domenica 27 settembre 2015

Caro Matteo, ma non è che hai sbagliato partito?




Lettera aperta a Matteo Renzi


Caro Matteo,
sono un sostenitore e un elettore del Partito democratico. Alle ultime primarie di partito non ho votato per te. E, col senno di poi, visto lo svolgimento successivo degli eventi politici, sono molto contento di non averlo fatto.
Mi devi perdonare la crudezza, è infatti mia abitudine esprimere le mie personali posizioni in forma pubblica e con la massima franchezza e chiarezza, ma, allo stesso tempo, nella massima correttezza e con tutto il rispetto dovuto a chi la pensa in diverso modo. Penso che questo sia un dovere per tutti coloro che hanno una sollecitudine autentica per il bene comune e non solo un’attenzione esclusivamente ritagliata alla cura del proprio bene particolare.
È passato un periodo di tempo sufficientemente ampio dalla tua elezione a segretario di partito e dal tuo successivo insediamento alla guida del governo del Paese, per poter avere una visione d’assieme della tuta esperienza alla guida del partito e del paese.
Confesso che già questo primo punto presenta una certa difficoltà, perché risulta abbastanza arduo distinguere, nella tua esperienza politica di questi due anni, gli aspetti che sono riconducibili al governo del paese da quelli che invece sono relativi alla vita di partito. La scelta, da me già a suo tempo indicata come errata, di cumulare sulla tua persona gli incarichi di segretario del partito e di premier, impedisce, nonostante tutte le arrampicate di specchî in cui ti cimenti in ogni comunicazione pubblica, di distinguere il programma e l’azione del Partito democratico dal programma e dell’iniziativa di governo. Si tratta di due realtà che non coincidono e non possono coincidere. La confusione creata dal sovraccarico sulla stessa persona finisce per danneggiare sia il partito sia il governo. Ogni qual volta prendi la parola, parli a nome del partito o del governo? Noi cittadini avremmo il diritto di saperlo e il mondo della politica ha il dovere di renderlo chiaro. D’altronde nel partito, anche nella componente a te più vicina sono presenti personalità di grande rilievo e capacità che potrebbero assumere l’uno o l’altro incarico, qualora tu dovessi maturare la decisione, da me auspicata, di lasciarne uno. Una decisione che non sarebbe di certo una tua sconfitta, ma la maturazione di una saggia opzione per aprire al partito e al paese prospettive di crescita e sviluppo adeguate, facilitate dalla più specifica finalizzazione dell’impegno politico personale, di due distinte persone, una allo sviluppo e all’affermazione del programma di partito, e, l’altra, alla realizzazione di un programma di governo che abbia a tema esclusivamente il bene dell’Italia.
Devo dire che già ben prima delle primarie, con cui sei stato scelto quale segretario del Pd, non condividevo molto la tua pratica di cavalcare contemporaneamente due cavalli. Mentre eri sindaco di Firenze, già ti allenavi per altri traguardi. Stavi materialmente a Palazzo vecchio, ma la tua fantasia viaggiava altrove. E spesso anche tu materialmente eri in tutt’altro luogo, magari alla Leopolda o ad Arcore a colloquio con Berlusconi. Penso che la carica di Sindaco di una grande città, e nel caso specifico di una capitale culturale del mondo, richieda l’attenzione esclusiva della persona che è chiamata a tale incarico e che questa sia poi tenuta ad assolverlo in tale forma esclusiva sino all’ultimo giorno, all’ultima ora, all’ultimo minuto, all’ultimo secondo. Ritengo davvero scandaloso il fenomeno, che spesso si ripete, di sindaci che lasciano anzi tempo la loro funzione, per passare ad altro incarico. Il sindaco di una città viene scelto dai proprî concittadini attraverso una forma elettorale maggioritaria focalizzata sulla sua persona. I contribuenti per la sua scelta spesso devono sostenere la spesa di un doppio appuntamento elettorale (primo turno e ballottaggio). Alla persona prescelta viene riconosciuto un ampio spazio di decisionalità personale. Può liberamente scegliere i componenti dell’esecutivo municipale sulla base di valutazioni personali. A questo investimento di fiducia sulla sua persona, non può a mio avviso far sèguito una distrazione delle proprie energie per altri àmbiti politici di ordine sovra locale e, men che mai, l’abbandono anzi tempo dell’incarico (fatte naturalmente salve le ragioni di forza maggiore, per esempio la salute personale). Quindi quando ti ho visto affilare le armi per partecipare alla competizione per la segreteria del partito, mentre a Palazzo Vecchio qualcun altro a tuo nome e in incognito svolgeva di fatto il lavoro di primo cittadino non ho condiviso questa tua scelta. E ancor meno ho condiviso la scelta di abbandonare Palazzo vecchio prima della naturale scadenza del mandato.
