Nel corso della celebrazione domenicale di oggi
abbiamo avuto l’opportunità di rivolgere a Maria di Nàzareth la tradizionale
supplica ispirata dall’esempio di un grande laico del 19. sec., Bartolo Longo. È
questa un’occasione per riflettere, da credenti sul grande contributo di fede
donatoci da Maria, la madre di Gesù. Sono solito, quando medito sulla sua figura,
richiamare alla mente il testo del Magnificat
(Lc. 1,46-55). Un testo che ci mostra quanto siano
diverse la logica di Dio e la logica del mondo:
«Allora Maria disse:
"L'anima mia
magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in
Dio, mio salvatore,
perché ha guardato
l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le
generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per
me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in
generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del
suo braccio,
ha disperso i superbi nei
pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti
dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli
affamati,
ha rimandato i ricchi a
mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo
servo,
come aveva detto ai nostri
padri,
per Abramo e la sua discendenza,
per sempre"» (Lc. 1,46-55).
Mi
sembra giusto richiamare la grande profondità delle parole di questo testo.
Esse costituiscono una grande sintesi dell’azione di Dio su Maria e sull’intera
storia dell’umanità. Se le facciamo risuonare nel nostro intimo, se ne facciamo
oggetto abituale della nostra meditazione, possiamo ritrovare in esse insospettabili
fonti ispiratrici, personali e comunitarie, per maturare nella fede e crescere
nell’impegno e nell’azione concreta.
Se pensiamo
a questa giovanissima donna che lascia la minuscola contrada galilea di
Nàzareth per recarsi in una zona montuosa della Giudèa, confidando nella
grandezza della logica divina. Una logica lontana, molto lontana, dal comune
sentire umano. Eppure ciò non le impedisce di mettersi in viaggio per andare in
visita alla sua parente Elisabetta.
Una riflessione su quest’apertura di Maria al mistero non può
non prendere l’avvio che dall’evento dell’Annunciazione (Lc. 1,26-38). Secoli
di riflessione e di meditazione operate da generazioni di credenti hanno, tra
gli altri aspetti, posto in evidenza il carattere esemplare dell’adesione di
Maria al progetto divino di salvezza («Eccomi, sono la serva del Signore,
avvenga di me quello che hai detto» - Lc. 1,38). È questo un dato essenziale,
su cui si è molto riflettuto, tanto da apparire ad un esame superficiale
finanche banale. In realtà assistiamo in questo evento a una delle grandi
intersezioni tra il piano metastorico del disegno della salvezza e quello
storico della vicenda umana. È un evento che si svolge nella libertà e nel
quale Maria riconosce prontamente l’autenticità della vicenda in cui si trova
coinvolta e sceglie prontamente di aderire al piano divino, contro ogni
immediata evidenza umana. Maria, infatti, supera d’un balzo l’iniziale
turbamento indotto dalla difficoltà di comprendere pienamente il senso del
saluto rivoltole dall’angelo (cf. Lc. 1,29). Qui emerge, a mio parere, un
connotato fondamentale della figura di Maria di Nàzareth: uno stile di vita
caratterizzato da un’apertura al mistero. Maria senza dubbio era una giovane
donna della sua epoca e del suo ambiente, che conduceva verosimilmente una vita
centrata sulla sfera domestica, che tuttavia considera l’orizzonte della
propria quotidiana vita materiale non come il limite che racchiude e comprende
la totalità di quanto antropologicamente sperimentabile, ma lo percepisce quale
elemento di possibile comunicazione con esperienze altre, che nella fede di
Israele sono da riportare all’irruzione di Dio nella storia.
Si tratta di un
atteggiamento esistenziale moderno, che presenta una sorta di analogia con il
comportamento di Ulisse, ricordato da Dante nel 26. canto dell’Inferno. Siamo ovviamente su un altro
piano di esperienza esistenziale. Ma anche in questo caso Ulisse, non si ferma
a investigare il conosciuto, non resta all’interno dei confini ordinarî,
sceglie di rischiare l’esistenza propria e quella dei suoi compagni per andare
oltre. Anche Maria, nutrita dalla fede di Israele, sceglie liberamente e senza
esitazione di rischiare tutta la propria esistenza per aderire al progetto
divino.
È in una forma non occasionale, ma abituale, che l’orizzonte
domestico quotidiano è considerato da Maria permeabile dall’infinito,
travalicabile dal totalmente altro. Nel successivo racconto lucano
dell’infanzia, di fronte al susseguirsi dei primi fatti salvifici del concepimento,
della nascita, degli iniziali eventi della vita di Gesù, Luca ricorda
l’atteggiamento di Maria che conserva nel cuore e medita sugli avvenimenti di
cui si trova ad essere protagonista (cf. Lc. 2,19; 2,51). Dopo l’adesione
immediata alla chiamata divina, Maria inizia un percorso interiore di
interpretazione degli eventi, di meditazione, di preghiera, che si nutre anche
di un autentico riferimento alla tradizione della fede d’Israele, che è ben
testimoniato dagli episodî che vedono protagonisti le figure profetiche di
Simeone ed Anna (cf. Lc. 2,35-38). È un atteggiamento silenzioso, ma
profondamente attivo, con cui Maria si pone in ricerca per divenire pienamente
consapevole del senso pieno di quella confluenza tra il finito e l’infinito cui
è stata chiamata a partecipare. È uno sforzo in cui Maria è pienamente
coinvolta in maniera inscindibile in tutte le sue componenti antropologiche di
donna, sul piano razionale, emotivo, affettivo, esperienziale e fisico, che la
configura pienamente come persona “in ricerca della volontà di Dio”.
Queste due dimensioni mariane dell’apertura al
mistero e della ricerca della volontà divina trovano una loro significativa
concretizzazione in un episodio narrato da Giovanni: le nozze di Cana (Gv.
2,1-12). In quest’occasione Maria percepisce per prima, anche prima di Gesù, le
esigenze del piano di salvezza. In un certo senso forza lo stesso Gesù, lo incita
a compiere la sua prima manifestazione pubblica, un po’ come una madre guida i
primi passi del proprio figlio, così Maria a Cana indica a Gesù ormai adulto,
come iniziare la propria missione pubblica. Ella percepisce l’immediata urgenza
umana («Non hanno più vino», – Gv. 2,3) e la pone in sintonia con le esigenze
del piano divino («Fate quello che vi dirà», – Gv. 2,5), affinché potesse
manifestarsi la gloria di Gesù e affinché i suoi discepoli potessero credere in
Lui (cf. Gv. 2,11). Qui Maria si manifesta come autentica lettrice dei segni
dei tempi, cioè di quella dimensione profetica che, molti secoli dopo, Giovanni
23° individuerà nell’attenzione alla gente e alle sue situazioni concrete e
nella capacità di porre le persone e le loro urgenze storiche in relazione con
il disegno di Dio. Intuizione che i Padri del Vaticano II assumeranno
pienamente nella Gaudium et Spes,
sottolineando come «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini (…), sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo» (GS. 1).
Vico
Equense, domenica 5 ottobre 2014
Sergio
Sbragia