Lettera aperta a Matteo Renzi
Caro Matteo,
sono un sostenitore e un elettore del Partito democratico. Alle ultime
primarie di partito non ho votato per te. E, col senno di poi, visto lo
svolgimento successivo degli eventi politici, sono molto contento di non averlo
fatto.
Mi devi perdonare la crudezza, è infatti mia abitudine esprimere le
mie personali posizioni in forma pubblica e con la massima franchezza e
chiarezza, ma, allo stesso tempo, nella massima correttezza e con tutto il
rispetto dovuto a chi la pensa in diverso modo. Penso che questo sia un dovere
per tutti coloro che hanno una sollecitudine autentica per il bene comune e non
solo un’attenzione esclusivamente ritagliata alla cura del proprio bene
particolare.
È passato un periodo di tempo sufficientemente ampio dalla tua
elezione a segretario di partito e dal tuo successivo insediamento alla guida
del governo del Paese, per poter avere una visione d’assieme della tuta
esperienza alla guida del partito e del paese.
Confesso che già questo primo punto presenta una certa difficoltà,
perché risulta abbastanza arduo distinguere, nella tua esperienza politica di
questi due anni, gli aspetti che sono riconducibili al governo del paese da
quelli che invece sono relativi alla vita di partito. La scelta, da me già a suo
tempo indicata come errata, di cumulare sulla tua persona gli incarichi di
segretario del partito e di premier, impedisce, nonostante tutte le arrampicate
di specchî in cui ti cimenti in ogni comunicazione pubblica, di distinguere il
programma e l’azione del Partito democratico dal programma e dell’iniziativa di
governo. Si tratta di due realtà che non coincidono e non possono coincidere.
La confusione creata dal sovraccarico sulla stessa persona finisce per
danneggiare sia il partito sia il governo. Ogni qual volta prendi la parola,
parli a nome del partito o del governo? Noi cittadini avremmo il diritto di
saperlo e il mondo della politica ha il dovere di renderlo chiaro. D’altronde
nel partito, anche nella componente a te più vicina sono presenti personalità
di grande rilievo e capacità che potrebbero assumere l’uno o l’altro incarico,
qualora tu dovessi maturare la decisione, da me auspicata, di lasciarne uno.
Una decisione che non sarebbe di certo una tua sconfitta, ma la maturazione di
una saggia opzione per aprire al partito e al paese prospettive di crescita e
sviluppo adeguate, facilitate dalla più specifica finalizzazione dell’impegno
politico personale, di due distinte persone, una allo sviluppo e
all’affermazione del programma di partito, e, l’altra, alla realizzazione di un
programma di governo che abbia a tema esclusivamente il bene dell’Italia.
Devo dire che già ben prima delle primarie, con cui sei stato scelto
quale segretario del Pd, non condividevo molto la tua pratica di cavalcare
contemporaneamente due cavalli. Mentre eri sindaco di Firenze, già ti allenavi
per altri traguardi. Stavi materialmente a Palazzo vecchio, ma la tua fantasia
viaggiava altrove. E spesso anche tu materialmente eri in tutt’altro luogo,
magari alla Leopolda o ad Arcore a colloquio con Berlusconi. Penso che la
carica di Sindaco di una grande città, e nel caso specifico di una capitale
culturale del mondo, richieda l’attenzione esclusiva della persona che è chiamata
a tale incarico e che questa sia poi tenuta ad assolverlo in tale forma
esclusiva sino all’ultimo giorno, all’ultima ora, all’ultimo minuto, all’ultimo
secondo. Ritengo davvero scandaloso il fenomeno, che spesso si ripete, di
sindaci che lasciano anzi tempo la loro funzione, per passare ad altro
incarico. Il sindaco di una città viene scelto dai proprî concittadini
attraverso una forma elettorale maggioritaria focalizzata sulla sua persona. I
contribuenti per la sua scelta spesso devono sostenere la spesa di un doppio
appuntamento elettorale (primo turno e ballottaggio). Alla persona prescelta
viene riconosciuto un ampio spazio di decisionalità personale. Può liberamente
scegliere i componenti dell’esecutivo municipale sulla base di valutazioni
personali. A questo investimento di fiducia sulla sua persona, non può a mio
avviso far sèguito una distrazione delle proprie energie per altri àmbiti
politici di ordine sovra locale e, men che mai, l’abbandono anzi tempo
dell’incarico (fatte naturalmente salve le ragioni di forza maggiore, per
esempio la salute personale). Quindi quando ti ho visto affilare le armi per
partecipare alla competizione per la segreteria del partito, mentre a Palazzo
Vecchio qualcun altro a tuo nome e in incognito svolgeva di fatto il lavoro di
primo cittadino non ho condiviso questa tua scelta. E ancor meno ho condiviso
la scelta di abbandonare Palazzo vecchio prima della naturale scadenza del
mandato.
