Facciamo un altro passo avanti nell’analisi della Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero
ed eucarestìa[1],
cercando d’approfondire i contenuti dell’affermazione di consenso n° 7, nella
quale si dà conto che oggi luterani e cattolici concordemente affermano che:
La
Chiesa terrena è una “comunione” (koinonìa).
Essa condivide i doni divini dispensati da Gesù di Nàzareth, che essendo
patrimonio condiviso, introducono i credenti all’unità ecclesiale e alla
comunione reciproca.
Se nel corso dei secoli la concezione della Chiesa proposta
da cattolici e luterani si è andata sviluppando lungo itinerarî divaricanti, a
partire dal 20° secolo, le due comunioni hanno insieme valorizzato il concetto
biblico di koinonìa, al quale hanno
fatto ricorso per comprendere in forma più autentica la realtà della Chiesa. Questa
comune scelta di metodo ha messo in moto un processo che ha fatto emergere una
serie di preziosi punti comuni.
In realtà il documento Communio
sanctorum[2]
illustra la centralità e la consistenza della nozione di “comunione” in molte
chiese e nei dialoghi ecumenici.
Il documento La Chiesa
come “koinonìa” di salvezza[3], a sua volta, spiega i contenuti
centrali della nozione di “comunione” e presenta i progressi resi possibili
sulla via del dialogo dall’adozione dell’ecclesiologìa di koinonìa da parte sia dei cattolici sia dei luterani: frutti
decisamene positivi per il dialogo sulla comprensione sia della Chiesa sia del
ministero ordinato.
Dal
canto suo il documento Chiesa e
giustificazione[4],
presenta la Chiesa sulla terra come una realtà che partecipa a una koinonìa o comunione che ha le proprie
radici nella Trinità. La comunione ecclesiale non si fonda, infatti, su un
accordo o su convergenti intenzioni dei credenti. La Chiesa è invece fondata
dal messaggio di Cristo, la cui proclamazione è avvenuta nella potenza dello
Spirito Santo. Quando lo Spirito suscita la fede nel Vangelo come buona novella
di redenzione, questo messaggio viene confessato congiuntamente da persone che
in tal modo si uniscono divenendo dello stesso messaggio e del suo potere
salvifico[5].
Anche
il documento La Chiesa : verso una
visione comune[6]
affronta il tema sottolineando come la
Chiesa non sia la mera somma di singole persone che scelgono di credere
in un dato messaggio. Essa, invece, è «fondamentalmente una comunione nel Dio uno
e trino e, al tempo stesso, una comunione i cui membri partecipano insieme alla
vita e alla missione di Dio Trinità (cf. 2Pt. 1,4), che è la fonte e il centro
di tutta la comunione» (La Chiesa : verso
una visione comune, 23).
Il
peculiare carattere della comunione ecclesiale è fondato dal documento sul
testo biblico 2Pt. 1,4.
«Con questo
[Gesù] ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per
loro mezzo diventiate partecipi della natura divina, sfuggendo alla corruzione,
che è nel mondo a causa della concupiscenza» (2Pt. 1,4).
L’apostolo
Pietro qui pone in evidenza come l’adesione al messaggio cristiano, si
differenzi dalla semplice adesione a un ordinario ideale umano, a causa della
sua caratteristica particolare e straordinaria, che vede, per quanti scelgono
di seguire Gesù, la ricezione di doni grandissimi e preziosi promessi da Dio
Padre, e che pongono i credenti nella condizione di poter partecipare alla
natura stessa di Dio. Un dono che rafforza nei fedeli la capacità di reagire
all’attrazione al male che la condizione di peccato, diffusa nel mondo, non
manca purtroppo, e nonostante tutto, di esercitare.
Questa
realtà di comunione è affermata nella sua pienezza sul piano sacramentale.
Il
battesimo, consacrando i credenti nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo e incorporandoli nel corpo santo di Gesù Cristo, esprime nella
forma più piena la realtà della priorità dell’azione di Dio nella chiamata di
darsi a Lui, rivolta agli uomini e alle donne di ogni luogo ed epoca[7].
Con la
partecipazione alla cena/eucarestìa poi, i credenti bevono il “calice della
benedizione” ed entrano così in comunione (koinonìa)
con il sangue di Cristo, un gesto che fa dei molti convenuti un solo corpo in
Cristo (1Cor. 10,16-17)[8].
«il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse
comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse
comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché
molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane» (1Cor. 10,16-17).
La percezione, comune con i fratelli luterani, della
realtà mistica della comunione ecclesiale, non riconducibile a un comune
fenomeno di solidarietà sociale, ma connotato da peculiari tratti di
partecipazione alla realtà salvifica divina, costituisce senza dubbio un
elemento di notevole valore. Il documento che stiamo esaminando ha posto in
evidenza il rilievo assunto dalla condivisa valorizzazione del concetto biblico
di koinonìa. In effetti, nel secondo
Testamento con questo termine s’indica lo speciale rapporto che unisce i
cristiani con Dio Padre, rivelato da Gesù di Nàzareth, e quello dei cristiani
tra di loro.
Nel primo Testamento non incontriamo direttamente la
nozione di “comunione”, ciò nonostante, sono chiaramente individuabili elementi
che ne sottendono il contenuto nella relazione unica che s’instaura tra il/i
fedele/i e l’unico Dio d’Israele. Questo trova espressione in una serie di
elementi fondamentali della fede d’Israele.
1. in primo luogo nel culto, che
senza alcun dubbio manifesta il bisogno d’entrare in comunione con Dio. Anche
se in nessun testo, inerente le pratiche cultuali dell’antico Israele,
s’incontra il termine “comunione”, questo bisogno spirituale viene senza dubbio
reso quando si riferisce di pasti comuni presi “dinanzi a Dio” (cf. Es. 18,12).
