lunedì 1 maggio 2017

CATTOLICI E LUTERANI: LA CHIESA È UNA REALTÀ DI COMUNIONE



Facciamo un altro passo avanti nell’analisi della Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero ed eucarestìa[1], cercando d’approfondire i contenuti dell’affermazione di consenso n° 7, nella quale si dà conto che oggi luterani e cattolici concordemente affermano che:

La Chiesa terrena è una “comunione” (koinonìa). Essa condivide i doni divini dispensati da Gesù di Nàzareth, che essendo patrimonio condiviso, introducono i credenti all’unità ecclesiale e alla comunione reciproca.

Se nel corso dei secoli la concezione della Chiesa proposta da cattolici e luterani si è andata sviluppando lungo itinerarî divaricanti, a partire dal 20° secolo, le due comunioni hanno insieme valorizzato il concetto biblico di koinonìa, al quale hanno fatto ricorso per comprendere in forma più autentica la realtà della Chiesa. Questa comune scelta di metodo ha messo in moto un processo che ha fatto emergere una serie di preziosi punti comuni.
In realtà il documento Communio sanctorum[2] illustra la centralità e la consistenza della nozione di “comunione” in molte chiese e nei dialoghi ecumenici.
Il documento La Chiesa come “koinonìa” di salvezza[3], a sua volta, spiega i contenuti centrali della nozione di “comunione” e presenta i progressi resi possibili sulla via del dialogo dall’adozione dell’ecclesiologìa di koinonìa da parte sia dei cattolici sia dei luterani: frutti decisamene positivi per il dialogo sulla comprensione sia della Chiesa sia del ministero ordinato.
Dal canto suo il documento Chiesa e giustificazione[4], presenta la Chiesa sulla terra come una realtà che partecipa a una koinonìa o comunione che ha le proprie radici nella Trinità. La comunione ecclesiale non si fonda, infatti, su un accordo o su convergenti intenzioni dei credenti. La Chiesa è invece fondata dal messaggio di Cristo, la cui proclamazione è avvenuta nella potenza dello Spirito Santo. Quando lo Spirito suscita la fede nel Vangelo come buona novella di redenzione, questo messaggio viene confessato congiuntamente da persone che in tal modo si uniscono divenendo dello stesso messaggio e del suo potere salvifico[5].
Anche il documento La Chiesa : verso una visione comune[6] affronta il tema sottolineando come la  Chiesa non sia la mera somma di singole persone che scelgono di credere in un dato messaggio. Essa, invece, è «fondamentalmente una comunione nel Dio uno e trino e, al tempo stesso, una comunione i cui membri partecipano insieme alla vita e alla missione di Dio Trinità (cf. 2Pt. 1,4), che è la fonte e il centro di tutta la comunione» (La Chiesa : verso una visione comune, 23).
Il peculiare carattere della comunione ecclesiale è fondato dal documento sul testo biblico 2Pt. 1,4.

«Con questo [Gesù] ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione, che è nel mondo a causa della concupiscenza» (2Pt. 1,4).

L’apostolo Pietro qui pone in evidenza come l’adesione al messaggio cristiano, si differenzi dalla semplice adesione a un ordinario ideale umano, a causa della sua caratteristica particolare e straordinaria, che vede, per quanti scelgono di seguire Gesù, la ricezione di doni grandissimi e preziosi promessi da Dio Padre, e che pongono i credenti nella condizione di poter partecipare alla natura stessa di Dio. Un dono che rafforza nei fedeli la capacità di reagire all’attrazione al male che la condizione di peccato, diffusa nel mondo, non manca purtroppo, e nonostante tutto, di esercitare.
Questa realtà di comunione è affermata nella sua pienezza sul piano sacramentale.
Il battesimo, consacrando i credenti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e incorporandoli nel corpo santo di Gesù Cristo, esprime nella forma più piena la realtà della priorità dell’azione di Dio nella chiamata di darsi a Lui, rivolta agli uomini e alle donne di ogni luogo ed epoca[7].
Con la partecipazione alla cena/eucarestìa poi, i credenti bevono il “calice della benedizione” ed entrano così in comunione (koinonìa) con il sangue di Cristo, un gesto che fa dei molti convenuti un solo corpo in Cristo (1Cor. 10,16-17)[8].

«il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane» (1Cor. 10,16-17).