Come ti ho detto non ho votato per te e allora compii tale scelta, non
per motivi di linea politica, ma proprio perché in quel momento eri ancora il
Sindaco di Firenze e non potevo condividere la tua intenzione di tradire il
mandato di fiducia a te conferito dai cittadini della città di Firenze.
Non condivisi naturalmente la scelta compiuta nelle urne delle
primarie dalla maggioranza dei sostenitori del partito, ma me ne feci una
ragione nella convinzione che il nostro partito è una realtà plurale fondata
sulla scommessa che diverse culture politiche possono dar vita a un grande
progetto di futuro per il paese e per il popolo italiano, fatto di democrazia,
tolleranza, lavoro, cultura e impegno solidale per la nostra casa comune e per
le future generazioni, senza discriminazioni e valorizzando il contributo di
tutti e di ciascuno, senza cedimenti alle culture dello scarto e della
rottamazione. Un elemento questo che segnava e segna la differenza tra il
nostro partito e altre forze politiche di destra, a titolarità personalistica,
monarchica e autoritaria (siano esse di vecchio o di nuovo conio).
Invece quando le vicende politiche ti hanno portato a Palazzo Chigi,
ho ricevuto dai fatti la conferma della validità della scelta da me compiuta
alle urne delle primarie, quando optai per non votare in tuo favore. Se in
quell’occasione avevi tradito gli elettori di Firenze che avevano riposto in te
la loro fiducia, con l’assunzione dell’incarico di Presidente del Consiglio dei
ministri, hai operato un nuovo tradimento, venendo meno alla fiducia a te
riconosciuta dai sostenitori e dagli elettori del Pd. Sono infatti
sufficientemente adulto per sapere che le due funzioni non sono materialmente e
realisticamente svolgibili da una sola persona. Il solo incarico di capo del
governo ha un grado di coinvolgimento tale, che esige, anzi impone, una
dedizione totale. Ne deriva che le energie e le possibilità operative residue sono
quasi inesistenti e comunque del tutto insufficienti per svolgere in qualche
modo le funzioni di segretario del partito. Di conseguenza questa funzione da quel momento è di fatto
svolta da altri a tuo nome e in incognito. Qui mi corre anche l’obbligo etico
di mettere in evidenza che, all’interno del partito, coloro che a tuo nome e in
incognito stanno svolgendo le funzioni che dovrebbero essere svolte dalla tua
persona, stanno compiendo un atto di grave disonestà politica, di cui dovranno
rispondere dinanzi alla propria coscienza. Le azioni politiche vanno compiute
con la propria faccia e con il proprio nome. Nella mia città, a Napoli, si ha
poca stima per chi lancia la pietra e nasconde la mano, ma credo che sia una
convinzione ampiamente condivisa ben oltre gli orizzonti campani.
Fatta questa premessa relativa ai limiti iniziali della tua duplice
esperienza di segretario e di premier, veniamo alla successiva gestione
concreta sia del partito che del governo del paese.
