mercoledì 31 maggio 2017

CATTOLICI E LUTERANI: LA CHIESA TERRENA È IN COMUNIONE CON I SANTI IN GLORIA



Riprendiamo il nostro studio della Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero ed eucarestìa[1]. È il turno della proposizione di consenso n° 10, nella quale si sottolinea che luterani e cattolici concordano nell’affermare che:

La Chiesa sulla terra è unita con la comunità dei santi nella gloria.

Per illustrare il livello di consenso conseguito su questo tema la Dichiarazione in cammino ripercorre alcuni testi significativi degli impegni di dialogo condotti negli ultimi decennî. In primo luogo il documento di consenso Chiesa e giustificazione, del 1993 e frutto dei lavori della Commissione congiunta cattolica romana - evangelica luterana. È poi il turno del documento prodotto nel 2000 dal Gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza episcopale tedesca e della direzione della Chiesa evangelica luterana unita di Germania, Communio sanctorum : la Chiesa come comunione dei santi. Si passa infine al documento del 2011, La speranza della vita eterna, portato a termine congiuntamente dalla Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti e dalla Chiesa evangelica luterana in America, che, a sua volta, riprende un altro precedente documento di dialogo luterano-cattolico del 1990, L’unico mediatore, i santi e Maria, esito dell’impegno del Gruppo di dialogo fra Cattolici romani e luterani negli USA.

In effetti dal documento Chiesa e giustificazione si riprende la seguente affermazione:

«La communio con Dio già donata e realizzata sulla terra mediante Gesù Cristo nello Spirito Santo è il fondamento della speranza cristiana oltre la morte, nonché il fondamento della communio fra i santificati sulla terra e i santificati in Cristo che sono già morti. […] Noi crediamo all’assoluta indistruttibilità della vita che ci è donata in Cristo nella potenza dello Spirito Santo anche oltre il giudizio e oltre la morte»[2].

Il consenso conseguito sulla comunione fra i santificati sulla terra e i santificati in Cristo che sono già oltre la morte, affonda le proprie radici nella grande realtà della comunione con Dio che è frutto, attraverso lo Spirito, della missione terrena di Gesù e che costituisce il presupposto della speranza cristiana al di là della morte. Luterani e cattolici credono congiuntamente nell’assoluta perennità, anche oltre la morte e il giudizio, della vita che Cristo ci ha donato mediante la potenza dello Spirito Santo.

Lo stesso documento nel paragrafo successivo tiene poi a sottolineare:

«Soprattutto nel culto, nell’adorazione e nella lode di Dio tre volte santo e dell’Agnello, il nostro Signore Gesù Cristo, si realizza “la comunione dei santi”, l’unità della Chiesa pellegrinante e della Chiesa compiuta (cf. Ap. 4,2-11; 5,9-14)»[3].

Qui viene individuato in tre momenti essenziali della vita ecclesiale, quali il culto, l’adorazione e la lode di Dio, il luogo elettivo ove si concretizza l’unità tra la Chiesa pellegrinante e la Chiesa compiuta: “la comunione dei santi”. Quest’affermazione viene fondata con riferimento a due testi dell’Apocalisse, ove vengono proposte splendide immagini della corte celeste ove viene resa gloria, onore e grazie a Colui che vive nei secoli dei secoli (cf. Ap. 4,2-11; 5,9-14)[4].

Un’affermazione di analogo tenore viene rintracciata in un documento di dialogo bilaterale prodotto in àmbito tedesco Communio sanctorum. La Chiesa come comunione dei santi:

«La comunione in Cristo, alla quale l’uomo è chiamato, resta anche nella morte e nel giudizio e viene portata a compimento perché egli, attraverso il dolore per le sue mancanze nella vita terrena, può dare la risposta piena del suo amore all’amore di Dio»[5].

In effetti anche in questo testo si pone in risalto come la comunione in Cristo, che contraddistingue comunità cristiane, sia una realtà che travalica i confini della morte e del giudizio.

Anche i dialoghi condotti in àmbito statunitense hanno posto attenzione questo tema. Il documento frutto del dialogo portato in terra americana L’unico Mediatore, i santi e Maria, del 1990, per esempio, afferma con grande chiarezza:

«La comunità dei santificati, i ‘santi’, è formata da credenti, vivi e defunti. La Chiesa che sta nel mondo è in questo modo solidale con la Chiesa trionfante»[6].

