A
sèguito delle evoluzioni registrate nelle posizioni di alcuni paesi europei
(con in testa la Germania) in ordine alla possibile accoglienza per ragioni
umanitarie di quote di migranti profughi, ho avuto in più occasioni
l’opportunità di sentire, sia da comuni cittadini sia dagli strumenti della
grande comunicazione pubblicitaria e consumista, affermazioni del seguente
tenore: “può essere ammissibile accogliere i profughi siriani che in genere
sono affidabili, mentre quelli provenienti dall’Africa invece sono…”.
Un
simile affermazione, che in apparenza sembra rivestire le sembianze di una
posizione di natura concessiva da parte di chi solo ventiquattrore prima era
radicalmente contrario a ogni forma di accoglienza di profughi, che anzi si
aveva cura di definire più genericamente clandestini, a un esame solo un po’
più attento si rivela per quel che in realtà è: visto che non è più sostenibile
una posizione di drastica opposizione all’accoglienza, e dovendo in qualche
modo piegarsi a far buon viso a cattivo gioco, si cerca di cavarsela alla meno
peggio, mettendo in scena un goffo espediente per distinguere superficialmente
migranti accettabili da quelli da rifuggire assolutamente. In realtà nulla di
nuovo, se non la riedizione, in salsa di 21° secolo, dell’antico adagio “Dividit et impera”. E tutti noi possiamo
sentir risuonare nelle nostre orecchie espressioni del tipo: “gli immigrati provenienti
dal Veneto sono educati, laboriosi e sostanzialmente affidabili; i napoletani,
invece, non hanno voglia di lavorare e i siciliani sono tutti mafiosi”.
Ciascuno di noi, attraverso le proprie relazioni familiari, può facilmente
recuperare testimonianze autentiche di profonde sofferenze materiali e morali
provocate dall’impatto in terra straniera con frettolose e pregiudiziali posizioni
di tal genere sperimentate dolorosamente sulla propria pelle da parenti diretti
o indiretti.
Anzi, se
è possibile, una tale posizione è ben più grave della posizione di rifiuto
generalizzato dell’accoglienza. E questo per almeno due ragioni.
Una
prima ragione sta nel suo dividere i richiedenti asilo e nella sua potenzialità
destabilizzatrice, che può innescare contrapposizioni e conflitti tra gli stessi
migranti, ponendosi così all’origine di ulteriori violenze e sopraffazioni. In
proposito mi viene in mente una scena del famoso film “Il marchese del Grillo”, dove il protagonista, impersonato da
Alberto Sordi, dall’alto della loggia del palazzo signorile lancia delle monete
roventi a un gruppo di disperati in attesa di un’elemosina, generando tra
questi una sorta di rissa per appropriarsi di qualche moneta. Appropriazione
premiata poi da una tragica scottatura. Una riedizione (ma questa volta operata
nella realtà vera e non nella finzione cinematografica) di questa scena l’abbiamo
vista in questi giorni in Ungheria, dove la polizia magiara si è molto
onorevolmente impegnata nel lancio di panini all’interno di un recinto ov’erano
ammassati tantissimi profughi. C’è di che andar fieri!
La
seconda ragione sta nell’assunzione indebita di un potere di giudizio che,
pretende a distanza, senza conoscenza delle vicende personali, pretende di
stabilire chi può avere diritto all’elemosina dell’ingresso in Europa e chi no.
È questa una pretesa che esprime in realtà una volontà di potenza che pretende
di intervenire autoritariamente sui destini di altri esseri umani colpevoli
solo di essere già vittime di violenza, ingiustizia e sopraffazione. Ci si
sente in grado di stabilire che sia degno di venire tra di noi e chi noi. Una sorta
di pretesa di avere diritto a una discrezionalità sovrumana, quasi di ordine
divino. Ci sentiamo in grado di giudicare, dall’esterno, i poveri e i
diseredati (e poi semmai siamo comprensivi, servizievoli, sottomessi e complici
rispetto ai ricchi, ai potenti e ai prepotenti, anzi, persino, li invidiamo,
vorremmo essere al loro posto). Eppure basterebbe ricordare un insegnamento,
che riteniamo parte della nostra identità culturale europea, ma chissà perché
dimentichiamo spesso (troppo spesso) di applicarlo:
Perché guardi la
pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello
e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come
puoi dire al tuo fratello: "Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è
nel tuo occhio",
mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima
la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza
dall'occhio del tuo fratello (Lc.
6,41-42).
Siamo molto solleciti e
bravi nel definirci cristiani, ma siamo abilissimi a dimenticarne gl’insegnamenti
centrali.
Eppure in
Europa dovremmo essere vaccinati rispetto al virus del razzismo. Nel corso dell’ultimo
secolo abbiamo sperimentato come sia facile che sentimenti razzisti che, all’inizio
sembravano addirittura ragionevoli e giustificati, portino in realtà a esiti
orribili. In Germania, in un primo tempo, un certo pregiudizio anti ebraico
appariva del tutto non pericoloso, era ampiamente condiviso e sembrava giustificato da comportamenti esosi attribuiti
agli stessi ebrei. La storia ci ha poi mostrato, purtroppo, dove si può
arrivare. Anche queste poche settimane di emergenza profughi, nella nostra
Europa, che si pavoneggia democratica e in prima linea nella promozione dei
diritti umani e della libertà (anche se forse solo della libertà finanziaria),
ha mostrato con chiarezza come sia facile che la spirale degli abusi e delle
prevaricazioni a danno dei più deboli prenda drammaticamente il via. Immediatamente
sono scesi i campo i costruttori di muri (semmai addobbati di uncini, scaglie
di vetro e oggetti in grado di pungere e ferire, vera riedizione della “corona
di spine”). La storia non dovrebbe essere “maestra di vita”?