Come ti ho detto non ho votato per te e allora compii tale scelta, non per motivi di linea politica, ma proprio perché in quel momento eri ancora il Sindaco di Firenze e non potevo condividere la tua intenzione di tradire il mandato di fiducia a te conferito dai cittadini della città di Firenze.
Non condivisi naturalmente la scelta compiuta nelle urne delle primarie dalla maggioranza dei sostenitori del partito, ma me ne feci una ragione nella convinzione che il nostro partito è una realtà plurale fondata sulla scommessa che diverse culture politiche possono dar vita a un grande progetto di futuro per il paese e per il popolo italiano, fatto di democrazia, tolleranza, lavoro, cultura e impegno solidale per la nostra casa comune e per le future generazioni, senza discriminazioni e valorizzando il contributo di tutti e di ciascuno, senza cedimenti alle culture dello scarto e della rottamazione. Un elemento questo che segnava e segna la differenza tra il nostro partito e altre forze politiche di destra, a titolarità personalistica, monarchica e autoritaria (siano esse di vecchio o di nuovo conio).
Invece quando le vicende politiche ti hanno portato a Palazzo Chigi, ho ricevuto dai fatti la conferma della validità della scelta da me compiuta alle urne delle primarie, quando optai per non votare in tuo favore. Se in quell’occasione avevi tradito gli elettori di Firenze che avevano riposto in te la loro fiducia, con l’assunzione dell’incarico di Presidente del Consiglio dei ministri, hai operato un nuovo tradimento, venendo meno alla fiducia a te riconosciuta dai sostenitori e dagli elettori del Pd. Sono infatti sufficientemente adulto per sapere che le due funzioni non sono materialmente e realisticamente svolgibili da una sola persona. Il solo incarico di capo del governo ha un grado di coinvolgimento tale, che esige, anzi impone, una dedizione totale. Ne deriva che le energie e le possibilità operative residue sono quasi inesistenti e comunque del tutto insufficienti per svolgere in qualche modo le funzioni di segretario del partito. Di conseguenza  questa funzione da quel momento è di fatto svolta da altri a tuo nome e in incognito. Qui mi corre anche l’obbligo etico di mettere in evidenza che, all’interno del partito, coloro che a tuo nome e in incognito stanno svolgendo le funzioni che dovrebbero essere svolte dalla tua persona, stanno compiendo un atto di grave disonestà politica, di cui dovranno rispondere dinanzi alla propria coscienza. Le azioni politiche vanno compiute con la propria faccia e con il proprio nome. Nella mia città, a Napoli, si ha poca stima per chi lancia la pietra e nasconde la mano, ma credo che sia una convinzione ampiamente condivisa ben oltre gli orizzonti campani.
Fatta questa premessa relativa ai limiti iniziali della tua duplice esperienza di segretario e di premier, veniamo alla successiva gestione concreta sia del partito che del governo del paese.
