domenica 11 dicembre 2016

Caro Matteo, perché volgersi indietro quando si è posto mano all’aratro?



scusa, ma cerco sempre di esprimere le mie posizioni con la massima franchezza e chiarezza, il tutto nel pieno rispetto delle opinioni divergenti dalle mie.
Sono un elettore e un sostenitore convinto del Partito democratico. Alle ultime primarie per l’elezione del segretario nazionale non ho espresso un voto a tuo favore e con alcuni precedenti messaggî aperti, analoghi al presente, ho già avuto modo di manifestarti le ragioni del mio dissenso su varie scelte politiche da te compiute.
In primo luogo, a suo tempo, ho criticato la scelta di abbandonare l’incarico di Sindaco della città di Firenze prima della sua naturale scadenza. Ero e sono convinto che gli incarichi politici vanno portati sino in fondo nel merito e nei tempi istituzionali previsti. Ne va del rispetto del mandato ricevuto dagli elettori. L’abbandono prematuro di un incarico può, a mio modesto parere, essere giustificato solo per ragioni di forza maggiore, non certo per accedere ad altri e diversi incarichi.
In una seconda occasione ti ho manifestato il mio dissenso per la scelta di cumulare sulla tua persona sia l’incarico di segretario nazionale del nostro partito, sia quella di Presidente del Consiglio dei ministri, nella convinzione che il confluire di tali incarichi sulla stessa persona produce confusione e impedisce la distinzione istituzionale delle funzioni di governo del paese e di quelle di singola parte politica. Non solo, la rappresentanza pubblica delle posizioni del partito, per ovvie ragioni, finisce in sostanza per passare in secondo ordine, rispetto alle esigenze di rappresentanza della funzione di governo del paese.
In terzo luogo ti ho espresso il mio dissenso rispetto alla scelta assenteista operata in occasione del referendum in materia energetica dello scorso 17 aprile, perché ero e sono convinto che la sensibilità democratica, che non è un attributo posticcio per il nostro partito, non può disertare le urne, ma nelle urne esprime in libertà la propria posizione favorevole o contraria all’abrogazione di una norma legislativa, non aggiunge strumentalmente al proprio peso quello dell’astensione fisiologica e non opera in forma organizzata la violazione del principio costituzionale della segretezza del voto (con l’astensione organizzata e massiccia dei sostenitori del “no” in un referendum abrogativo, i verbali dei seggî vengono di fatto a coincidere quasi con elenchi nominativi di sostenitori del “si”).
Ma veniamo a oggi. Di certo la scelta d’intestardirsi su una proposta di riforma della Costituzione, poco coerente, mal costruita, che accanto a temi sostanzialmente condivisibili, quali la soppressione del Cnel, la differenziazione delle funzioni tra le assemblee parlamentari o la composizione numerica del Senato, ha aggiunto l’opzione di sottrarre ai cittadini il potere di eleggere in forma diretta i componenti del Senato e di decidere, sempre in forma diretta, dell’amministrazione di una dimensione territoriale storicamente determinata e identitariamente significativa quale quella provinciale, è stata di certo un’opzione di grave miopìa politica. La Costituzione è una realtà che travalica le responsabilità di governo. Un intervento sulla Costituzione richiede un consenso largo che è necessario oltrepassi con ragionevole ampiezza quello dell’area di governo. La mancata presa d’atto del progressivo assottigliarsi del consenso rispetto alla proposta originaria, un consenso che alla fine è divenuto anche meno ampio della stessa maggioranza di governo, è stata una scelta di ridotta, anzi ridottissima, lungimiranza politica. Ad aggravare le cose sta anche il non aver preso nella dovuta considerazione la possibilità di celebrare la scadenza referendaria in una modalità di quesito multiplo, che avrebbe permesso almeno di portare a casa  l’approvazione di quelle parti della legge di riforma più ampiamente condivise (ma, come ben si sa, chi troppo vuole, alla fine, nulla stringe).
