giovedì 19 febbraio 2015

Alberi buoni e alberi marci

In questi giorni ho avuto modo di trovare una grande occasione di crescita spirituale dalla lettura dell’abituale contributo di analisi esegetica sul “Vangelo di Matteo” fornito da padre Ernesto Vavassori e apparso sull’ultimo numero di «Tempi di fraternità»:

Kata Matthaion Euangelion = Vangelo secondo Matteo : 30. [Mt. 7,15-29] / Ernesto Vavassori ; a cura di Germana Pene. – in «Tempi di fraternità : donne e uomini in ricerca e confronto comunitario», 44. (2014) 2, pp. 10-13.

In questo numero, padre Vavassori conduce una lettura attenta e davvero ispirata di una particolare sezione del “Discorso del monte”, quella dedicata alla figura dei “falsi profeti”. Ne suggerisco davvero la lettura a tutti gli amici. Penso che non si avrà motivo di pentirsene.
Sono stato, tra l’altro, particolarmente colpito da due riflessioni condotte da padre Vavassori.

La prima è riferita ai vv. 17-18 (“Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni”), dove padre Vavassori sottolinea che la traduzione più appropriata del termine greco “σαπρὸν” sarebbe “marcio” piuttosto che “cattivo”. Di conseguenza la giustapposizione abituale tra “albero buono e albero marcio”.
Così intesi, sostiene padre Vavassori, i falsi profeti, Gesù li paragona a spine e rovi, perché danneggiano la vita del gruppo, così come un albero “marcio”. Non siamo di fronte a criterio morale, non è questione di un albero cattivo o buono, nel senso che la bontà o meno del frutto non dipende dalla buona volontà, ma dalla qualità dell’albero. “Una vite non si sforzerà di fare uva: la fa spontaneamente. Un rovo, per quanto si sforzi, non farà mai uva”.
Qui, l’evangelista Matteo usa lo stesso termine “marcio” che userà più avanti, in Mt. 13,48, parlando della cernita tra pesci buoni e pesci marci, cioè pesci che hanno vita e pesci che sono in putrefazione.
Allora, il criterio per distinguere il vero dal falso profeta è vedere se è una persona che ha vita e ti trasmette vita, nel qual caso viene da Dio, altrimenti se è marcio, guasto, senza linfa vitale, senza amore, attento, perché fa marcire anche te!

L’altro spunto che ho trovato di grande interesse riguarda la distinzione, operata da padre Vavassori a proposito dei vv. 22-23 (“Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”), tra le espressioni “col tuo nome” [come sarebbe più giusto tradurre le tre ricorrenze dell’espressione in questi vv.] e “nel tuo nome”. Anche in questo caso le traduzioni correnti non rendono pienamente la profondità di questi due versetti e rendono la risposta di Gesù non del tutto comprensibile.
Le persone, delle quali Gesù sta parlando, hanno realmente profetato, cacciato demòni, e compiuto prodigî, che sono appunto le cose che Gesù chiede di fare ai componenti della sua comunità. Si tratta di persone che non si sono limitate a dire “Signore, Signore”, ma per ben tre volte, come è qui sottolineato, “con il tuo nome”, essi dicono che hanno compiuto segni.
Tutto il problema sta in questa piccola affermazione “col tuo”. Gesù chiede di compiere le azioni “nel suo nome”, che significa nella misura in cui uno lo rappresenta, lo rende visibile  (“Tutto ciò che chiederete nel mio nome vi verrà concesso”).
Chiedere “nel nome di Gesù” significa piuttosto: “nella misura in cui mi assomigliate siate tranquilli che ciò che chiedete verrà dato.
Questa è l’unica ricorrenza, nel “Vangelo di Matteo”, e in tutto il Secondo Testamento, dove l’espressione è diversa, perché mentre Gesù ha invitato a compiere le azioni “nel” suo nome, essi l’hanno fatto “al” nome, che si può tradurre letteralmente “col tuo nome”.
«Nella misura in cui una persona si identifica in Gesù, non spersonalizzandosi, ma arricchendo la sua personalità, inondandosi di amore ed esprimendo questo amore, compirà queste azioni “nel nome” di Gesù, come Gesù voleva. Questi personaggî, invece, con enfasi, mettono al primo posto l’espressione “col tuo nome”, perché hanno usato il nome di Gesù senza un coinvolgimento della propria persona. Hanno adoperato Gesù e il suo messaggio, e la forza di Gesù e del Vangelo, inevitabilmente causando il bene, liberando da demoni e facendo profezie, ma non hanno coinvolto la loro vita. È questo di Matteo, un monito di grande severità ai componenti della sua comunità, perché siano attenti a non diventare dei mestieranti del Vangelo, proclamando la ricchezza del messaggio di Gesù, ma senza lasciarsene trasformare. Essi, infatti, hanno usato il Vangelo, senza far sì che esso si radicasse in loro. È come il seme che una volta gettato germoglia, che tu ne sia consapevole o no. È questo, un monito severo, a tutta la comunità cristiana di ogni tempo, perché essa non rischi di cadere nell’efficientismo del Vangelo, strumentalizzando il messaggio di Gesù invece di cercare la somiglianza col Maestro. Il rischio è diventare dei “funzionari di Dio”, ma senza coinvolgimento personale non si diventa discepoli di Gesù».

