Nei
giorni scorsi è stato celebrato il centenario delle apparizioni mariane di
Fatima. Papa Francesco si è recato nella città portoghese dove, nel 2° decennio
del 20° secolo, tre pastorelli fecero un’esperienza di grandissimo spessore
spirituale e ha celebrato la canonizzazione di due di essi.
E sùbito
sono iniziate morbose speculazioni televisive e mass-mediatiche sui segreti di
Fatima e sulle loro possibili interpretazioni. La grande stampa e la comunicazione di massa hanno così dato ampio
spazio a una religiosità di natura magico-sacrale, perdendo un’altra preziosa
occasione per dare giornalisticamente conto di esperienze spirituali di grande
spessore umano e religioso, che lungo la storia umana hanno visto uomini e
donne della più varia condizione sociale, levatura culturale, nei più diversi
luoghi del mondo, sperimentare in prima persona l’incontro con Maria di Nàzareth.
Incontri che segnano indelebilmente coloro che di volta in volta ne sono protagonisti
e contrassegnano in forma singolare e straordinaria il percorso di fede di
quelle persone. Un tratto comune tuttavia caratterizza tutte queste esperienze
d’incontro con Maria di Nàzareth: il loro configurarsi come percezione di una
condizione di figliolanza mariana.
Al di là
delle particolari peculiarità delle singole esperienze d’incontro, che vanno
rispettate e tenute al riparo dalla morbosa curiosità mass-mediatica, lungo i
secoli quanti hanno sperimentato la bellezza dell’incontro con Maria, hanno
sempre riconosciuto la madre di Gesù come propria madre.
Quest’esperienza
di figliolanza mariana si pone in diretta continuità con una centrale pagina
del Vangelo:
«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua
madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre
e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna,
ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E
da quell'ora il discepolo l'accolse con sé» (Gv. 19,25-27).
In un
momento centrale della passione, Gesù dalla croce, rivolto alla propria madre,
Maria di Nàzareth, la invita a considerare come proprio figlio il lì presente
discepolo amato. Sùbito dopo volgendosi a quel discepolo, gli addita Maria di
Nàzareth e lo invita a considerarla come propria madre. E il discepolo a
quell’invito reagisce accogliendo prontamente con sé Maria. In questo brano del
Vangelo di Giovanni nella figura del
discepolo amato siamo, in realtà, raffigurati un po’ noi tutti che abbiamo
scelto di seguire nella nostra vita Gesù. Ed è proprio Gesù che nel momento
culminante della croce, mentre consapevolmente stava accettando di bere quel
calice che poco prima aveva chiesto al Padre che gli fosse, se possibile,
evitato (cf. Mt. 26,39), mentre stava portando a compimento la missione di
svuotare se stesso, di assumere la condizione del servo, divenendo del tutto
simile agli uomini e accettando di umiliare se stesso e facendosi obbediente
fino alla morte di croce (cf. Fil. 2,7-8), ebbene proprio in tale frangente
essenziale e decisivo della storia della salvezza Gesù fa di sua madre, Maria
di Nàzareth, la madre dell’intera umanità e chiede a noi, attraverso il
discepolo amato, di riconoscerla come nostra madre e di sentirci suoi figlî. È
ai piedi della croce, nella persona del discepolo amato, che i cristiani hanno
riconosciuto la maternità di Maria e si sono dichiarati suoi figlî.
Questa
relazione di maternità/figliolanza che Gesù ha istituito tra Maria, sua madre,
e noi suoi seguaci, si allinea perfettamente all’ampio uso evangelico di descrivere
le relazioni intra trinitarie, quelle di noi fedeli con Dio Padre, con Gesù
stesso, e tra di noi, ricorrendo ai concetti cui ordinariamente ricorriamo per
descrivere le relazioni intercorrenti tra i membri di una famiglia. Le pagine
dei Vangeli abbondano infatti di riferimenti ai concetti di “paternità”,
“figliolanza”, “fratellanza”. Concetti che esprimono nell’esperienza umana la
realtà di relazioni fondamentali, radicate nell’amore e nella dedizione
reciproci. Un riferimento quello dei Vangeli che, pur prendendo avvìo da un
piano metaforico, finisce caratterizzare sul piano sostanziale la vita di fede
delle comunità cristiane. L’episodio della croce, in piena coerenza, aggiunge
alle già acquisite relazioni di “paternità”, “figliolanza”, “fratellanza” anche
quella di “maternità”, la maternità di Maria nei nostri confronti.
L’indicazione
di riconoscere in Maria di Nàzareth la nostra madre, formulata nel dramma della
“croce” s’inscrive inoltre nel quadro del precedente invito rivoltoci sempre da
Gesù: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce ogni giorno e mi segua» (Lc. 9,23).
La
relazione di maternità/figliolanza che Gesù ci propone, ci pone nella
condizione di riconoscere nella giovanissima donna, poco più che ragazza, un
meraviglioso modello ed esempio da seguire nella nostra vita di fede.
Maria di
Nàzareth, per la verità, nelle pagine della Scrittura svolge un ruolo molto
discreto, ma decisivo sul piano dell’ispirazione della nostra vita di fede.