Quest’affermazione viene poi ripresa testualmente dal successivo documento sempre del dialogo cattolico-luterano negli Stati Uniti, La speranza della vita eterna:

«“La comunità dei santificati, i ‘santi’, è formata da credenti, vivi e defunti. La Chiesa che sta nel mondo è in questo modo solidale con la Chiesa trionfante”. Questa solidarietà che attraversa la barriera della morte è particolarmente evidente nell’eucarestìa, che è sempre celebrata in unione con gli abitanti del cielo […] Specialmente nella lode e adorazione di Dio alla tavola del Signore, l’apparente divisione segnata dalla morte scompare»[7].

La consapevolezza del consenso conseguito su quest’aspetto dalle due tradizioni ecclesiali è d’altronde registrata anche nell’enciclica Ut unum sint di papa Giovanni Paolo 2°:

«La comunione non ancora piena delle nostre comunità è in realtà cementata saldamente nella piena comunione dei santi, cioè di coloro che alla conclusione di un’esistenza fedele alla grazia sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono da tutte le Chiese e comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l’ingresso nella comunione della salvezza»[8].

La constatazione della comune comprensione della relazione di comunione sussistente tra la chiesa terrena e quella già pervenuta alla presenza del Signore, costituisce un ulteriore tassello che si viene ad aggiungere all’analisi che stiamo portando avanti per comprendere l’esatta dimensione del consenso costruito tra luterani e cattolici.

Con quest’affermazione si passa da un piano di valutazione delle esperienze ecclesiali terrene alla comune comprensione della relazione sussistente tra la comunità in cammino nella storia e quella già pervenuta nella gloria. E questo è un segno che i sentieri che stanno calcando le nostre due comunità sono sentieri convergenti verso il nostro Signore Gesù. Sentieri convergenti che segnano una realtà di comunione sempre meno imperfetta.



Sergio Sbragia

Vico Equense, martedì 31 maggio 2017




[1] - Commissione per le questioni ecumeniche della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti - Chiesa evangelica luterana in America, Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero ed eucarestìa. - in «Il Regno : attualità e documenti», 61° (2016) 13, 409-456.
[2] - Commissione congiunta cattolica romana - evangelica luterana, Chiesa e giustificazione, (1993), 295.
[3] - Commissione congiunta cattolica romana - evangelica luterana, Chiesa e giustificazione, (1993), 296.
[4] - «Subito fui preso dallo Spirito. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile nell'aspetto a smeraldo avvolgeva il trono. Attorno al trono c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro anziani avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; ardevano davanti al trono sette fiaccole accese, che sono i sette spiriti di Dio. Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d'occhi davanti e dietro. Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l'aspetto come di uomo; il quarto vivente era simile a un'aquila che vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:
"Santo, santo, santo
il Signore Dio, l'Onnipotente,
Colui che era, che è e che viene!".
E ogni volta che questi esseri viventi rendono gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a Colui che siede sul trono e adorano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo:
"Tu sei degno, o Signore e Dio nostro,
di ricevere la gloria, l'onore e la potenza,
perché tu hai creato tutte le cose,
per la tua volontà esistevano e furono create"» (Ap. 4,2-11).
[…]
«E cantavano un canto nuovo:
"Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra".
E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro
numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
"L'Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione".
Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
"A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli".
E i quattro esseri viventi dicevano: "Amen". E gli anziani si prostrarono in adorazione» (Ap. 5,9-14).
[5] - Gruppo di lavoro bilaterale della Conferenza episcopale tedesca e della direzione della Chiesa evangelica luterana unita di Germania, Communio sanctorum : la Chiesa come comunione dei santi, (2000), 228.
[6] - L’unico Mediatore, i santi e Maria, (1990), 103.
[7] - La speranza della vita eterna, (2010), 217.
[8] - Giovanni Paolo 2°, Lettera enciclica sull’impegno ecumenico Ut unum sint, 84.

giovedì 25 maggio 2017

Guardiamo a Maria, piuttosto che ai segreti!