Vico Equense, giovedì 19 febbraio 2015
Sergio Sbragia

sabato 14 febbraio 2015

Ed ecco il nuovo “Patto del Nazzareno”!



Da elettore del Partito Democratico ho salutato con piacere, dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, l’esaurimento della prospettiva politica denominata nel linguaggio politico comune come “il Patto del Nazzareno”. Avevo infatti ritenuto tale scelta, operata dal partito per il quale ho votato e continuerò a votare, come il frutto di una grave miopia politica che non ha tenuto nel dèbito conto la necessità di costruire nel paese un’alternativa chiara al regime personalistico, autoritario e fallimentare imposto da un ventennio di predominio politico del centro-destra, guidato da forze politiche prive di un’adeguata cultura democratica, di cui ha fatto le spese anche la nobile tradizione liberale, che pure è stata a lungo viva e operante nel nostro paese.
Non nascondo che sono convinto che le proposte di modifica di parti significative del testo costituzionale, meritino di essere consistentemente modificate, perché in varî casi non costituiscono un miglioramento né un ammodernamento del testo fondamentale del nostro ordinamento, ma un suo sostanziale peggioramento. In un frangente del genere sarebbe necessario il ricorso a doti autentiche di sapienza politica e all’attaccamento agli interessi generali del paese, che dovrebbero contraddistinguere una vera classe politica, al di là degli schieramenti, per inaugurare un momento di autentico confronto di idee e di posizioni politiche, fondato sulla necessità di garantire la massima possibilità di espressione a tutte le posizioni e culture politiche, nella consapevolezza che tutte possono contribuire positivamente al bene del paese, ma che nessuna può pretendere di possedere l’esclusiva della verità. Quindi rappresentanza per tutti, ma rispetto rigoroso delle regole democratiche che si esprimono nella dialettica maggioranza/opposizione.
Ma le sorprese non mancano mai! Sùbito sono sbocciati dal nulla nuovi contraenti del defunto “Patto del Nazzareno”. Una serie di forze politiche sono immediatamente scese in campo in soccorso politico del partito del cavaliere. Movimenti politici a conduzione monarchica (sia pur declinata in salsa di rete), forze d’ispirazione nazionalista e istanze di natura secessionista si sono rapidamente coagulate intorno al partito leader del centro-destra, mobilitandosi nella presentazione strumentale (e non di contenuto) di migliaia e migliaia di emendamenti (tonnellate di carta che impediscono l’emersione di idee e posizioni politiche autentiche), nel rendersi protagonisti in aula di comportamenti plateali e violenti (che sono il contrario di una cultura democratica), nell’abdicare al dovere di “rappresentare in aula” il mandato ricevuto dai proprî elettori. La fuga dall’aula parlamentare (che, a ben guardare, non presenta alcun’analogia con la vicenda dell’Aventino degli anni venti) è un grave comportamento che punisce i primo luogo gli elettori delle stesse forze politiche, che così sono rimasti privi di rappresentanza in Parlamento. Una fuga che manifesta apertamente l’incapacità del personale politico di centro-destra di esprimere in aula idee e posizioni politiche, che vadano oltre protagonismi strumentali e teatrali di pessima qualità. Le idee politiche e le posizioni autorevoli, quelle vere, hanno facilmente la meglio sui contingentamenti del dibattito e sulle limitazioni agli interventi in aula e alla presentazione e discussione di emendamenti. Basta possedere la statura politica necessaria ad esprimerle. Se manca questa capacità politica (che non s’improvvisa), le scappatoie vittimistiche non reggono. Queste, oltre a essere un tradimento del mandato ricevuto dagli elettori, sono anche una scelta perdente non solo per le forze politiche che le esprimono, ma, purtroppo, anche per il paese.
Ciò non toglie che anche nella maggioranza bisogna profondamente modificare il comportamento politico quotidiano, riaprendo il colloquio con il mondo del lavoro, della produzione e della cultura, cioè con quella parte del paese che possiede le capacità e le energie per portare il paese tutto (non solo i più ricchi e più potenti) fuori dal baratro economico, politico, sociale e culturale in cui è stato precipitato da vent’anni di potere personalistico del centro-destra.