Sfogliando
il Vangelo di Luca, incontriamo per
la prima volta Maria nell’episodio dell’Annunciazione (Lc. 1,26-38). Di fronte
alla proposta sconcertante formulatale da Gabriele, Maria giovanissima ragazza
della Galilèa, ha la capacità di comprendere la portata della volontà di Dio e
accetta la sfida che le è stata proposta:
«Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga
per me secondo la tua parola"» (Lc. 1,38).
Qui
Maria dimostra una capacità sorprendente: quella di leggere in ciò che le sa
accadendo, la volontà di Dio per lei in quel momento della sua esperienza di
vita. Nonostante il carattere singolare, per certi verso poco credibile, e
comunque di grande rischio per una giovanissima donna nella Galilèa del 1°
sec., Maria riconosce ciò che Dio le sta chiedendo e accetta di assumere la
responsabilità della missione che le viene proposta.
Questa
capacità di Maria di riconoscere negli eventi il volere di Dio, non è un
elemento estemporaneo e isolato al solo momento dell’Annunciazione. Maria di
Nàzareth mostra in più pagine del Vangelo
di Luca di aver grande cura di alimentare questa propensione a comprendere
la volontà del Signore nella realtà concreta degli eventi. Ce ne possiamo
rendere conto guardando alla reazione di Maria prima all’evento della nascita
di Gesù e del radunarsi dei pastori intorno alla mangiatoia (Lc. 2,1-20) e,
poi, in occasione dello smarrimento di Gesù dodicenne e del suo successivo
ritrovamento tra i dottori del Tempio (Lc. 2,41-52). In ambedue le occasioni
l’evangelista ci fa notare:
«Maria,
da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc. 2,19).
«Sua
madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc. 2,51).
Maria ha
cura di meditare sui fatti di cui è protagonista, ne custodisce il senso nel
suo intimo e cerca di comprendere quale sia la volontà di Dio che in essi si
manifesta. È questo uno sforzo che, in linguaggio conciliare, potremmo definire
di lettura dei «segni dei tempi». In effetti Maria emerge dalle pagine
dei Vangeli come la prima lettrice dei segni dei tempi. Ne abbiamo la
dimostrazione nell’episodio del miracolo delle Nozze di Cana, quando Maria
comprende il da farsi addirittura prima di Gesù:
«Il
terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di
Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare
il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno vino". E Gesù le
rispose: "Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". Sua
madre disse ai servitori: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela".
Vi
erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei,
contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro:
"Riempite d'acqua le anfore"; e le riempirono fino all'orlo. Disse
loro di nuovo: "Ora prendetene e portatene a colui che dirige il
banchetto". Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l'acqua
diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove
venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo
e gli disse: "Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando
si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino
buono finora".
Questo,
a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la
sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv. 2,1-11).
In quest’occasione
Maria legge la volontà di Dio nella circostanza della mancanza di vino e,
addirittura, assume un atteggiamento di stimolo nei confronti dello stesso Gesù.
Maria, da lettrice dei segni dei tempi, è un passo avanti a Gesù, il quale poi
segue nel concreto la sua indicazione comportamentale e interviene operando un
primo e stupefacente segno della sua missione.
È questa
una grandissima capacità di Maria, madre di Gesù, di saper leggere la più autentica
volontà di Dio in qualsivoglia condizione di vita.
Una
capacità che il discepolo amato, dal momento in cui accoglie Maria come sua
madre (Gv. 19,27), acquisisce una grande capacità di leggere la dimensione
sacra della realtà. Ne abbiamo una prova qualche pagina più avanti del Vangelo di Giovanni:
«Il
primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino,
quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse
allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e
disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove
l'hanno posto!". Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si
recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse
più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli
posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed
entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul
suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora
entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e
credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli
doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa»
(Gv. 20,1-10).
È il
momento centrale della rivelazione cristiana, quello della resurrezione. All’allarme
lanciato da Maria di Màgdala, Pietro e il discepolo amato si recano di corsa al
sepolcro. In tale occasione il discepolo amato, pur entrato per secondo nel
sepolcro, è il primo a comprendere l’evento della resurrezione («Allora entrò
anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» - Gv. 20,8).
Il
discepolo amato comprende la realtà della resurrezione, anche prima di Pietro, che
aveva preso visione del sepolcro e dei reperti ivi presenti qualche istante
prima. Questa capacità del discepolo amato presenta delle indubbie analogie con
la capacità ampiamente mostrata da Maria nelle pagine del Vangelo che sono state
richiamate. E quest’analogia, a mio avviso, non può essere casuale. Il
riconoscimento della maternità di Maria rappresenta un momento significativo, per
noi seguaci di Gesù, per divenire autentici lettori dei «segni dei tempi».
In effetti, se seguiamo
l’esempio del discepolo amato ed eleggiamo Maria di Nàzareth come nostra madre,
possiamo raccogliere con fiducia il guanto della sfida di annunciare il Vangelo
sui sentieri della storia, divenendo oggi “discepoli amati”.
Sergio Sbragia
Giovedì, 25 maggio 2017
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