domenica 5 ottobre 2014

“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”




Nel corso della celebrazione domenicale di oggi abbiamo avuto l’opportunità di rivolgere a Maria di Nàzareth la tradizionale supplica ispirata dall’esempio di un grande laico del 19. sec., Bartolo Longo. È questa un’occasione per riflettere, da credenti sul grande contributo di fede donatoci da Maria, la madre di Gesù. Sono solito, quando medito sulla sua figura, richiamare alla mente il testo del Magnificat (Lc. 1,46-55). Un testo che ci mostra quanto siano diverse la logica di Dio e la logica del mondo:
«Allora Maria disse:
"L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre"» (Lc. 1,46-55).

Mi sembra giusto richiamare la grande profondità delle parole di questo testo. Esse costituiscono una grande sintesi dell’azione di Dio su Maria e sull’intera storia dell’umanità. Se le facciamo risuonare nel nostro intimo, se ne facciamo oggetto abituale della nostra meditazione, possiamo ritrovare in esse insospettabili fonti ispiratrici, personali e comunitarie, per maturare nella fede e crescere nell’impegno e nell’azione concreta.
Se pensiamo a questa giovanissima donna che lascia la minuscola contrada galilea di Nàzareth per recarsi in una zona montuosa della Giudèa, confidando nella grandezza della logica divina. Una logica lontana, molto lontana, dal comune sentire umano. Eppure ciò non le impedisce di mettersi in viaggio per andare in visita alla sua parente Elisabetta.
Una riflessione su quest’apertura di Maria al mistero non può non prendere l’avvio che dall’evento dell’Annunciazione (Lc. 1,26-38). Secoli di riflessione e di meditazione operate da generazioni di credenti hanno, tra gli altri aspetti, posto in evidenza il carattere esemplare dell’adesione di Maria al progetto divino di salvezza («Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» - Lc. 1,38). È questo un dato essenziale, su cui si è molto riflettuto, tanto da apparire ad un esame superficiale finanche banale. In realtà assistiamo in questo evento a una delle grandi intersezioni tra il piano metastorico del disegno della salvezza e quello storico della vicenda umana. È un evento che si svolge nella libertà e nel quale Maria riconosce prontamente l’autenticità della vicenda in cui si trova coinvolta e sceglie prontamente di aderire al piano divino, contro ogni immediata evidenza umana. Maria, infatti, supera d’un balzo l’iniziale turbamento indotto dalla difficoltà di comprendere pienamente il senso del saluto rivoltole dall’angelo (cf. Lc. 1,29). Qui emerge, a mio parere, un connotato fondamentale della figura di Maria di Nàzareth: uno stile di vita caratterizzato da un’apertura al mistero. Maria senza dubbio era una giovane donna della sua epoca e del suo ambiente, che conduceva verosimilmente una vita centrata sulla sfera domestica, che tuttavia considera l’orizzonte della propria quotidiana vita materiale non come il limite che racchiude e comprende la totalità di quanto antropologicamente sperimentabile, ma lo percepisce quale elemento di possibile comunicazione con esperienze altre, che nella fede di Israele sono da riportare all’irruzione di Dio nella storia.
Si tratta di un atteggiamento esistenziale moderno, che presenta una sorta di analogia con il comportamento di Ulisse, ricordato da Dante nel 26. canto dell’Inferno. Siamo ovviamente su un altro piano di esperienza esistenziale. Ma anche in questo caso Ulisse, non si ferma a investigare il conosciuto, non resta all’interno dei confini ordinarî, sceglie di rischiare l’esistenza propria e quella dei suoi compagni per andare oltre. Anche Maria, nutrita dalla fede di Israele, sceglie liberamente e senza esitazione di rischiare tutta la propria esistenza per aderire al progetto divino.
È in una forma non occasionale, ma abituale, che l’orizzonte domestico quotidiano è considerato da Maria permeabile dall’infinito, travalicabile dal totalmente altro. Nel successivo racconto lucano dell’infanzia, di fronte al susseguirsi dei primi fatti salvifici del concepimento, della nascita, degli iniziali eventi della vita di Gesù, Luca ricorda l’atteggiamento di Maria che conserva nel cuore e medita sugli avvenimenti di cui si trova ad essere protagonista (cf. Lc. 2,19; 2,51). Dopo l’adesione immediata alla chiamata divina, Maria inizia un percorso interiore di interpretazione degli eventi, di meditazione, di preghiera, che si nutre anche di un autentico riferimento alla tradizione della fede d’Israele, che è ben testimoniato dagli episodî che vedono protagonisti le figure profetiche di Simeone ed Anna (cf. Lc. 2,35-38). È un atteggiamento silenzioso, ma profondamente attivo, con cui Maria si pone in ricerca per divenire pienamente consapevole del senso pieno di quella confluenza tra il finito e l’infinito cui è stata chiamata a partecipare. È uno sforzo in cui Maria è pienamente coinvolta in maniera inscindibile in tutte le sue componenti antropologiche di donna, sul piano razionale, emotivo, affettivo, esperienziale e fisico, che la configura pienamente come persona “in ricerca della volontà di Dio”.
Queste due dimensioni mariane dell’apertura al mistero e della ricerca della volontà divina trovano una loro significativa concretizzazione in un episodio narrato da Giovanni: le nozze di Cana (Gv. 2,1-12). In quest’occasione Maria percepisce per prima, anche prima di Gesù, le esigenze del piano di salvezza. In un certo senso forza lo stesso Gesù, lo incita a compiere la sua prima manifestazione pubblica, un po’ come una madre guida i primi passi del proprio figlio, così Maria a Cana indica a Gesù ormai adulto, come iniziare la propria missione pubblica. Ella percepisce l’immediata urgenza umana («Non hanno più vino», – Gv. 2,3) e la pone in sintonia con le esigenze del piano divino («Fate quello che vi dirà», – Gv. 2,5), affinché potesse manifestarsi la gloria di Gesù e affinché i suoi discepoli potessero credere in Lui (cf. Gv. 2,11). Qui Maria si manifesta come autentica lettrice dei segni dei tempi, cioè di quella dimensione profetica che, molti secoli dopo, Giovanni 23° individuerà nell’attenzione alla gente e alle sue situazioni concrete e nella capacità di porre le persone e le loro urgenze storiche in relazione con il disegno di Dio. Intuizione che i Padri del Vaticano II assumeranno pienamente nella Gaudium et Spes, sottolineando come «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini (…), sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (GS. 1).

Vico Equense, domenica 5 ottobre 2014
Sergio Sbragia

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