Vico Equense, sabato 14 febbraio 2015
Sergio Sbragia

domenica 8 febbraio 2015

Le quindici malattie evidenziate da papa Francesco




Consiglio a tutti di rileggere con grande attenzione il discorso tenuto da papa Francesco lo scorso 22 dicembre 2014 alla curia romana in occasione dello scambio degli augurî natalizî. Un discorso che si è rivelato molto diverso da una formale allocuzione di circostanza. Il papa si è rivolto ai componenti della Curia romana sottolineando come il Natale sia «l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri, ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore».
L’assunzione della serietà dell’evento “di Dio che si fa uomo” porta papa Francesco, non solo a levare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno trascorso, «per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede», ma anche a chiedere «umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”». Papa Francesco prende poi spunto da questa richiesta di perdono, per configurare l’incontro pre-natalizio con la Curia come un’occasione per un vero esame di coscienza per preparare i cuori al Santo Natale.
Papa Francesco richiama allora l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo, al cui riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1Cor. 12,12). Non solo! Ma anche il Concilio Vaticano 2° ci ricorda come «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cf. 1Cor. 12,1-11)» (Lumen gentium, 7).
Nella logica della “Chiesa corpo mistico” a papa Francesco piace «pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo».
Papa Francesco è pienamente consapevole che la Curia è un corpo complesso, composto da numerosi elementi che hanno compiti diversificati, ma «coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri». Ma questa consapevolezza induce a papa Francesco a sottolineare che, essendo «la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia - come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato via. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione, il contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non possiamo fare nulla (cf. Gv. 15,5)». È allora il rapporto vivo con Dio che può alimentare e rafforzare anche la comunione con gli altri, nel senso che più si è intimamente congiunti a Dio più si è uniti comunitariamente, perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia, secondo il chiaro invito di papa Francesco, è allora «chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione».
In questo spirito papa Francesco passa a esprimere un chiaro monito secondo il quale la Curia, «come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità», che definisce più propriamente come “malattie curiali”, in quanto malattie abituali nella vita della Curia, che indeboliscono il servizio al Signore.
Riprendendo un’antica tradizione, risalente ai Padri del deserto, papa Francesco delinea un “catalogo” delle malattie curiali, come strumento utile per un itinerario natalizio di riconciliazione. Un “catalogo” che comprende quindici malattie, che papa Francesco elenca una per una e presenta analiticamente, indicando anche, per ciascuna di esse, l’itinerario spirituale di guarigione.

1. La prima malattia è quella del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando i necessarî e abituali controlli. Una Curia, ad avviso di papa Francesco, che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. È questa la malattia esemplata del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cf. Lc. 12,13-21), ma anche quella tipica di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. «Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi». La cura di questa malattia (che papa Francesco definisce “epidemia”) sta nella grazia di riconoscersi peccatori e affermando di tutto cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).

2. La seconda malattia è definita come la “malattia del martalismo” (il riferimenti è a Marta, la sorella di Maria e di Lazzaro di Betània), che è il risultato dell’eccessiva operosità e colpisce coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cf. Lc. 10,38-42).

3. Al terzo posto c’è e la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale, che colpisce quanti posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cf. At. 7,51); ma anche quelli che perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cf. Eb. 3,12). Per papa Francesco è molto pericoloso perdere la sensibilità umana che ci mette nelle condizioni di piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È questa la malattia di quanti perdono “i sentimenti di Gesù” (cf. Fil. 2,5), di modo che il cuore s’indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cf. Mt. 22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil. 2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità.

4. Quarta è la malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: che si esprime nel pianificare tutto minuziosamente, confidando che grazie alla pianificazione le cose effettivamente progrediscano, col rischio di assomigliare più a contabili o a commercialisti, piuttosto che a pastori. Per papa Francesco naturalmente è certamente necessario preparare, ma non bisogna cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo (cf. Gv. 3,8).

5. La quinta malattia è quella del cattivo coordinamento: «quando le membra perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo».

