«Dopo questi fatti, Gesù passò all'altra
riva del mare di Galilèa, cioè di Tiberìade, e
lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compìva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a
sedere con i suoi discepoli. Era
vicina la Pasqua, la festa dei Giudèi.
Allora
Gesù, alzàti gli occhî, vide che una grande folla veniva da lui e disse a
Filippo: "Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da
mangiare?". Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva
quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: "Duecento denari di
pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo".
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
"C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è
questo per tanta gente?". Rispose Gesù: "Fateli sedere". C'era
molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila
uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli
che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando
furono saziati, disse ai suoi discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati,
perché nulla vada perduto". Li raccolsero e riempirono dodici canestri con
i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva:
"Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!". Ma Gesù,
sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte,
lui da solo» (6,1-15).
In questo brano il
riferimento a «i Giudèi» ricorre una sola volta, al v. 4. Anche qui
l’espressione svolge la funzione di contestualizzare l’episodio nel corso della
festa della Pasqua («Era vicina la
Pasqua, la festa dei Giudèi»). E anche in questo caso, in
riferimento a «la festa dei Giudèi», possono essere operate nella sostanza
riflessioni analoghe a quelle formulate a margine del brano su «i Giudèi», la
Pasqua e la purificazione del Tempio di 2,13-25 e in ordine alla prima
ricorrenza nel brano “La guarigione dell’infermo alla piscina di
Betzatà” di 5,1-18.
I fatti narrati si
svolgono lontano dalla Giudèa, per la precisione in Galilèa nelle località
rivierasche del lago di Gennèsaret. Gli interlocutori che Gesù si trova
dinanzi, con ogni probabilità non sono Giudèi, nel senso etnico del termine di
“abitanti della Giudèa”, ma Giudèi nel senso religioso dell’espressione. Anche
se è legittimo presumere che tra i numerosi presenti al “segno” della moltiplicazione
dei pani (cinquemila?) numerosi siano stati anche i gentili, se si tien conto
che l’episodio si svolge a poca distanza dalla città di Tiberìade. La città,
intitolata da Erode Antipa all’imperatore romano Tiberio, centro amministrativo
della tetrarchia e abitata in prevalenza da gentili. È pertanto del tutto
plausibile che un certo numero di essi siano stati testimonî della moltiplicazione.
Nel
sèguito del brano l’espressione «i Giudèi» non ricorre. L’episodio raccontato
influenza tuttavìa notevolmente il contrasto con «i Giudèi» che Gesù avrà il
giorno dopo nella Sinagoga di Cafàrnao, che prenderà le mosse proprio dalla
difficoltà di percepire il significato autentico del “segno” operato a
Tiberìade sulla riva del mare di Galilèa. Un segno operato intorno
all’elemento simbolico del “pane”, che induce la gente che ne è stata testimone
a dire: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!» (6,14), che
costituirà tuttavìa il giorno dopo, nella sinagoga di Cafàrnao, l’argomento da
cui prenderà avvìo il contrasto tra Gesù e i Giudèi.Vico Equense, lunedì 6 gennaio 2014
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