Consiglio
a tutti di rileggere con grande attenzione il discorso tenuto da papa Francesco
lo scorso 22 dicembre 2014 alla curia romana in occasione dello scambio degli
augurî natalizî. Un discorso che si è rivelato molto diverso da una formale
allocuzione di circostanza. Il papa si è rivolto ai componenti della Curia
romana sottolineando come il Natale sia «l’evento di Dio che si fa uomo per
salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a
darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri, ma dona a
noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana
e i nostri peccati per rivelarci la sua vita divina, la sua grazia immensa e il
suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della
grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è
anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla
gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore».
L’assunzione
della serietà dell’evento “di Dio che si fa uomo” porta papa Francesco, non
solo a levare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno trascorso, «per
gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente
compiere attraverso il servizio della Santa Sede», ma anche a chiedere «umilmente
perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”».
Papa Francesco prende poi spunto da questa richiesta di perdono, per
configurare l’incontro pre-natalizio con la Curia come un’occasione per un vero
esame di coscienza per preparare i cuori al Santo Natale.
Papa
Francesco richiama allora l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù
Cristo, al cui riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo è uno solo e
ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo
solo, così anche il Cristo» (1Cor.
12,12). Non solo! Ma anche il Concilio Vaticano 2° ci ricorda come «nella
struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici.
Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la varietà
dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle
necessità dei ministeri (cf. 1Cor.
12,1-11)» (Lumen
gentium, 7).
Nella
logica della “Chiesa corpo mistico” a papa Francesco piace «pensare alla Curia
Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca
seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più
unito in sé stesso e con Cristo».
Papa
Francesco è pienamente consapevole che la Curia è un corpo complesso, composto da
numerosi elementi che hanno compiti diversificati, ma «coordinati per un
funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le
diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri».
Ma questa consapevolezza induce a papa Francesco a sottolineare che, essendo «la
Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi.
Difatti, la Curia - come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto
vitale, personale, autentico e saldo con Cristo. Un membro della Curia che non
si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un
formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian
piano muore e viene gettato via. La preghiera quotidiana, la partecipazione
assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla
Riconciliazione, il contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità
tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia
chiaro a tutti noi che senza di Lui non possiamo fare nulla (cf. Gv. 15,5)». È allora
il rapporto vivo con Dio che può alimentare e rafforzare anche la comunione con
gli altri, nel senso che più si è intimamente congiunti a Dio più si è uniti comunitariamente,
perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.
La Curia, secondo il chiaro invito di
papa Francesco, è allora «chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a
crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua
missione».
In questo spirito papa Francesco
passa a esprimere un chiaro monito secondo il quale la Curia, «come ogni corpo
umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità», che
definisce più propriamente come “malattie curiali”, in quanto malattie abituali
nella vita della Curia, che indeboliscono il servizio al Signore.
Riprendendo un’antica tradizione,
risalente ai Padri del deserto, papa Francesco delinea un “catalogo” delle
malattie curiali, come strumento utile per un itinerario natalizio di riconciliazione.
Un “catalogo” che comprende quindici malattie, che papa Francesco elenca una
per una e presenta analiticamente, indicando anche, per ciascuna di esse, l’itinerario
spirituale di guarigione.
1. La prima malattia è quella del
sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando i
necessarî e abituali controlli. Una Curia, ad avviso di papa Francesco, che
non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un
corpo infermo. È questa la malattia esemplata del ricco stolto del Vangelo che
pensava di vivere eternamente (cf. Lc. 12,13-21), ma anche quella tipica
di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al
servizio di tutti. «Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso
degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine
e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei
più deboli e bisognosi». La cura di questa malattia (che papa Francesco
definisce “epidemia”) sta nella grazia di riconoscersi peccatori e affermando di
tutto cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc
17,10).
2. La seconda malattia è definita come
la “malattia del martalismo” (il riferimenti è a Marta, la sorella di Maria
e di Lazzaro di Betània), che è il risultato dell’eccessiva operosità e
colpisce coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la
parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cf. Lc. 10,38-42).
3. Al terzo posto c’è e la
malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale, che colpisce quanti posseggono
un cuore di pietra e la “testa dura” (cf. At. 7,51); ma anche quelli che perdono la serenità interiore, la
vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di
pratiche” e non “uomini di Dio” (cf. Eb.
3,12). Per papa Francesco è molto pericoloso perdere la sensibilità umana che
ci mette nelle condizioni di piangere con coloro che piangono e gioire con
coloro che gioiscono! È questa la malattia di quanti perdono “i sentimenti di
Gesù” (cf. Fil. 2,5), di modo
che il cuore s’indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il
Padre e il prossimo (cf. Mt.
22,34-40). Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù” (Fil.
2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità.
4. Quarta è la malattia
dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: che si esprime nel pianificare
tutto minuziosamente, confidando che grazie alla pianificazione le cose
effettivamente progrediscano, col rischio di assomigliare più a contabili o a commercialisti,
piuttosto che a pastori. Per papa Francesco naturalmente è certamente
necessario preparare, ma non bisogna cadere nella tentazione di voler
rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo (cf. Gv. 3,8).
5. La quinta malattia è quella
del cattivo coordinamento: «quando le membra perdono la comunione tra di
loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza,
diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non
collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede
dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”,
causando così disagio e scandalo».