Nei giorni scorsi è stato celebrato il centenario delle apparizioni mariane di Fatima. Papa Francesco si è recato nella città portoghese dove, nel 2° decennio del 20° secolo, tre pastorelli fecero un’esperienza di grandissimo spessore spirituale e ha celebrato la canonizzazione di due di essi.
E sùbito sono iniziate morbose speculazioni televisive e mass-mediatiche sui segreti di Fatima e sulle loro possibili interpretazioni. La grande stampa e la comunicazione di massa hanno così dato ampio spazio a una religiosità di natura magico-sacrale, perdendo un’altra preziosa occasione per dare giornalisticamente conto di esperienze spirituali di grande spessore umano e religioso, che lungo la storia umana hanno visto uomini e donne della più varia condizione sociale, levatura culturale, nei più diversi luoghi del mondo, sperimentare in prima persona l’incontro con Maria di Nàzareth. Incontri che segnano indelebilmente coloro che di volta in volta ne sono protagonisti e contrassegnano in forma singolare e straordinaria il percorso di fede di quelle persone. Un tratto comune tuttavia caratterizza tutte queste esperienze d’incontro con Maria di Nàzareth: il loro configurarsi come percezione di una condizione di figliolanza mariana.
Al di là delle particolari peculiarità delle singole esperienze d’incontro, che vanno rispettate e tenute al riparo dalla morbosa curiosità mass-mediatica, lungo i secoli quanti hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Maria, hanno sempre riconosciuto la madre di Gesù come propria madre.
Quest’esperienza di figliolanza mariana si pone in diretta continuità con una centrale pagina del Vangelo:

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé» (Gv. 19,25-27).

In un momento centrale della passione, Gesù dalla croce, rivolto alla propria madre, Maria di Nàzareth, la invita a considerare come proprio figlio il lì presente discepolo amato. Sùbito dopo volgendosi a quel discepolo, gli addita Maria di Nàzareth e lo invita a considerarla come propria madre. E il discepolo a quell’invito reagisce accogliendo prontamente con sé Maria. In questo brano del Vangelo di Giovanni nella figura del discepolo amato siamo, in realtà, raffigurati un po’ noi tutti che abbiamo scelto di seguire nella nostra vita Gesù. Ed è proprio Gesù che nel momento culminante della croce, mentre consapevolmente stava accettando di bere quel calice che poco prima aveva chiesto al Padre che gli fosse, se possibile, evitato (cf. Mt. 26,39), mentre stava portando a compimento la missione di svuotare se stesso, di assumere la condizione del servo, divenendo del tutto simile agli uomini e accettando di umiliare se stesso e facendosi obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil. 2,7-8), ebbene proprio in tale frangente essenziale e decisivo della storia della salvezza Gesù fa di sua madre, Maria di Nàzareth, la madre dell’intera umanità e chiede a noi, attraverso il discepolo amato, di riconoscerla come nostra madre e di sentirci suoi figlî. È ai piedi della croce, nella persona del discepolo amato, che i cristiani hanno riconosciuto la maternità di Maria e si sono dichiarati suoi figlî.
Questa relazione di maternità/figliolanza che Gesù ha istituito tra Maria, sua madre, e noi suoi seguaci, si allinea perfettamente all’ampio uso evangelico di descrivere le relazioni intra trinitarie, quelle di noi fedeli con Dio Padre, con Gesù stesso, e tra di noi, ricorrendo ai concetti cui ordinariamente ricorriamo per descrivere le relazioni intercorrenti tra i membri di una famiglia. Le pagine dei Vangeli abbondano infatti di riferimenti ai concetti di “paternità”, “figliolanza”, “fratellanza”. Concetti che esprimono nell’esperienza umana la realtà di relazioni fondamentali, radicate nell’amore e nella dedizione reciproci. Un riferimento quello dei Vangeli che, pur prendendo avvìo da un piano metaforico, finisce caratterizzare sul piano sostanziale la vita di fede delle comunità cristiane. L’episodio della croce, in piena coerenza, aggiunge alle già acquisite relazioni di “paternità”, “figliolanza”, “fratellanza” anche quella di “maternità”, la maternità di Maria nei nostri confronti.
L’indicazione di riconoscere in Maria di Nàzareth la nostra madre, formulata nel dramma della “croce” s’inscrive inoltre nel quadro del precedente invito rivoltoci sempre da Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc. 9,23).
La relazione di maternità/figliolanza che Gesù ci propone, ci pone nella condizione di riconoscere nella giovanissima donna, poco più che ragazza, un meraviglioso modello ed esempio da seguire nella nostra vita di fede.
Maria di Nàzareth, per la verità, nelle pagine della Scrittura svolge un ruolo molto discreto, ma decisivo sul piano dell’ispirazione della nostra vita di fede.
Sfogliando il Vangelo di Luca, incontriamo per la prima volta Maria nell’episodio dell’Annunciazione (Lc. 1,26-38). Di fronte alla proposta sconcertante formulatale da Gabriele, Maria giovanissima ragazza della Galilèa, ha la capacità di comprendere la portata della volontà di Dio e accetta la sfida che le è stata proposta:

«Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola"» (Lc. 1,38).

