«Allora i farisei se ne andarono e tennero
consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono
dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo
che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione
di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo
parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?".
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché volete
mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli
presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Questa immagine e
l'iscrizione, di chi sono?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse
loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è
di Dio"» (Mt. 22,15-21).
Il famosissimo brano del Vangelo
di Matteo, che abbiamo meditato nella celebrazione domenicale di oggi, si
rivela davvero attualissimo. Dalla sua lettura riceviamo un insegnamento di
grandissimo valore, portatore di un’altissima sapienza capace di attraversare
con grande autorevolezza le epoche storiche e le frontiere culturali, ed
esprimendo nel variare delle condizioni un equilibrio pedagogico impareggiabile
e un profondo rispetto per l’autonomia della realtà storica.
Questa indicazione c’invita a distinguere con attenzione ciò che
è prerogativa storica e umana, che, in quanto tale, ha una propria legittima consistenza,
da ciò che contraddistingue la relazione tra l’uomo e Dio, dimensione anch’essa
assolutamente legittima. Non sono le modalità concrete con cui, al variare dei
luoghi e delle epoche, si organizzano le relazioni tra gli uomini a essere rilevanti
per il piano di Dio, ciò che conta è il modo in cui i seguaci di Cristo, che
non hanno proprie città, testimoniano la speranza che da Gesù hanno ricevuto in
dono.
Le cronache di questi giorni riportano il clamore del dibattito
suscitato intorno alla legittimità giuridica delle registrazioni nei registri
civili italiani, operate da alcuni sindaci, di matrimonî celebrati in altri
paesi tra persone delle stesso sesso.
Si tratta di un tema molto controverso, che coinvolge molteplici
aspetti di grande rilevanza, che meritano tutti di essere adeguatamente
analizzati e approfonditi, al di là di posizioni sterilmente preconcette.
La regolamentazione sociale delle relazioni tra le persone, tra
uomo e donna e tra persone dello stesso sesso e le determinazioni dello stesso
diritto familiare hanno sùbito nel corso del tempo, e al variare delle culture
e della percezione dei diritti umani, impostazioni profondamente diverse.
La percezione di nuove aspirazioni umane, l’aspirazione al
rispetto di diritti sinora calpestati o riconosciuti in forma del tutto
parziale, non possono restare inascoltate dalle comunità cristiane. Sono
aspetti che dobbiamo saper leggere e interpretare nel nostro quotidiano essere
nel mondo. Il tema del nuovo modo di porsi della famiglia nella società di
oggi, il suo avere una struttura molto diversa da quella avuta sino a
pochissimi decennî fa, la diffusione di modelli familiari diversi, nonché di
unioni di vita di altro tipo, come quelle tra persone dello stesso sesso,
costituiscono occasioni preziose per testimoniare efficacemente e pienamente il
valore del messaggio cristiano in un contesto sociale in profonda trasformazione.
Siamo in realtà invitati, non a stare con lo sguardo rivolto indietro a cercare
la rassicurazione tranquillizzante dei sentieri consueti, ma a guardare con
fiducia e speranza verso l’orizzonte, scegliendo di seguire senza timori nuove
rotte in grado rispondere adeguatamente alle aspirazioni e alle sofferenze
delle donne e degli uomini di oggi.
Di certo nella definizione di un nuovo quadro giuridico che regoli
le relazioni uomo-donna, i modelli familiari, le unioni civili, occorrerà analizzare
con grande sapienza tutti gli aspetti coinvolti, i diritti dei contraenti, la
responsabilità sociale, i diritti dei possibili figlî, le nuove opportunità
offerte dal progresso scientifico e tecnologico al servizio della genitorialità.
Anziché restare ancorati, in forma immobilistica, a una visione
giusnaturalistica immobilistica, appare necessario operare un adeguato
approfondimento del concetto di “natura” portandolo fuori da una visione giuridica
sostanzialmente fissista, poco coerente con una realtà quale la “natura” che,
invece, è in perenne mutamento, che al proprio interno comprende anche la realtà
della crescita delle conoscenze e delle capacità degli uomini e delle donne.
Questi aspetti, noi credenti, in qualità di cittadini tra gli
altri cittadini, non dovremo mancare di porli laicamente in evidenza nel
dibattito politico e culturale.
Ciò che invece per le comunità cristiane è decisamente importante,
non è tanto il tipo d’impalcatura giuridica che si andrà a determinare per
regolamentare la materia, ma il non perdere l’occasione di “rendere a Dio ciò
che è di Dio”. Al di là della forma giuridica che sarà data al matrimonio, alle
unioni civili tra persone dello stesso sesso, alle nuove forme di
genitorialità, ai diritti di reciproca assistenza e di sostegno sociale, civile,
affettivo ed economico, alle pratiche di adozione, ecc., ciò che conta per il
disegno di Dio, è essere capaci di annunziare che ogni condizione di vita,
qualunque essa sia (matrimonio, famiglia, unione civile, adozione,
genitorialità fisica o assistita) è, al di là delle differenze, uno stato vitale
in cui incarnare l’amore di Dio per gli uomini. Se queste realtà sono vissute
autenticamente nell’amore, nella fedeltà, nella dedizione, al di la delle
specifiche caratteristiche, non sono in reciproca contrapposizione, ma possono
essere aperte alla benedizione del Signore.
L’importante è, invece, porre al bando la paura, come il Signore
ci ha senza equivoci invitato a fare nel racconto della tempesta sul lago (Mt.
8,23-27).
Vico Equense, domenica 19 ottobre 2014
Sergio Sbragia
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