2. C’è poi la realtà
dell’alleanza a dare consistenza effettiva a questo desiderio. Con essa Dio
prende su di sé la responsabilità della sorte d’Israele, ne interpreta le
autentiche aspettative, cerca d’incontrare Israele e di conquistarne il cuore.
Al fondo della realtà dell’alleanza non è dunque difficile rintracciare una
decisa tensione alla comunione. Questo si manifesta con chiarezza nelle
modalità particolari con cui Dio pone in atto la propria iniziativa: i lunghi
colloquî con Mosè e la stessa denominazione di “tenda del convegno” conferita
al luogo degli incontri.
3. Anche attraverso l’osservanza
della Legge, della Carta dell’alleanza, obbedendo ai suoi precetti, significa
farsi plasmare da Dio, trovarlo e unirsi a lui.
4. La preghiera, poi, per il
fedele israelita, che conduce la propria vita nella fedeltà all’alleanza,
costituisce il luogo ove incontrare Dio nella più grande intimità. E questo
avviene sia nella forma di slancio spontaneo di ammirazione e di gioia di
fronte alle meraviglie divine (è il caso della benedizione, della lode e del
ringraziamento), sia nella supplica appassionata alla ricerca della presenza di
Dio.
5. Infine, frutto non ultimo
dell’alleanza è la profonda interiorizzazione del valore della comunione dei
cuori nel popolo. La fedeltà a Dio comporta per l’ebreo il considerare il
compatriota come proprio fratello e il prodigarsi per i più diseredati. In
questa luce l’assemblea di culto assume la rilevanza di una comunità di popolo
in cammino verso il proprio destino divino.
È nel secondo Testamento, tuttavìa, che in Gesù la
comunione con Dio assume una realtà piena. L’iniziativa è tutta sua, svuotando
se stesso, assumendo una condizione di servo e divenendo simile agli uomini (cf.
Fil. 2,6-7), egli condivide nella debolezza la condizione comune di tutti gli
uomini. Attraverso questa condivisione egli ci permette di poter partecipare
alla sua condizione divina, come abbiamo visto in 2Pt. 1,4.
La vita pubblica di Gesù è tutta ispirata a una pratica
della comunione a larghissimo raggio. Gesù chiama a sé dodici compagni di
strada che vuole pienamente partecipi della propria missione d’insegnamento e
di misericordia (cf. Mc. 6,7-13).
«Chiamò a sé i Dodici e
prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò
loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né
sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due
tuniche. E diceva loro: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché
non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi
ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come
testimonianza per loro". Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si
convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li
guarivano» (Mc.
6,7-13).
Allo stesso tempo esige da loro la condivisione delle sue
sofferenze (cf. Mc. 8,34-37).
«Convocata la folla
insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro a
me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole
salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni
il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in
cambio della propria vita?» (Mc.
8,34-37).
Nella primitiva comunità cristiana l’unione fraterna dei
credenti costituiva l’espressione della loro fede in Gesù, del loro desiderio d’imitarlo,
del loro amore per lui, concretizzato anche nel loro amore reciproco che li
rendeva espresso anche dal loro essere «un cuore e un’anima soli» (At. 4,32).
Paolo apostolo pone in evidenza come i cristiani che
scelgono seguire Gesù, aderiscono a lui attraverso la fede e il battesimo e
partecipano pienamente ai suoi misteri. In effetti essi muoiono al peccato con
Cristo e risorgono con lui a una vita nuova. La partecipazione alle sue
sofferenze, alla sua passione, alla sua morte, costituisce la premessa della
loro partecipazione alla sua resurrezione. La partecipazione, infine, al corpo
eucaristico di Gesù compie allo stesso tempo la comunione con il Figlio e l’unione
delle membra tutte del corpo. Una comunione che trova il suo suggello nel dono
dello Spirito.
Infine il Vangelo
di Giovanni pone in luce come coloro che accolgono l’annuncio della fede
realizzano la comunione con i suoi testimoni (gli apostoli) e, attraverso di
loro, con Gesù e con il Padre. Così essi, uniti tra di loro, permangono nell’amore
del Padre e del Figlio, e come il Padre e il Figlio sono uno nell’altro, anche
essi sono una cosa sola (cf. Gv. 17,20-23).
«Non prego solo per
questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché
tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai
dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una
sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo
conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv. 17,20-23).
La Scrittura ci mostra come la realtà della comunione sia
uno degli elementi fondamentali e costitutivi dell’essere Chiesa, poter constatare
che il cammino di dialogo compiuto con i fratelli luterani ha permesso di
condividere un ampio consenso su un punto decisivo dell’essere Chiesa. Si tratta
di un traguardo significativo, certamente non conclusivo, ma di grandissimo
spessore. Una premessa per ulteriori e decisivi passi verso l’essere una cosa sola.
Sergio Sbragia
Vico Equense, lunedì 1° maggio 2017
[1] - Commissione
per le questioni ecumeniche della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati
Uniti - Chiesa evangelica luterana in America, Dichiarazione in cammino : Chiesa, ministero ed eucarestìa. - in
«Il Regno : attualità e documenti», 61° (2016) 13, 409-456.
[2] - Cf. Communio sanctorum, 2000,
23-24.
[3] - Cf. La Chiesa come “koinonìa” di
salvezza, 10-20.
[4] - Cf. Chiesa e giustificazione, 63-73.
[5] - Cf. Chiesa e giustificazione, 65.67.
[6] - Cf. La Chiesa : verso una visione comune, 23.
[7] - Cf. Chiesa e giustificazione, 68.
[8] - Cf. Chiesa e giustificazione, 69-70.
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