Italiaccia? No, grazie! Nonostante
tutto: Italia!
Lettera aperta a Giampaolo Pansa
Egregio
dott. Giampaolo Pansa,
Qualche
giorno fa, sulla rete televisiva La7, nella trasmissione “Otto e mezzo”, ho
avuto modo di ascoltare un Suo confronto di approfondimento politico con la
parlamentare Pina Picerno. Nel corso del dibattito ha fatto riferimento alla
sua recente fatica di saggista e attento osservatore politico (“L’Italiaccia senza pace : misteri, amori e
delitti del dopoguerra” / Giampaolo Pansa. – Milano : Rizzoli, 2015). Libro
che, quanto prima non mancherò di leggere. Vorrei tuttavia manifestarLe le mie
perplessità su due Sue affermazioni fatte nel corso della trasmissione.
La prima
è la mia sorpresa per la Sua dichiarazione di non essersi recato alle urne
nelle ultime tornate elettorali. Di certo Le riconosco l’onestà intellettuale
di aver manifestato pubblicamente tale Suo comportamento. È un atto di
chiarezza e onestà intellettuale che non è da tutti. Ciò tuttavia non mi esime
da una riflessione sul comportamento di astensione dal voto in quanto tale, in
particolare da parte di chi è professionalmente impegnato nell’analisi
politica. Sono convinto che il voto sia allo stesso tempo un diritto e un
dovere. La cura del bene comune, a mio parere, è cosa che in una civile
convivenza deve riguardare e coinvolgere tutti, nessuno escluso. In una società
civile, le singole persone non possono curare solo il bene individuale, ma
tutti (nessuno escluso) sono tenuti a contribuire, in proporzione alle proprie
possibilità e responsabilità, al bene comune. La Costituzione della Repubblica
Italiana, dal canto suo, riconosce pienamente questo principio sia all’art. 2,
dove con chiarezza si dice che «La Repubblica (…) richiede l'adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; sia all’art.
48, ove si statuisce che «il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo
esercizio è dovere civico». Di conseguenza la scelta di non recarsi alle urne,
costituisce di fatto una palese violazione di un preciso dettato
costituzionale. E questa violazione assume un peso etico di grande rilevanza
quando un tale comportamento viene posto in essere da personalità, che per il
proprio ruolo sociale e professionale, sono impegnate nell’analisi politica e
quindi non possono non essere consapevoli della rilevanza costituzionale e
istituzionale di un tale comportamento.
Sul
piano personale poi sono convinto che la diserzione delle urne, da parte di
molti cittadini, sia un grave fenomeno di corruzione (dal latino “corruptio”) del comportamento politico,
della stessa gravità dei comportamenti disonesti di una parte della classe
politica, imprenditoriale e dirigenziale. Il voto e il coinvolgimento nella
decisionalità intorno alla “cosa pubblica” non è un’opzione priva di rilevanza
intrinseca. Non equivale alla scelta del programma televisivo che si preferisce
seguire, operando la selezione sul telecomando, dove è certamente legittimo lasciare
spento l’apparecchio televisivo.
Né
ritengo che la responsabilità possa essere fatta ricadere solo e univocamente
sulla classe politica. Certo quest’ultima ha le sue pesantissime colpe, ma è
pur vero che una parte di noi cittadini ha contribuito e contribuisce al
malaffare politico, con la delega in bianco, il disinteresse, il rifuggire
dell’impegno diretto, lo scarico delle responsabilità, per non parlare della
ricerca del favore personale.
Né penso
che possa tranquillizzare la coscienza il non ritrovare nell’offerta politica,
una proposta pienamente rispondente alle proprie aspettative e alle proprie
convinzioni. Penso che la considerazione che il non gradimento delle posizioni
e della proposte politiche materialmente in campo non rappresenti affatto una
giustificazione per la scelta di disertare le urne. Anzi, per la verità
costituisce una ragione cogente per un impegno ulteriore. I cittadini che non
ritrovano le proprie ragioni negli schieramenti politici in campo, sono in
verità chiamati, ad andare oltre il mero momento elettorale, per scendere
direttamente in campo e impegnarsi nella costruzione di nuovi soggetti
politici, capaci di conferire rappresentanza alle loro posizioni. E questo è
vieppiù richiesto a chi pratica quotidianamente e professionalmente l’analisi
politica. Altro che astensione!
L’altra
mia perplessità è riferita a ripetute Sue affermazioni, formulate prevalentemente
nella parte finale della trasmissione, con le quali ha manifestato una sorta di
scetticismo sulla reale possibilità, per il nostro paese, di riuscire a
riprendersi dal grave stato in cui si ritrova. Una posizione scettica e
pessimista che fatica a intravedere una positiva via di uscita dalla crisi.
Ebbene in proposito mi sento personalmente di dissentire da questo sentimento
di sfiducia e di rassegnazione al peggio. Certo sono pienamente consapevole
della gravità dei problemi che affliggono l’Italia, ma sono altrettanto convinto
che il peggior modo per affrontarli è quello della mancanza di convinzione
sulla concreta possibilità di una positiva prospettiva futura. Piuttosto che la
rassegnazione alla sconfitta, penso sia essenziale accettare la sfida d’impegnarsi
in forma solidale per rilanciare il paese. La via è quella di mettere in campo
le capacità, le competenze, la fantasia, la genialità degli italiani. Si, non
credo d’illudermi, se confido nell’esistenza e sussistenza del “genio italiano”, quello
stesso genio che lungo i secoli ha fatto dell’Italia un faro di cultura e civiltà
nel mondo, e questo ce lo riconoscono in tanti. Ma bisogna scegliere di scendere
in campo, di rimboccarsi le maniche, di mettersi in gioco. Solo rischiando di
andare in mare aperto, si può compiere un lungo e costruttivo viaggio. Se
invece ci si lascia vincere dalla paura, dalla pigrizia, dalla scarsa fiducia
in se stessi, si finisce invischiati nella rassegnazione e ci si dichiara
sconfitti prima di dare inizio alla partita. Di questa partita non posso conoscere
il risultato in anticipo, ma non potremo mai vincerla se non diamo il calcio di
inizio. Se ce la mettiamo tutta, non è escluso che possa finire: Italia 4, Germania
3. Pertanto ritengo ingeneroso, soprattutto, nei confronti delle generazioni
più giovani il predicare rassegnazione, anziché infondere coraggio e fiducia.
Questo non è velleitarismo né assenza di realistica consapevolezza dei proprî
mezzi. È la determinazione di chi è convinto che il talento non va sotterrato,
ma messo in gioco con fiducia, gioia ed entusiasmo.
Infine,
mi permetta una nota su quella parola “Italiaccia” che ha usato nel titolo
della Sua ultima fatica letteraria. Di certo ritengo sia l’esito di un
artificio retorico, ma quell’espressione dispregiativa in tutta sincerità mi
ferisce, perché sono convinto che la nostra Italia, ha tanti difetti, e noi
italiani tanti limiti, ma nel corso della storia, l’Italia ha saputo venir
fuori da tante tragedie. In tante occasioni, in cui sembrava che il paese fosse
perduto, gli italiani e l’Italia hanno saputo trovare in se stessi le forze e
le capacità per reagire. E questa non è un’Italiaccia, ma nonostante tutto è: l’Italia.
Voglia
gradire i segni della mia più sincera stima e i miei saluti più cordiali,
Vico Equense, lunedì 14 settembre 2015
Sergio Sbragia
Nessun commento:
Posta un commento