Il
razzismo è una mala pianta che può attecchire e svilupparsi rapidamente, va
pertanto individuato e sradicato alle sue prime, e anche apparentemente
giustificate, manifestazioni. Occorre mobilitare tutta la nostra capacità di
discernimento per individuare le sue apparizioni, anche quelle che possono mostrarsi
come apparentemente innocue e addirittura legittimate da ragioni di giustizia
sociale. Sappiamo che se s’imbocca il sentiero della discriminazione e del
misconoscimento della dignità umana, in fondo alla strada ci sono i lager e i gulag. Un popolo civile deve saper mettere in campo la propria vigilanza
democratica per dire stop alle spirali di violenze e sopraffazioni che
inevitabilmente portano a esiti orrendi. Tornare indietro quando si sarà
percorso un lungo tragitto in tale direzione, potrebbe essere non facile, se non
addirittura impossibile, senza la riedizione di tragedie di vastissime
dimensioni.
In tutte
le occasioni, allora, richiamiamo al senso di responsabilità, alla capacità di
mettere in campo il meglio delle nostre capacità, quelle capacità che nei
secoli hanno reso l’Italia faro di cultura e di civiltà nel mondo, nelle arti,
nella cultura, nella musica, nelle lettere, nelle relazioni tra i popoli.
Dobbiamo solo saltare a piè pari la paura e raccogliere la sfida di scendere in
mare aperto. La storia ci dimostra che vocazione dell’Italia è quella delle relazioni
tra nord e sud, tra occidente e oriente. L’Italia è un ponte, non un muro. Bisogna
crederci, abbandonare la paura e mettere in campo “il genio italiano” (che c’è
e non si è smarrito, dipende da noi, da ciascuno di noi), senza prestare
ascolto ai gufi e ai profeti di sventura della santa (si fa per dire) alleanza
del razzismo funzionale agli interessi della pirateria finanziaria.
Diventiamo
avvocati dei più deboli e dei reietti tra i popoli, riscopriamo le nostre
radici abramitiche, recuperiamo quella grande attitudine che il nostro padre
nella fede, Abramo, seppe mettere in campo dinanzi a Dio per scongiurare la
distruzione di Sodoma:
Abramo gli si
avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi
sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai
a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te
il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come
l'empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la
giustizia?". Rispose il Signore: "Se a Sòdoma troverò cinquanta
giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel
luogo". Abramo riprese e disse: "Vedi come ardisco parlare al mio
Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno
cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?". Rispose:
"Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque". Abramo riprese
ancora a parlargli e disse: "Forse là se ne troveranno quaranta".
Rispose: "Non lo farò, per riguardo a quei quaranta". Riprese:
"Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno
trenta". Rispose: "Non lo farò, se ve ne troverò trenta". Riprese:
"Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno
venti". Rispose: "Non la distruggerò per riguardo a quei venti".
Riprese: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola:
forse là se ne troveranno dieci". Rispose: "Non la distruggerò per
riguardo a quei dieci" (Gen.
18,23-32).
In
questa meravigliosa pagina della Scrittura, vediamo come Abramo cerchi in tutti
i modi le ragioni per implorare la misericordia di Dio sugli uomini e le donne
di Sòdoma. Dobbiamo allora ricercare dentro di noi le ragioni per richiamare
con forza, con capacità di convincimento e di coinvolgimento, alle ragioni
della solidarietà e dell’accoglienza, per mettere in campo una reazione
popolare e civile, capace di contrastare con ragionevolezza ed efficacia la
mobilitazione politica e mediatica, ampiamente dispiegata per promuovere l’isolazionismo
razzista, mascherato demagogicamente su false e infondate ragioni di prudenza,
di pericolo per il modesto benessere posseduto, di difesa della sicurezza
pubblica, di pigrizia di pensiero e di propensione al disimpegno. Non sono i profughi
il vero pericolo per la nostra civile convivenza, ma gli egoismi politici e la
pirateria finanziaria.
E non
dimentichiamo che un domani qualcuno potrebbe chiederci: “Un giorno sono
naufragato, straniero su una vostra spiaggia. Mi avete accolto?”. Cosa potremo
rispondere?
Dipende
da noi, da ciascuno di noi, rifuggire dalla rassegnazione, dal disimpegno,
dallo scegliere di andare mentalmente in pensione”, dal sotterrare “il talento”,
dal rintanarsi in una melanconica “aurea
mediocritas”, per imboccare invece il sentiero dell’entusiasmo, dell’impegno,
della fantasia, della gioia di vivere e del mettersi in gioco, nel lavoro,
nelle relazioni umane, nella società, nella comunicazione, nella riflessione
politica. Lanciamo il cuore oltre l’ostacolo! Certo, potremo anche fallire, ma
almeno ci avremo provato. La scelta opposta è invece la certezza del
fallimento!
Vico Equense, domenica 13 settembre 2015
Sergio Sbragia
Nessun commento:
Posta un commento