Tutto ciò però non esaurisce l’intero raggio dell’azione di governo realizzata in questi anni. D’altronde noi elettori lo scorso 4 dicembre, ci siamo trovati tra le mani un quesito relativo all’accettazione della legge riforma costituzionale approvata dal Parlamento senza il conseguimento della necessaria maggioranza qualificata. Non abbiamo certo risposto a un quesito circa il gradimento dell’azione del governo da te guidato. Il dedurre dai risultati referendarî un giudizio dell’elettorato sul governo in carica è una consuetudine del dibattito politico e mediatico negativa e di dubbia qualità. Gli elettori lo scorso 4 dicembre hanno semplicemente scelto di confermare il testo precedente della carta costituzionale, non hanno in alcun modo espresso un giudizio (né positivo, né negativo) sul governo in carica. Operare valutazioni di tal genere e, ancor peggio, porre in atto azioni politiche fondandole su di esse significa manipolare e colpire al cuore la sovranità popolare esercitata, in ottemperanza all’art. 1 della Costituzione, secondo le modalità e i limiti da questa stabiliti.
Da qui il mio radicale dissenso rispetto alla tua scelta di rimettere nelle mani del Presidente della Repubblica il mandato di Presidente del Consiglio dei ministri, aprendo una crisi istituzionale priva di qualsivoglia motivazione, se non una piagnucolosa e narcisistica vanagloria, che antepone infantili ripicche personalistiche a un’adulta disponibilità alle ragioni del bene comune del paese. Pur non nutrendo sul piano personale una positiva opinione di tutte e ciascuna le azioni poste in essere, il governo da te presieduto non ha ricevuto alcuna sfiducia né dagli elettori, né dalle aule parlamentari. Avevi pertanto il dovere condurre la sua azione fino alla naturale scadenza delle elezioni politiche. Il gettare in anticipo la spugna, in assenza di motivazioni, significa venir meno al mandato popolare.
Nel caso specifico il tuo venir meno agli impegni assunti ha, inoltre, aggravato i problemi urgenti con i quali il nostro paese deve in questi giorni fare i conti, e ha posto pericolosamente in discussione alcuni impegni di notevole spessore quali i programmi per la ricostruzione delle aree terremotate, la strategìa finalizzata a determinare una politica europea propulsiva della crescita economica, lo sforzo per assicurare condizioni di adeguate di accoglienza e integrazione per i migranti che bussano alle nostre porte. Sono questi, e anche altri, temi di grande significato che hanno caratterizzato in positivo l’esperienza del governo posto sotto la tua guida. Temi che non possono essere lasciati in pasto alle scorrerìe antidemocratiche della destra xenofoba, populista, dedita per lo più al sostegno di poteri personali di vecchio e di nuovo conio.
Una conferma dell’inutilità e della dannosità della crisi di governo da te imprudentemente aperta, viene anche dalle successive scelte operate dal Presidente del Repubblica, che si è trovato costretto ad accelerare al massimo le procedure di risoluzione, sfociate nell’odierno incarico conferito a Paolo Gentiloni, al quale auguro di portare in porto positivamente nell’interesse del paese il mandato ricevuto.
L’incarico a Gentiloni apre tuttavìa uno spazio di grande rilevanza per il tuo impegno. Viene di fatto superata la contraddizione determinata dall’innaturale confluenza sulla tua persona della funzione di capo del governo e di segretario nazionale del partito. Si delinea pertanto per te la possibilità di inaugurare il mandato a te conferito dalle primarie. Puoi impegnarti pienamente nel promuovere il patrimonio di valori e di cultura che contraddistingue il nostro partito. Un patrimonio che si sintetizza nell’aggettivo “democratico”, quello che segna la differenza specifica del nostro progetto rispetto alle altre forze politiche. Una differenza che scommette (fuori e dentro il partito) sul dare voce a tutti, sull’accoglienza, sul rispetto della diversità di opinione, sul far interagire socialmente le più diverse identità e culture. Dall’integrazione, dalla solidarietà, dal riconoscimento della libera circolazione delle persone e delle idee si determinano le condizioni per la crescita civile e per lo sviluppo economico. È questa la sfida che attende oggi il Partito democratico. Una sfida difficile, ma entusiasmante, per la quale è decisivo anche il tuo contributo. Non servono i muri, non serve l’ignobile foiba mediterranea, non servono le culture dello scarto praticate con le politiche delle ruspe e delle rottamazioni, ma quelle del coinvolgimento delle diversità e della reciproca valorizzazione.
Il Partito democratico attende il tuo contributo, non farlo mancare! Fai tesoro degli errori compiuti, sono un’occasione per far maturare la tua capacità di discernimento politico. Vedrai che insieme potremo conseguire grandi e inaspettati risultati positivi per il Paese.
Un carissimo saluto,

Sergio Sbragia
Domenica, 11 dicembre 2016

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