6. Al sesto posto
incontriamo quella, che papa Francesco definisce la malattia dell’“Alzheimer
spirituale”, che si manifesta nella dimenticanza della propria storia di
salvezza, della storia personale con il Signore. È l’esito patologico di un declino progressivo
delle facoltà spirituali che determina gravi handicap alla persona,
percepibile in quanti hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore, o
in quelli che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni,
capriccî e manie, o, ancora, in chi costruisce intorno a sé muri e abitudini facendosi
schiavo degli idoli scolpiti con le proprie mani.
7. Settima è la malattia
della rivalità e della vanagloria: i cui sintomi sono l’apparenza, i colori
delle vesti e le insegne di onorificenza, con la dimenticanza delle parole di Paolo:
«Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta
umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi
l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil. 2,3-4).
8. All’ottavo posto ricorre
la malattia della schizofrenia esistenziale, che si manifesta nel vivere una
«doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto
spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare». Una malattia
che, sottolinea papa Francesco, colpisce spesso coloro che, abbandonando il
sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il
contatto con la realtà, con le persone concrete.
9. Buona nona è la malattia
delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. E’ una malattia
grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si
impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come
satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri
colleghi e confratelli. È giusto allora ricordare l’ammonizione di Paolo: «Fate
tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil. 2,14-15).
10. In decima posizione si
colloca la malattia di divinizzare i capi, quella di chi corteggia i superiori,
per ottenerne la benevolenza. Si diviene così vittime del carrierismo e
dell’opportunismo, onorando le persone e non Dio (cf. Mt. 23,8-12) e il servizio pastorale viene così vissuto pensando
più a ciò che si può ottenere che non a ciò che si deve dare.
11. Segue, come undicesima,
la malattia dell’indifferenza verso gli altri, che si manifesta in più modi:
nel pensare solo a sé stesso, nel perdere la sincerità e il calore dei rapporti
umani, nel non mettere la propria conoscenza al servizio degli altri, nel gioire
delle disgrazie degli altri.
12. Dodicesima è poi la
malattia della faccia funerea, tipica delle persone burbere e arcigne,
convinte che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di
severità e trattare gli altri con
rigidità, durezza e arroganza. In proposito papa Francesco evidenzia che la severità
teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura
e di insicurezza di sé. «L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona
cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un
cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti
coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito!».
13. In tredicesima posizione
ritroviamo la malattia dell’accumulare, con cui si cerca di colmare un
vuoto esistenziale nel cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma
solo per sentirsi al sicuro. In realtà – dice papa Francesco – nulla di
materiale potremo portare con noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i tesori
terreni non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più
esigente e più profondo.
14. Per quattordicesima
ricorre la malattia dei circoli chiusi, quando l’appartenenza al piccolo gruppo
diventa più forte e significativa di quella alla comunità ecclesiale o a Cristo
stesso. Questa patologia può iniziare da buone intenzioni ma con il passare del
tempo schiavizza i membri diventando un vero ‘e proprio cancro.
15. Quindicesima e ultima è
la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando si trasforma
il servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o
più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di
moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e
di screditare gli altri. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci
degli altri. Anche questa malattia è molto dannosa per la chiesa, perché porta
le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale
scopo.
Dopo aver fatto quest’elenco,
papa Francesco, fa presente che le malattie e le tentazioni, che ha richiamato,
sono un pericolo per ogni cristiano e per ogni comunità. Possono poi sia a
livello individuale sia comunitario. E tiene poi a chiarire che è solo lo
Spirito Santo a guarire ogni infermità, a sostenere ogni sincero sforzo di
purificazione e ogni buona volontà di conversione.
Ma la guarigione è anche frutto
della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria
di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura. Dunque, siamo
destinatarî – conclude papa Francesco – della chiamata a vivere «secondo la
verità nella carità, [cercando] di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il
capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la
collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro,
riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef. 4,15-16).
Ho
voluto riportare quasi integralmente i contenuti di quest’intervento
pre-natalizio di papa Francesco, perché lo considero di grandissima importanza.
Questo discorso, chiaro e rigoroso, è stato letto da più parti come una sonora reprimenda nei confronti dei giochi di
potere e dell’assenza di spirito di servizio nei palazzi vaticani. In realtà mi
sembra un autentico servizio alla verità, un atto di amore alla chiesa, una
testimonianza di carità (anche nel linguaggio popolare si usa dire “il parlar
chiaro è fatto per gli amici”).
Dobbiamo
però evitare un rischio, per altro posto in evidenza dallo stesso papa
Francesco, quello di considerare il discorso come riguardante esclusivamente
gli ambienti curiali. Se lo si legge con attenzione è facile rendersi conto che
le quindici malattie, purtroppo, non sono un’esclusiva degli alti prelati d’oltre
Tevere, sono un rischio non teorico e spesso un’esperienza concreta di tutti
noi. Quello di papa Francesco è quindi un vero regalo di Natale, una messa in
guardia per ciascuno di noi nella concreta vita quotidiana (in famiglia, sul
lavoro, nella vita sociale, nell’eventuale impegno politico). Se riusciamo, nella
quotidianità delle nostre scelte, a evitare i rischî connessi a queste malattie
possiamo fare piccoli, ma concreti, passi per annunciare il Regno di Dio.
Teniamo presente nel nostro cuore il catalogo di papa Francesco: è un dono
prezioso!
Il testo integrale è disponibile sul sito:
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2014/12/22/curiaromana.html
Grazie
papa Francesco!
Sergio Sbragia
Vico Equense (Na), domenica 8 febbraio 2015
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