venerdì 6 febbraio 2015

Il delicato caso delle Biblioteche provinciali : attenzione a che, assieme all’acqua sporca, non venga buttato via anche il bambino. Lettera aperta a Matteo Renzi, Graziano Delrio e Dario Franceschini.



sono un elettore del Partito Democratico e guardo con grande attenzione al processo in corso di superamento dell’attuale struttura degli enti locali, a sèguito dell’entrata in vigore della Legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni».
Si tratta di un provvedimento legislativo di ampia portata, che modifica profondamente la struttura delle autonomie locali, almeno quella con la quale ci siamo confrontati negli ultimi decennî, e dalla cui attuazione mi attendo esiti complessivamente positivi.
Esiste tuttavia un aspetto che mi preoccupa non poco. Le Amministrazioni provinciali, oltre alle altre loro funzioni, si ritrovano a gestire un patrimonio culturale di grande rilevanza. Mi riferisco in modo particolare alle numerose Biblioteche provinciali presenti nel nostro paese, particolarmente diffuse soprattutto nell’area centro meridionale. Si tratta di decine di biblioteche di grande tradizione storica e di grandissimo valore culturale. Alcune di esse sono nate in epoca pre-unitaria (per esempio, la Biblioteca provinciale di Salerno). Numerose sono invece quelle costituite durante il Regno d’Italia. Pressoché tutte custodiscono testimonianze di primario valore dell’identità storica e culturale della propria terra. Non è un caso che nella nostra toponomastica incontriamo lemmi quali il Sannio, l’Irpinia, la Terra di Bari, la Capitanata e tanti altri dello stesso genere. Se ciò è avvenuto è il segno che i territorî, così individuati sul piano linguistico, hanno conseguito nei fatti, per solida tradizione sedimentata nei secoli, una chiara identità storica e culturale. Si si guarda bene molto spesso sono proprio realtà territoriali così fortemente connotate a possedere la ricchezza di istituti bibliotecarî provinciali che conservano in forma unitaria le testimonianze della propria comunità civile.
Sto parlando, in realtà, se i dati a mia disposizione sono completi, di circa 30 istituti bibliotecarî, distribuiti per lo più dall’Abruzzo al sud e alle isole, con alcune presenze anche al nord. Si tratta di un patrimonio culturale complessivo di oltre 3 milioni di volumi, al cui interno c’è una ricchissima componente antica e di pregio (dagli incunaboli alle edizioni del 19°secolo), una vastissima dotazione di documentazione manoscritta, ma anche testimonianze più recenti di vicende storiche e sociali specifiche delle comunità locali riferimento. Per esempio, a Salerno è conservata una ricca documentazione editoriale testimoniante il ruolo del tutto peculiare svolto dalla città campana nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Documentazioni analoghe, ma riferite a fatti e processi storici diversi, ma altrettanto decisivi e distintivi, sono conservati nelle altre biblioteche.
Le raccolte di alcune delle Biblioteche provinciali in questione superano ampiamente i duecento mila volumi (un paio almeno vanno oltre i 300mila).
Questi istituti in molti casi sono anche destinatarî del deposito legale e, in quanto tali, componenti essenziali dei rispettivi archivî regionali della produzione editoriale del proprio territorio ai sensi della legge 106 del 2004.
Di certo biblioteche provinciali quali quelle di Chieti, L’Aquila, Viterbo, Pescara, Campobasso, Isernia, Foggia, Bari, Benevento, Avellino, Brindisi, Lecce, Matera, Potenza, Salerno, Catanzaro, Cosenza e Cagliari (senza dimenticare le ricchissime biblioteche annesse ad alcuni musei provinciali, come per esempio quelle del Museo provinciale campano di Capua e del Museo del Sannio) sono istituzioni culturali di prim’ordine, il cui destino futuro non può essere lasciato al caso. È un obbligo che ci vincola sul piano etico e culturale di cui siamo debitori nei confronti delle future generazioni, che non possiamo arbitrariamente privare di un pezzo essenziale della loro memoria storica e culturale.
Ebbene a questo grandissimo patrimonio culturale nella lettura dei 50 commi (dal 51 al 100), che la Legge 56 del 2014 dedica alle funzioni e all’organizzazione delle province, non si ritrova cenno alcuno. Faccio fatica a pensare che gli estensori del testo legislativo non fossero a conoscenza dell’esistenza di un così grande tesoro culturale, per giunta un tesoro per lo più centro-meridionale.
Non avrei certo preteso che fosse richiamato al comma 85 tra le funzioni fondamentali delle province, mi sarei tuttavia aspettato almeno alcune norme chiare che ne salvaguardassero l’integrità, la fruizione pubblica e la trasmissione alle future generazioni. Di tutto questo, invece, nemmeno l’ombra, cosa che può far legittimamente pensare a un non tanto velato pregiudizio antimeridionale.
In ogni caso, di fronte alla rilevanza del problema, a mio parere, si rivela necessario e urgente un intervento legislativo di carattere correttivo e integrativo, in grado di salvaguardare adeguatamente un patrimonio culturale di tale rilevanza, o, quanto meno, che dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo siano emanate direttive autorevoli atte a garantire l’integrità e la vita futura di queste biblioteche.
Faccio pertanto, in tutta coscienza, appello alla vostra sensibilità, alla vostra passione politica e al vostro impegno civile, affinché alle biblioteche provinciali (nel quadro del nuovo panorama delle autonomie locali) siano assicurate le dovute prospettive di futuro.
Nel salutarvi con cordialità, voglio formularvi i più sinceri auguri per il vostro impegno al servizio del paese, ricordandovi che, nella storia, la distruzione delle biblioteche e i roghi di libri hanno sempre dato il via a momenti oscuri di barbarie e oscurantismo.

Con amicizia,

Vico Equense (Na), venerdì 6 febbraio 2015
Sergio Sbragia

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