In questi ultimi anni, allo scopo di mettere
ordine nella contabilità pubblica e di rimediare al pesante indebitamento dello
stato, ripetuti provvedimenti di natura finanziaria sono venuti imponendo ai
cittadini italiani una serie crescente e gravosa di oneri e di costi per
accedere ai servizî pubblici. Ormai non c’è cittadino che non sia costretto a
pagare tickets progressivamente più onerosi per medicinali,
esami clinici e visite mediche. Le famiglie che intendono far studiare i figlî
devono pagare tasse universitarie sempre più esose. I giovani in cerca di
lavoro solo per partecipare a un concorso pubblico o a una selezione di lavoro
sono spesso tenuti a pagare una tassa o un contributo per coprire i costi della
procedura concorsuale o selettiva (con la conseguenza che più concorsi si
fanno, più si cerca lavoro e più si paga). Se si vuole visitare un museo o un
insediamento archeologico si deve pagare un biglietto d’ingresso, spesso anche oneroso,
con buona pace per il diritto di libero accesso alle fonti della conoscenza e
della cultura. Non nego che l’esigenza di corretta gestione della contabilità
pubblica e la necessaria attenzione alla sostenibilità economica del sistema
Italia, possano richiedere a tutti i cittadini di concorre in forma
proporzionale alle proprie possibilità a sostenere i costi per conseguire l’obiettivo
dell’alleggerimento del peso del debito pubblico.
Tuttavia non posso fare a meno di porre in luce
che il concorso a questo doveroso sforzo di tenere sotto controllo la spesa
pubblica vada ripartito equamente tra i cittadini in ragione della potenzialità
partecipativa di ciascuno e non addossata in forma pressoché esclusiva sugli
ammalati, sugli anziani, sui giovani, sui senza lavoro, sui lavoratori
dipendenti e su quelli autonomi che contano in forma esclusiva sul solo lavoro
personale.
Da alcune settimane è iniziato il campionato di
calcio e in tutte le città (dalle più grandi alle più piccole) possiamo
verificare il grande dispiego di forze dell’ordine finalizzato a garantire il regolare
svolgimento delle gare e prevenire possibili disordini, che in occasione di
tali eventi spesso si verificano con conseguenze non di rado drammatiche. E
questo si verifica sia in concomitanza degli incontri del campionato di Serie
A, che di quelli delle serie minori, anche di quelli di rilevanza molto
modesta. In pratica si può con una certa dose di attendibilità che non ci sia
stadio, anche nel più modesto centro urbano, che in occasione di un incontro di
calcio non mobiliti una proporzionale attività di prevenzione da parte delle
forze dell’ordine. E questa necessità si sta estendendo, negli ultimi anni e in
forma proporzionata, anche a eventi di altre discipline sportive di natura
professionistica o semiprofessionistica.
A questo proposito mi faccio alcune domande:
- quanto costa alle casse dello stato (di
conseguenza ai cittadini italiani) questo grande impegno di uomini, mezzi,
competenze, energie e competenze per garantire l’ordine pubblico in occasione
degli eventi sportivi?
- quanto costa sul piano sociale la scelta di
destinare un tale complesso di risorse umane e finanziarie allo scopo in
discussione, sottraendoli a finalizzazioni di maggiore utilità e rilevanza
civile?
- le istituzioni e le società sportive professionistiche,
che beneficiano di questo insostituibile servizio pubblico, in forza delle
norme attualmente vigenti, in che modo e in quale misura concorrono a sostenerne
il costo? Sono forse chiamate a pagare un ticket proporzionato al costo dell’azione
preventiva, così come un ammalato è chiamato a pagare un ticket per accedere ai
servizî sanitarî?
Mi auguro (anche se nutro un certo dubbio in
proposito, soprattutto sul piano della concreta rilevanza economica) che le
norme vigenti prevedano un qualche onere a carico delle società sportive professionistiche
per il costo delle attività preventive di ordine pubblico dentro e fuori gli
stadî.
Questa mia riflessione non intende naturalmente
spianare la strada a una privatizzazione della gestione dell’ordine pubblico in
occasione degli eventi sportivi. L’ordine pubblico è un servizio di tale
rilevanza che solo l’istituzione pubblica può gestire in forma egualitaria e
trasparente. La sua privatizzazione aprirebbe la strada a un giro affaristico
di dubbie caratteristiche e diverrebbe il libero campo d’azione di buttafuori
di cultura mafiosa, con diffusione di pratiche discriminatorie e arbitrarie
nelle relazioni con gli utenti degli eventi sportivi.
È invece essenziale introdurre il principio
giuridico della doverosa partecipazione al costo delle attività di ordine
pubblico da parte delle istituzioni della società civile, che di tale servizio
beneficiano, o che tale servizio rendono necessario, in ragione delle proprie
attività. E ritengo che sia necessario introdurre una normativa di tal genere
per ragioni elementari di equità. Come uno studente è chiamato a concorrere ai
costi della propria Università pagando delle tasse proporzionate, così un’istituzione
sportiva professionistica, in ragione della propria rilevanza economica,
dovrebbe essere chiamata a partecipare al sostenimento dei costi dell’ordine
pubblico.
A questo proposito mi sembra giusto ricordare
una sapiente disposizione costituzionale:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (Costituzione della Repubblica Italiana, art. 2).
Devo tuttavia riconoscere che raramente mi càpita
di rintracciare sulla stampa e nella comunicazione mediatica riflessioni
critiche su questo tema. E invece frequente incontrare pressioni lobbistiche
miranti a favorire il lasciar fare alle società sportive, per costruire proprî
nuovi circuiti affaristici, a nocumento del bene comune. E va detto che anche
tra i cittadini comuni trovo una certa difficoltà a far prendere coscienza
della necessità d’introdurre una normativa egualitaria sulla materia, mentre
trovo una certa propensione a stracciarsi le vesti per i costi derivanti alle
casse pubbliche per le attività di accoglienza per i profughi che sbarcano naufraghi
sulle nostre coste. Invece, il costo di certo molto più consistente per
garantire l’ordine pubblico in occasione degli eventi dello sport
professionistico, per molti non fa problema.
Certo è più facile fare assistenzialismo ai
ricchi e ai potenti, e in questo le istituzioni pubbliche si accodano
pedissequamente alla mentalità plebea dominante, implorando con poca dignità il
favore “magnanimo” di Ecclestone.
Vico
Equense, giovedì 10 settembre 2015
Sergio
Sbragia
Nessun commento:
Posta un commento