Iniziamo dalla comunicazione pubblica. Dal tuo insediamento nei due incarichi hai dato la stura a un diluvio di comunicazioni mediali e monodirezionali, occupando gran parte della comunicazione pubblica, in cui non hai mai tralasciato, da un lato, di insultare quanti, all’interno del partito e nel paese, non condividono le tue posizioni e la tua azione politica, e, dall’altro, ti sei impegnato in un bombardamento di messaggî di autoglorificazione (di per sé l’autoglorificazione è un comportamento di poco stile, a Napoli si dice che “il vantarsi è da cafoni”), dove immancabilmente ti presenti come il più bravo, il più bello, il più simpatico e il più intelligente.
È questo un aspetto non secondario e non certamente privo di significato, in quanto l’approccio comunicazionale esprime con chiarezza la visione che tu personalmente hai scelto d’incarnare del tuo impegno politico.
E questo perché quando nel confronto con opinioni diverse, sia all’interno del partito sia all’esterno, dal piano nobile e culturalmente elevato della diversità delle idee e delle opinioni si scade sul piano degli insulti, per cui chi la pensa in modo diverso può essere definito “gufo” o in altro modo. Con un tale comportamento in effetti, caro Matteo, finisci col dimenticare che la diversità di opinione è uno dei fondamenti e dei pilasti della democrazia, e il confronto tra posizioni diverse è il sale insostituibile della vita democratica. L’impegno continuo, permanente e instancabile a confrontarsi appassionatamente con chi la pensa diversamente, costituisce la diversità vincente di una forza che sceglie il bene comune del paese, rispetto all’atteggiamento ottusamente ostruzionistico delle attuali forze politiche di centro destra della cordata antidemocratica che va da Grillo a Berlusconi e dalla Meloni a Salvini. La scelta di dire “mi confronto con tutti, purché alla fine si faccia ciò che ho già deciso di fare” ha uno stile molto poco democratico, e in quanto tale incompatibile con il tuo ruolo di segretario del Partito “democratico”. Dove l’aggettivo “democratico” della nostra forza politica non costituisce un’etichetta posticcia e priva di significato, ma una differenza specifica che dice tutta la diversità che segna l’identità stessa del nostro partito rispetto agli altri. Pertanto la democraticità del comportamento del segretario dovrebbe essere di tutta evidenza anche nelle presenze mediatiche del segretario. E invece… il carattere sostanzialmente arrogante dei tuoi riferimenti pubblici rispetto a chi ti muove delle obiezioni di contenuto, sminuisce pesantemente la percezione della tua lealtà alla cultura democratica che ci contraddistingue.
Ma anche il pervicace bombardamento mediatico, dove in maniera continua e meramente declamatoria, vieni ripetendo l’assoluta validità delle scelte da te compiute. In una modalità di insistente e testarda ripetizione di slogan, nelle dichiarazioni televisive, nell’uso dei social media (scorrettamente usati in forma rigorosamente monodirezionale, negandone di fatto la loro natura sociale e di comunità), con la preoccupazione di evitare accuratamente ogni spunto di approfondimento e ogni opportunità di scendere sul terreno dei contenuti proprî dei temi in discussione. Questo tuo atteggiamento insistito e ripetitivo, in effetti, sul piano psicologico mi dice con chiarezza che il primo a non essere convinto e a non credere nella validità delle tue scelte sei proprio tu. E questa tua evidente insicurezza appare di tutta evidenza a ogni tua nuova presa di posizione pubblica. Tutti gli accorgimenti mediatici, a cui maldestramente fai ricorso, non fanno altro che manifestare il tuo terrore che le tue opzioni siano sbagliate. Più gigionate poni in campo e più lo rendi chiaro. Se fossi davvero convinto della validità delle tue scelte, avresti a loro proposito, un approccio mediatico meno insistito e più disponibile al confronto di contenuto.