6. Al sesto posto incontriamo quella, che papa Francesco definisce la malattia dell’“Alzheimer spirituale”, che si manifesta nella dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore. È l’esito patologico di un declino progressivo delle facoltà spirituali che determina gravi handicap alla persona, percepibile in quanti hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore, o in quelli che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capriccî e manie, o, ancora, in chi costruisce intorno a sé muri e abitudini facendosi schiavo degli idoli scolpiti con le proprie mani.

7. Settima è la malattia della rivalità e della vanagloria: i cui sintomi sono l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza, con la dimenticanza delle parole di Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil. 2,3-4).

8. All’ottavo posto ricorre la malattia della schizofrenia esistenziale, che si manifesta nel vivere una «doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare». Una malattia che, sottolinea papa Francesco, colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete.

9. Buona nona è la malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È giusto allora ricordare l’ammonizione di Paolo: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil. 2,14-15).

10. In decima posizione si colloca la malattia di divinizzare i capi, quella di chi corteggia i superiori, per ottenerne la benevolenza. Si diviene così vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorando le persone e non Dio (cf. Mt. 23,8-12) e il servizio pastorale viene così vissuto pensando più a ciò che si può ottenere che non a ciò che si deve dare.

11. Segue, come undicesima, la malattia dell’indifferenza verso gli altri, che si manifesta in più modi: nel pensare solo a sé stesso, nel perdere la sincerità e il calore dei rapporti umani, nel non mettere la propria conoscenza al servizio degli altri, nel gioire delle disgrazie degli altri.

12. Dodicesima è poi la malattia della faccia funerea, tipica delle persone burbere e arcigne, convinte che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri  con rigidità, durezza e arroganza. In proposito papa Francesco evidenzia che la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. «L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito!».

13. In tredicesima posizione ritroviamo la malattia dell’accumulare, con cui si cerca di colmare un vuoto esistenziale nel cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà – dice papa Francesco – nulla di materiale potremo portare con noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i tesori terreni non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo.

14. Per quattordicesima ricorre la malattia dei circoli chiusi, quando l’appartenenza al piccolo gruppo diventa più forte e significativa di quella alla comunità ecclesiale o a Cristo stesso. Questa patologia può iniziare da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un vero ‘e proprio cancro.

15. Quindicesima e ultima è la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando si trasforma il servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia è molto dannosa per la chiesa, perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo.

Dopo aver fatto quest’elenco, papa Francesco, fa presente che le malattie e le tentazioni, che ha richiamato, sono un pericolo per ogni cristiano e per ogni comunità. Possono poi sia a livello individuale sia comunitario. E tiene poi a chiarire che è solo lo Spirito Santo a guarire ogni infermità, a sostenere ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione.
Ma la guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura. Dunque, siamo destinatarî – conclude papa Francesco – della chiamata a vivere «secondo la verità nella carità, [cercando] di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef. 4,15-16).
Ho voluto riportare quasi integralmente i contenuti di quest’intervento pre-natalizio di papa Francesco, perché lo considero di grandissima importanza. Questo discorso, chiaro e rigoroso, è stato letto da più parti come una sonora reprimenda nei confronti dei giochi di potere e dell’assenza di spirito di servizio nei palazzi vaticani. In realtà mi sembra un autentico servizio alla verità, un atto di amore alla chiesa, una testimonianza di carità (anche nel linguaggio popolare si usa dire “il parlar chiaro è fatto per gli amici”).
Dobbiamo però evitare un rischio, per altro posto in evidenza dallo stesso papa Francesco, quello di considerare il discorso come riguardante esclusivamente gli ambienti curiali. Se lo si legge con attenzione è facile rendersi conto che le quindici malattie, purtroppo, non sono un’esclusiva degli alti prelati d’oltre Tevere, sono un rischio non teorico e spesso un’esperienza concreta di tutti noi. Quello di papa Francesco è quindi un vero regalo di Natale, una messa in guardia per ciascuno di noi nella concreta vita quotidiana (in famiglia, sul lavoro, nella vita sociale, nell’eventuale impegno politico). Se riusciamo, nella quotidianità delle nostre scelte, a evitare i rischî connessi a queste malattie possiamo fare piccoli, ma concreti, passi per annunciare il Regno di Dio. Teniamo presente nel nostro cuore il catalogo di papa Francesco: è un dono prezioso!
Il testo integrale è disponibile sul sito: 
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2014/12/22/curiaromana.html


Grazie papa Francesco!

Sergio Sbragia
Vico Equense (Na), domenica 8 febbraio 2015