sono un elettore del Partito Democratico e guardo
con grande attenzione al processo in corso di superamento dell’attuale struttura
degli enti locali, a sèguito dell’entrata in vigore della Legge 7 aprile 2014,
n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e
fusioni di comuni».
Si tratta di un provvedimento legislativo di
ampia portata, che modifica profondamente la struttura delle autonomie locali, almeno
quella con la quale ci siamo confrontati negli ultimi decennî, e dalla cui
attuazione mi attendo esiti complessivamente positivi.
Esiste tuttavia un aspetto che mi preoccupa non
poco. Le Amministrazioni provinciali, oltre alle altre loro funzioni, si
ritrovano a gestire un patrimonio culturale di grande rilevanza. Mi riferisco in
modo particolare alle numerose Biblioteche provinciali presenti nel nostro
paese, particolarmente diffuse soprattutto nell’area centro meridionale. Si
tratta di decine di biblioteche di grande tradizione storica e di grandissimo
valore culturale. Alcune di esse sono nate in epoca pre-unitaria (per esempio,
la Biblioteca provinciale di Salerno). Numerose sono invece quelle costituite
durante il Regno d’Italia. Pressoché tutte custodiscono testimonianze di primario
valore dell’identità storica e culturale della propria terra. Non è un caso che
nella nostra toponomastica incontriamo lemmi quali il Sannio, l’Irpinia, la
Terra di Bari, la Capitanata e tanti altri dello stesso genere. Se ciò è
avvenuto è il segno che i territorî, così individuati sul piano linguistico,
hanno conseguito nei fatti, per solida tradizione sedimentata nei secoli, una
chiara identità storica e culturale. Si si guarda bene molto spesso sono
proprio realtà territoriali così fortemente connotate a possedere la ricchezza
di istituti bibliotecarî provinciali che conservano in forma unitaria le
testimonianze della propria comunità civile.
Sto parlando, in realtà, se i dati a mia
disposizione sono completi, di circa 30 istituti bibliotecarî, distribuiti per
lo più dall’Abruzzo al sud e alle isole, con alcune presenze anche al nord. Si
tratta di un patrimonio culturale complessivo di oltre 3 milioni di volumi, al
cui interno c’è una ricchissima componente antica e di pregio (dagli incunaboli
alle edizioni del 19°secolo), una vastissima dotazione di documentazione
manoscritta, ma anche testimonianze più recenti di vicende storiche e sociali specifiche
delle comunità locali riferimento. Per esempio, a Salerno è conservata una
ricca documentazione editoriale testimoniante il ruolo del tutto peculiare svolto
dalla città campana nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Documentazioni
analoghe, ma riferite a fatti e processi storici diversi, ma altrettanto
decisivi e distintivi, sono conservati nelle altre biblioteche.
Le raccolte di alcune delle Biblioteche provinciali
in questione superano ampiamente i duecento mila volumi (un paio almeno vanno
oltre i 300mila).
Questi istituti in molti casi sono anche
destinatarî del deposito legale e, in quanto tali, componenti essenziali dei
rispettivi archivî regionali della produzione editoriale del proprio territorio
ai sensi della legge 106 del 2004.
Di certo biblioteche provinciali quali quelle
di Chieti, L’Aquila, Viterbo, Pescara, Campobasso, Isernia, Foggia, Bari, Benevento,
Avellino, Brindisi, Lecce, Matera, Potenza, Salerno, Catanzaro, Cosenza e
Cagliari (senza dimenticare le ricchissime biblioteche annesse ad alcuni musei provinciali,
come per esempio quelle del Museo provinciale campano di Capua e del Museo del Sannio)
sono istituzioni culturali di prim’ordine, il cui destino futuro non può essere
lasciato al caso. È un obbligo che ci vincola sul piano etico e culturale di
cui siamo debitori nei confronti delle future generazioni, che non possiamo
arbitrariamente privare di un pezzo essenziale della loro memoria storica e
culturale.
Ebbene a questo grandissimo patrimonio
culturale nella lettura dei 50 commi (dal 51 al 100), che la Legge 56 del 2014
dedica alle funzioni e all’organizzazione delle province, non si ritrova cenno
alcuno. Faccio fatica a pensare che gli estensori del testo legislativo non
fossero a conoscenza dell’esistenza di un così grande tesoro culturale, per
giunta un tesoro per lo più centro-meridionale.
Non avrei certo preteso che fosse richiamato al
comma 85 tra le funzioni fondamentali delle province, mi sarei tuttavia
aspettato almeno alcune norme chiare che ne salvaguardassero l’integrità, la
fruizione pubblica e la trasmissione alle future generazioni. Di tutto questo,
invece, nemmeno l’ombra, cosa che può far legittimamente pensare a un non tanto
velato pregiudizio antimeridionale.
In ogni caso, di fronte alla rilevanza del
problema, a mio parere, si rivela necessario e urgente un intervento
legislativo di carattere correttivo e integrativo, in grado di salvaguardare adeguatamente
un patrimonio culturale di tale rilevanza, o, quanto meno, che dal Ministero dei
beni e delle attività culturali e del turismo siano emanate direttive
autorevoli atte a garantire l’integrità e la vita futura di queste biblioteche.
Faccio pertanto, in tutta coscienza, appello
alla vostra sensibilità, alla vostra passione politica e al vostro impegno
civile, affinché alle biblioteche provinciali (nel quadro del nuovo panorama delle
autonomie locali) siano assicurate le dovute prospettive di futuro.
Nel salutarvi con cordialità, voglio formularvi
i più sinceri auguri per il vostro impegno al servizio del paese, ricordandovi
che, nella storia, la distruzione delle biblioteche e i roghi di libri hanno
sempre dato il via a momenti oscuri di barbarie e oscurantismo.
Con amicizia,
Vico Equense
(Na), venerdì 6 febbraio 2015
Sergio
Sbragia
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