Iniziamo dalla comunicazione pubblica. Dal tuo insediamento nei due
incarichi hai dato la stura a un diluvio di comunicazioni mediali e
monodirezionali, occupando gran parte della comunicazione pubblica, in cui non
hai mai tralasciato, da un lato, di insultare quanti, all’interno del partito e
nel paese, non condividono le tue posizioni e la tua azione politica, e,
dall’altro, ti sei impegnato in un bombardamento di messaggî di
autoglorificazione (di per sé l’autoglorificazione è un comportamento di poco
stile, a Napoli si dice che “il vantarsi è da cafoni”), dove immancabilmente ti
presenti come il più bravo, il più bello, il più simpatico e il più
intelligente.
È questo un aspetto non secondario e non certamente privo di
significato, in quanto l’approccio comunicazionale esprime con chiarezza la
visione che tu personalmente hai scelto d’incarnare del tuo impegno politico.
E questo perché quando nel confronto con opinioni diverse, sia all’interno
del partito sia all’esterno, dal piano nobile e culturalmente elevato della
diversità delle idee e delle opinioni si scade sul piano degli insulti, per cui
chi la pensa in modo diverso può essere definito “gufo” o in altro modo. Con un
tale comportamento in effetti, caro Matteo, finisci col dimenticare che la
diversità di opinione è uno dei fondamenti e dei pilasti della democrazia, e il
confronto tra posizioni diverse è il sale insostituibile della vita
democratica. L’impegno continuo, permanente e instancabile a confrontarsi
appassionatamente con chi la pensa diversamente, costituisce la diversità vincente
di una forza che sceglie il bene comune del paese, rispetto all’atteggiamento
ottusamente ostruzionistico delle attuali forze politiche di centro destra
della cordata antidemocratica che va da Grillo a Berlusconi e dalla Meloni a
Salvini. La scelta di dire “mi confronto con tutti, purché alla fine si faccia
ciò che ho già deciso di fare” ha uno stile molto poco democratico, e in quanto
tale incompatibile con il tuo ruolo di segretario del Partito “democratico”.
Dove l’aggettivo “democratico” della nostra forza politica non costituisce
un’etichetta posticcia e priva di significato, ma una differenza specifica che
dice tutta la diversità che segna l’identità stessa del nostro partito rispetto
agli altri. Pertanto la democraticità del comportamento del segretario dovrebbe
essere di tutta evidenza anche nelle presenze mediatiche del segretario. E
invece… il carattere sostanzialmente arrogante dei tuoi riferimenti pubblici
rispetto a chi ti muove delle obiezioni di contenuto, sminuisce pesantemente la
percezione della tua lealtà alla cultura democratica che ci contraddistingue.
Ma anche il pervicace bombardamento mediatico, dove in maniera
continua e meramente declamatoria, vieni ripetendo l’assoluta validità delle
scelte da te compiute. In una modalità di insistente e testarda ripetizione di
slogan, nelle dichiarazioni televisive, nell’uso dei social media
(scorrettamente usati in forma rigorosamente monodirezionale, negandone di
fatto la loro natura sociale e di comunità), con la preoccupazione di evitare
accuratamente ogni spunto di approfondimento e ogni opportunità di scendere sul
terreno dei contenuti proprî dei temi in discussione. Questo tuo atteggiamento
insistito e ripetitivo, in effetti, sul piano psicologico mi dice con chiarezza
che il primo a non essere convinto e a non credere nella validità delle tue
scelte sei proprio tu. E questa tua evidente insicurezza appare di tutta
evidenza a ogni tua nuova presa di posizione pubblica. Tutti gli accorgimenti
mediatici, a cui maldestramente fai ricorso, non fanno altro che manifestare il
tuo terrore che le tue opzioni siano sbagliate. Più gigionate poni in campo e
più lo rendi chiaro. Se fossi davvero convinto della validità delle tue scelte,
avresti a loro proposito, un approccio mediatico meno insistito e più
disponibile al confronto di contenuto.
