lunedì 14 settembre 2015

Italiaccia? No, grazie! Nonostante tutto: Italia!



Italiaccia? No, grazie! Nonostante tutto: Italia!
Lettera aperta a Giampaolo Pansa

Egregio dott. Giampaolo Pansa,
Qualche giorno fa, sulla rete televisiva La7, nella trasmissione “Otto e mezzo”, ho avuto modo di ascoltare un Suo confronto di approfondimento politico con la parlamentare Pina Picerno. Nel corso del dibattito ha fatto riferimento alla sua recente fatica di saggista e attento osservatore politico (“L’Italiaccia senza pace : misteri, amori e delitti del dopoguerra” / Giampaolo Pansa. – Milano : Rizzoli, 2015). Libro che, quanto prima non mancherò di leggere. Vorrei tuttavia manifestarLe le mie perplessità su due Sue affermazioni fatte nel corso della trasmissione.
La prima è la mia sorpresa per la Sua dichiarazione di non essersi recato alle urne nelle ultime tornate elettorali. Di certo Le riconosco l’onestà intellettuale di aver manifestato pubblicamente tale Suo comportamento. È un atto di chiarezza e onestà intellettuale che non è da tutti. Ciò tuttavia non mi esime da una riflessione sul comportamento di astensione dal voto in quanto tale, in particolare da parte di chi è professionalmente impegnato nell’analisi politica. Sono convinto che il voto sia allo stesso tempo un diritto e un dovere. La cura del bene comune, a mio parere, è cosa che in una civile convivenza deve riguardare e coinvolgere tutti, nessuno escluso. In una società civile, le singole persone non possono curare solo il bene individuale, ma tutti (nessuno escluso) sono tenuti a contribuire, in proporzione alle proprie possibilità e responsabilità, al bene comune. La Costituzione della Repubblica Italiana, dal canto suo, riconosce pienamente questo principio sia all’art. 2, dove con chiarezza si dice che «La Repubblica (…) richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»; sia all’art. 48, ove si statuisce che «il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico». Di conseguenza la scelta di non recarsi alle urne, costituisce di fatto una palese violazione di un preciso dettato costituzionale. E questa violazione assume un peso etico di grande rilevanza quando un tale comportamento viene posto in essere da personalità, che per il proprio ruolo sociale e professionale, sono impegnate nell’analisi politica e quindi non possono non essere consapevoli della rilevanza costituzionale e istituzionale di un tale comportamento.
Sul piano personale poi sono convinto che la diserzione delle urne, da parte di molti cittadini, sia un grave fenomeno di corruzione (dal latino “corruptio”) del comportamento politico, della stessa gravità dei comportamenti disonesti di una parte della classe politica, imprenditoriale e dirigenziale. Il voto e il coinvolgimento nella decisionalità intorno alla “cosa pubblica” non è un’opzione priva di rilevanza intrinseca. Non equivale alla scelta del programma televisivo che si preferisce seguire, operando la selezione sul telecomando, dove è certamente legittimo lasciare spento l’apparecchio televisivo.
Né ritengo che la responsabilità possa essere fatta ricadere solo e univocamente sulla classe politica. Certo quest’ultima ha le sue pesantissime colpe, ma è pur vero che una parte di noi cittadini ha contribuito e contribuisce al malaffare politico, con la delega in bianco, il disinteresse, il rifuggire dell’impegno diretto, lo scarico delle responsabilità, per non parlare della ricerca del favore personale.
Né penso che possa tranquillizzare la coscienza il non ritrovare nell’offerta politica, una proposta pienamente rispondente alle proprie aspettative e alle proprie convinzioni. Penso che la considerazione che il non gradimento delle posizioni e della proposte politiche materialmente in campo non rappresenti affatto una giustificazione per la scelta di disertare le urne. Anzi, per la verità costituisce una ragione cogente per un impegno ulteriore. I cittadini che non ritrovano le proprie ragioni negli schieramenti politici in campo, sono in verità chiamati, ad andare oltre il mero momento elettorale, per scendere direttamente in campo e impegnarsi nella costruzione di nuovi soggetti politici, capaci di conferire rappresentanza alle loro posizioni. E questo è vieppiù richiesto a chi pratica quotidianamente e professionalmente l’analisi politica. Altro che astensione!
L’altra mia perplessità è riferita a ripetute Sue affermazioni, formulate prevalentemente nella parte finale della trasmissione, con le quali ha manifestato una sorta di scetticismo sulla reale possibilità, per il nostro paese, di riuscire a riprendersi dal grave stato in cui si ritrova. Una posizione scettica e pessimista che fatica a intravedere una positiva via di uscita dalla crisi. Ebbene in proposito mi sento personalmente di dissentire da questo sentimento di sfiducia e di rassegnazione al peggio. Certo sono pienamente consapevole della gravità dei problemi che affliggono l’Italia, ma sono altrettanto convinto che il peggior modo per affrontarli è quello della mancanza di convinzione sulla concreta possibilità di una positiva prospettiva futura. Piuttosto che la rassegnazione alla sconfitta, penso sia essenziale accettare la sfida d’impegnarsi in forma solidale per rilanciare il paese. La via è quella di mettere in campo le capacità, le competenze, la fantasia, la genialità degli italiani. Si, non credo d’illudermi, se confido nell’esistenza e  sussistenza del “genio italiano”, quello stesso genio che lungo i secoli ha fatto dell’Italia un faro di cultura e civiltà nel mondo, e questo ce lo riconoscono in tanti. Ma bisogna scegliere di scendere in campo, di rimboccarsi le maniche, di mettersi in gioco. Solo rischiando di andare in mare aperto, si può compiere un lungo e costruttivo viaggio. Se invece ci si lascia vincere dalla paura, dalla pigrizia, dalla scarsa fiducia in se stessi, si finisce invischiati nella rassegnazione e ci si dichiara sconfitti prima di dare inizio alla partita. Di questa partita non posso conoscere il risultato in anticipo, ma non potremo mai vincerla se non diamo il calcio di inizio. Se ce la mettiamo tutta, non è escluso che possa finire: Italia 4, Germania 3. Pertanto ritengo ingeneroso, soprattutto, nei confronti delle generazioni più giovani il predicare rassegnazione, anziché infondere coraggio e fiducia. Questo non è velleitarismo né assenza di realistica consapevolezza dei proprî mezzi. È la determinazione di chi è convinto che il talento non va sotterrato, ma messo in gioco con fiducia, gioia ed entusiasmo.
Infine, mi permetta una nota su quella parola “Italiaccia” che ha usato nel titolo della Sua ultima fatica letteraria. Di certo ritengo sia l’esito di un artificio retorico, ma quell’espressione dispregiativa in tutta sincerità mi ferisce, perché sono convinto che la nostra Italia, ha tanti difetti, e noi italiani tanti limiti, ma nel corso della storia, l’Italia ha saputo venir fuori da tante tragedie. In tante occasioni, in cui sembrava che il paese fosse perduto, gli italiani e l’Italia hanno saputo trovare in se stessi le forze e le capacità per reagire. E questa non è un’Italiaccia, ma nonostante tutto è: l’Italia.

Voglia gradire i segni della mia più sincera stima e i miei saluti più cordiali,

Vico Equense, lunedì 14 settembre 2015
Sergio Sbragia

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