La percezione, comune con i fratelli luterani, della realtà mistica della comunione ecclesiale, non riconducibile a un comune fenomeno di solidarietà sociale, ma connotato da peculiari tratti di partecipazione alla realtà salvifica divina, costituisce senza dubbio un elemento di notevole valore. Il documento che stiamo esaminando ha posto in evidenza il rilievo assunto dalla condivisa valorizzazione del concetto biblico di koinonìa. In effetti, nel secondo Testamento con questo termine s’indica lo speciale rapporto che unisce i cristiani con Dio Padre, rivelato da Gesù di Nàzareth, e quello dei cristiani tra di loro.
Nel primo Testamento non incontriamo direttamente la nozione di “comunione”, ciò nonostante, sono chiaramente individuabili elementi che ne sottendono il contenuto nella relazione unica che s’instaura tra il/i fedele/i e l’unico Dio d’Israele. Questo trova espressione in una serie di elementi fondamentali della fede d’Israele.
1. in primo luogo nel culto, che senza alcun dubbio manifesta il bisogno d’entrare in comunione con Dio. Anche se in nessun testo, inerente le pratiche cultuali dell’antico Israele, s’incontra il termine “comunione”, questo bisogno spirituale viene senza dubbio reso quando si riferisce di pasti comuni presi “dinanzi a Dio” (cf. Es. 18,12).
2. C’è poi la realtà dell’alleanza a dare consistenza effettiva a questo desiderio. Con essa Dio prende su di sé la responsabilità della sorte d’Israele, ne interpreta le autentiche aspettative, cerca d’incontrare Israele e di conquistarne il cuore. Al fondo della realtà dell’alleanza non è dunque difficile rintracciare una decisa tensione alla comunione. Questo si manifesta con chiarezza nelle modalità particolari con cui Dio pone in atto la propria iniziativa: i lunghi colloquî con Mosè e la stessa denominazione di “tenda del convegno” conferita al luogo degli incontri.
3. Anche attraverso l’osservanza della Legge, della Carta dell’alleanza, obbedendo ai suoi precetti, significa farsi plasmare da Dio, trovarlo e unirsi a lui.
4. La preghiera, poi, per il fedele israelita, che conduce la propria vita nella fedeltà all’alleanza, costituisce il luogo ove incontrare Dio nella più grande intimità. E questo avviene sia nella forma di slancio spontaneo di ammirazione e di gioia di fronte alle meraviglie divine (è il caso della benedizione, della lode e del ringraziamento), sia nella supplica appassionata alla ricerca della presenza di Dio.
5. Infine, frutto non ultimo dell’alleanza è la profonda interiorizzazione del valore della comunione dei cuori nel popolo. La fedeltà a Dio comporta per l’ebreo il considerare il compatriota come proprio fratello e il prodigarsi per i più diseredati. In questa luce l’assemblea di culto assume la rilevanza di una comunità di popolo in cammino verso il proprio destino divino.
È nel secondo Testamento, tuttavìa, che in Gesù la comunione con Dio assume una realtà piena. L’iniziativa è tutta sua, svuotando se stesso, assumendo una condizione di servo e divenendo simile agli uomini (cf. Fil. 2,6-7), egli condivide nella debolezza la condizione comune di tutti gli uomini. Attraverso questa condivisione egli ci permette di poter partecipare alla sua condizione divina, come abbiamo visto in 2Pt. 1,4.
La vita pubblica di Gesù è tutta ispirata a una pratica della comunione a larghissimo raggio. Gesù chiama a sé dodici compagni di strada che vuole pienamente partecipi della propria missione d’insegnamento e di misericordia (cf. Mc. 6,7-13).

«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro". Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (Mc. 6,7-13).

Allo stesso tempo esige da loro la condivisione delle sue sofferenze (cf. Mc. 8,34-37).

«Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?» (Mc. 8,34-37).

Nella primitiva comunità cristiana l’unione fraterna dei credenti costituiva l’espressione della loro fede in Gesù, del loro desiderio d’imitarlo, del loro amore per lui, concretizzato anche nel loro amore reciproco che li rendeva espresso anche dal loro essere «un cuore e un’anima soli» (At. 4,32).
Paolo apostolo pone in evidenza come i cristiani che scelgono seguire Gesù, aderiscono a lui attraverso la fede e il battesimo e partecipano pienamente ai suoi misteri. In effetti essi muoiono al peccato con Cristo e risorgono con lui a una vita nuova. La partecipazione alle sue sofferenze, alla sua passione, alla sua morte, costituisce la premessa della loro partecipazione alla sua resurrezione. La partecipazione, infine, al corpo eucaristico di Gesù compie allo stesso tempo la comunione con il Figlio e l’unione delle membra tutte del corpo. Una comunione che trova il suo suggello nel dono dello Spirito.
Infine il Vangelo di Giovanni pone in luce come coloro che accolgono l’annuncio della fede realizzano la comunione con i suoi testimoni (gli apostoli) e, attraverso di loro, con Gesù e con il Padre. Così essi, uniti tra di loro, permangono nell’amore del Padre e del Figlio, e come il Padre e il Figlio sono uno nell’altro, anche essi sono una cosa sola (cf. Gv. 17,20-23).

«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv. 17,20-23).

La Scrittura ci mostra come la realtà della comunione sia uno degli elementi fondamentali e costitutivi dell’essere Chiesa, poter constatare che il cammino di dialogo compiuto con i fratelli luterani ha permesso di condividere un ampio consenso su un punto decisivo dell’essere Chiesa. Si tratta di un traguardo significativo, certamente non conclusivo, ma di grandissimo spessore. Una premessa per ulteriori e decisivi passi verso l’essere una cosa sola.

Sergio Sbragia
Vico Equense, lunedì 1° maggio 2017


[1] - Commissione per le questioni ecumeniche della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti - Chiesa evangelica luterana in America, Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero ed eucarestìa. - in «Il Regno : attualità e documenti», 61° (2016) 13, 409-456.
[2] - Cf. Communio sanctorum, 2000, 23-24.
[3] - Cf. La Chiesa come “koinonìa” di salvezza, 10-20.
[4] - Cf. Chiesa e giustificazione, 63-73.
[5] - Cf. Chiesa e giustificazione, 65.67.
[6] - Cf. La Chiesa : verso una visione comune, 23.
[7] - Cf. Chiesa e giustificazione, 68.
[8] - Cf. Chiesa e giustificazione, 69-70.

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