Sul piano poi del contenuto delle tue scelte politiche, devo anzitutto
sottolineare gli aspetti su cui mi trovo in accordo con la tua linea, si tratta
della posizione sull’Europa (a un tempo europeista, ma proprio per questo esigente di un reindirizzo di
politica economica finalizzato alla crescita), della posizione di sostanziale
accoglienza sul tema dell’immigrazione e dell’indicazione dell’autorevolissima
figura di Sergio Mattarella per il Quirinale.
Ma qui si ferma il mio accordo con te.
Iniziamo dai propositi di modifiche alla Costituzione. Per la
rilevanza di un tema del genere il principale pericolo da evitare sarebbe la
frettolosità. La normativa costituzionale è il fondamento della nostra
convivenza, il porvi mano (che è cosa giusta e necessaria) richiede però alta
consapevolezza, rigore tematico e attenzione estrema a garantire l’equilibrio
dei poteri. La frettolosità e la superficialità con cui invece si posto mano
alle riforma costituzionale, a leggere i materiali in campo, hanno prodotto i
famosi figlî ciechi della gatta richiamata dalla saggezza popolare. Quella del
Senato, per esempio, appare, a dire il vero, un’autentica “riformicchia”, che
svilisce un organo costituzionale di grande rilievo in un organismo sottratto (nella
migliore delle ipotesi in campo “in gran parte”) all’elettività popolare.
Questo appare poco comprensibile in una fase in cui una parte dell’opinione
pubblica, a mio avviso sbagliando, chiede l’elezione diretta del Presidente
della Repubblica. Come mai allora s’imbocca la strada di rendere non eleggibile
(almeno in parte) un organo costituzionale che sinora ha avuto questo
requisito? Personalmente preferisco un ordinamento che prevede un Parlamento a
due polmoni, ma se ridotto alle condizioni delineate dalla tua “riformicchia”,
sarebbe di gran lunga preferibile una scelta monocamerale, almeno sarebbe una
prospettiva (da me non condivisa), ma coraggiosa.
E che dire poi del catastrofico fallimento del “Jobs act”, che tutto ha prodotto tranne la piena occupazione. E le
pietose valutazioni di successo da te millantate sul preteso progresso di
alcuni indicatori economici, progressi limitati alla seconda cifra dopo la
virgola, presi al di fuori di una seria analisi economica di contesto, fanno
pensare a una sostanziale inadeguatezza dell’esecutivo sul piano della politica
economica. Un esecutivo inadeguato in quanto incapace di porre in atto una
seria e lungimirante azione di rilancio del “made in Italy”, non con
semplici dichiarazioni formali né con interventi assistenzialistici a favore
dell’imprenditoria decotta e di scarsa qualità. La strada invece è quella di
indicare a chiare lettere che la via del rilancio è proprio quella della
qualità, la qualità vera, quella che manca al “made in Italy” (nonostante le tante consapevolmente false
dichiarazioni contrarie). Se il “made in
Italy” oggi fosse di qualità, non saremmo in crisi. Quello che serve oggi è
indicare con chiarezza agli imprenditori nostrani che la strada è quella di
rimboccarsi le maniche, di incamminarsi sul sentiero impegnativo, ma
remunerativo, della qualità, della ricerca e della competenza e, allo stesso
tempo, di abbandonare senza rimpianti la pratica di elemosinare assistenzialismo
e sgravi fiscali e del costo del lavoro, via che ha precipitato il paese nel
baratro economico in cui si è ritrovato. Abbiamo davvero bisogno di
un’imprenditoria seria e professionale, che purtroppo negli ultimi anni ha
lasciato (o ha dovuto lasciare) il campo a un’imprenditoria predatoria e
improvvisata che ha profondamente lacerato il tessuto economico del paese, con
la complice assenza del potere pubblico. Di fronte a questa esigenza
inevitabile, il “Jobs act” non è
nemmeno un pannicello caldo, ma la sostanziale riproposizione di scelte
fallimentari e peggiorative di una realtà già grave. È necessario avere la
statura politica di rendersi conto della necessità d’invertire la strada, di
scegliere l’opzione dell’impegno e della serietà, continuare ad
autocongratularsi prima o poi ti costringerà a un triste risveglio. La statura
politica di uno statista sta anche nel saper individuare da lontano i vicoli
ciechi che si sono imboccati.
