giovedì 25 maggio 2017

Guardiamo a Maria, piuttosto che ai segreti!



Nei giorni scorsi è stato celebrato il centenario delle apparizioni mariane di Fatima. Papa Francesco si è recato nella città portoghese dove, nel 2° decennio del 20° secolo, tre pastorelli fecero un’esperienza di grandissimo spessore spirituale e ha celebrato la canonizzazione di due di essi.
E sùbito sono iniziate morbose speculazioni televisive e mass-mediatiche sui segreti di Fatima e sulle loro possibili interpretazioni. La grande stampa e la comunicazione di massa hanno così dato ampio spazio a una religiosità di natura magico-sacrale, perdendo un’altra preziosa occasione per dare giornalisticamente conto di esperienze spirituali di grande spessore umano e religioso, che lungo la storia umana hanno visto uomini e donne della più varia condizione sociale, levatura culturale, nei più diversi luoghi del mondo, sperimentare in prima persona l’incontro con Maria di Nàzareth. Incontri che segnano indelebilmente coloro che di volta in volta ne sono protagonisti e contrassegnano in forma singolare e straordinaria il percorso di fede di quelle persone. Un tratto comune tuttavia caratterizza tutte queste esperienze d’incontro con Maria di Nàzareth: il loro configurarsi come percezione di una condizione di figliolanza mariana.
Al di là delle particolari peculiarità delle singole esperienze d’incontro, che vanno rispettate e tenute al riparo dalla morbosa curiosità mass-mediatica, lungo i secoli quanti hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Maria, hanno sempre riconosciuto la madre di Gesù come propria madre.
Quest’esperienza di figliolanza mariana si pone in diretta continuità con una centrale pagina del Vangelo:

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé» (Gv. 19,25-27).

In un momento centrale della passione, Gesù dalla croce, rivolto alla propria madre, Maria di Nàzareth, la invita a considerare come proprio figlio il lì presente discepolo amato. Sùbito dopo volgendosi a quel discepolo, gli addita Maria di Nàzareth e lo invita a considerarla come propria madre. E il discepolo a quell’invito reagisce accogliendo prontamente con sé Maria. In questo brano del Vangelo di Giovanni nella figura del discepolo amato siamo, in realtà, raffigurati un po’ noi tutti che abbiamo scelto di seguire nella nostra vita Gesù. Ed è proprio Gesù che nel momento culminante della croce, mentre consapevolmente stava accettando di bere quel calice che poco prima aveva chiesto al Padre che gli fosse, se possibile, evitato (cf. Mt. 26,39), mentre stava portando a compimento la missione di svuotare se stesso, di assumere la condizione del servo, divenendo del tutto simile agli uomini e accettando di umiliare se stesso e facendosi obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil. 2,7-8), ebbene proprio in tale frangente essenziale e decisivo della storia della salvezza Gesù fa di sua madre, Maria di Nàzareth, la madre dell’intera umanità e chiede a noi, attraverso il discepolo amato, di riconoscerla come nostra madre e di sentirci suoi figlî. È ai piedi della croce, nella persona del discepolo amato, che i cristiani hanno riconosciuto la maternità di Maria e si sono dichiarati suoi figlî.
Questa relazione di maternità/figliolanza che Gesù ha istituito tra Maria, sua madre, e noi suoi seguaci, si allinea perfettamente all’ampio uso evangelico di descrivere le relazioni intra trinitarie, quelle di noi fedeli con Dio Padre, con Gesù stesso, e tra di noi, ricorrendo ai concetti cui ordinariamente ricorriamo per descrivere le relazioni intercorrenti tra i membri di una famiglia. Le pagine dei Vangeli abbondano infatti di riferimenti ai concetti di “paternità”, “figliolanza”, “fratellanza”. Concetti che esprimono nell’esperienza umana la realtà di relazioni fondamentali, radicate nell’amore e nella dedizione reciproci. Un riferimento quello dei Vangeli che, pur prendendo avvìo da un piano metaforico, finisce caratterizzare sul piano sostanziale la vita di fede delle comunità cristiane. L’episodio della croce, in piena coerenza, aggiunge alle già acquisite relazioni di “paternità”, “figliolanza”, “fratellanza” anche quella di “maternità”, la maternità di Maria nei nostri confronti.
L’indicazione di riconoscere in Maria di Nàzareth la nostra madre, formulata nel dramma della “croce” s’inscrive inoltre nel quadro del precedente invito rivoltoci sempre da Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc. 9,23).
La relazione di maternità/figliolanza che Gesù ci propone, ci pone nella condizione di riconoscere nella giovanissima donna, poco più che ragazza, un meraviglioso modello ed esempio da seguire nella nostra vita di fede.
Maria di Nàzareth, per la verità, nelle pagine della Scrittura svolge un ruolo molto discreto, ma decisivo sul piano dell’ispirazione della nostra vita di fede.
Sfogliando il Vangelo di Luca, incontriamo per la prima volta Maria nell’episodio dell’Annunciazione (Lc. 1,26-38). Di fronte alla proposta sconcertante formulatale da Gabriele, Maria giovanissima ragazza della Galilèa, ha la capacità di comprendere la portata della volontà di Dio e accetta la sfida che le è stata proposta:

«Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola"» (Lc. 1,38).

Qui Maria dimostra una capacità sorprendente: quella di leggere in ciò che le sa accadendo, la volontà di Dio per lei in quel momento della sua esperienza di vita. Nonostante il carattere singolare, per certi verso poco credibile, e comunque di grande rischio per una giovanissima donna nella Galilèa del 1° sec., Maria riconosce ciò che Dio le sta chiedendo e accetta di assumere la responsabilità della missione che le viene proposta.
Questa capacità di Maria di riconoscere negli eventi il volere di Dio, non è un elemento estemporaneo e isolato al solo momento dell’Annunciazione. Maria di Nàzareth mostra in più pagine del Vangelo di Luca di aver grande cura di alimentare questa propensione a comprendere la volontà del Signore nella realtà concreta degli eventi. Ce ne possiamo rendere conto guardando alla reazione di Maria prima all’evento della nascita di Gesù e del radunarsi dei pastori intorno alla mangiatoia (Lc. 2,1-20) e, poi, in occasione dello smarrimento di Gesù dodicenne e del suo successivo ritrovamento tra i dottori del Tempio (Lc. 2,41-52). In ambedue le occasioni l’evangelista ci fa notare:

«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc. 2,19).

«Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc. 2,51).

Maria ha cura di meditare sui fatti di cui è protagonista, ne custodisce il senso nel suo intimo e cerca di comprendere quale sia la volontà di Dio che in essi si manifesta. È questo uno sforzo che, in linguaggio conciliare, potremmo definire di lettura dei «segni dei tempi». In effetti Maria emerge dalle pagine dei Vangeli come la prima lettrice dei segni dei tempi. Ne abbiamo la dimostrazione nell’episodio del miracolo delle Nozze di Cana, quando Maria comprende il da farsi addirittura prima di Gesù:

«Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora".
Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv. 2,1-11).

In quest’occasione Maria legge la volontà di Dio nella circostanza della mancanza di vino e, addirittura, assume un atteggiamento di stimolo nei confronti dello stesso Gesù. Maria, da lettrice dei segni dei tempi, è un passo avanti a Gesù, il quale poi segue nel concreto la sua indicazione comportamentale e interviene operando un primo e stupefacente segno della sua missione.
È questa una grandissima capacità di Maria, madre di Gesù, di saper leggere la più autentica volontà di Dio in qualsivoglia condizione di vita.
Una capacità che il discepolo amato, dal momento in cui accoglie Maria come sua madre (Gv. 19,27), acquisisce una grande capacità di leggere la dimensione sacra della realtà. Ne abbiamo una prova qualche pagina più avanti del Vangelo di Giovanni:
 
«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa» (Gv. 20,1-10).

È il momento centrale della rivelazione cristiana, quello della resurrezione. All’allarme lanciato da Maria di Màgdala, Pietro e il discepolo amato si recano di corsa al sepolcro. In tale occasione il discepolo amato, pur entrato per secondo nel sepolcro, è il primo a comprendere l’evento della resurrezione («Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» - Gv. 20,8).
Il discepolo amato comprende la realtà della resurrezione, anche prima di Pietro, che aveva preso visione del sepolcro e dei reperti ivi presenti qualche istante prima. Questa capacità del discepolo amato presenta delle indubbie analogie con la capacità ampiamente mostrata da Maria nelle pagine del Vangelo che sono state richiamate. E quest’analogia, a mio avviso, non può essere casuale. Il riconoscimento della maternità di Maria rappresenta un momento significativo, per noi seguaci di Gesù, per divenire autentici lettori dei «segni dei tempi».
In effetti, se seguiamo l’esempio del discepolo amato ed eleggiamo Maria di Nàzareth come nostra madre, possiamo raccogliere con fiducia il guanto della sfida di annunciare il Vangelo sui sentieri della storia, divenendo oggi “discepoli amati”.

Sergio Sbragia
Giovedì, 25 maggio 2017

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