Qui Maria dimostra una capacità sorprendente: quella di leggere in ciò che le sa accadendo, la volontà di Dio per lei in quel momento della sua esperienza di vita. Nonostante il carattere singolare, per certi verso poco credibile, e comunque di grande rischio per una giovanissima donna nella Galilèa del 1° sec., Maria riconosce ciò che Dio le sta chiedendo e accetta di assumere la responsabilità della missione che le viene proposta.
Questa capacità di Maria di riconoscere negli eventi il volere di Dio, non è un elemento estemporaneo e isolato al solo momento dell’Annunciazione. Maria di Nàzareth mostra in più pagine del Vangelo di Luca di aver grande cura di alimentare questa propensione a comprendere la volontà del Signore nella realtà concreta degli eventi. Ce ne possiamo rendere conto guardando alla reazione di Maria prima all’evento della nascita di Gesù e del radunarsi dei pastori intorno alla mangiatoia (Lc. 2,1-20) e, poi, in occasione dello smarrimento di Gesù dodicenne e del suo successivo ritrovamento tra i dottori del Tempio (Lc. 2,41-52). In ambedue le occasioni l’evangelista ci fa notare:

«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc. 2,19).

«Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc. 2,51).

Maria ha cura di meditare sui fatti di cui è protagonista, ne custodisce il senso nel suo intimo e cerca di comprendere quale sia la volontà di Dio che in essi si manifesta. È questo uno sforzo che, in linguaggio conciliare, potremmo definire di lettura dei «segni dei tempi». In effetti Maria emerge dalle pagine dei Vangeli come la prima lettrice dei segni dei tempi. Ne abbiamo la dimostrazione nell’episodio del miracolo delle Nozze di Cana, quando Maria comprende il da farsi addirittura prima di Gesù:

«Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora".
Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv. 2,1-11).

In quest’occasione Maria legge la volontà di Dio nella circostanza della mancanza di vino e, addirittura, assume un atteggiamento di stimolo nei confronti dello stesso Gesù. Maria, da lettrice dei segni dei tempi, è un passo avanti a Gesù, il quale poi segue nel concreto la sua indicazione comportamentale e interviene operando un primo e stupefacente segno della sua missione.
È questa una grandissima capacità di Maria, madre di Gesù, di saper leggere la più autentica volontà di Dio in qualsivoglia condizione di vita.
Una capacità che il discepolo amato, dal momento in cui accoglie Maria come sua madre (Gv. 19,27), acquisisce una grande capacità di leggere la dimensione sacra della realtà. Ne abbiamo una prova qualche pagina più avanti del Vangelo di Giovanni:
 
«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa» (Gv. 20,1-10).

È il momento centrale della rivelazione cristiana, quello della resurrezione. All’allarme lanciato da Maria di Màgdala, Pietro e il discepolo amato si recano di corsa al sepolcro. In tale occasione il discepolo amato, pur entrato per secondo nel sepolcro, è il primo a comprendere l’evento della resurrezione («Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» - Gv. 20,8).
Il discepolo amato comprende la realtà della resurrezione, anche prima di Pietro, che aveva preso visione del sepolcro e dei reperti ivi presenti qualche istante prima. Questa capacità del discepolo amato presenta delle indubbie analogie con la capacità ampiamente mostrata da Maria nelle pagine del Vangelo che sono state richiamate. E quest’analogia, a mio avviso, non può essere casuale. Il riconoscimento della maternità di Maria rappresenta un momento significativo, per noi seguaci di Gesù, per divenire autentici lettori dei «segni dei tempi».
In effetti, se seguiamo l’esempio del discepolo amato ed eleggiamo Maria di Nàzareth come nostra madre, possiamo raccogliere con fiducia il guanto della sfida di annunciare il Vangelo sui sentieri della storia, divenendo oggi “discepoli amati”.

Sergio Sbragia
Giovedì, 25 maggio 2017