domenica 3 agosto 2014

Dov’è carità e amore, lì c’è Dio!


Queste parole di un celebre inno ecclesiale, mi sono tornate nella mente nelle ultime settimane, quando, in sèguito a iniziative poste in essere da alcune comunità cristiane sul terreno del riconoscimento di un ruolo ecclesiale ai fratelli nella fede che vivono la condizione omosessuale (celebrazioni di matrimonî tra credenti omosessuali), ho avuto modo di avere varî scambî d’idee sul tema che si rivela, a dire il vero, una questione davvero delicata e di grande rilevanza, che è bene che nelle comunità cristiane venga affrontato apertamente, con franchezza e senza reticenze.
Nelle chiese cristiane è ampiamente diffusa la convinzione che la condizione omosessuale implichi di per sé un collegamento con il peccato di sodomìa, largamente condannato da testi del primo e del secondo testamento. Da qui, è breve il passo all’adozione di un atteggiamento di condanna sia della manifestazione aperta di un orientamento omosessuale, sia dell’assunzione di una pratica di vita che, nelle relazioni interpersonali, faccia proprio tale orientamento. Ne consegue un atteggiamento di chiusura che nega la possibilità di ogni sperimentazione di nuove forme di presenza dei fratelli omosessuali nelle nostre comunità ecclesiali, sia sul piano del riconoscimento delle loro unioni, sia su quello del loro possibile accesso alle funzioni ministeriali. E queste posizioni vengono per altro assunte nella convinzione di seguire il più autentico insegnamento di Gesù.
Le discussioni che ho avuto in questi giorni mi hanno permesso di verificare che lo stato effettivo della questione si pone in forma molto diverso.
Come ho sempre dichiarato pubblicamente sono un cattolico conciliare ed ecumenico e sono fermamente convinto che, all'interno dell'ecumene cristiano, dovremmo scegliere di chiudere l'epoca delle condanne aprioristiche. Sarebbe, a mio parere, preferibile cercare di comprendere le ragioni che inducono alcune comunità cristiane a inaugurare nuovi sentieri di autentica testimonianza cristiana. Non credo che le comunità cristiane siano asservite a ideologie alla moda, ma ricerchino (anche sperimentando e rischiando) nel concreto della storia di rispondere ai problemi a volte tragici e drammatici delle donne e degli uomini del nostro tempo. Più delle condanne è utile la comprensione e il coraggio di inaugurare nuove rotte per la testimonianza della novità cristiana.
Sono inoltre convinto che la sperimentazione di nuovi itinerarî di testimonianza cristiana possa essere definita pregiudizialmente come un cedimento alla licenziosità e all'immoralità. Credo che il centro del messaggio cristiano, testimoniato dalla Scrittura, non stia tanto in una pluralità di precetti legalistici, ma nell'annunzio che "dove c'è amore lì c'è Dio". Ciò che è decisivo, a mio modo di vedere, non è la dimensione esteriore dei comportamenti, ma ciò che nell'intimo di ogni donna e uomo li determina. E se all'origine c'è l'amore oblativo e incondizionato, ciò risponde alla volontà di Dio. In questo filosofie e sistemi di pensiero secolari c'entrano ben poco. Non è possibile poi tracciare una distinzione legalistica tra un amore divino umanizzato e un amore umano divinizzato. L'amore, se autentico e non frutto di mera ricerca di piacere o di potere, ma dimentico di sé e totalmente dedito all'altro, viene senz'altro da Dio. E questo avviene non nella dimensione esteriore delle norme giuridiche, ma nell'intimo delle coscienze. Le relazioni tra le persone umane, poco importa se etero- o omo-sessuali, se nascono dall'egoismo ricadono necessariamente nell'àmbito del peccato, se si collocano nella dimensione dell'amore incondizionato meritano la benedizione di Dio. Le definizioni esteriori dei comportamenti dicono ben poco. E' dall'interno dell'uomo che nasce la dimensione decisiva dell'essere o meno in comunione con Dio.
Oggi si accusa con forza la cultura gender di voler imporre pratiche concrete di vita inconciliabili con il messaggio dei vangeli. A dire il vero, credo che le  filosofie umane, che lungo i secoli si succedono l’una all’altra nell’esprimere gli esiti della riflessione dell’uomo sulle proprie condizioni di vita, abbiano in realtà poca attinenza con l'amore, unico e riassuntivo comandamento divino (come ci viene annunciato da Gesù proprio nel discorso del monte, e come ci è ampiamente testimoniato da Giovanni). E' semmai la precettistica esteriore che è molto debitrice alle contingenti visioni culturali e filosofiche, che si alternano sulla scena dei secoli presenti che si susseguono lungo la vicenda storica dell'umanità. Discernere l'autentico soffio dello Spirito di Dio è l'impegno entusiasmante cui siamo chiamati se vogliamo seguire Gesù sui sentieri della storia. E questo non si realizza nella meccanicistica osservanza di precetti esteriori prodotti da impostazioni di pensiero di derivazione giusnaturalistica e, nella sostanza, esterni all'annuncio cristiano. Fare la volontà di Dio, qui e ora, in realtà significa trovare le strade concrete (nella concretezza dei problemi e dei drammi esistenziali) per affidarsi a Dio e servire gli uomini e le donne che incontriamo sulla nostra strada.
Probabilmente è proprio la condanna aprioristica dell'inclinazione omosessuale a essere pregiudiziale e debitoria nei confronti di linee di pensiero culturali e filosofiche esterne al messaggio evangelico, nel quale non è possibile rintracciare alcuna parola attribuibile a Gesù di esplicita condanna dell'inclinazione omosessuale. Va da sé che le relazioni omosessuali, al pari di quelle eterosessuali, sono tenute a realizzarsi sul piano della totale dedizione all'altro, e non chiudersi nella ricerca del piacere e del potere (è su questo piano che si scade nella pratica della lussuria e della sopraffazione). Quanto a testi del primo e del secondo testamento che si esprimono nel merito della questione, va ricordato che rispetto a essi Gesù ha proclamato una radicale innovazione, richiamando l'esigenza di superare un atteggiamento di mera e formalistica osservanza esteriore dei precetti. E' sufficiente ricordare il suo insegnamento sull'osservanza sabatica: l'uomo vale più del sabato. Credo, pertanto, che le sperimentazioni e le coraggiose scelte compiute da varie comunità cristiane sul tema della condizione dei fratelli che vivono la realtà dell'inclinazione omosessuale siano da guardare con attenzione e simpatia. Certo è un terreno difficile, ed è possibile talvolta compiere scelte eccessive e, per generosità, un po' avventate (sarebbe, a mio avviso, preferibile in questi casi non parlare di "matrimonio" ma di "benedizione di unioni"). Quello in questione è un tema delicatissimo che è all'ordine del giorno e provoca lacerazioni in tutte le chiese cristiane (non esclusa la stessa chiesa cattolica, anzi!). Nel tema sono implicati tanti aspetti a dir poco delicati, sarebbe pertanto utile una discussione aperta, franca e solidale. Una discussione tra fratelli in Cristo, per trovare insieme le strade migliori per testimoniare oggi la fede. Una discussione sui contenuti, senza condanne preliminari, da realizzarsi nella condivisione, nella simpatia e nel comune sforzo di ricerca della verità, che non è monopolio di nessuno (anzi, rispetto alla "verità" tutti ne siamo debitori rispetto a Gesù). Ciò che, a mio avviso, dobbiamo evitare è di ripercorrere la strada che nei secoli ha prodotto tante sofferenze, tanti lutti e tanta controtestimonianza all'amore cristiano, parlo della facile strada delle condanne pregiudiziali, delle reciproche scomuniche, dei roghi e delle guerre di religione. Un retaggio storico che pesa sulle nostre spalle di credenti del 21° sec. Una cosa di cui dobbiamo chiedere perdono al Signore, ma che al contempo ci chiede pressantemente di cambiare strada onde non ripetere gli stessi tremendi errori (in tal caso il nostro peccato sarebbe ben più grave di quello dei nostri fratelli dei secoli passati).
Nella lettura dei testi evangelici provo a chiedermi quale sarebbe stato l’atteggiamento di Gesù se, nell’episodio di Mt. 15,21-28, a chiedergli di lasciare ai cagnolini le briciole che cadono dal tavolo, anziché la donna cananea, fosse stato un gay?

«Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio". Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: "Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!". Egli rispose: "Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele". Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: "Signore, aiutami!". Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". "È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni". Allora Gesù le replicò: "Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita» (Mt. 15,21-28).

Oppure quale sarebbe stata la sua reazione se, in Gv. 8,3-11, i farisèi e gli scribi, in luogo, della donna adultera, gli avessero presentato una lesbica e richiesto quale sorte fosse giusto riservarle per il suo comportamento?

«Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei". E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed ella rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più"» (Gv. 8,3-11).  

Non credo di operare alcuna indebita forzatura se mi permetto di ipotizzare che Gesù non avrebbe mancato di ricorrere a gesti di grande misericordia, come per altro, ponendosi nella più autentica tradizione del primo testamento, ci ha chiaramente indicato in Mt. 12,1-8.

«In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: "Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato". Ma egli rispose loro: "Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. 7Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici , non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato"» (Mt. 12,1-8).

Siamo senza dubbio chiamati, come persone e come comunità, a conferire nella nostra vita il primato alla misericordia, cercando di riconoscere nella nostra epoca i segni del dolore e della sofferenza. L’anelito espresso in tante e multiformi riprese dai fratelli e dalle sorelle che vivono la condizione omosessuale ci chiede, come cristiani e come chiese, di compiere una grande opera di discernimento spirituale, su come incarnare oggi l’amore cristiano.
Penso, sinceramente, che non sia più possibile negare l’invocazione comunitaria della benedizione di Dio alle unioni di fratelli omosessuali, che scelgano, alla pari di quanto richiesto ordinariamente ai coniugi cristiani, di anteporre alla pur legittima ricerca del piacere fisico, l’amorevole dedizione reciproca all’altro e alla comunità e la pratica della fedeltà, nella certezza che, come giustamente canta l’inno ecclesiale citato all’inizio “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio!”.
Non solo sono anche convinto che ne deriverebbe un grande arricchimento alla vita ecclesiale se ai talenti di questi fratelli e di queste sorelle fosse data l’opportunità di portare liberamente frutto, se fosse operata un’apertura tale da consentir loro di accedere ai ministeri ecclesiali.
Ho fiducia che i padri sinodali, nell’imminente Assemblea mondiale del Sinodo dei Vescovi, sappiano con sapienza individuare le strade più opportune per inaugurare sul tema un itinerario di autentica misericordia.

Vico Equense, domenica 3 agosto 2014
Sergio Sbragia

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