540.



Davvero stimolante l’approfondimento condotto da Gerard Rossé in questo contributo, nel quale ha tentato di ricostruire i connotati delle relazioni intercorrenti, entro la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, tra le componenti, entrambe d’estrazione giudaica, ma una espressione del giudaismo consolidato in Palestina e l’altra manifestazione della diàspora giudaica nella grande area della koiné ellenistica (di qui la definizione di «ellenisti»).

Rossé prende le mosse dall’episodio narrato negli “Atti degli apostoli” (6,1-7), dove si dà conto della vicenda che ha portato alla costituzione del gruppo denominato “dei Sette” scelti per provvedere al servizio delle mense.



«In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. 6Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede» (At. 6,1-7).



Da questo brano apprendiamo dell’esistenza nella primitiva comunità gerosolomitana di due gruppi, uno di lingua ebraica («ebrei») e l’altro di lingua greca («ellenisti») e dell’insorgere tra questi due gruppi di una tensione originata, secondo Luca, da una forma di trascuratezza nei confronti delle vedove elleniste nei servizî quotidiani di aiuto.

In relazione a quest’episodio, Rossé si chiede se esso possa essere il segno dell’esistenza, all’interno dell’originaria chiesa di Gerusalemme di contrapposizioni afferenti anche ad aspetti riferiti ai contenuti dell’annuncio evangelico (quelli che oggi definiremmo aspetti dottrinarî).

A tale scopo Rossé traccia il profilo di alcune configurazioni comunitarie che si sono affermate, sono coesistite e/o susseguite nel volgere di pochi anni nella prima chiesa di Gerusalemme: la «Chiesa dei Dodici» (la comunità nascente di lingua aramaica, che ha il suo punto di partenza nell’apparizione di Gesù risorto, nella sua signorìa pasquale e parùsiaca, a Pietro e ai Dodici), la «Chiesa di Giacomo» (dizione che connota la fisionomìa della comunità di Gerusalemme, quando, non più guidata da Pietro, troverà in Giacomo, il «fratello del Signore», la figura più autorevole), la «Chiesa dei Sette» (per indicare quel gruppo di giudeocristiani che, a motivo della lingua, frequentava le sinagoghe ellenistiche e s’incontrava in dimore private dove si parlava in greco).

Rossé approfondisce poi come questa composita realtà della prima comunità di Gerusalemme ha fatto i conti con i fenomeni di persecuzione che ben presto si sono fatti sentire e, dei quali, la lapidazione di Stefano è senza dubbio l’evento più emblematico. Fenomeni di persecuzione che sembrano aver colpito prevalentemente la componente ellenistica, in gran parte costretta a lasciare la città, e meno la componente della cosiddetta chiesa degli apostoli.

Qui Rossé si sofferma operando una valutazione della portata di questi fenomeni persecutorî, concludendo per un loro carattere sostanzialmente episodico, ma ancorandoli comunque a una prima percezione che la mediazione salvifica di Gesù fosse, in definitiva, sostitutiva della mediazione della Torah, e, quindi inaccettabile per la fede giudaica.

È questa l’occasione anche per un interessante approfondimento sul ruolo di Saulo/Paolo, prima e dopo l’evento occorso sulla via di Damasco, sia in rapporto ai fenomeni persecutorî, sia con riguardo alle sue relazioni con le due componenti della comunità cristiana.

Segnalo, infine, due punti particolari del contributo di Rossé, dai quali è possibile ricavare due eccezionali lezioni del metodo esegetico seguìto autorevolissimo studioso e maestro.

Mi riferisco, in primo luogo, all’analisi del brano di At. 8,1-4 (a p. 533) del quale viene posto in evidenza come esso sia un esempio di composizione a incastro, che conferisce al testo un carattere di transizione che collega il racconto precedente con quelli successivi: la conversione di Paolo (At. 9,1-19), la missione in Samarìa (At. 8,5-8) e la fondazione della chiesa di Antiòchia (At. 11,19-21).

In secondo luogo mi sembra giusto porre nel dovuto rilievo l’acutezza con cui Rossé riscontra nello sviluppo narrativo degli Atti degli apostoli, articolato secondo la logica causa-effetti, come ordinariamente Luca conosca gli effetti, ma ignori le loro cause (p. 535).

Un saggio, questo di Gerard Rossé, che merita senz’altro d’essere letto e studiato con grande attenzione.



Sergio Sbragia

Vico Equense, sabato 27 giugno 2015

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