Sul piano poi del contenuto delle tue scelte politiche, devo anzitutto sottolineare gli aspetti su cui mi trovo in accordo con la tua linea, si tratta della posizione sull’Europa (a un tempo europeista, ma proprio  per questo esigente di un reindirizzo di politica economica finalizzato alla crescita), della posizione di sostanziale accoglienza sul tema dell’immigrazione e dell’indicazione dell’autorevolissima figura di Sergio Mattarella per il Quirinale.
Ma qui si ferma il mio accordo con te.
Iniziamo dai propositi di modifiche alla Costituzione. Per la rilevanza di un tema del genere il principale pericolo da evitare sarebbe la frettolosità. La normativa costituzionale è il fondamento della nostra convivenza, il porvi mano (che è cosa giusta e necessaria) richiede però alta consapevolezza, rigore tematico e attenzione estrema a garantire l’equilibrio dei poteri. La frettolosità e la superficialità con cui invece si posto mano alle riforma costituzionale, a leggere i materiali in campo, hanno prodotto i famosi figlî ciechi della gatta richiamata dalla saggezza popolare. Quella del Senato, per esempio, appare, a dire il vero, un’autentica “riformicchia”, che svilisce un organo costituzionale di grande rilievo in un organismo sottratto (nella migliore delle ipotesi in campo “in gran parte”) all’elettività popolare. Questo appare poco comprensibile in una fase in cui una parte dell’opinione pubblica, a mio avviso sbagliando, chiede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Come mai allora s’imbocca la strada di rendere non eleggibile (almeno in parte) un organo costituzionale che sinora ha avuto questo requisito? Personalmente preferisco un ordinamento che prevede un Parlamento a due polmoni, ma se ridotto alle condizioni delineate dalla tua “riformicchia”, sarebbe di gran lunga preferibile una scelta monocamerale, almeno sarebbe una prospettiva (da me non condivisa), ma coraggiosa.
E che dire poi del catastrofico fallimento del “Jobs act”, che tutto ha prodotto tranne la piena occupazione. E le pietose valutazioni di successo da te millantate sul preteso progresso di alcuni indicatori economici, progressi limitati alla seconda cifra dopo la virgola, presi al di fuori di una seria analisi economica di contesto, fanno pensare a una sostanziale inadeguatezza dell’esecutivo sul piano della politica economica. Un esecutivo inadeguato in quanto incapace di porre in atto una seria e lungimirante azione di rilancio del “made in  Italy”, non con semplici dichiarazioni formali né con interventi assistenzialistici a favore dell’imprenditoria decotta e di scarsa qualità. La strada invece è quella di indicare a chiare lettere che la via del rilancio è proprio quella della qualità, la qualità vera, quella che manca al “made in Italy” (nonostante le tante consapevolmente false dichiarazioni contrarie). Se il “made in Italy” oggi fosse di qualità, non saremmo in crisi. Quello che serve oggi è indicare con chiarezza agli imprenditori nostrani che la strada è quella di rimboccarsi le maniche, di incamminarsi sul sentiero impegnativo, ma remunerativo, della qualità, della ricerca e della competenza e, allo stesso tempo, di abbandonare senza rimpianti la pratica di elemosinare assistenzialismo e sgravi fiscali e del costo del lavoro, via che ha precipitato il paese nel baratro economico in cui si è ritrovato. Abbiamo davvero bisogno di un’imprenditoria seria e professionale, che purtroppo negli ultimi anni ha lasciato (o ha dovuto lasciare) il campo a un’imprenditoria predatoria e improvvisata che ha profondamente lacerato il tessuto economico del paese, con la complice assenza del potere pubblico. Di fronte a questa esigenza inevitabile, il “Jobs act” non è nemmeno un pannicello caldo, ma la sostanziale riproposizione di scelte fallimentari e peggiorative di una realtà già grave. È necessario avere la statura politica di rendersi conto della necessità d’invertire la strada, di scegliere l’opzione dell’impegno e della serietà, continuare ad autocongratularsi prima o poi ti costringerà a un triste risveglio. La statura politica di uno statista sta anche nel saper individuare da lontano i vicoli ciechi che si sono imboccati.
