domenica 19 ottobre 2014

L’eucarestia non è un cibo per i “perfetti”, ma l’alimento di quanti sono “in cammino”




«Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: "Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: "Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!". Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai proprî affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchî delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?". Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti". Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti"» (Mt. 22,1-14).


          Nella celebrazione eucaristica della scorsa domenica sono stato molto colpito  da un’idea  forte che padre Ciro Esposito, a conclusione dell’omelia sulla  parabola del  Banchetto di nozze (Mt. 22,1-14), ha tenuto a esprimere: «L’eucarestia non è un cibo per i “perfetti”, ma l’alimento di quanti sono “in cammino”».
Il brano del Vangelo di Matteo, che la liturgia di domenica scora ci ha chiamato a meditare, in effetti ci ha offerto una presentazione della realtà del “regno dei cieli”.
Nel racconto, l’evento del banchetto di nozze prende le mosse dalla libera iniziativa di un sovrano, che formula in un primo momento l’invito a un non ben precisato gruppo di persone, che potremmo ragionevolmente individuare nei maggiorenti del proprio regno. Costoro, tuttavia, declinano il ripetuto invito che il sovrano ha loro rivolto. C’è chi preferisce dedicarsi ai proprî affari e chi addirittura rifiuta sprezzantemente l’invito. Il sovrano, dinanzi al rifiuto ottenuto dagli invitati della prima ora, prende l’iniziativa di estendere l’invito a quanti i suoi servi potranno incontrare sui crocicchî delle strade, senza distinzione tra “buoni e cattivi”.
Questo secondo invito riscuote un riscontro significativo da parte dei chiamati. In tanti rispondono all’invito, ma non manca il fraintendimento, non manca chi non ha compreso la natura dell’evento al quale è invitato, una festa di nozze, per partecipare alla quale è necessario indossare l’“abito della festa”.
Gesù esordisce, nell’introduzione del racconto della parabola, tracciando un paragone tra la natura del “regno dei cieli” e l’evento dell’invito alla festa di nozze formulato dal re: «È simile a…». Ciò vuol dire che il regno che Gesù annuncia lungo i sentieri di Palestina, presenta dei caratteri comuni con la realtà terrena del banchetto di nozze.
Ebbene, cerchiamo di approfondire queste analogie:
Il regno dei cieli è un annuncio che nasce dalla libera iniziativa di Dio che, come il re convoca il convito, cosi egli chiama l’umanità a raccogliersi entro il regno celeste. Ma questa chiamata non si svolge in una dimensione estranea al mondo, si realizza nella storia, ha una sua logica di progressivo dispiegamento. Come nell’episodio parabolico gli invitati, in un primo momento sono un gruppo ristretto, poi, con la missione storica di Gesù, viene allargato indefinitamente a quanti vivono nella storia sotto ogni latitudine, subisce un processo di universalizzazione.
L’annuncio del regno è un evento che si realizza nella libertà. Nasce dalla libera iniziativa di Dio ed è proposto alla libera adesione degli uomini. Ciascuno può scegliere, in piena autonomia, se aderire o meno all’invito divino. Se è un evento che si compie nella libertà, è anche un evento che si svolge nella responsabilità, cioè nell’assunzione e nella condivisione personale della logica del regno.
Non c’è una condizione preliminare di adesione. Viene, infatti, esclusa apertamente una qualsiasi precondizione di aderenza precettistica a una schematica discriminazione tra “buoni e cattivi”. È una proposta rivolta a tutti senza pre-condizioni, l’unica cosa richiesta è la condivisione della logica del regno, che è riassumibile nella realtà dell’amore, che, come ci ha detto lo stesso Gesù, condensa in sé tutta la Legge e tutti i profeti.
Origine divina, storicità, universalizzazione, libertà, responsabilità e assenza di distinzioni predeterminate, appaiono così come i caratteri distintivi ineliminabili del Regno dei cieli. La mensa eucaristica è dunque il luogo dove questa realtà del Regno può essere realmente percepita e vissuta e questa sua potenzialità viene offerta a tutti senza pre-condizioni. È così che diviene concreto alimento spirituale per quanti sono “in cammino” sui sentieri della storia ad annunciare l’amore di Dio a tutti gli uomini e a tutte le donne. Poco importa se a farlo è il figlio avveduto o prodigo, il credente della prima ora o quello che solo più tardi si è ravveduto, se è il tradizionalmente devoto o un publicano, una prostituta, un divorziato risposato, un eterosessuale o un omosessuale, un ricco o povero.

Vico Equense, domenica 19 ottobre 2014
Sergio Sbragia

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