Anche se guardiamo alla concreta produzione legislativa non posso fare
a meno di rilevare la sua scarsissima qualità materiale. È sufficiente fare
l’esempio della Legge 125 del 2015. Un capolavoro di illeggibilità, infarcito per
altro di autentiche offese alla morfologia, alla grammatica e alla sintassi.
Non sto esagerando, basta una lettura diretta del testo sulla Gazzetta Ufficiale
per constatare la fondatezza delle mie affermazioni. Una legge miscellanea che
tratta frammentariamente ed episodicamente (e sempre con la ormai consueta e
dannosa frettolosità) tanti temi e problemi, ma al di fuori di una logica di
seria riforma di alcunché, e con il rischio serio di frammentare il corpo legislativo
del nostro paese, dove la disciplina legislativa dei varî àmbiti perde
inevitabilmente unitarietà, per il ripetersi dell’introduzione di mini norme in
testi di legge che non tengono conto dei contesti specifici che vanno a
modificare. Sarebbe ora di mettere da parte le leggi miscellanea, per passare a
una legislazione tematizzata, che affronti uno per uno, ma compiutamente e coerentemente,
i tanti temi che hanno urgente necessità di essere adeguatamente ridefiniti.
A dir la verità, potrei continuare a lungo con una serie di
esemplificazioni dello stesso tenore. Ma quel che mi sembra fondamentale è
richiamare alla tua attenzione, l’esigenza che tu prenda coscienza che sei il
segretario del Partito democratico, non il segretario del Partito “antidemocratico”.
La democraticità del comportamento, soprattutto da parte di chi il partito lo
rappresenta, non è un’opzione secondaria o semplicemente tattica, è l’elemento
decisivo su cui il partito c’è, oppure cade. Voglio invitarti pertanto a voler
riflettere con grande saggezza, sull’esigenza di cambiare rotta, o per dirla
con un tuo slogan, di “cambiare verso”, ricollegandoti al grande patrimonio
democratico del nostro partito, rispetto al quale purtroppo attualmente sei
fuori.
La saggezza popolare ci dice che “sbagliare è umano, ma perseverare
nell’errore è diabolico”. Sarebbe davvero un atto di responsabilità e di grande
previdenza politica una tua scelta di concentrarti pienamente sulla sfida di
governare il paese, lasciando ad altra autorevole personalità la guida del
partito. Sarebbe il primo passo indicativo di un cambiamento di rotta. Il vero
capitano è quello che sa quale sia il momento giusto di virare e cambiare
rotta.
Mi auguro che tu voglia prendere in considerazione questa mia, un po’
rude, sollecitazione. Un mio difetto è quello di dire con chiarezza quello che
penso. Ma il parlar chiaro è fatto per gli amici. Sono ovviamente disponibile
ad approfondire nel modo più ampio possibile i temi che ho posto in discussione,
perché dal confronto di idee diverse nasce sempre una sintesi produttiva. Il
fronte contro fronte, invece, determina sempre stasi dannose e improduttive.
Naturalmente io sono un sostenitore del Partito democratico, che
continuerò nonostante tutto a votare e sostenere, nella convinzione che il
grande patrimonio democratico del partito alla lunga avrà ragione della
stagione di pratica politica deteriore alla quale al momento lo stai riducendo.
Puoi rimediare, sta a te la scelta.
In caso contrario, posso solo dirti che probabilmente hai sbagliato
partito. Credo di non sbagliarmi se ti dico che saresti stato il miglior
successore di Silvio Berlusconi alla guida di Forza Italia.
Voglio comunque concludere queste mie riflessioni, augurandoti il
meglio sul piano personale e auspicando per il Paese un percorso positivo di
uscita dalla crisi e di risposta alle sofferenze di quella parte di società che
si trova a fare i conti con i problemi più drammatici.
Un cordialissimo saluto,
Vico Equense, domenica
27 settembre 2015
Sergio Sbragia