Anche se guardiamo alla concreta produzione legislativa non posso fare a meno di rilevare la sua scarsissima qualità materiale. È sufficiente fare l’esempio della Legge 125 del 2015. Un capolavoro di illeggibilità, infarcito per altro di autentiche offese alla morfologia, alla grammatica e alla sintassi. Non sto esagerando, basta una lettura diretta del testo sulla Gazzetta Ufficiale per constatare la fondatezza delle mie affermazioni. Una legge miscellanea che tratta frammentariamente ed episodicamente (e sempre con la ormai consueta e dannosa frettolosità) tanti temi e problemi, ma al di fuori di una logica di seria riforma di alcunché, e con il rischio serio di frammentare il corpo legislativo del nostro paese, dove la disciplina legislativa dei varî àmbiti perde inevitabilmente unitarietà, per il ripetersi dell’introduzione di mini norme in testi di legge che non tengono conto dei contesti specifici che vanno a modificare. Sarebbe ora di mettere da parte le leggi miscellanea, per passare a una legislazione tematizzata, che affronti uno per uno, ma compiutamente e coerentemente, i tanti temi che hanno urgente necessità di essere adeguatamente ridefiniti.
A dir la verità, potrei continuare a lungo con una serie di esemplificazioni dello stesso tenore. Ma quel che mi sembra fondamentale è richiamare alla tua attenzione, l’esigenza che tu prenda coscienza che sei il segretario del Partito democratico, non il segretario del Partito “antidemocratico”. La democraticità del comportamento, soprattutto da parte di chi il partito lo rappresenta, non è un’opzione secondaria o semplicemente tattica, è l’elemento decisivo su cui il partito c’è, oppure cade. Voglio invitarti pertanto a voler riflettere con grande saggezza, sull’esigenza di cambiare rotta, o per dirla con un tuo slogan, di “cambiare verso”, ricollegandoti al grande patrimonio democratico del nostro partito, rispetto al quale purtroppo attualmente sei fuori.
La saggezza popolare ci dice che “sbagliare è umano, ma perseverare nell’errore è diabolico”. Sarebbe davvero un atto di responsabilità e di grande previdenza politica una tua scelta di concentrarti pienamente sulla sfida di governare il paese, lasciando ad altra autorevole personalità la guida del partito. Sarebbe il primo passo indicativo di un cambiamento di rotta. Il vero capitano è quello che sa quale sia il momento giusto di virare e cambiare rotta.
Mi auguro che tu voglia prendere in considerazione questa mia, un po’ rude, sollecitazione. Un mio difetto è quello di dire con chiarezza quello che penso. Ma il parlar chiaro è fatto per gli amici. Sono ovviamente disponibile ad approfondire nel modo più ampio possibile i temi che ho posto in discussione, perché dal confronto di idee diverse nasce sempre una sintesi produttiva. Il fronte contro fronte, invece, determina sempre stasi dannose e improduttive.
Naturalmente io sono un sostenitore del Partito democratico, che continuerò nonostante tutto a votare e sostenere, nella convinzione che il grande patrimonio democratico del partito alla lunga avrà ragione della stagione di pratica politica deteriore alla quale al momento lo stai riducendo. Puoi rimediare, sta a te la scelta.
In caso contrario, posso solo dirti che probabilmente hai sbagliato partito. Credo di non sbagliarmi se ti dico che saresti stato il miglior successore di Silvio Berlusconi alla guida di Forza Italia.
Voglio comunque concludere queste mie riflessioni, augurandoti il meglio sul piano personale e auspicando per il Paese un percorso positivo di uscita dalla crisi e di risposta alle sofferenze di quella parte di società che si trova a fare i conti con i problemi più drammatici.
Un cordialissimo saluto,

Vico Equense, domenica 27 settembre 2015
Sergio Sbragia


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